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sabato 12 febbraio 2011

Impressioni e qualche riflessione dopo la diretta a reti unificate sul futuro delle tv locali

Doveva essere una novità a suo modo storica. E al tempo stesso, l’occasione per un grido d’allarme serio anche se non eccessivamente allarmistico.

Non so se l’operazione sia pienamente riuscita: almeno al di là dello schermo.
La lunga diretta tv dedicata al futuro delle tv locali è alle spalle.

Da Palazzo Cesaroni – sede del consiglio regionale – è andata in onda la prima (e chissà se resterà l’unica) diretta satellitare a reti unificate tra le emittenti televisive dell’Umbria sul tema del passaggio al digitale (il famoso switch off ormai entrato nel gergo sempre più diffuso) e soprattutto delle normative legate ad esso.

A far discutere (come già spiegato nei precedenti post inseriti nel capitolo “digitale”) un paio di comma dell’ultima Finanziaria – oggi si chiama “Legge di stabilità” anche se è l’unica cosa stabile in questo momento nel nostro Paese - che intaccano da vicino la possibilità di crescita futura delle tv locali.
Da un lato il comma 8 sancisce la sottrazione di 9 frequenze sulle 27 disponibili per le tv locali, destinate all’oligopolio Rai-Mediaset-Telecom e crea una restrizione che, soprattutto nelle regioni a più alta densità di emittenti, rischia di togliere spazio alle realtà già esistenti. Forse l’Umbria non avrà di questi problemi: nella nostra regione ci sono 10 emittenti e le frequenze disponibili dovrebbero essere più che sufficienti a soddisfare la domanda.
Ma il comma più discusso è il numero 11, quello che per capirci limita la realizzazione dei palinsesti alle tematiche di carattere locale. Se apparentemente può sembrare una indicazione logica e coerente alla vocazione delle tv locali, in realtà costituisce una limitazione non da poco. Perché ogni emittente avrà il compito (arduo) di riempire di contenuti non più un solo canale – come avviene ora – ma almeno 3-4 se non addirittura 5-6 canali. Senza poter ricorrere ad escamotage come ripetere la programmazione a orari differenti (come avviene sul satellite, ad es: Sky Cinema +1, o Fox+1).

E’ ovvio che questa limitazione comporta l’onere di dover investire notevoli risorse per riempire di contenuti (locali) i canali a disposizione e allo stesso tempo – cosa ancora più grave – impedisce alle tv locali la possibilità di consorziarsi con altre tv di altre regioni magari per affittare spazi (3-4 delle frequenze a disposizioni) con introiti che permetterebbero almeno di finanziare i palinsesti delle frequenze restanti.


Il dibattito (a lato un momento della trasmissione, nella foto Settonce) ha visto in sala la presenza di alcuni parlamentari umbri – equamente suddivisi tra Pd e Pdl – consiglieri regionali, oltre all’assessore regionale competente, Vinti. Presenti anche editori locali e rappresentanti dell’Ordine giornalisti.
In collegamento telefonico il presidente dell’associazione di categoria delle tv locali (Aeranti Corallo), Marco Rossignoli.

In apertura dicevo che non so, francamente, se la reale portata del problema sia potuta trasparire dal dibattito emerso nelle due ore di diretta. Due ore, direi, un po’ farraginose all’inizio – con una faticosa illustrazione di una materia ostica anche per gli addetti ai lavori (figuriamoci per il telespettatore, che ha una “soglia di attenzione” che nei casi più generosi non va oltre il quarto d’ora) – e fin troppo concitate nella parte centrale, dove hanno risaltato il nervosismo degli esponenti di centro-destra – probabilmente vittime di una sorta di “sindrome da Santoro” (classico vittimismo un po’ pretestuoso nell’occasione) – e l’accanimento talvolta eccessivo con il quale alcuni colleghi conduttori si sono accalorati, dimostrando di avere a cuore forse, in primo luogo, la necessità di mettere “alle strette” gli interlocutori parlamentari, prima che informare il pubblico da casa.

L’impressione che ho maturato – prima in diretta e poi, all’indomani, con qualche telefonata di riscontro con chi ha seguito il dibattito in poltrona – è che forse la trasmissione non è riuscita a spiegare nel dettaglio il problema. Alcuni elementi sono trapelati, altri forse non hanno centrato il bersaglio.

Riassumendo in poche righe (cosa improba, visto che non si è riusciti granché neppure in due ore ad illustrare nel dettaglio la questione), la prossima settimana nel decreto Milleproroghe potrebbero essere approvati alcuni emendamenti che attenuerebbero le conseguenze negative per le emittenti locali.
Condizionale doveroso, perché se il Governo – per questioni di stabilità sua – ponesse la fiducia, nessun parlamentare del PDL si sognerebbe di insorgere contro la linea politica della maggioranza, solo per andare incontro alle (legittime) richieste del mondo delle tv locali.

Le speranze (chissà quanto fondate) sono riposte politicamente nel ruolo della Lega nord – soggetto indispensabile alla tenuta del Governo – molto più sensibile alle istanze delle tv locali che non (ovviamente) il PDL, che invece “sta in riga” con quanto disposto dai vertici (Capo del Governo – Mediaset).
Un braccio di ferro che potrebbe costare caro, alla lunga. Ma che ancora non è destinato a concludersi perché da un lato – come hanno ripetuto alcuni parlamentari Pdiellini – la vicenda può essere risolta anche dopo il “Milleproroghe”, dall’altro è certo che le tv locali continueranno a porre in essere iniziative di informazione (e di autotutela) per garantirsi un futuro.

La notizia più positiva emersa dalla diretta tv è che la Regione – parole della presidente Marini – si adopererà finanziariamente a sostenere almeno in parte gli sforzi di investimenti che le tv locali umbre dovranno affrontare per l’accesso al digitale (si parla di non meno di 300 mila euro, per realtà imprenditoriali che non ne fatturano più di 600 mila all’anno).

La notizia – o se preferite, l’impressione – più negativa è che la maggior parte dei parlamentari presenti non fosse a conoscenza del tema in questione. Tanto che la maggior parte ha parlato di “crisi”, di “torta sempre più piccola da dividere”, di necessità di “fare consorzi”, di situazioni di “nanismo” (piccola dimensione delle imprese): ovvero, ha parlato di soldi, quando invece il problema sono le “risorse frequenziali” – che fanno gola ai grandi network nazionali, come spiegavo nei precedenti post quando parlavo di “spazio vitale”.

Il dato più significativo emerso è in una tabella mostrata in diretta dal collega Marioni relativa ai dati Auditel degli ultimi giorni, con il sistema delle tv locali che batte quasi sistematicamente Raiuno e Canale 5 sia in alcune giornate (come la domenica) sia in alcune serate settimanali. Un sistema che – si capisce dai dati – se dovesse consorziarsi diventerebbe un “terzo polo” non proprio gradito a chi è abituato da 3 decenni a spartirsi – loro sì – la torta degli introiti pubblicitari nazionali.

La diretta satellitare molto stringente ha poi impedito ai telespettatori di vedere alcuni contributi che per mancanza di tempo non sono andati in onda: tra questi, alcune interviste fatte alla gente (vox populi) da cui traspariva chiaramente come ormai la sete di informazione locale sia diffusa e notevole anche in una regione piccola come la nostra: che in assenza di tv locali (o con la perdita di alcune di essere, magari con spiccate vocazioni all’informazione capillare) rischia di veder scomparire dal video interi territori di cui si finirebbe per parlare solo in caso di cronaca nera.

Non so se tutto questo è stato pienamente percepito dalla trasmissione. A scanso di equivoci, ho provato a riassumerlo.
Sperando che, se ci sarà una prossima volta (intendo, per la diretta a reti unificate) la “fluidità” e l’organizzazione della trasmissione avvenga in modo diverso: più utile al pubblico, che non agli interessi “dialettici” dei presenti in sala.

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