Il mio puzzle, i miei pezzi.Di ieri e l'altro ieri.

mercoledì 27 giugno 2012

Italia-Germania: stavolta si giocano due partite...

Non sappiamo come finirà, ma sappiamo che ce la ricorderemo. Italia-Germania di scena a Varsavia non sarà, comunque vada, come le tante celebri partite di calcio che l’hanno preceduta.

Perché per la prima volta l’evento sportivo sarà concomitante con un vertice politico di straordinaria importanza per il futuro dei due Paesi. E dell’Europa.
Quell’Europa che si gioca un posto in finale, calcisticamente, in 90’ (o forse 120’ con possibile coda dei rigori) nella capitale polacca, può conoscere il suo futuro nelle prossime 48 ore nella capitale belga, Bruxelles, centro politico nevralgico dell’Unione continentale.

Italia – Germania, ovvero due idiomi per eccellenza della civiltà europea: la fantasia mediterranea contro l’organizzazione e la scientificità teutonica.
Due paesi, due culture, due popoli che si detestano ma che in fondo si invidiano. Forse per gli stessi motivi. Che si imputano rigidità o lassismi reciprocamente, ma che sembrano, a ben vedere, più tasselli complementari che non alternativi, di un equilibrio più ampio.
Non sapremmo immaginarci l’Europa senza Germania, men che meno senza Italia. Che insieme hanno costruito decisamente meglio quando hanno discusso, che non quando si sono alleate...
E forse il fatto di rendere questi due protagonisti, l’uno indispensabile per l’altro, rende una partita di calcio – e ancor di più un vertice politico – come un appuntamento destinato a lasciare il segno.

Forse nulla (o poco) sarà più come prima, dopo questa settimana. La speranza è che non sia solo per questioni calcistiche.
Il faccia a faccia Monti-Merkel non sarà esattamente come quello tra Prandelli e Loew. Ma entrambi potrebbero diventare due “partite a scacchi” dove solo chi avrà più pazienza e tirerà fuori il jolly, al momento giusto, potrà dire di aver raggiunto l’obiettivo.
Al premier italiano – apprezzato oltreconfine per le misure rigide, quanto inviso ormai alla gran parte degli italiani, cui ha dovuto somministrare dosi di “olio di fegato di merluzzo” sotto forma di tasse - potrebbe non bastare un “cucchiaio” alla Pirlo per convincere l’Angela di Germania a desistere nel suo no aprioristico verso manovre e interventi (dagli eurobond alla mutualizzazione dei debiti degli stati membri dell’Ue) per i quali la Merkel ha addirittura utilizzato formule da soap opera sudamericana (“mai finchè vivrò”).

Si può capire che la cancelliera – novella “signorina Rottermaier” del nostro continente – non si senta rassicurata da chi sbandiera buoni propositi - e intanto nel suo Paese deve fare i conti con una macchina amministrativa dai ritmi medioevali, dalla farraginosità e dalle incrostazioni ineliminabili, dove ancora pezzi di stato intonano cori del tipo “Fornero al cimitero”, piuttosto che “rimbocchiamoci le maniche una volta per tutte”.
Al tempo stesso però dovrebbe concedere ad Italia ed altri partner europei quelle stesse opportunità di crescita comunitaria che nell’ultimo 20ennio hanno consentito alla Germania, fresca di riunificazione, di trovare le risorse per uscire da un tunnel critico non meno grave di quello che oggi attanaglia i paesi del Mediterraneo (Grecia, Spagna, Italia, Francia, in ordine decrescente).

Da Bruxelles se ne potrebbe uscire con un pareggio – eurobond sì ma solo a determinate condizioni – e sarebbe già un grande risultato: i supplementari, poi, si giocherebbero in separata sede (ognuno nel proprio Parlamento) per varare quelle ulteriori manovre necessarie a garantire le conditiones sine qua non per tenere a galla l’euro, e con esso soprattutto l’Europa.

Quanto al campo (calcistico) gli Azzurri vivono una condizione paradossalmente agli antipodi rispetto al premier di casa nostra: il calcio italico ha sempre inflitto figuracce ai tedeschi quando si trattava di partite importanti.
Ieri sera La7 ha proposto un mix tra le 3 gare della storia (la semifinale dell’Azteca del 1970, la finalissima dell’82 al Bernabeu e il colpaccio del 2006 a Dortmund) che hanno fatto di Italia-Germania molto più che una partita di calcio: un evento spasmodicamente popolare e smisuratamente sociale, capace di immobilizzare due paesi di fronte alla televisione e di riscattare puntualmente quello che, in teoria, “stava messo peggio”.

Del primo, del 4-3 mitico in terra messicana, ho sempre avvertito l’eco: sarà che sono nato 11 mesi dopo, ma è come se ogni volta abbia avuto l’impressione di essere arrivato appena in ritardo (e per me è condizione piuttosto frequente) ad un appuntamento con la memoria. Credo che tra 100 anni, in un libro di storia che racconti non solo le nefandezze politiche e i tanti "ismi" ma anche la rivoluzione di costumi e di società che il ‘900 ci ha regalato, sarà ricordata la sera del 17 giugno 1970: quando un intero paese si ritrovò per le strade, a notte fonda, a sventolare una bandiera che fino a qualche anno prima (e anche per qualche anno ancora) era tutt’altro che un simbolo unificante: quasi fosse l’emblema di un passato di cui vergognarsi e da rigettare – per dirla con Totò – “a prescindere”. Da quella sera iniziò la moda di tuffarsi nelle fontane d'estate dopo i trionfi calcistici azzurri.

Se l’impresa di Rivera e Riva – rimasta indelebile nonostante la sfortunata finale che poi ne seguì contro Pelè – spalancò le porte degli anni Settanta (inquietanti quanto straordinariamente fervidi per il nostro Paese), le gesta di Paolo Rossi e Dino Zoff 12 anni dopo fu ancora più epica: perché inaspettata, perché – per dirla stavolta con Sofocle – “la gioia più bella è quella meno attesa” (incipit ideale del nuovo libro di Paolo Rossi "Il mio mitico mondiale").
Ma quell’Italia-Germania dell’11 luglio 1982 era solo il capitolo finale di una marcia trionfale iniziata nella seconda fase di un Mondiale nato ambiguamente (tra pareggi e polemiche su presunte combine con il Camerun), e poi esploso proprio quando le avversarie e i pronostici sembravano condannare inesorabilmente la squadra di Bearzot.
Stavolta nell’82 c’ero, eccome. E ricordo ancora oggi, come fosse un paio di giorni fa, l’emozione – per me la prima – di scendere in strada dopo le vittorie con il Brasile (ci davano tutti per spacciati) e soprattutto dopo la finale con i tedeschi, quando nemmeno un rigore fallito nel primo tempo, frenò l’impeto di una squadra che ormai mentalmente più che tecnicamente, “non poteva che vincere”.
Ricordo la festa consumata nelle strade di Gubbio, come in quelle di tutta Italia, per qualcosa che la stragrande maggioranza di chi era in vita non aveva neppure lontanamente immaginato potesse vedere: le uniche vittorie – festeggiate in modi e tempi ben diversi – risalivano agli anni 30. Praticamente come rivincere la Coppa Davis il prossimo anno…
E ricordo una bandiera sabauda goliardicamente esposta nel cuore di piazza Oderisi, di fronte alla sede dell’allora Pci eugubino: un pizzico di satira gioiosa in una serata in cui nessuno, neanche in quei tempi, si sarebbe potuto risentire di nulla…

Infine il 2006, il trionfo “da maturo”. Anche qui inaspettato, perché il Mondiale si giocava in terra di Germania e pochi, pochissimi avrebbero scommesso sul colpaccio contro i tedeschi. Ma c’era la convinzione che non si partiva battuti.
E alla fine, in barba all’etichetta di “catenacciari” (anche se difendersi, ricordiamoci, è un’arte non meno nobile e proficua del saper attaccare), gli Azzurri di Lippi – reduci dallo scandalo Calciopoli come lo erano gli Azzurri di Bearzot dopo il calcio scommesse che aveva ghigliottinato ingiustamente anche un “mito” come Paolo Rossi – ribaltarono le gerarchie, si giocarono la partita faccia a faccia, chiusero con punte in campo i supplementari (Totti, Del Piero, Iaquinta e Gilardino) e proprio nell’ultimo assalto, ebbero la meglio. Con l’”eroe per caso” Fabio Grosso.

Italia-Germania, ovvero quello che non ti aspetti: il clichè è questo. E il clichè appare scontato – ma fino ad un certo punto – anche domani, a Varsavia. Con i tedeschi più freschi e favoriti naturali. Proprio come in passato...
Stavolta si giocherà in una città che difficilmente tiferà Germania (avendo ancora in vita diversi polacchi che hanno sofferto sulla propria pelle le “manìe di grandezza” teutoniche), ma che sarà certamente teatro di una sfida appassionante.
Per la legge dei grandi numeri, prima o poi, la sfida dovrà sorridere anche ai nostri avversari. Ma forse la Nazionale di Prandelli è quella che più di altre, comunque vada, potrebbe lasciare meno rimorsi.
Gioca, comanda la partita, cerca di proporsi continuamente. Manca all’appello solo il gol – e non è poco – ma finchè si costruiscono decine di azioni offensive, quello potrebbe sempre arrivare.
Se non solo con l’organizzazione – e l’affidabilità prettamente tedesche – magari proprio con la fantasia e l’estro, tipicamente italiche.

Anche Monti lo sa. E proverà a giocarsi - con o senza cucchiaio - questa carta sul tavolo di Bruxelles. Che, diciamoci la verità, scotta e conta molto più di quello verde e pur sempre appassionante di Varsavia.



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