Il mio puzzle, i miei pezzi.Di ieri e l'altro ieri.

mercoledì 20 novembre 2013

Valencia: e l'ebbrezza di attraversarla correndo...

Ogni uomo, una storia. Ogni sorriso, una favola interiore. Una sfida, una promessa, o forse un voto. Chissà...
Non mi era mai accaduto di assistere all'arrivo di una maratona.
Non parlo delle immagini dei vincitori. Quelle sembrano tutte uguali. In genere un atleta africano, fisico asciutto, brevilineo, viso scavato dalla fatica di migliaia di chilometri messi in cascina per andare ogni oltre limite umano. Perché coprire 42 km in 2 ore e poco piu', non ha quasi nulla di questo mondo. Non mi riferisco, insomma, ai superman degli altipiani.
Ma a gente molto piu comune. A persone che magari preparano questa impresa in 3/4 mesi, ritagliandosi del tempo fuori dall'orario di lavoro. O semplicemente coltivando la passione per la corsa sulle lunghe distanze, con qualche domenica al mese trascorsa a sudare per un borgo medioevale piuttosto che su una pista di atletica.

Lo sciame... senza scossa tellurica
A Valencia ero curioso di vedere come sarebbe stato. Come sarebbe stato partecipare ad una maratona di quelle oceaniche. Quelle che vedi in tv, con inquadrature aeree, alla partenza. Che tutto ti sembra un enorme formicaio. Che poi passo a passo va a sgranarsi, lentamente. Tutti diretti verso un'unica meta. Fin qui l'aspetto estetico dell'esperienza.
Se non partecipi ad una maratona, però, non cogli il succo di quel che si nasconde dietro ognuna di quelle "formichine". Perché ognuna di loro avrebbe certamente qualcosa da dire, da raccontare.

E se ti piazzi all'arrivo - dopo aver fatto i tuoi onesti 10 km (distanza breve e infima, se confrontata con la maratona vera, ma ad ognuno il suo...) - puoi goderti la sorprendente emozione di vedere qualcosa di imprevisto. O forse imprevedibile.
Scene di giubilo, di festa, quando non di vera esaltazione, per ogni podista che si avvicina all'arrivo. Le braccia si allargano quasi fosse una coreografia teatrale studiata a tavolino. Ma non e' così (a differenza delle esultanze calcistiche, sempre più "artificiali"). C'e la spontaneità della meta in quei gesti, c'e il senso liberatorio di essere ormai al traguardo dopo 4 ore di sofferenza.
E più i Runners passano, più la classifica si allunga, più toccanti sono le scene cui si assiste. Perché man mano si alza anche l'età o l'improbabilità dei protagonisti, che avanzano in alcuni casi incerti e claudicanti, in altri rampanti e forse in preda ad una scarica adrenalinica che si scatena alla vista dello striscione conclusivo.

E così c'e' chi danza, chi guarda il cielo, chi si fa il segno della croce. C'è un padre che si fa consegnare il bambino a cento metri dal traguardo, per attraversarlo insieme. C'e' la coppia di fidanzati che si prende per mano, o semplicemente di amici che chiosano magari settimane e settimane di allenamenti insieme. C'e' pure chi resta impassibile e sembra vada a far jogging al mercato. Ma c'e' anche chi porta la foto di un bimbo al petto (e chissà quale struggente vissuto si celi dietro quel gesto). C'e' chi arriva in carrozzina, chi in gruppo con le bandiere, chi corre faticosamente e poi, vedendo parenti e amici sugli spalti, si accende all'improvviso e comincia a scattare come se non avesse sul groppone, sulle gambe e sulle ossa la distanza siderale tra Atene e Maratona.

Aspettando la partenza...
Un film inaspettato, quello dell'arrivo. Ancor più emozionante della propria, di corsa. Che pure di sensazioni le ha regalate.
Fin dal mattino presto, con una Valencia inedita - quanto a temperature - oscillante intorno ai 10 gradi (la metà di quanto si solito si registra da queste parti anche a novembre).
Colazione abbondante e via a sperare di poter correre (dal momento che l'iscrizione e il pettorale non c'erano). Aria frizzante alla partenza, dove ogni minuto che passa, centinaia di persone si accalcano lungo il viale del via, prima dell'imbocco del ponte di Calatrava, detto anche "il Puente de la Exposision".

La Gubbio Runners (con coach d'eccezione -
Marcella Marcelli)  pronta a partire
Facce tese si mescolano a visi sereni. Puoi capire e distinguere tra chi vuole "fare il tempo", e chi semplicemente vuole arrivare alla fine: dai centimetri quadrati del proprio sorriso. Pensando ai chilometri del proprio percorso.
Senti una miriade di lingue circondarti, leggi i nomi piu inusitati di compagnie o società sportive sulle canotte che ti ronzano attorno. E poi getti uno sguardo sui pettorali personalizzati - geniale operazione di marketing all'insegna del "ricordo" soggettivo. I nomi più gettonati sono quelli spagnoli, Juan, Miguel, Pedro e giù di lì. E poi i soprannomi più strampalati (con le eugubine Billa e Strizzessa ad arricchire il parterre), con cui qualche goliardico corridore si è sbizzarrito.

E' una festa contagiosa. Che quasi esprime l'ansia di cominciare, in un incedere graduale del brusìo che l'accompagna. Misto al silenzio, e alla voglia che tutto abbia inizio. Un po' come agli esami. Che il giorno prima, preparato o meno, non vedi l'ora che passino.

Il via non e' solenne. Non ci sono fuochi d'artificio, non c'è chupinazo alla pamplonese.
Anche perché se ti trovi in fondo al gruppo, se hai davanti a te oltre 10 mila partenti, riesci appena a distinguere una marea umana che comincia a snodarsi sul Puente: a destra la maratona, a sinistra la 10km. Prima di passare sotto lo striscione di partenza passano 6', prima di cominciare a correre davvero, passa piu di un chilometro.
Ma e' una sagra itinerante quella in cui ti ritrovi. A un certo punto perfino con la "ola", un boato collettivo che parte da dietro e attraversa, come un fulmine, tutta la platea di concorrenti avanzando fino alla cima. Ti trapassa, trafiggendoti con l'urlo cui ti unisci correndo, non cogliendo poi dove quelle onde vocali vadano ad esaurirsi. Chissà magari contagiando perfino i superman, che davanti stanno flottando con le proprie leve come se facessero i 400 metri.

Il colpo d'occhio prima di entrare nell'area d'arrivo
Attraversare Valencia, a piedi o in pullman, può piacere. Farlo in maratona non ha fixing. Sempre che la maratona non ti annebbi le idee e appanni le emozioni.
Con i miei modesti 10 km mi sono goduto tutta la traversata. Che ha toccato i perimetri della Valencia piu moderna, quella che guarda al futuro, che e' modello architettonico e urbanistico per mezzo mondo. Con il suo celebre teatro dell'Opera, a forma di chiocciola, e il Museo delle arti e della scienza, attrattiva di migliaia di persone ogni giorno. Sull'asfalto calpestato pedissequamente per meno di un'ora, ci passa pure il Gp di F1; a poche centinaia di metri c'e il porto da dove salpavano per la America's Cup.
Eppure la corsa mantiene un fascino tutto suo. Perché resta misteriosa, non sai dove ti porta.

Ogni tanto i due sciami si incrociano, paralleli, quello dei 42km e quello del 10km. Mi giro per qualche istante a guardare dall'altra parte della strada. E mi chiedo, vedendoli volare ad un passo insostenibile, "ma questi ce la faranno davvero"?

Quando mancano ancora 2km, si svolta sul viale che apre all'area dell'arrivo. Appare l'enorme chiocciola del Teatro dell'Opera, affiorano le piscine che circondano l'enorme Vela simbolo della Valencia di oggi e di domani. Uno spettacolo. L'applauso della gente cresce di passo in passo, e si mescola con lo speaker che spagnoleggiando il capitolo finale di questa passeggiata, scandisce le falcate dei Runners. Qualcuno lo chiama perfino per nome, sbirciando il pettorale.
"Animo, animo!" si sente gridare dai lati della strada, mentre chi ha voglia di dare un' accelerata ti sfila a fianco. Mentre a tua volta, ti lasci dietro chi invece arranca sperando che l'arrivo spunti prima possibile.

Ci si immette nella zona traguardo, proprio nel cuore dell'architettura piu moderna di Valencia: un lungo tappeto azzurro prelude all'arrivo. Dopo tanto asfalto, ti sembra di correre sul velluto. E per un attimo hai l'imbarazzante sensazione di calpestare un'aiuola, di muoverti in una zona proibita, di essere quasi inadeguato a quel parterre da grandi eventi.
L'inaspettato, prima dell'ultima curva: un amico eugubino che ti chiama per fotografarti. Gigi Caldarelli, giusto il tempo di focalizzarlo e ringraziarlo intimamente per quell'istantanea. Che resterà l'unico ricordo tangibile di tutti i 10 km.

Migliaia di zaini... che attendono il rientro del proprietario
La cosa piu bella dopo l'arrivo? Il sacchetto di mandarini divorato in pochi minuti (anche per l'astinenza da frutta delle ultime 48 ore). L'immagine più curiosa? Un carosello di zaini depositati dai concorrenti e adagiati per terra - ordinatamente disposti secondo la numerazione dei pettorali: in attesa del rientro affannato del reciproco proprietario...

Tornando in albergo, per una doccia e per poi andare ad assistere all'arrivo degli amici sulla 42km, vado attraversando tutto il parco Turia, che lambisce l'omonimo fiume (altri 10 km, metro più metro meno, piu' pacati e rilassanti).


Area massaggi, subito dopo l'arrivo...
Ad un certo punto incrocio, sempre a piedi, pensieroso, uno di quei Superman africani. Canotta gialla e pantaloncino verde. Fisico inconfondibile di chi copre la distanza come fosse una routine.
Non sorride come avrei visto piu tardi fare da chi in classifica si sarebbe piazzato oltre la 10millesima posizione.
Era già arrivato, ma era quasi triste.
Chissà, magari anche lui aveva una sua storia. Aveva un obiettivo che forse, stando all'espressione interdetta e malinconica, gli era sfuggito.

Non sapeva che più o meno 17 mila persone, quella mattina, avevano dato l'anima per coprire ognuna, la propria meta. Per scrivere un capitolo emozionante della propria storia. Per ritagliarsi un giorno memorabile...
Di sicuro ne avrà avuta una anche lui.
Ma forse, almeno per questa domenica di novembre, deve essere stata meno appassionante della nostra...

1 commento:

  1. Complimenti Giacomo e grazie anche per questo bellissimo post, con cui ci hai reso tutti un pò partecipi di questa emozionante esperienza!!!!!

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