Il mio puzzle, i miei pezzi.Di ieri e l'altro ieri.

venerdì 14 febbraio 2014

Non toccatemi Marco Pantani...



La prima cosa che ho pensato e' stata: "Fortuna che non c'e il nonno". Di quel giorno di febbraio di 10 anni fa ricordo soprattutto questo. Marco Pantani era stato ritrovato in una camera d'albergo senza vita.

Il piu grande ciclista italiano che ho potuto apprezzare in questi 40 anni di vita era morto per un'overdose, nella solitudine, nell'oblio, nella disperazione piu totale. Dentro una camera anonima di un motel diseredato quasi quanto la sua fama.


Pensai a mio nonno Pompeo, ad un amante del ciclismo puro, autentico, dell'epopea dei Coppi e dei Bartali, ma anche dei Merx o dei Gimondi, e piu di recente dei Saronni e dei Moser.
Pensai al dolore che avrebbe provato nel vedere quel ragazzo di Cesenatico, celebrato come un campionissimo appena 6 anni prima, spirare tristemente, da solo, in quel motel della riviera, in uno stato di depressione lontano anni luce dai titoli, dalle fanfare, dai riflettori che fino al giugno 1999, con un altro Giro d'Italia già in pugno, ne avevano accompagnato l'ascesa.


Non mi hanno mai convinto le teorie dei complotti, le congetture di una longa manus che governa tutto. Ma e' pur vero che nella storia di Pantani di ombre ne restino tante.

Il campione di Cesenatico, capace di solcare le salite dolomitiche e dei Pirenei con la leggerezza di una danzatrice, non e' mai stato trovato positivo all'antidoping. Una mattina di giugno del 1999 il suo tasso di ematocrito nel sangue e' stato trovato superiore di 2 punti rispetto al consentito (50). Da li e' iniziato il suo calvario, i tanti amici si sono diradati improvvisamente. Il successo e' tornato ad essere un semplice participio passato. Il mito del Pirata si e' sgonfiato fino ad implodere in modo angosciante nel baratro della droga.
Quanto c'abbia messo del suo, nel precipitare inesorabilmente, e quanto abbia contribuito il sistema mediatico perverso, che ti esalta e ti spreme con la stessa disinvoltura, a seconda che tu sia eroe positivo (forte di risultati) o anti-eroe negativo (a prescindere dalle reali responsabilità), e' difficile a dirsi. E forse tra 100 anni i (pochi) amanti del ciclismo rimasti continueranno a dividersi su questo.


Continuo ad amare Marco Pantani per quello che ha dipinto nella mia galleria delle emozioni sportive. Le sue vittorie non sono mai sembrate frutto di un meccanismo automotive - come nei mostri "indistruttibili" e inespressivi che pure in quegli anni macinavano successi (penso ad Armstrong o a Ullrich). Il sudore di Pantani era vero. Sincero. Trascinante.


Capace di contagiare anche l'animo di chi la passione per la bicicletta non l'aveva mai avuta, sebbene avesse un nonno innamorato come pochi altri del ciclismo. Di quel ciclismo che ancora era poesia, memoria, leggenda.
Coppi, Bartali, Gimondi, Moser.
Pantani sta di diritto con quei signori li. Qualunque cosa sia accaduta dopo la sua esclusione. A prescindere dal destino che lo ha poi portato via con se'.




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