Il mio puzzle, i miei pezzi.Di ieri e l'altro ieri.

giovedì 31 ottobre 2013

I 40 anni dello stemma della Regione. E le parole del Commissario: tecnicamente appassionate...


Il video realizzato per i 40 anni dello Stemma della Regione dell'Umbria


"Permettetemi di iniziare il mio intervento esprimendo i sentimenti di profondo orgoglio e onore nell’essere chiamata a rappresentare l’Amministrazione Comunale e l’intera città di Gubbio, in questa prestigiosa cerimonia, di ricorrenza e celebrazione dello stemma regionale che, proprio oggi, compie 40 anni".

Ha aperto così il suo intervento, il Commissario prefettizio di Gubbio, Maria Luisa D'Alessandro, ieri mattina a Palazzo Cesaroni, nel corso delle celebrazioni dei 40 anni dello stemma della Regione, che raffigura i Ceri di Gubbio. Un incipit non consueto, perchè già da queste prime parole traspariva un senso e una partecipazione che non appartengono, in genere, a chi riveste un ruolo semplicemente tecnico.
Ero appoggiato ad una colonna della Sala Brugnoli, e man mano che questo intervento proseguiva, cercavo di mettermi seduto: quasi avessi bisogno di ascoltare meglio, con più calma, con maggiore riflessione quello che non era un semplice saluto di protocollo. Ma un'accorata e forte manifestazione di... identità civica.
Parli di un vice prefetto, dici Commissario prefettizio, e ti immagini una figura sobria, algida, al limite dell'impassibile, venuta in città per sbrogliare la matassa amministrativa che l'incapacità politica, gestionale e amministrativa del passato Consiglio e della defunta Giunta non ha saputo dirimere. Senza nessun accento, senza nessuna sbavatura, senza alcun riflesso di una qualche forma partecipativa a quello che è l'humus e l'humanitas della comunità di cui si è - in questo caso davvero pro tempore - rappresentanti.
E invece... Invece ti trovi di fronte una signora - in tutti i sensi - che non solo utilizza la parola con eccellente appropriatezza, garbo e misura (come nel ruolo che le impone) ma che sa affiancare a tutto questo una capacità espressiva, un pathos e un senso di appartenenza assolutamente insospettabili. Non tanto per la persona, quanto per il ruolo che non lo richiederebbe nè lo lascerebbe immaginare.

Ho avuto alcune occasioni per parlare con la dott.ssa D'Alessandro, principalmente dei tanti problemi di questa nostra "sgangherata" comunità. Una città dalle straordinarie potenzialità inespresse (o forse, di questi tempi, depresse) che alterna momenti di orgoglio e di intensità, a periodi di devastante apatìa. Ho sempre apprezzato nel Commissario la forte volontà, molto femminile, di dare concretezza al suo incarico. E di favorire un risveglio, partecipativo, partendo dal dialogo con i cittadini, dal coinvolgimento delle associazioni, dalla consapevolezza che solo il "noi" potrà tirarci fuori da queste sabbie mobili. Non uso a caso questa espressione.
Perchè è propria dell'intervento di ieri del Commissario. A proposito di Ceri.
Ecco, questo 30 ottobre 2013 dovremmo ricordarcelo non tanto per quello che ha solennizzato - i 40 anni di uno stemma che è stato anche il simbolo di una scelta, di una volontà, di una identità che allora il legislatore regionale volle darsi. Ma soprattutto per quello che deve essere sentito ancora oggi come attuale, come vivo, come pulsante.
L'energia che esprime questo simbolo - i Ceri - rappresenta l'energia e il segreto di una comunità. Che quando vuole sa rialzarsi, sa reagire, sa opporsi all'evolversi degli eventi. Al succedere magari poco fausto (come il presente), proprio trovando quella coesione e quel sentire corale che è riflesso dell'anima della Festa. E che dev'essere la strategia per ripartire dopo il buio di questi mesi.

Già sentir pronunciare da un Commissario prefettizio la parola "orgoglio", in quell'incipit computo e formale, mi ha dato un senso a tutto il discorso che ne è seguito: mi sono detto che forse c'è chi in pochi mesi, ha capito di Gubbio cose che qualche eugubino ancora non comprende. O non sa di ignorare. Pur essendo nato e vissuto qui da decenni.
Ma sono anche altre le parti del suo discorso che mi hanno raggiunto, mi hanno colpito. Mi hanno fatto capire quale formidabile spirito contagioso questa città riesce ad ispirare, anche agli occhi di chi non avrebbe altro da svolgere se non un ruolo burocratico.
E quanto di questo spirito ci vorrebbe invece in chi, questa città, vive e conosce da tempo ma non allo stesso modo è in grado di rappresentare. O anche solo di animare.
Per chi verrà, tra qualche mese, il suggerimento è di leggersi almeno una volta queste parole. Per ritrovare il senso di ciò che si rappresenta, di ciò per cui si riceve un mandato, di ciò di cui si è deputati a fare.

"I Ceri di Gubbio - ha scritto e detto il Commissario - sono espressione di una comunità intera, che si riconosce in una tradizione millenaria, ma di palpitante attualità ed estremamente identitaria, non solo nel cuore degli eugubini, ma nel piú grande cuore umbro.
Una tradizione millenaria, capace di esprimere valori universali e duraturi nel tempo, tanto da essere, appunto, assurta a simbolo identitario del popolo umbro.
Permettetemi di sottolineare come il compito affidatomi sia non solo graditissimo ma anche emozionante ed impegnativo, di alta responsabilità al punto da suscitare in me sentimenti di inadeguatezza.
Penso che un ‘primo cittadino’ eugubino doc e magari ‘ceraiolo’, sarebbe stato, in questa circostanza, più adeguatamente e degnamente rappresentativo. Ma, tenendo conto della coincidenza storica che mi ha portata a svolgere il compito di Commissario Straordinario, ho intuito che forse uno sguardo esterno a questa festa secolare e radicata capillarmente nella genetica di ogni persona, potesse rendere ancora più omaggio ai Ceri, che sin dall’anno della morte del suo Patrono Ubaldo, ovvero dal 1160, identificano la Comunità".

Nei numerosi incontri avuti con i cittadini - prosegue la D'Alessandro - ho percepito da subito che quel 15 Maggio è innanzitutto un rapporto personale con la Festa e con il Patrono, che è vissuta tutto l’anno, attraverso le tappe che portano al fatidico giorno di Maggio, ma, soprattutto, ho capito che ogni eugubino sente nell’animo il peso di una tradizione secolare e che, nello stesso tempo, naturalmente e con fierezza, esige che sia mantenuta in ogni minimo dettaglio perché ogni
singolo aspetto compone lo spirito di devozione, preghiera ed allegria che i Ceri portano con
sé.
Ho intuito subito che, non solo in quel giorno, ma in ogni momento dell’anno in cui si parla
di Ceri, può essere anche un grigio pomeriggio di Ottobre, brillano gli occhi degli Eugubini,
si alza il timbro della voce e ognuno si sente ‘re’ della Festa senza distinzione di censo, di
aspetto o d’età.

Che cos’è che la rende unica?
In realtà, parlando con gli Eugubini,  si comprende benissimo che ciò che rende incorruttibile ed eterna questa Festa non è se un Cero è caduto o se uno ha distanziato di molto l’altro, cose in verità anch’esse importanti, ma è il sentirsi popolo e il rinvigorire la propria identità grazie ai Ceri.
Non importa, infatti, nemmeno se l’origine di questa secolare manifestazione possa essere addirittura antecedente alla morte di S. Ubaldo e quindi poter avere origini pagane legate alla rinascita della Primavera, ma finché ci sarà un IO che si trasforma in NOI la festa dei Ceri continuerà a essere unica, coinvolgente, affascinante e difficilmente catturabile in schemi e regole.
La magia dell'io in noi, quindi l’unione di un popolo in tutte le sue differenze e peculiarità, è ciò su cui mi preme porre l’accento, in un mondo spesso votato all’esaltazione del singolo, perché è l’elemento straordinario che permette, con fierezza, alla Regione Umbria di essere rappresentata nel suo immenso cuore fatto da cittadini onesti, tradizioni vissute e rispettate e da un retroterra di religiosità che è possibile percepire in ogni singolo centimetro della nostra regione.

I ceri mezzani, in mostra, a Palazzo Cesaroni
A Gubbio mi hanno detto:“ Signora, non si preoccupi tanto poi arrivano i Ceri” come se i Ceri fossero una medicina a qualsiasi malattia o piaga sociale ed anche facendomi intuire come qualsiasi decisione presa, in un momento di straordinaria amministrazione, non incidesse sulla città, perché tanto poi ci sono i Ceri, l’unica cosa che conta e che permette alla città di essere sempre e comunque se stessa.
Ho capito proprio dalla storia quanto sia forte l’attaccamento viscerale degli Eugubini alla propria terra e per quanto la caratterizza, il bisogno di sentirsi protagonisti e fratelli, parte integrante di un progetto che è anche un modello di vita, che tutti accomuna e tutti coinvolge.
I Ceri sono una grande sinfonia sociale” dice il Vescovo Bottaccioli “non è lo sforzo isolato di qualcuno che li fa volare verso la meta, ma la sinergia di tutti: dai portatori ai braccieri, da chi corre avanti acclamando, dagli anziani e dai malati che dalle finestre incoraggiano”.
E’ questo ciò che permette a ogni persona che entra in Gubbio di percepire la straordinarietà di questa Festa e di iniziare, da subito, la ricerca delle ragioni che la alimentano, spesso accorgendosi che la ricchezza e la complessità di una festa come questa sfugge da tutte le parti, si ha l'impressione di non dire niente o, peggio, che le parole falsino la realtà nel tentativo di afferrarla.


Citando un articolo di Raniero Regni, il Commissario ha concluso: "Finchè ci sarà una donna, testimone non escluso e partecipe, che piangerà da una finestra nel vedere la corsa; finché ci sarà un uomo il cui cuore batterà, più forte e più puro, per l'emozione di entrare sotto la stanga; finché un bambino sentirà l'ansia di emulare proprio padre ceraiolo, fino allora il 15 Maggio sarà ancora, per sempre, il 15 Maggio
In questi pochi mesi da rappresentante della città di Gubbio ho sentito profondamente vere queste parole che meglio di ogni altro mezzo tentano di descrivere secoli di storia, amore, devozione, sudore e trepidazione incarnata in ogni singola pietra di Gubbio.
Ecco perché la felicità di essere qui oggi supera la paura di non essere all’altezza di esprimere l’orgoglio di una città che si trova impressa sullo stemma della propria Regione; la gioia di aver sperimentato e quindi garantire come i tre Ceri escano dal significato materiale per abbracciare ed esprimere valori di cui la comunità umbra va fiera quali la libertà, l’uguaglianza, l’onestà e il senso di appartenenza.
Ed è per questo che, infine, ribadisco con forza e chiedo anche l’autorevole intervento istituzionale, che la Festa dei Ceri venga riconosciuta ‘patrimonio immateriale dell’umanità’ e inserita nelle manifestazioni degne di rappresentare la memoria imperitura e la nostra stessa civiltà".


Non sono parole di circostanza. Non sono aggettivi utilizzabili e adattabili ad ogni evenienza e per ogni comunità. Non è un discorso da Commissario prefettizio.
Tutto questo è Gubbio. Ciò che ispira, ciò che contagia. Anche in chi, quotidianamente, ha a che fare più con i difetti, le lacune, le mancanze della città.
Tra qualche mese però toccherà agli eugubini, alla loro capacità di fare quadrato (anzichè di dividersi), di guardare oltre (anzichè di trincerarsi nel passato), di pensare in grande (anzichè di accontentarsi del proprio piccolo). Toccherà a loro, saper tradurre in senso civico, in partecipazione, in costruttività, le energie (contagiose) che anche in pochi mesi il Commissario ha saputo conoscere, identificare, decriptare ed esprimere in modo così appassionato, in questa giornata storica.
Solo in questa misura potremo dire che la crisi può rivelarsi un passaggio fisiologico di crescita.
Solo così, con questo spirito, Gubbio potrà sperare davvero di venir fuori dal tunnel...

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