Il mio puzzle, i miei pezzi.Di ieri e l'altro ieri.

mercoledì 2 febbraio 2011

"Quando arrivi a Coverciano" - Appunti da un seminario con "personaggi eccellenti"... (III e ultima parte)

(continua da II parte - 31.1.11)
Se c’è una persona con cui potresti parlare per ore di calcio e aneddoti, di piazze, tifoserie, diverbi e ricordi, con la stessa leggerezza con cui si rammenta il Natale dell’infanzia, è Renzo Ulivieri.


Già lo scorso anno ci aveva deliziato a Coverciano di qualche “chicca”, quando – in qualità di responsabile del settore tecnici della Federcalcio – aveva condotto, insieme a Viscidi, la lezione tattica per i giornalisti. “Finalmente ci sto io di qua dalla cattedra” aveva esordito, “ e stavolta i voti ve li do io… Non sapete da quando aspetto questo momento…” commentava quasi a bassa voce, in quel suo slang toscano irresistibile e irriverente, tra l’ilarità generale. Ma mentre l’anno scorso avevamo analizzato un quarto d’ora di gara (ricordo era Irlanda-Italia 2-2, qualificazioni Mondiali) e poi ci aveva “interrogato” su aspetti tattici, errori e qualità delle due squadre in campo - ricordo mi aveva catechizzato perché avevo detto che gli azzurri “avevano sbagliato l’approccio della partita”, e lui “ma cos’è st’approccio, che dite sempre st’approccio?”. Poi però mi aveva dato ragione… - quest’anno niente video, strumento utilizzato invece dal tecnico Maurizio Viscidi per studiare situazioni di gioco (soprattutto del divin Barcellona), ma solo racconti e aneddotica. Sul tema, mai sufficientemente sviscerato, delle sostituzioni. “Qualche volta mi avete crocifisso per una sostituzione” ci ha subito ammonito, “ma lo sapete come nasce una sostituzione?”.

Ulivieri, dall’alto di una saggezza tattica e umana di oltre 30 anni di panchine, ci ha rivelato il prototipo ideale di giocatore per un allenatore: “il giocatore da panchina”: “Ha caratteristiche tattiche e umane uniche, perché è versatile, lo puoi schierare in più ruoli e soprattutto non rompe le scatole quando prima della gara gli dici che deve stare a sedere”. E poi le tipologie di sostituzioni – “che dovete capire anche sul piano psicologico – ci dice – perché poi spesso leggo giudizi o voti più incomprensibili delle stesse sostituzioni”. E allora giù con le sostituzioni ruolo per ruolo, oppure in ruoli diversi; per necessità (infortuni, espulsioni, stanchezza, giocatore nervoso) o per cambiare gara (“e allora va capito se è giusto o meno cambiare gara”): “Come a Vicenza quando sullo 0-0 tutto lo stadio invocava Civeriati, un trequartista talentuoso che però non mi correva e allora lo tenevo in panca. Faccio scaldare Civeriati e il pubblico esulta, ma mentre lui si scalda segniamo. Allora dico a Conte, un terzino un po’ ruvido ma utile, di scaldarsi. Ma mi raccomando, gli fo, non farti vedere da nessuno…”. E giù a ridere. Com’è finita mister? “E’ entrato Conte e abbiamo tenuto l’1-0” ci fa compiaciuto, ridendo insieme a noi, sotto il baffo sbarazzino…

Ma non manca un’altra classificazione gustosa: la sostituzione politica (non tecnica) detta anche “paracula” (il giocatore invocato da stampa e/o tifosi), o peggio ancora, dice Ulivieri, la “mancata sostituzione politica, quando lasci in campo il nome famoso, per evitare che la stampa e il pubblico ti aggrediscano, anche se quel campione passeggia”.

Ma dove esce fuori l’Ulivieri ancora più irresistibile è su un altro aneddoto vicentino, degno di una scena da “Allenatore nel pallone”: “Spesso bisogna capire anche la psicologia dell’allenatore. Per esempio, capire uno come me non era facile… Giochiamo col Palermo e dopo il primo tempo è 0-0. Non sfondiamo e negli spogliatoi dico ai ragazzi: bimbi (e già questo mi fa impazzire) cerchiamo di non chiuderci in avanti, arretriamo un po’ che così loro si aprono. Se non lo fate, guardate che tolgo anche l’unica punta che abbiamo, Manuzza. Comincia la ripresa e loro, trascinati dal pubblico, tutti avanti a chiudere la difesa del Palermo ma anche a chiudersi da soli ogni spazio. E allora dopo un quarto d’ora tolgo Manuzza, tra l’incredulità generale. Tutto lo stadio in coro “Scemo, scemo!”: un altro quarto d’ora di “scemo”, il Palermo viene avanti, si apre, perde palla, contropiede e segniamo. In panchina Giussy Farina mi fa: “Ma lei è un uomo?”. Gli rispondo, “Certo, presidente”. “No perché fosse un uomo uscirebbe dalla panchina e a tutto lo stadio farebbe così” (gesto dell’ombrello n.d.r.)”… E giù tutto l’auditorium a scompisciarsi.

Ulivieri ci saluta mentre arriva Michel Platini: i flash dei fotografi già accompagnano dal corridoio l’ingresso del Presidente Uefa, che il mister non resiste e ci lascia con un ultimo ricordo. “Dato che arriva Platini vi dico questa… - e già si sorride pregustando un’altra perla – Quando tornammo in A con la Samp esce il calendario e la prima giornata ci tocca la Juve dei campioni del mondo di Spagna e di Platini. La settimana prima già tutti ci danno per spacciati. E’ martedì e Brady, che giocava con noi ma fino all’anno prima era alla Juve, mi chiede chi marcherà Platini. E io gli fo: “Non ho ancora deciso”. Ad ogni allenamento, mattina e pomeriggio mi fa sempre questa domanda. E alla fine, verso venerdì, gli dico che lo marcherà Casagrande. Vedo che lui va da Casagrande e confabula un po’. Dopo l’allenamento chiamo Casagrande e gli chiedo cosa voleva Brady: “M’ha detto di andare a letto presto, di non bere e niente donne, che mi toccherà Platini”. Voi direte, che bravo Brady. Ma io lo so, li conosco i giocatori – conclude Ulivieri – mica lo faceva per la Samp. Ma perché voleva fare bella figura contro la Juve che lo aveva scaricato…”.

Per la cronaca la Samp neopromossa sconfisse la Juve dei campioni di Spagna 82 e di Platini, per 1-0 gol di Ferroni, un terzinaccio rude e coi “piedi quadrati”, che infilò il diagonale della sua vita alle spalle di Zoff. Il preludio di una stagione che sarebbe stata quasi fallimentare per i bianconeri, superati in campionato dalla Roma di Falcao, battuti in filale di Coppa Campioni ad Atene da Magath (vinsero solo la Coppa Italia… a pensarci oggi, firmerei perché la Juve alzasse un trofeo… allora la sola “coppetta” però, per una squadra come quella, era stata una debacle).


Entra Michel. E guardandolo, tra le telecamere e i fotografi che lo circondano, il presidente nazionale Ussi, Ferrajolo che lo premia (nella foto), ripassi per la testa migliaia di flash che hanno accompagnato la tua adolescenza di juventino. Un giocatore sontuoso. Un fuoriclasse d’altri tempi, per stile, eleganza, ironia, in campo come fuori. Uno capace di decidere le partite con lanci di 60 metri (di solito per Boniek) ma anche di diventare capocannoniere per 3 stagioni di fila (con annesso “Pallone d’oro”). Uno che avresti fatto carte false per farlo “ridiventare” italiano.

E lui ce lo ricorda subito, appena si siede: “E’ un onore essere qui. Tolgo il silenzio stampa di 25 anni che mi ha imposto Boniperti…” esordisce sorridendo. Ma subito parla di Coverciano e di come l’abbia colpito questa atmosfera surreale di ricordi e successi azzurri: “Ho visto nei corridoi tante foto di amici che hanno alzato la Coppa del Mondo. Ho pensato che se mio nonno non fosse emigrato, tra loro potevo esserci anch’io…”. E la sala lo bagna subito del primo applauso… “Ma il mio contributo a quella Coppa l’ho dato – aggiunge – Ho stancato i tedeschi in semifinale…”.

E’ proprio lui, penso mentre il secondo applauso lo avvolge. E’ il Michel che nelle interviste non era prolisso, due parole, poco più; e non diceva mai cose banali. Come in campo: in un calcio ancora lontano dai ritmi di oggi, la palla la teneva pochi secondi. Ma prima ancora che gli arrivasse, sapeva già cosa farci.

E poi nel dopo gara la sua freddurina alla francese ti coglieva piacevolmente in contropiede, proprio come i suoi cambi di campo di prima intenzione.
“Michel non devi fumare che poi non corri” – mi raccontò un giorno Bruno Bernardi, prima firma torinese e storico narratore di vittorie juventine. Una frase che rivolsero a Platini beccandolo con la sigaretta dopo l’allenamento. E lui, placido e serafico ribatte: “L’importante è che non fumi Furino…”.


La relazione di Platini – fatti i convenevoli – è su un tema attualissimo e che investe tutto il mondo del calcio. Il fair play finanziario, quella rivoluzione copernicana che il presidente Uefa ha voluto introdurre e che entrerà in vigore dal 2013: i club europei perdono ogni anno qualcosa come 1,2 miliardi di euro. Significa che tra le entrate e le uscite il deficit è questo. “Di questo passo, capite che nel giro di pochi anni scompare il calcio” commenta. E il sorriso iniziale ha già lasciato il posto ad un ciglio serio e istituzionale. Il principio del fair play finanziario è semplice: “Una società non può spendere più di quanto riesce a ricavare da incassi, diritti, merchandising e voci varie. Non è una sanzione – precisa – ma è un modo per aiutare i club ad avere un futuro”. Dal computo delle spese sono esclusi le voci di spesa su infrastrutture (stadi) e sui settori giovanili: “Perché non vengano visti come costi ma per quello che sono: investimenti per il futuro”.

La disamina è molto interessante. Al suo fianco c’è anche il presidente della Federcalcio Abete e il vice Albertini. E proprio sui giocatori-dirigenti Platini dice la sua: “Il mondo dello sport è stato troppo tempo in mano ai politici. Così non si cambia nulla, perché il politico è attento al consenso e i cambiamenti spesso sono impopolari. Io non devo cercare consenso, non sono come Blatter che ogni volta si ricandida perché dice che deve finire quello che ha iniziato…” (stoccata al presidente Fifa). “Certo, il nome Platini serve per aprire meglio le porte, per parlare ai club – spiega - Ma poi queste porte vanno chiuse con qualcosa di concreto. Ed è quello che cerchiamo di fare”.

Inutile. Un personaggio di un’altra galassia. Un monsieur in tutti i sensi, anche senza parastinchi e olio canforato (sempre che li abbia messi addosso qualche volta, non ricordo…).

Ci saluta rassicurandoci: “Tranquilli, la prossima volta parleremo di un tema molto più semplice: l’arbitraggio…”. E mentre se ne va, andandolo a salutare e stringendogli la mano – non lo faccio generalmente con i vip, ma in fondo Platini è l’icona di un periodo, di un’età, di una vita fa – gli chiedo se c’è un francese che consiglierebbe alla Juve: “Non lo so, risponde. Direi mio figlio, ha 25 anni, ma è meglio di no… E’ tutto sua madre…”. Fantastico…

Ce ne andiamo dopo pranzo. Ma prima qualche foto ricordo. In fondo per la truppa di giornalisti umbri un’esperienza memorabile, una due giorni fuori dalla quotidianità, dalla routine – rotta solo da un messaggio che mi informava di una telefonata di troppo arrivata nel corso di “Fuorigioco” (vedi post del 27.1.11).

E chicca finale, per una delle foto, con scenografia di Spagna ’82, mentre siamo già in posa, ecco che sbuca il CT Claudio Prandelli: fa capolino, ci sorride vedendo che siamo tutti impettiti davanti alle gigantografie di Spagna 82. Gli faccio al volo: “Mister venga qua anche lei!”. E lui, con l’entusiasmo di un bambino rimasto fuori dalla foto della prima comunione, ci raggiunge di corsa e si piazza in mezzo al gruppo: grande Prandelli! “L’augurio migliore che posso farle è di riempire con altre foto questi corridoi” – gli dico. Sorride, ci stringe la mano, salutandoci e se ne va, verso nuove… interviste.

Ce ne andiamo anche noi, con la stessa aria, appagata e un po’ nostalgica, dei miei Giovanni e Vittoria, quando salutavamo EuroDisneyland…
“Il calcio e chi lo racconta”. Speriamo di esserci anche per la V edizione…

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