Si dice che i costumi siano lo specchio dei tempi. E nell'era della comunicazione - dove la tv la fa da padrone ormai dagli anni '60, senza temere per ora grossa concorrenza dalla rete - anche i quiz tv segnalano l'evolversi della cultura e, perché no, anche della civiltà moderna.
Un esempio? Il famigerato "gioco dei pacchi", al secolo "Affari tuoi", popolarissima trasmissione a premi (chiamarlo quiz è fuori luogo) tornata in onda nel "prime time" di Raiuno subito dopo il tg.
Nei palinsesti televisivi ormai il quiz (o gioco a premi) ha sostituito d'amblè il vecchio amato Carosello, e fin qui tutto rientra nelle "mode del momento".
Certo, non troppi anni fa dopo il tg avevamo "Il fatto" di Enzo Biagi... Oggi ci aspettano Max Giusti, Enrico Papi, l'immarcescibile "Striscia" di Canale 5 (a suo modo, una finestra di informazione) e nella migliore delle ipotesi dobbiamo finire su La7 con la Gruber ("Otto e mezzo") per un mini-talk show tascabile, a tratti perfino "ascoltabile" (fatti salvi i dovuti distinguo in merito alla discutibile equidistanza che la conduttrice mette in campo, rispetto a fatti, protagonisti e soprattutto parti politiche).
Lasciamo stare: in altri post dirò la mia ANCHE sui colleghi giornalisti che si buttano in politica - capitalizzando la propria popolarità guadagnata sul piccolo schermo - salvo poi rientrare nei ranghi dopo l'esperienza parlamentare (o nel caso della Gruber, Europea), con annesso probabile vitalizio pensionistico. In Umbria abbiamo perfino un ex Sindaco di Terni che è tornato a fare il giornalista (anche politico e istituzionale) sul Tg3 Regione: non perdete tempo a chiedervi dove sia finita la deontologia, non è neppure sotto il tappeto dove di solito si spazza al volo la polvere quando arriva un ospite inatteso.
La riflessione di oggi però si incentra su qualcosa di molto più semplice e banale. Appunto, i pacchi. E l'aggettivo (semplice e banale) non è usato a caso. La "banalità"-assurdità del gioco - indovinare il contenuto di un pacco, corrispondente ad un premio in denaro - è assoluta se non fosse che in ballo si arriva a mettere una cifra pari ad 1 milione di euro. Praticamente, come lasciare una bacchetta magica in mano ad un bambino: bene che va, finirà per scambiarla per un lecca lecca.
"Affari tuoi" premia non la conoscenza, la cultura, la preparazione; non l'intuizione, la memoria, la logica. E neppure un percorso intuitivo - come ad esempio già "I soliti ignoti" di Frizzi costringe a seguire.
Ma solo ed esclusivamente la fortuna. O buona sorte, o chiamatela con il più comune sinonimo riferito ad una ben nota parte del corpo (fattore C).
Che gusto c'è? A vincere, direte voi. E fin qui sono d'accordo. Ma vedere vincere un fesso solo perché ha azzeccato la scatola giusta, mi sembra un'operazione sadico-masochistica finalizzata esclusivamente ad una conclusione del tipo: "Ma guarda che c...o quello lì...".
L'aspetto più deprimente dell'intera faccenda, è che "Affari tuoi" sia diventato un cult negli ultimi anni, facendo non solo ascolti a 7 zeri, ma perfino la fortuna dei suoi conduttori: da Bonolis, a Insinna fino a Giusti (con la parentesi non proprio esaltante dell'immancabile Clerici), fior di artisti si sono cimentati nel condurre quello che può essere considerato una "specie di format" che probabilmente nemmeno nei palinsesti primi anni Ottanta, un'improbabile (e inguardabile) tv locale avrebbe azzardato a mettere in onda.
Eppure, il gioco più stupido dell'emisfero catodico, tiene incollati alla tv milioni di italiani. Attratti, non si capisce bene, se dall'enormità della vincita, piuttosto che dalla sostanziale facilità con cui può essere centrata, piuttosto che dal rischio con cui spesso il concorrente si trova a dover scegliere, in una sorta di passeggiata sul cornicione della fortuna, tra 1 milione di euro e 1 centesimo.
Tra qualche anno arriveremo alla roulette russa... In fondo basterà cambiare canale quando si sentirà lo sparo...
Non penso che questi programmi debbano contenere un messaggio positivo, men che meno educativo. Ma credo che la sostanziale demenzialità della loro dinamica (paragonabile al gioco delle tre carte, che puoi trovarti a fare in un angolo di corso Umberto a Napoli) sia tutto sommato lo specchio della pochezza dei nostri tempi. Che evidentemente non risparmia gli autori tv, così come il vasto pubblico che ci si siede davanti.
Dove la cultura (intesa come conoscenza di qualcosa, cognizione, nozione, in senso lato preparazione) fa a cazzotti con l'audience. Anche quando si tratta di mettere in palio cifre esorbitanti.
E così si pensa di "svoltare", di dare una strambata alla propria esistenza, scrivendo a Giusti piuttosto che a Carlo Conti o a Jerry Scotti (che dei precedenti è almeno realmente simpatico): e mettendosi seduti su uno sgabello in attesa che la fortuna ci strizzi l'occhio. In fondo, basta azzeccare una scatola.
Così come in tabaccheria il buon vecchio Totocalcio - che un minimo di cognizione la pretendeva - è stato definitivamente sfrattato dall'elementare ed insipido Superenalotto.
Alla fine, ripensando al re del quiz, al mitico Mike - nella tristezza di sapere che perfino la sua tomba è stata profanata... - tornano in mente le storiche vincite di concorrenti che, cuffia in mano, qualche decennio fa, sapevano tutto, ma proprio tutto, di Alessandro Magno, della Nazionale di calcio, della I Guerra mondiale, piuttosto che delle scoperte astronomiche del XX secolo. Piccoli grandi geni che, a loro modo, potevano apparire perfino "disadattati", ma che in confronto al nulladecenza attuale, diventano giganti inarrivabili. E che certe cifre finivano per vincerle ma soprattutto meritarsele: perché nessuno, forse, in Italia, su quell'argomento, ne sapeva quanto loro.
Dimmi che quiz fai, e ti dirò chi sei. Magari un giorno a scuola i nostri figli torneranno con la pagella e ci diranno di aver azzeccato la scatola giusta: quella con dentro Bismarck. Senza il rischio di confonderlo con una marca di wurstel...
giovedì 17 febbraio 2011
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