Ci si lamentava che dalle stanze perugine del potere, la città di pietra fosse troppo trascurata (un refrein che oggi può apparire stanco ma purtroppo sempre attuale). Con l'aggravante però di avere, a quel tempo, un Presidente della Regione eugubino (l'attuale direttore generale di Lega Pro calcio, Francesco Ghirelli), un assessore eugubino (Neri) e altri consiglieri in rappresentanza di casa nostra (Alessi e Panfili, se ricordo bene), senza considerare anche due parlamentari eugubini a Roma (Goracci e Sartori) . Nonostante questa troika non certo "debole", il peso politico della città rimaneva, ad essere eufemistici, residuale.
A distanza di tempo, dunque, mi colpisce non poco, la e-mail che il prof. Lanfranco Bertolini - eugubino trapiantanto in quel di Senigallia, dove ha svolto anche compiti amministrativi importanti - ci rilancia sulla vera storia del passaggio di Gubbio dalle Marche all'Umbria. Ebbene sì: tutto questo avvenne esattamente 150 anni fa, in occasione dell'Unificazione delle regioni centrali al Regno di Piemonte (poi d'Italia), con un passaggio amministrativo-burocratico per così dire, sbrigativo. Il cui risultato fu quello di trasferire Gubbio alla amministrazione regionale umbra (le Regioni in senso stretto nacquero solo nel 1970), abbandonando non tanto il "suolo marchigiano", quanto il ruolo di "capoluogo di Circondario".
Solo campanilismo? Non credo. E lo stesso dott. Rosellini - magistrato marchigiano, innamorato reo confesso di Gubbio - pone più di un interrogativo nella sua ricostruzione storica, effettuata grazie anche agli studi dei proff. Giambaldo Belardi e Maria Vittoria Ambrogi. Il tutto nell'ambito di un ciclo di appuntamenti di scena a Senigallia promossi dal circolo Sestante, con un incontro speifico dedicato - pensate un po' - alla "perdita di Gubbio da parte delle Marche".
Adriano Rosellini |
Anche se le ricorrenze per l'Unità d'Italia se ne sono andate, aggiungo io, non sarebbe male "rinfrescare la memoria", magari in un dibattito di ricostruzione storica, anche dalle nostre parti, invitando sia il prof. Bertolini che il dott. Rosellini. Per ora, a titolo di mera curiosità storica, val la pena dare un'occhiata a quanto è stato detto, nella nota riassuntiva diffusa dal prof. Bertolini. Emblematico il titolo dell'incontro (dall'ottica senigalliese):
Gubbio perduta: una storia del 1860
Adriano Rosellini, chiarito in limine di non essere uno storico, ma solo un osservatore appassionato che si fa delle domande e ne cerca le risposte, ha narrato, con efficacia ed umorismo, il suo sconcerto giovanile nello scoprire – da umbro-marchigiano qual era – che il Palazzo Ducale di Gubbio era il palazzo dei Montefeltro, sicuramente marchigiani.
Le sue curiosità al riguardo sono state soddisfatte, almeno per quanto riguarda il come del trasferimento dalle Marche all’Umbria di Gubbio e del suo contado (altra cosa è il perché), dal lavoro di due storici eugubini (Maria Vittoria Ambrogi e Giambaldo Belardi) che – nella parte iniziale della loro storia della Società operaia a Gubbio nella seconda metà dell’800 – ricostruiscono nel dettaglio e con una documentazione esauriente la storia di quegli ultimi mesi del 1860 in cui maturò il distacco, e Gubbio fu perduta (alle Marche).
La storia narrata dal relatore è gustosa ed amara al tempo stesso. Gustosa: i mille cavalleggeri che occupano Gubbio nella notte sul 14 settembre e che – dirottati da Perugia e non sapendo bene che cosa fare – prendono la strada di Foligno; il proclama alle truppe della “Commissione municipale provvisoria”; i festeggiamenti “fra lo sparo di mortaretti ed il suono del concerto” fatti il 30 settembre alla notizia della caduta di Ancona e della fine di ogni resistenza anti-piemontese; i fasti del plebiscito del 4-5 novembre (3965 votanti con soltanto “una quindicina” di contrari).
Ma anche amara: fin dal 3 ottobre la commissione municipale provvisoria – nominata dall’occupante e priva di ogni rappresentatività – senza minimamente consultare la popolazione e sulla base di una memoria predisposta (da chi?) per essa manda una petizione al regio commissario per l’Umbria (Pepoli) per lo “smembramento” dalla provincia di Urbino-Pesaro; l’8 novembre altra petizione allo stesso indirizzo per l’aggregazione alla provincia dell’Umbria (sarà bene sorvolare sulle “motivazioni”); il regio commissario provvede con il decreto 15 dicembre 1860 (n. 197) disponendo l’aggregazione all’Umbria (circondario di Perugia): il decreto è peraltro condizionato non (come richiesto dalla commissione) al riconoscimento di Gubbio come capoluogo di Circondario, ma semplicemente allo “smembramento” dalle Marche, rimesso al regio commissario di queste, Lorenzo Valerio. Questi provvede con assoluta tempestività: col decreto 20.12.1860 (n. 582) è stabilito che “la giusdicenza di Gubbio viene distolta dalla provincia delle Marche”.
“Consummatum est”.
Non solo per il linguaggio, elegantemente soft, il ruolo di Valerio nell’operazione complessiva appare decisivo tanto quanto abile nella sua collocazione dietro le quinte.
Valerio – ha chiosato il relatore – è una personalità di tutto riguardo: esponente della sinistra, era stato nominato al rango di regio commissario dal governo Rattazzi (per la provincia di Como) e, avendo dato ottima prova, era stato dal successivo governo Cavour trasferito alla complessiva responsabilità della provincia delle Marche. Abile, duttile, attivissimo (non è casuale che i suoi decreti fossero il triplo di quelli di Pepoli), fedelissimo al suo Re, dové sicuramente interpretare come desiderabile per il nuovo Stato l’accorpamento dell’eugubino alla provincia di Perugia, previo “distoglimento” dalle Marche, per più ragioni meno affidabili. Probabilmente, dal suo punto di vista, aveva ragione.
Ma certo non l’aveva per gli eugubini che, destatisi in ritardo, molto per essere stati retrocessi a semplice capoluogo di mandamento, ma tanto anche per altri buoni motivi (esattamente opposti a quelli della memoria anonima dell’ottobre) firmano in 390 (praticamente l’intero corpo elettorale amministrativo) una protesta contro l’annessione alla provincia dell’Umbria (29 dicembre).
Ma è tardi, sempre più tardi.
Il decreto Valerio è già operativo (dal 21 precedente) per la parte amministrativa e lo sarà anche per la parte finanziaria due giorni dopo, il 1°.1.1861, quando le firme di protesta ancora giacciono presso la pretura.
Alla protesta non v’è dunque neppure necessità di rispondere, visto che la ratifica di Torino, già intervenuta, non è mai stata in discussione.
Si chiude così una vicenda breve, ma dalle lunghe conseguenze, visto che Gubbio non recupererà più quel rango di capoluogo di circondario che – con altre denominazioni – era stato suo per secoli e – ancor meno – ritornerà alle Marche.
Ecco dunque il come: e come scrissero i “protestanti” ciò avvenne “in onta al proclamato principio del suffragio universale, senza premettere alcuna interpellanza”.
Così andarono le cose; a distanza di centocinquanta anni – ha concluso il relatore – non avrebbe forse molto senso continuare a domandarsi il perché. Ma qualche motivata, e forse non infondata supposizione, quella sì, la si può fare.
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