giovedì 31 ottobre 2013
I 40 anni dello stemma della Regione. E le parole del Commissario: tecnicamente appassionate...
Il video realizzato per i 40 anni dello Stemma della Regione dell'Umbria
"Permettetemi di iniziare il mio intervento esprimendo i sentimenti di profondo orgoglio e onore nell’essere chiamata a rappresentare l’Amministrazione Comunale e l’intera città di Gubbio, in questa prestigiosa cerimonia, di ricorrenza e celebrazione dello stemma regionale che, proprio oggi, compie 40 anni".
Ha aperto così il suo intervento, il Commissario prefettizio di Gubbio, Maria Luisa D'Alessandro, ieri mattina a Palazzo Cesaroni, nel corso delle celebrazioni dei 40 anni dello stemma della Regione, che raffigura i Ceri di Gubbio. Un incipit non consueto, perchè già da queste prime parole traspariva un senso e una partecipazione che non appartengono, in genere, a chi riveste un ruolo semplicemente tecnico.
Ero appoggiato ad una colonna della Sala Brugnoli, e man mano che questo intervento proseguiva, cercavo di mettermi seduto: quasi avessi bisogno di ascoltare meglio, con più calma, con maggiore riflessione quello che non era un semplice saluto di protocollo. Ma un'accorata e forte manifestazione di... identità civica.
Parli di un vice prefetto, dici Commissario prefettizio, e ti immagini una figura sobria, algida, al limite dell'impassibile, venuta in città per sbrogliare la matassa amministrativa che l'incapacità politica, gestionale e amministrativa del passato Consiglio e della defunta Giunta non ha saputo dirimere. Senza nessun accento, senza nessuna sbavatura, senza alcun riflesso di una qualche forma partecipativa a quello che è l'humus e l'humanitas della comunità di cui si è - in questo caso davvero pro tempore - rappresentanti.
E invece... Invece ti trovi di fronte una signora - in tutti i sensi - che non solo utilizza la parola con eccellente appropriatezza, garbo e misura (come nel ruolo che le impone) ma che sa affiancare a tutto questo una capacità espressiva, un pathos e un senso di appartenenza assolutamente insospettabili. Non tanto per la persona, quanto per il ruolo che non lo richiederebbe nè lo lascerebbe immaginare.
Ho avuto alcune occasioni per parlare con la dott.ssa D'Alessandro, principalmente dei tanti problemi di questa nostra "sgangherata" comunità. Una città dalle straordinarie potenzialità inespresse (o forse, di questi tempi, depresse) che alterna momenti di orgoglio e di intensità, a periodi di devastante apatìa. Ho sempre apprezzato nel Commissario la forte volontà, molto femminile, di dare concretezza al suo incarico. E di favorire un risveglio, partecipativo, partendo dal dialogo con i cittadini, dal coinvolgimento delle associazioni, dalla consapevolezza che solo il "noi" potrà tirarci fuori da queste sabbie mobili. Non uso a caso questa espressione.
Perchè è propria dell'intervento di ieri del Commissario. A proposito di Ceri.
Ecco, questo 30 ottobre 2013 dovremmo ricordarcelo non tanto per quello che ha solennizzato - i 40 anni di uno stemma che è stato anche il simbolo di una scelta, di una volontà, di una identità che allora il legislatore regionale volle darsi. Ma soprattutto per quello che deve essere sentito ancora oggi come attuale, come vivo, come pulsante.
L'energia che esprime questo simbolo - i Ceri - rappresenta l'energia e il segreto di una comunità. Che quando vuole sa rialzarsi, sa reagire, sa opporsi all'evolversi degli eventi. Al succedere magari poco fausto (come il presente), proprio trovando quella coesione e quel sentire corale che è riflesso dell'anima della Festa. E che dev'essere la strategia per ripartire dopo il buio di questi mesi.
Già sentir pronunciare da un Commissario prefettizio la parola "orgoglio", in quell'incipit computo e formale, mi ha dato un senso a tutto il discorso che ne è seguito: mi sono detto che forse c'è chi in pochi mesi, ha capito di Gubbio cose che qualche eugubino ancora non comprende. O non sa di ignorare. Pur essendo nato e vissuto qui da decenni.
Ma sono anche altre le parti del suo discorso che mi hanno raggiunto, mi hanno colpito. Mi hanno fatto capire quale formidabile spirito contagioso questa città riesce ad ispirare, anche agli occhi di chi non avrebbe altro da svolgere se non un ruolo burocratico.
E quanto di questo spirito ci vorrebbe invece in chi, questa città, vive e conosce da tempo ma non allo stesso modo è in grado di rappresentare. O anche solo di animare.
Per chi verrà, tra qualche mese, il suggerimento è di leggersi almeno una volta queste parole. Per ritrovare il senso di ciò che si rappresenta, di ciò per cui si riceve un mandato, di ciò di cui si è deputati a fare.
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mercoledì 30 ottobre 2013
30 anni scout... per sempre scout. Flash di un fine settimana speciale...
Per una volta mi piace lasciar parlare le immagini. Potrei scrivere tanto (sicuramente troppo) sfogliando l'album della memoria, su aneddoti e ricordi di un'esperienza che considero unica e inimitabile sul piano umano ed educativo.
"Basta guardare il sorriso di un lupetto di ritorno da una giornata vissuta insieme ai suoi coetanei, per capire che lo scoutismo avrà sicuramente un grande futuro": parole di Elisa Pellegrini, con cui ho deciso di chiosare il video realizzato in occasione del 30ennale dello scoutismo a Gubbio.
Una frase che mi ha colpito e che, a maggior ragione, mi ispira a lasciare che siano le immagini, le foto, i volti, i sorrisi, le emozioni impresse nello sguardo dei presenti, a raccontare un fine settimana - e in particolare la serata di sabato scorso - che ha segnato le iniziative celebrative dei 30 anni dello scoutismo a Gubbio.
Se tutto questo avrà un seguito, lo vedremo. Ma a prescindere, è stato bello ritrovarsi.
Bello e significativo. Per capire che quell'esperienza ci ha lasciato qualcosa di grande dentro. E forse, inconsapevolmente, ci ha "tatuati" spiritualmente anche per gli anni che sono poi scorsi via (ahinoi) così velocemente.
Avrei voluto vedermi in faccia quando, il giorno prima del ritrovo a San Francesco, ho ritrovato in un armadio in soffitta da mia madre, una busta azzurra: dentro c'era tutto quel che cercavo, camicia, fazzolettone, le magliette del primo campo 1984 (una addirittura della Ital-leganti di Acquasparta), i golf di lana inspessita, il tutto condito da un aroma ammuffito che ha offerto quel non so che di autentico e sorprendente all'insperato ritrovamento.
30 anni sono passati. Ma anche quando ne passeranno altri, tutto il bagaglio di vissuto che il fazzolettone e la borraccia ci hanno aiutato ad apprendere, resterà con noi.
"Il nostro zaino si riempie sempre di cose nuove e importanti" ha detto Michele Pastorelli, che oggi guida il gruppo dei lupetti (dove c'è anche il mio Giovi).
Uno zaino che oggi ha ancora qualcosa in più... Queste istantanee. Piene di nostalgia ma anche di felice consapevolezza. Di essere stati (ed essere ancora oggi) parte di qualcosa di profondamente intenso... Estote parati!
P.S. Le foto relative alla manifestazione sono dell'immancabile (e insostituibile) Marco Signoretti. Le foto d'archivio - tratte dalla mostra fotografica svoltasi nei giorni scorsi - sono merito di Barbara Bernabucci.
P.P.S. Un grazie a Barbara, anche perchè l'imput di questo trentennale è nato da una chiacchierata su facebook (che talvolta fa meno danni di quanto non si pensi) qualche mese fa...
"Basta guardare il sorriso di un lupetto di ritorno da una giornata vissuta insieme ai suoi coetanei, per capire che lo scoutismo avrà sicuramente un grande futuro": parole di Elisa Pellegrini, con cui ho deciso di chiosare il video realizzato in occasione del 30ennale dello scoutismo a Gubbio.
Se tutto questo avrà un seguito, lo vedremo. Ma a prescindere, è stato bello ritrovarsi.
Bello e significativo. Per capire che quell'esperienza ci ha lasciato qualcosa di grande dentro. E forse, inconsapevolmente, ci ha "tatuati" spiritualmente anche per gli anni che sono poi scorsi via (ahinoi) così velocemente.
Avrei voluto vedermi in faccia quando, il giorno prima del ritrovo a San Francesco, ho ritrovato in un armadio in soffitta da mia madre, una busta azzurra: dentro c'era tutto quel che cercavo, camicia, fazzolettone, le magliette del primo campo 1984 (una addirittura della Ital-leganti di Acquasparta), i golf di lana inspessita, il tutto condito da un aroma ammuffito che ha offerto quel non so che di autentico e sorprendente all'insperato ritrovamento.
30 anni sono passati. Ma anche quando ne passeranno altri, tutto il bagaglio di vissuto che il fazzolettone e la borraccia ci hanno aiutato ad apprendere, resterà con noi.
"Il nostro zaino si riempie sempre di cose nuove e importanti" ha detto Michele Pastorelli, che oggi guida il gruppo dei lupetti (dove c'è anche il mio Giovi).
Uno zaino che oggi ha ancora qualcosa in più... Queste istantanee. Piene di nostalgia ma anche di felice consapevolezza. Di essere stati (ed essere ancora oggi) parte di qualcosa di profondamente intenso... Estote parati!
P.S. Le foto relative alla manifestazione sono dell'immancabile (e insostituibile) Marco Signoretti. Le foto d'archivio - tratte dalla mostra fotografica svoltasi nei giorni scorsi - sono merito di Barbara Bernabucci.
P.P.S. Un grazie a Barbara, anche perchè l'imput di questo trentennale è nato da una chiacchierata su facebook (che talvolta fa meno danni di quanto non si pensi) qualche mese fa...
Il campo estivo a Castelluccio di Norcia - 1984 |
Con i "pipistrelli" in una rappresentazione... di non so cosa - 1984 |
La promessa, alla Cappelluccia di San Giorgio - 1984 |
L'inconfondibile sagoma di padre Giuseppe, un "padre" spirituale per molti di noi - 1985 |
Uscita reparto maschile a Madonna del sasso - inverno 1985 |
Uscita noviziato, campo scout Castelluccio - 1986 |
Colletta squadriglie per comprare... monte Prata - 1986 |
Reparto Gubbio 1 al completo - Castelluccio 1986 |
L'alzabandiera ieri... - Castelluccio 1984 |
E l'alzabandiera oggi... - 2013 |
Lo splendido scorcio del chiostro di San Francesco per la messa del 30ennale - sabato 25 ottobre |
L'entusiasmo è rimasto lo stesso: magia intergenerazionale... |
... per poi ritrovarsi allegramente a tavola |
Sotto le arcate del chiostro, tra canti e ricordi... |
Non è mancato neanche l'urlo "San Giorgio", con l'energia "particolare" di Massimo Panfili |
Tavolata del gruppo scout Gubbio 1 |
... e la sfida (impari) con gli scout di oggi |
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martedì 29 ottobre 2013
Galabinov, il corazziere bulgaro ha voglia di sfondare... I ricordi in rossoblù...
Ad Avellino hanno cominciato già a ribattezzarlo Galagol. Perchè lui, Andrej Galabinov, ci ha messo poco ad entrare a regime con i giri giusti. E a prendere possesso della maglia da titolare prima, e dell'area avversaria poi.
Un corazziere, ma con l'agilità di un cigno. Un centro boa tattico, di quei giocatori che se gli arriva la palla sai che quella resterà lì, in cassaforte, e male che vada ci scapperà un calcio piazzato a proprio favore.
Galabinov ha vestito solo
un anno la maglia del Gubbio, ma sarà l'astinenza offensiva, è già
rimpianto come se da queste parti fosse rimasto un decennio.
E dire che l'avvio non era
stato dei più prolifici. Stenta ad avere la fiducia di Sottil e
nelle prime giornate deve pagare dazio alla regola del '92.
Il primo
gol arriva proprio col Pisa, dagli undici metri. Poi nella ripresa
concede il bis a Sandreani, evitando di toccare la palla che il
capitano deposita in rete. E sarà l'ultimo gol dell'eterno Alex. Il
primo acuto su azione ha il sapore beffardo di un pallonetto
chilometrico con cui uccella l'estremo difensore del Benevento.
La bomba di Carrara |
Ad
ottobre arriva anche la prima doppietta, a Carrara: un bolide per
aprire i conti, e un guizzo di rapina nella ripresa, anche se la
rimonta dei marmiferi strozzerà in gola il gusto del successo.
Sontuosa la punizione con cui infilza la Nocerina nella vittoria
dell'illusione, quella del secondo posto solitario a fine novembre,
l'ultima prima del grande freddo invernale.
In mezzo i gol ininfluenti
contro Catanzaro a Natale e Sorrento per l'Epifania. Un periodaccio
per il Gubbio e per Andrej che insacca pure un autogol nel derby col
Perugia.
La velenosa punizione contro la Nocerina |
La primavera però segna
il risveglio del bomber bulgaro: a Barletta propizia la prima
vittoria esterna dopo la crisi invernale griffando il raddoppio, 7
giorni dopo è suo lo spunto-vittoria di testa contro il Prato e su
rigore mette la firma anche sul 2-2 di Viareggio. Una vera perla è
la conclusione balistica con cui azzanna l'Avellino - che non sa
ovviamente che diventerà la sua prossima squadra. Un gol momentaneo,
perchè poi gli irpini vinceranno, ma forse decisivo per il suo
futuro calcistico.
Il carosello di prodezze
si chiude a Nocera Inferiore con uno splendido stacco di testa in
torsione: un gol che vale doppio, perchè regala un pari che ha il
sapore della salvezza. E' il dodicesimo per lui, una cifra che non
aveva mai raggiunto prima di approdare a Gubbio.
Una piazza che
rigenera, che ispira, che toglie ruggini e inebria di ispirazione più
di un bomber, come avvenuto negli ultimi anni. Galabinov è uno di
questi. E ora la B può essere l'ulteriore trampolino di lancio.
Magari sognando la massima serie. Come Juanito. Non a caso gli ultimi
due bomber rossoblù finiti in doppia cifra...
Da "Il Rosso e il Blu" di lunedì 28.10.13
Musica di sottofondo: "Levels" - Avicii - 2012
Da "Il Rosso e il Blu" di lunedì 28.10.13
Musica di sottofondo: "Levels" - Avicii - 2012
lunedì 28 ottobre 2013
Ripensiamo al bello che ci circonda. Ripartiamo, senza muri ideologici, dalla capacità di aggregare e costruire...
"Ripensiamo al bello che ci circonda, valorizziamolo
davvero, facciamo della qualità della vita di questa nostra terra un vero e
proprio "brand". Non per riempirci la bocca di un facile slogan, ma
per fare dell'Umbria una meta di riferimento di un turismo ricco - senza che
questa parola incuta alcuna vergogna - e alla ricerca di qualità e benessere".
Ora che il redde rationem è arrivato, si ha l'impressione che il "re sia nudo", ovvero l'Umbria manifesti tutto il proprio deficit (fatte salve poche felici eccezioni) in fatto di classe dirigente, politica come imprenditoriale, di assocategorie come di sindacati, di intelligenze capaci di cogliere le potenzialità e le unicità di una terra - invidiata e ricercata da molti - che ha saputo preservare il passato senza però riuscire a valorizzarlo in chiave futura. O non abbastanza.
Scendendo nel nostro piccolo, nell'enclave eugubina, quante volte si è sentito ripetere, quasi come una filastrocca, delle risorse ambientali, storico-artistiche e architettoniche della città? Quante volte si è sentito dire che il turismo fosse una potenziale nuova miniera?
Le parole sono del
prof. Michele Fioroni,
docente di marketing dell'Università di Perugia che, ospite alcuni mesi fa della trasmissione
"Link", su TRG, ha cercato di focalizzare dove può ricercarsi
il futuro sviluppo di un'area come l'Umbria che, più di altre, soffre della
depressione generale e meno di altre (pensiamo alle regioni circostanti) ha le
energie imprenditoriali per risollevarsi in tempi brevi.
Una riflessione che è tornata in mente in queste giornate di "finto autunno", nelle quali il meteo attenua parzialmente la durezza dei tempi, le difficoltà economiche, e la precarietà - molto più preoccupante nelle prospettive che non nello stesso appannato presente.
"Troppa invadenza
del soggetto pubblico, troppi lacci e vincoli per l'iniziativa privata, già
gravata di un deficit di cultura imprenditoriale rispetto ad altri territori".
Questa è l'Umbria, descritta lucidamente dal prof. Fioroni, questa è a maggior ragione un'area marginale dell'Umbria,
come il nostro comprensorio e la nostra Gubbio.
Per troppo tempo,
troppi anni, il Pubblico ha svolto un ruolo di ammortizzatore sociale -
assorbendo forza lavoro ben oltre le proprie necessità, in una logica di
prelievo del consenso che prima o poi doveva presentare il conto.
Per troppo tempo,
l'imprenditoria locale ha faticato a costruirsi un tessuto ramificato capace di
sostenere l'impatto di una crisi che, per quanto imprevedibile fino ad una
decina di anni fa, ora fa sentire i suoi morsi. E quel che peggio, non lascia
profilare sbocchi o aree di certezza.
Carenza di
infrastrutture - appena oggi moderavo un dibattito di Assindustria Altotevere sull'eterna E78, una arteria progettata da Fanfani a metà degli anni '60 e ancora incompiuta.
Carenza di capacità politica a garantire un'alternanza nelle "stanze dei bottoni": se è vero che in 60 anni nulla o quasi è cambiato, è vero che questo stato di cose evidentemente andava bene. Finchè non c'era bisogno di stringere la cinghia. Finchè le congiunture potevano essere solo favorevoli.
Carenza di capacità politica a garantire un'alternanza nelle "stanze dei bottoni": se è vero che in 60 anni nulla o quasi è cambiato, è vero che questo stato di cose evidentemente andava bene. Finchè non c'era bisogno di stringere la cinghia. Finchè le congiunture potevano essere solo favorevoli.
Ora che il redde rationem è arrivato, si ha l'impressione che il "re sia nudo", ovvero l'Umbria manifesti tutto il proprio deficit (fatte salve poche felici eccezioni) in fatto di classe dirigente, politica come imprenditoriale, di assocategorie come di sindacati, di intelligenze capaci di cogliere le potenzialità e le unicità di una terra - invidiata e ricercata da molti - che ha saputo preservare il passato senza però riuscire a valorizzarlo in chiave futura. O non abbastanza.
Scendendo nel nostro piccolo, nell'enclave eugubina, quante volte si è sentito ripetere, quasi come una filastrocca, delle risorse ambientali, storico-artistiche e architettoniche della città? Quante volte si è sentito dire che il turismo fosse una potenziale nuova miniera?
C'è stato un
periodo, un lungo periodo, dagli anni 80 fino al Giubileo e a tutto il primo decennio del nuovo secolo, in cui tutto questo
poteva essere tradotto in progetti, in imprenditorialità, in posti di lavoro,
in ricchezza valoriale e materiale. Perchè risorse ce n'erano, eccome.
Quel tempo è
andato, quei soldi sfumati e quell'occasione è ormai alle spalle.
Ora tocca rincorrere. Le idee, i tempi, le poche pochissime risorse rimaste.
Non sarà facile ma qualcuno - anche a Gubbio - dovrà pur provarci. E da qui alla primavera, quella vera, quella del 2014, scopriremo anche chi sarà...
Sperando lo faccia con una mente aperta, uno sguardo capace di superare gli steccati, di non farsi imprigionare dalle ideologie, in grado di valorizzare il "molto, tanto, tutto" con cui il compianto avv. Gini descriveva Gubbio, senza cadere nella tentazione di una difesa gelosa e cieca dell'esistente, senza alcuno slancio, senza alcuna energia.
La speranza, semmai, è che possa ispirarsi all’esperienza di tante, tantissime realtà sociali e associative, la cui vitalità, capacità di aggregare, lungimiranza organizzativa, dovrebbe essere d’esempio per il Palazzo.
Ora tocca rincorrere. Le idee, i tempi, le poche pochissime risorse rimaste.
Non sarà facile ma qualcuno - anche a Gubbio - dovrà pur provarci. E da qui alla primavera, quella vera, quella del 2014, scopriremo anche chi sarà...
Sperando lo faccia con una mente aperta, uno sguardo capace di superare gli steccati, di non farsi imprigionare dalle ideologie, in grado di valorizzare il "molto, tanto, tutto" con cui il compianto avv. Gini descriveva Gubbio, senza cadere nella tentazione di una difesa gelosa e cieca dell'esistente, senza alcuno slancio, senza alcuna energia.
La speranza, semmai, è che possa ispirarsi all’esperienza di tante, tantissime realtà sociali e associative, la cui vitalità, capacità di aggregare, lungimiranza organizzativa, dovrebbe essere d’esempio per il Palazzo.
Non sappiamo se ci
sarà una via d'uscita. Sappiamo però che senza un nuovo dinamismo, un nuovo
protagonismo culturale e sociale a partire dalla nostra città, il futuro non darà molte
altre vie d'uscita. E se ci saranno, arriveranno ancora una volta “calate d’alto”.
mercoledì 23 ottobre 2013
La partita infinita... di casa nostra
Per una volta nel mio blog voglio inserire il pezzo di un amico e collega. Non tanto e non solo perchè parla di mio padre (e in un passaggio fugace, anche di me), ma per la sensibilità con cui Simone ha colto lo spirito autentico... di questa partita infinita.
Che ho vissuto fin da bambino, nelle primissime esperienze da raccattapalle: tornando a casa con le scarpe puntualmente imbrattate di terra rossa; con le immagini di quei racchettoni di legno, in particolare una con il nome di Adriano Panatta (una specie di divinità dall'accento romanesco a fine anni 70), del golf bianco di mio padre con strisce a bordo rosso e blu dell'Ellesse (prime impronte archeologiche del merchandising), delle palline bianche (chi le ricorda più?) dal profumo inconfondibile, del suo rovescio senza apertura, magari non perfetto nello stile ma impeccabile nell'esecuzione. Di un virus di quelli positivi e salutari, il tennis, di cui sono stato contagiato solo in parte (e che ho riscoperto proprio con la maturità, a 40 anni).
Di un'epoca che non tornerà, sicuramente per me. Ma che continua imperterrita invece per i due eccellenti protagonisti (classe 1938) di questa storia... La storia di una partita infinita...
Da "Gubbio oggi" - ottobre 2013
La partita infinita
Wimbledon 2010. Dopo l’ultimo punto i due tennisti, stremati, si danno la mano. Lo statunitense Isner ed il francese Mahut hanno in viso la consapevolezza di aver disputato una partita storica, nontanto per l’importanza del risultato, quanto per essere entrati di diritto nella storia del torneo di Wimbledon e del tennis in genere: hanno appena terminato la partita più lunga di tutti i tempi, iniziata il 22 giugno e finita il 24 giugno, al quinto set con il risultato di 70-68 per l’Americano. Questo perché nel celebre slam britannico non c’è il tie-break al quinto set, pertanto si aggiudica l’incontro chi riesce a vincere due games consecutivi. Per i non appassionati di tale sport, è come quando a biliardino, o ping pong, si va “ai due”, quindi si può andare avanti all’infinito, non c’è un tempo che scade o un arbitro che fischia tre volte. I tennisti sorridono, accerchiati da fotografi, tanto che dalle espressioni è incomprensibile capire chi dei due sia il vinto e chi il vincitore.
Non sanno che oltre la Manica, a +1 dal meridiano di Greenwich, che passa a pochi metri dall’erba del Centrale, ci sono due giocatori che il loro record lo hanno sorpassato di molto e continuano a migliorarlo. Si tratta di Lamberto Mascelli e Giorgio Marinelli Andreoli, che da più di quaranta anni giocano una sfida infinita. “Le prime partite le abbiamo fatte negli anni ’60, esordisce Mascelli, ma è solo dal 1970 che giochiamo ininterrottamente uno contro l’altro. I primi scambi li abbiamo fatti a San Pietro, poi ci siamo trasferiti in questo circolo, del quale siamo due degli undici soci fondatori.” In pratica, Giorgio e Lamberto, permettetemi di chiamarli così, visto che in fondo chi come me frequenta il circolo tennis non può non considerarli familiari, per due volte la settimana, pioggia o neve (tanto ci sono i palloni) si affrontano in un match eterno.
E fino a che la tecnologia non era arrivata e le ore si prenotavano con la penna sulla bacheca (adesso si fa on line o via terminal), nessuno osava, quasi per un rispetto reverenziale, accaparrarsi le ore in cui erano soliti giocare Giorgio e Lamberto… due partite a settimana, il lunedì ed il giovedì, per 52 settimane, per 43 anni: fate voi il conto…
Di acqua ne è passata fra un servizio e l’altro, il tennis è cambiato e loro due sono cresciuti insieme, e adesso, che hanno un’età matura, sono ancora lì a scambiarsi dritti e rovesci. “Abbiamo iniziato con le racchette di legno, siamo passati per quelle in alluminio ed adesso utilizziamo quelle moderne, in carbonio” ci confessano. La domanda mi sorge spontanea: ma non avete mai pensato di cambiare avversario? “Non ne sentiamo l’esigenza, visto che abbiamo caratteristiche tali che ci permettono di divertirci reciprocamente, ci troviamo bene l’uno con l’altro, perciò, perché cambiare?”.
Più fedeli di una coppia di pinguini imperatore, quindi.
Questa sequenza, senza soluzione di continuità, è stata interrotta solo da qualche vacanza (“ci sono tornato prima apposta dal viaggio di nozze” ci confessa Giorgio) e da piccoli infortuni. “Soprattutto miei” ci dice Lamberto “Vero, ci conferma Giorgio, fisicamente sono piuttosto fortunato… a differenza di mio figlio che ogni tanto torna malconcio da qualche partita di calcio o tennis; ma, e qui rende onore all’avversario, Lamberto è più completo di me”. “Però, ribatte Lamberto, in una virtuale partita a tennis di complimenti reciproci, Giorgio ha ottimi colpi difensivi ed in più ha il vantaggio di essere mancino, quindi trova traiettorie che mi mettono in difficoltà.” A proposito, quanto state? “Impossibile dirlo, sorridono i due, diciamo che c’è equilibrio, andiamo a periodi, in cui uno prevale sull’altro. In questa annata, ammette Giorgio, Lamberto è più in forma”. E già, perché loro parlano di annate, non di mesi o settimane… Però scalpitano, hanno voglia di giocare, quindi, dopo la foto di rito, “come i professionisti”, li lascio al riscaldamento.
Mentre iniziano a palleggiare, mi dicono che il tennis è una disciplina che si può praticare anche quando i capelli sono grigi, basta avere il partner adatto.
Se lo sport in generale mantiene giovani, il tennis è l’ideale per non invecchiare, o per farlo nel migliore dei modi: il vedere questi due signori, intorno ai settanta ma ancora in gran forma, che come dei ragazzini inseguono da un angolo all’altro quella palla gialla, me ne dà la piena conferma.
I ritmi non saranno quelli inferociti di un Djokovic – Nadal, ma la passione e l’impegno sono gli stessi. Esco dal pallone e li lascio divertire, perché quello è lo scopo dello sport, che si sia bambini, professionisti o, come nel nostro caso, senior. Ma poi torno indietro e faccio loro un ultima domanda: “Alla fine vi stringete la mano?”. “No, mi rispondono in coro, anche se la cavalleria lo vorrebbe, noi non lo facciamo”.
Mentre me ne vado, penso che a loro due non servano certi gesti di galateo tennistico: basta un cenno per rinnovare un impegno, per proseguire un tacito accordo, per rinsaldare una lunga amicizia. E in fondo, la mano si dà solo a fine partita…
Simone Zaccagni
Che ho vissuto fin da bambino, nelle primissime esperienze da raccattapalle: tornando a casa con le scarpe puntualmente imbrattate di terra rossa; con le immagini di quei racchettoni di legno, in particolare una con il nome di Adriano Panatta (una specie di divinità dall'accento romanesco a fine anni 70), del golf bianco di mio padre con strisce a bordo rosso e blu dell'Ellesse (prime impronte archeologiche del merchandising), delle palline bianche (chi le ricorda più?) dal profumo inconfondibile, del suo rovescio senza apertura, magari non perfetto nello stile ma impeccabile nell'esecuzione. Di un virus di quelli positivi e salutari, il tennis, di cui sono stato contagiato solo in parte (e che ho riscoperto proprio con la maturità, a 40 anni).
Di un'epoca che non tornerà, sicuramente per me. Ma che continua imperterrita invece per i due eccellenti protagonisti (classe 1938) di questa storia... La storia di una partita infinita...
Da "Gubbio oggi" - ottobre 2013
La partita infinita
Wimbledon 2010. Dopo l’ultimo punto i due tennisti, stremati, si danno la mano. Lo statunitense Isner ed il francese Mahut hanno in viso la consapevolezza di aver disputato una partita storica, nontanto per l’importanza del risultato, quanto per essere entrati di diritto nella storia del torneo di Wimbledon e del tennis in genere: hanno appena terminato la partita più lunga di tutti i tempi, iniziata il 22 giugno e finita il 24 giugno, al quinto set con il risultato di 70-68 per l’Americano. Questo perché nel celebre slam britannico non c’è il tie-break al quinto set, pertanto si aggiudica l’incontro chi riesce a vincere due games consecutivi. Per i non appassionati di tale sport, è come quando a biliardino, o ping pong, si va “ai due”, quindi si può andare avanti all’infinito, non c’è un tempo che scade o un arbitro che fischia tre volte. I tennisti sorridono, accerchiati da fotografi, tanto che dalle espressioni è incomprensibile capire chi dei due sia il vinto e chi il vincitore.
Non sanno che oltre la Manica, a +1 dal meridiano di Greenwich, che passa a pochi metri dall’erba del Centrale, ci sono due giocatori che il loro record lo hanno sorpassato di molto e continuano a migliorarlo. Si tratta di Lamberto Mascelli e Giorgio Marinelli Andreoli, che da più di quaranta anni giocano una sfida infinita. “Le prime partite le abbiamo fatte negli anni ’60, esordisce Mascelli, ma è solo dal 1970 che giochiamo ininterrottamente uno contro l’altro. I primi scambi li abbiamo fatti a San Pietro, poi ci siamo trasferiti in questo circolo, del quale siamo due degli undici soci fondatori.” In pratica, Giorgio e Lamberto, permettetemi di chiamarli così, visto che in fondo chi come me frequenta il circolo tennis non può non considerarli familiari, per due volte la settimana, pioggia o neve (tanto ci sono i palloni) si affrontano in un match eterno.
E fino a che la tecnologia non era arrivata e le ore si prenotavano con la penna sulla bacheca (adesso si fa on line o via terminal), nessuno osava, quasi per un rispetto reverenziale, accaparrarsi le ore in cui erano soliti giocare Giorgio e Lamberto… due partite a settimana, il lunedì ed il giovedì, per 52 settimane, per 43 anni: fate voi il conto…
Di acqua ne è passata fra un servizio e l’altro, il tennis è cambiato e loro due sono cresciuti insieme, e adesso, che hanno un’età matura, sono ancora lì a scambiarsi dritti e rovesci. “Abbiamo iniziato con le racchette di legno, siamo passati per quelle in alluminio ed adesso utilizziamo quelle moderne, in carbonio” ci confessano. La domanda mi sorge spontanea: ma non avete mai pensato di cambiare avversario? “Non ne sentiamo l’esigenza, visto che abbiamo caratteristiche tali che ci permettono di divertirci reciprocamente, ci troviamo bene l’uno con l’altro, perciò, perché cambiare?”.
Più fedeli di una coppia di pinguini imperatore, quindi.
Questa sequenza, senza soluzione di continuità, è stata interrotta solo da qualche vacanza (“ci sono tornato prima apposta dal viaggio di nozze” ci confessa Giorgio) e da piccoli infortuni. “Soprattutto miei” ci dice Lamberto “Vero, ci conferma Giorgio, fisicamente sono piuttosto fortunato… a differenza di mio figlio che ogni tanto torna malconcio da qualche partita di calcio o tennis; ma, e qui rende onore all’avversario, Lamberto è più completo di me”. “Però, ribatte Lamberto, in una virtuale partita a tennis di complimenti reciproci, Giorgio ha ottimi colpi difensivi ed in più ha il vantaggio di essere mancino, quindi trova traiettorie che mi mettono in difficoltà.” A proposito, quanto state? “Impossibile dirlo, sorridono i due, diciamo che c’è equilibrio, andiamo a periodi, in cui uno prevale sull’altro. In questa annata, ammette Giorgio, Lamberto è più in forma”. E già, perché loro parlano di annate, non di mesi o settimane… Però scalpitano, hanno voglia di giocare, quindi, dopo la foto di rito, “come i professionisti”, li lascio al riscaldamento.
Mentre iniziano a palleggiare, mi dicono che il tennis è una disciplina che si può praticare anche quando i capelli sono grigi, basta avere il partner adatto.
Se lo sport in generale mantiene giovani, il tennis è l’ideale per non invecchiare, o per farlo nel migliore dei modi: il vedere questi due signori, intorno ai settanta ma ancora in gran forma, che come dei ragazzini inseguono da un angolo all’altro quella palla gialla, me ne dà la piena conferma.
I ritmi non saranno quelli inferociti di un Djokovic – Nadal, ma la passione e l’impegno sono gli stessi. Esco dal pallone e li lascio divertire, perché quello è lo scopo dello sport, che si sia bambini, professionisti o, come nel nostro caso, senior. Ma poi torno indietro e faccio loro un ultima domanda: “Alla fine vi stringete la mano?”. “No, mi rispondono in coro, anche se la cavalleria lo vorrebbe, noi non lo facciamo”.
Mentre me ne vado, penso che a loro due non servano certi gesti di galateo tennistico: basta un cenno per rinnovare un impegno, per proseguire un tacito accordo, per rinsaldare una lunga amicizia. E in fondo, la mano si dà solo a fine partita…
Simone Zaccagni
lunedì 21 ottobre 2013
"Voti a rendere": dal turbo Ferrari, alla giunonica Verdacchi fino al Santopadre saggio...
Voti a
rendere - da "Fuorigioco" del 21.10.13
Ferrari 7,5 – Non è
solo la migliore sorpresa di questo grigio avvio di stagione del
Gubbio, sicuro e autoritario in mezzo alla difesa. A Lecce, dove le
gambe potevano anche tremare, va sul dischetto e spiazza Perucchini.
Veterano mascherato.
Segno X 5 – Non è il
voto, ma il numero dei pareggi nel cammino del Gubbio fino ad oggi su
7 gare. Ci chiediamo cosa accadrà quando il Gubbio riuscirà ad
andare in vantaggio. Ma soprattutto quando questo accadrà. Waiting
for Pisa.
Santopadre 6 – Per una
volta il patron perugino guarda in casa propria prima di sparare
sulla terna di turno. E a Benevento indossa i panni del saggio.
Sperando che siano quelli giusti per dare la sterzata alla squadra.
Lungimirante.
Verdacchi 7,5 – Da
avversario spauracchio a punta di diamante: la schiacciatrice ex
Orvieto ci ha messo poco ad entrare nel ruolo di leader del sestetto
rossoblù. Con 28 punti è decisiva nel 3-2 del Gubbio su Macerata. E
siamo solo all'inizio. Peacemaker.
Maurizi 8 – Dopo esser
riuscito a comporre una frase con la parola lampione, questa
settimana sarà un gioco da ragazzi studiare una frase con la parola
“tripla”. La sua è vincente al suono della sirena nel
supplementare di Pontedera. E regala la prima vittoria al Basket
Gubbio. Paroliere.
Altotevere C.Castello
volley 9 – Debutta col botto la squadra di Radici che al Palakemon
abbatte Piacenza, finalista scudetto 5 mesi fa e sciorina una
prestazione sontuosa. Forse Radici ha capito che per riportare gli
ultrà tifernati sugli spalti c'è un solo modo: stupire.
domenica 20 ottobre 2013
Se le parole di Baden Powell valessero per la politica...
"Cercate
di lasciare il mondo, migliore di come l'avete trovato".
La frase - una massima di sir Baden Powell, fondatore dello scoutismo nel mondo - tornerà in auge nei prossimi giorni, quando si festeggeranno con iniziative, un convegno, una mostra, un emozionante alzabandiera e un'immancabile cena con bivacco finale, i 30 anni ininterrotti del movimento Scout a Gubbio.
Pensavo, in questi giorni, quanto salutare potrebbe essere l'applicazione dei principi base dello scoutismo - movimento spesso criticato in misura inversamente proporzionale al grado di conoscenza delle sue caratteristiche - alla vita politica e civica del nostro Paese. E anche della nostra piccola (e al momento sventurata) comunità.
Dovrebbe rappresentare, questo assunto, una sorta di bussola irrinunciabile non solo di ogni scout, ma prima di tutto di ogni cittadino e ancor più di ogni amministratore pubblico.
Gestire la res publica - la cosa pubblica, come la definivano sapientemente i latini (da cui il termine, repubblica) - è certamente tra le responsabilità più onerose e difficili.
Sempre che sia interpretata con lo spirito di servizio, con il desiderio del "dare" (fuggendo la tentazione del prendere), con la sensibilità per ciò che è bello, ma anche utile e funzionale, con il gusto della condivisione (e non della divisione), la coerenza del rispetto delle regole (e non l'abilità ad eluderle), con la gioia del condividere e la forte motivazione fondata sul senso di appartenenza.
Parole abbastanza utopiche, se incasellate nella categoria della vita pubblica e della politica di oggi. A Roma ma anche dalle nostre parti.
Principi che sarebbero quasi ovvi, se non fossero ormai rari. E vissuti con la stessa nostalgia con cui si rimembra un'escursione sui Sibillini o un bivacco intorno al fuoco in una sera d'estate a Castelluccio.
Nelle ore in cui andiamo in stampa, ancora non si conosce neppure il progetto delle Logge e qualsiasi giudizio appare prematuro.
Questioni che certo non
possono essere addebitate né ad un Commissario prefettizio (entrato
in azione da 5 mesi e con il problema impellente di chiudere un
bilancio comunale disastrato) né ad una Fondazione bancaria, che
nell'ultimo decennio ha fatto pervenire ad associazioni, onlus e enti
pubblici cittadini oltre 10 milioni di euro e ha sostenuto progetti
culturali ed eventi, come la mostra dei Dinosauri, “osteggiata”
alla vigilia per una presunta incompatibilità con la Sala
dell'Arengo, e poi rivelatasi straordinaria (e finora irripetibile)
opportunità di richiamo.
Da editoriale "Gubbio oggi" - ottobre 2013
La frase - una massima di sir Baden Powell, fondatore dello scoutismo nel mondo - tornerà in auge nei prossimi giorni, quando si festeggeranno con iniziative, un convegno, una mostra, un emozionante alzabandiera e un'immancabile cena con bivacco finale, i 30 anni ininterrotti del movimento Scout a Gubbio.
Pensavo, in questi giorni, quanto salutare potrebbe essere l'applicazione dei principi base dello scoutismo - movimento spesso criticato in misura inversamente proporzionale al grado di conoscenza delle sue caratteristiche - alla vita politica e civica del nostro Paese. E anche della nostra piccola (e al momento sventurata) comunità.
"Cercate
di lasciare il mondo, migliore di come l'avete trovato".
Dovrebbe rappresentare, questo assunto, una sorta di bussola irrinunciabile non solo di ogni scout, ma prima di tutto di ogni cittadino e ancor più di ogni amministratore pubblico.
Gestire la res publica - la cosa pubblica, come la definivano sapientemente i latini (da cui il termine, repubblica) - è certamente tra le responsabilità più onerose e difficili.
Sempre che sia interpretata con lo spirito di servizio, con il desiderio del "dare" (fuggendo la tentazione del prendere), con la sensibilità per ciò che è bello, ma anche utile e funzionale, con il gusto della condivisione (e non della divisione), la coerenza del rispetto delle regole (e non l'abilità ad eluderle), con la gioia del condividere e la forte motivazione fondata sul senso di appartenenza.
Parole abbastanza utopiche, se incasellate nella categoria della vita pubblica e della politica di oggi. A Roma ma anche dalle nostre parti.
Principi che sarebbero quasi ovvi, se non fossero ormai rari. E vissuti con la stessa nostalgia con cui si rimembra un'escursione sui Sibillini o un bivacco intorno al fuoco in una sera d'estate a Castelluccio.
Un particolare della simulazione del progetto delle Logge dei Tiratoi |
La domanda, allora, sorge
immediata.
Si può utilizzare questa
metafora anche per la nostra Gubbio?
Vien da chiederselo, nei
giorni in cui emerge un nuovo caso (le Logge dei Tiratoi) intorno al
quale, accanto ad associazioni culturali, si stanno ritrovando (alla
vigilia di quella che si annuncia una lunga campagna elettorale)
alcuni dei protagonisti politici che hanno guidato l'ultimo decennio
cittadino.Nelle ore in cui andiamo in stampa, ancora non si conosce neppure il progetto delle Logge e qualsiasi giudizio appare prematuro.
Eco mostro di San Pietro: l'inizio dei lavori... |
L'auspicio è che il
presente non finisca per oscurare da un lato le vere priorità di
questa comunità (con centinaia di famiglie ridotte all'osso).
Dall'altro che si finga di dimenticare alcune “opere urbanistiche”
che proprio il decennio precedente – ancora senza crisi - ci ha
lasciato in eredità: dall'eco-mostro di San Pietro, al complesso
strutturale di via Perugina (ex Sebastiani), dall'ex ospedale (per 8
anni ignorato pur sapendo che si sarebbe trasferito e senza alcuna
partecipazione alle scelte per il futuro e la destinazione dello
stesso), fino ad un centro storico in progressiva desertificazione, e
più in generale al concetto di sviluppo della città di domani, di
cui non si è mai avuta traccia. Si sono tamponate molte buche, è
vero. Ma si è aperta un'altra “voragine”.
Un particolare della mostra dei dinosauri (2010-2011) a Palazzo dei Consoli di Gubbio |
"Cercate
di lasciare il mondo, migliore di come l'avete trovato".
Beato chi potrà dire di
esserci riuscito...Da editoriale "Gubbio oggi" - ottobre 2013
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