Giacomo Marinelli Andreoli:
giornalista professionista, direttore di Umbria TV, scrittore a tempo perso (ma mai perduto), aspirante blogger (dipende anche da voi…)
Il mio puzzle, i miei pezzi.Di ieri e l'altro ieri.
Raggio Garibaldi si dispera: anzichè la palla del 3-3, è finito lui in rete - foto Settonce
Gioco malvagio. Viene in mente il celebre successo di Chris Isaak, al termine di un Gubbio-Ascoli da montagne russe. Dove lo scoramento e l'inquietudine di un primo tempo da brividi, lascia il posto all'esaltante e prepotente reazione della ripresa. Ma sul più bello, l'ingenuità finisce per punire - fin oltre i propri demeriti - la squadra di Fabio Pecchia. E i primi punti in serie B sono rimandati a giornate migliori.
L'esordio casalingo in serie B ce lo ricorderemo, a prescindere dal suo esito finale. O forse, proprio per quel clima beffardo che aleggia intorno ai tifosi rossoblù nel fine partita.
Perchè in realtà la squadra eugubina esce tra gli applausi, convinti e intensi, della tifoseria di casa. Allibita a fine primo tempo, rincuorata, anche se delusa, a fine partita.
Di tanto e di tutto si potrà disquisire pensando a questo Gubbio-Ascoli: a cominciare dal festival degli errori e degli orrori nel primo tempo. Una squadra, quella rossoblù, in balìa dell'avversario, e non per carenze tecniche o tattiche, ma per un atteggiamento mentale quasi passivo - e molto somigliante a quello già visionato al debutto assoluto di Grosseto. Come se la squadra avesse il freno a mano tirato e insistesse a ingranare la prima marcia: vorrei ma non posso.
E tempo un quarto d'ora, l'Ascoli è già sopra di due gol. E' la serie B bellezza, sbagli 1 e paghi 2, quasi come con i fustini di detersivo al supermercato.
Sbaffo esulta sul 2-0, sarà mattatore - foto Settonce
E va perfino di lusso andare negli spogliatoi con solo 2 gol sul groppone. Perchè in realtà i bianconeri potrebbero chiuderla in più occasioni la partita, con una difesa eugubina allo sbando, tra assenti giustificati e menomati, e presenti virtuali, quasi vittime del torello degli avanti di Castori.
Qualcosa nello spogliatoio poi finisce per accadere, perchè, come a Grosseto, in campo torna un'altra squadra. Ma stavolta ancora più rabbiosa e reattiva, complici anche i felici innesti operati da Pecchia: l'ex Mendicino e l'imprendibile Bazzoffia sono schegge che fanno impazzire la difesa ascolana, quasi sorpresa che ancora la partita possa essere in bilico. E gli stessi 4' intercorsi tra i due gol marchigiani, passano a dividere le reti eugubine della rimonta, nel tripudio di uno stadio che si strompiccia gli occhi.
Prima Mendicino e poi Daniel Ciofani - in barba al fratello Matteo terzino in maglia bianconera. E' fatta, vien da dire e da pensare. La bussola di una partita che pareva strapersa sembra volgere dritta a favore dei rossoblù. Finchè si accende il semaforo rosso, nelle sembianze di un cartellino di troppo, sventolato ad Antonio Caracciolo. Che cade a piè pari nella trappola dell'esperto Pederzoli, rimedia un secondo giallo e lascia la squadra in inferiorità.
L'ex Mendicino non esulta ma incide - foto Settonce
La partita conosce una nuova virata, ma stavola il vento torna a sorridere all'Ascoli. Fermo restando che il gol decisivo arriva da un corner, dove l'inferiorità numerica dovrebbe essere ammortizzata da un pizzico di concentrazione e determinazione in più. Invece ci scappa la beffa, lo Sbaffo finale.
Quello stesso Sbaffo - ironia della sorte e della cattiva serata arbitrale - graziato dal sig. Mariani di Aprilia in due occasioni - prima un'entrataccia su Sandreani, quindi con una trattenuta vistosa a Raggio Garibaldi. Per lui nessun giallo, mentre Caracciolo, nel primo caso, se lo era visto esibire per un intervento quasi ai limiti della regolarità.
Cose che succedono - anche se non dovrebbero.
Resta l'amaro per il risultato, ma la fiducia per quello che si è visto nel secondo tempo. Quale il vero Gubbio? L'impressione è che bisognerà attendere ancora qualche giornata per scoprirlo: nel frattempo però va abbandonato al più presto lo zero termometrico.
Per una questione psicologica. E non solo.
A proposito: la squadra di Pecchia finora ha dato il meglio di sè quando sembrava spacciata. A Bergamo, nella ripresa di Grosseto e in quella con l'Ascoli.
Domenica la gita a "Marassi" sembra già una condanna preventiva... Chissà che il gioco malvagio non tocchi a qualcun'altro...
Musica di sottofondo: "Wicked game" (gioco malvagio) - Chris Isaak - 1989
Pecchia s'infuria, il Gubbio stecca la prima - foto Settonce
Consideriamola una "falsa partenza".
In fondo anche un talento "soprannaturale" come Usain Bolt c'è cascato. Il suo scatto, qualche centesimo di secondo prima dello start, gli è costato caro ai Mondiali di atletica leggera.
Il Gubbio, nel suo piccolo, ha commesso l'errore opposto. Lo start non lo ha sentito.
Stasera secondo tentativo. Ma intanto, ripescando una piacevole consuetudine della scorsa stagione (per altro incompleta, visto che manca all'appello proprio la puntata B MOVIE di Gubbio-Paganese - ma solo perchè ho avuto le 2.000 foto scattate da Marco Signoretti qualche settimana dopo... recupereremo), andiamo a ripercorrere attraverso i flash fotografici l'esordio in serie B del Gubbio, 64 anni dopo... Sugli scatti del collega Roberto Settonce, quest'anno inviato in tutte le 42 partite dei rossoblù per "Il Giornale dell'Umbria"...
La carica dei 500: il Gubbio vanta una delle tifoserie più numerose nella prima di B
A centrocampo, con la nuova "seconda maglia", già fortunata a Bergamo
Intanto Fioriti confabula con il "Giamma": le ultime operazioni di mercato?
In tribuna stampa sto intervistando il pres. della Lega di B, Abodi, cortese ospite della prima radiocronaca RGM
Si parte: ma il 4-2-3-1 eugubino non trova sbocchi: Buchel è "chiuso" da Consonni
Boisfer, frustrato, è costretto ad usare le mani...
L'immagine del primo tempo: Crimi calpesta Giannetti. Il Gubbio in meno di mezz'ora è già KO...
A fianco del box di "Tutto il calcio minuto per minuto" - con il collega Antonello Brughini - raccontiamo una gara a senso unico: e il secondo tempo diventerà soporifero...
Nella ripresa il Gubbio tiene, non crolla, ma resta in ginocchio... La prima è andata...
A fine gara, la parola delusione è dipinta nel volto di Donnarumma...
Gli unici a "salvarsi", senza dubbio, i 500 tifosi rossoblù: vincitori morali di questo sabato grigio...
Musica di sottofondo: "Danza Kuduro" - Don Omar (2011)
canzone ufficiale del Grosseto calcio, in onda sui gol della squadra toscana...
Dall’altare alla polvere. E tutto in 7 giorni. Giusto il tempo di scendere da Bergamo a Grosseto, di transitare dalla Tim Cup al campionato di serie B.
E la carrozza con lo scalpo nerazzurro si trasforma in una irriconoscibile zucca. A tinte biancorosse.
Lo stadio Zecchini non ha mai portato fortuna al Gubbio. Nessuna vittoria, appena 1 gol segnato tra i prof. Ma forse in pochi, dopo l’impresa con l’Atalanta, avrebbero pensato di rivedere le streghe cremonesi: quelle strane sensazioni di impotenza mista ad inadeguatezza, che avevano aleggiato sopra lo stadio Zini giusto un anno fa.
Con un risultato algebrico diverso (2-0 anzichè 5-1) ma con la sostanziale impressione che il Gubbio fosse troppo brutto, inerme e inconsistente, per essere quello vero.
Da Cremona, di acqua e champagne ne sono scorsi a fiume. E rivangare qualche corso e ricorso storico non guasta.
Resta il fatto che dopo quell’infausta figuraccia se da un lato in molti pensarono che la squadra rossoblù non fosse in grado di affrontare il campionato di C1, dall’altro ascatenò dentro lo spogliatoio una specie di scossa tellurica, un faccia a faccia di quelli tosti. Se è vero che appena 7 giorni dopo il Sudtirol fu sommerso da 4 reti.
Pecchia si appoggia un po' deluso - foto Settonce
Ed è proprio questo sisma che ora va ricercato nella mente, nelle motivazioni e nelle gambe dei ragazzi di Fabio Pecchia: che non erano marziani dopo la vittoria di Bergamo e non possono essere diventati dei pirla dopo l’inciampo di Grosseto.
Anzi, da quel poco che a Grosseto ha funzionato (la lista si fa alla svelta...), val la pena ripartire. Così come dalla capacità di far tesoro di tutto quello che non ha convinto – seppur dettato da uno stato oggettivo di emergenza.
E’ indubitabile che Pecchia non potesse far miracoli con appena 2 centrocampisti a pieno regime: si potrà disquisire per bar e piazzette sull’opportunità di schierare un 4-2-3-1 al debutto in serie B. Ma allora sarebbe anche da chiedersi se l’organico risicato quasi in tutti i reparti, non debba essere irrobustito da qui al 31 agosto.
Lo stesso Gigi Simoni non l’ha mandato a dire, chiosando la prima puntata de IL ROSSO E IL BLU con un appello alla società. Cui ha fatto indirettamente eco lo stesso tecnico, attraverso un paio di sostituzioni emblematiche a fine gara a Grosseto, quasi a dire: in queste condizioni non posso che schierare neo patentati.
In difesa è difficile gettare la croce addosso a qualcuno: i centrali titolari non hanno praticamente mai potuto giocare insieme, gli altri – età media 19 anni e mezzo – hanno alternato prestazioni avvincenti a defaillance comprensibili, quando la carta d’identità risale ai tempi di Tangentopoli e chi ti sta accanto è il primo ad andare a fasi alterne. Regalare a centrocampo Sandreani e Raggio Garibaldi in un colpo solo – e non avere alternative sufficienti neanche per schierare tre centrocampisti di ruolo – significa dover ricorrere al capitolo miracoli: è accaduto a Bergamo, ma in quanto tale non può ripetersi ogni settimana. In attacco non c’è carenza ma le incognite (tattiche e individuali), al momento, superano le certezze. E proprio quei giocatori dotati di maggior talento – che dovrebbero fare la differenza – latitano vagando per il campo in cerca di un perché.
Tifoseria doc, annata speciale - foto Settonce
Capitolo motivazioni: la chiave, per la scossa, sta tutta qui. Lo fa intendere anche Giammarioli nell’intervista post partita di Grosseto: qualcuno ancora non ha capito cosa vuol dire indossare la maglia del Gubbio. Non ci sono Champions in bacheca, ma ci sono 100 anni di calcio, 2.500 abbonati e 500 tifosi in trasferta come neanche alcune città abituate alla serie A (un esempio, il Brescia) riescono a realizzare.
Tocca allo spogliatoio, allora, dare lo schiocco di dita. Fin da martedì, fin dal debutto casalingo con l’Ascoli – che arriva avvelenato da un -7 e da una sconfitta col Toro rimediata nel finale.
Toccherà poi anche alla società fare due conti e capire che risparmiare qualche euro stringato oggi, potrebbe voler dire doverne spendere tanti di più a gennaio.
Perché partire a fari spenti può anche andar bene, perché la zucca ogni tanto può trasformarsi in carrozza.
Ma, alla fine, fare la parte di Cenerentola, senza principe, non piace a nessuno…
Musica di sottofondo: "Corazon espinado" - Santana (2000)
Un farsa. O forse, molto peggio. Una decisione offensiva della dignità di chi vive questo mondo con la spontaneità della passione più genuina.
Ci mancava solo lo sciopero dei calciatori.
Forse l’unica categoria che, da oggi, rischia di scalzare dal podio più alto dell’impopolarità, la classe politica.
Che a sua volta ringrazia, restando in disparte e guardandosi bene dal prendere posizione su una vicenda grottesca, che però è anche specchio fedele della squallida assenza di valori e punti di riferimento che oggi il nostro Paese può lamentare.
Oggi e domani, dunque, niente campionato di calcio di serie A. Per carità, si sopravvive. I problemi veri sono altri. Inappuntabile.
Ma proprio per questo fa sorridere – se non infastidire – sentir parlare di sciopero da parte di chi svolge un’attività professionale chiaramente privilegiata – oltre che nella stragrande maggioranza dei casi, altamente remunerata. Personaggi per i quali i veri temi e le autentiche necessità che sono alla base di uno sciopero sono del tutto sconosciute, un po’ come per la gran parte degli stessi, la grammatica.
I calciatori che ci parlano di sciopero è come se le veline dovessero spiegarci il significato originario dell’8 marzo.
Che sciopero poi, in senso stretto, non è. Perché lo sciopero è astensione dall’attività lavorativa, ma con la rinuncia allo stipendio per le ore relative allo stato di agitazione. Non credo proprio che i calciatori di serie A si vedranno decurtato un solo euro per questo weekend di vacanza sopraggiunta. Tanto più che la giornata di campionato sarà certamente recuperata, forse in turno infrasettimanale, probabilmente in condizioni atmosferiche meno agevoli e più rigide (con buona pace dei tifosi che amano gremire gli stadi e che avranno un motivo in più per non farlo).
In realtà lo sciopero dei calciatori è solo la punta dell’iceberg di una galassia – quella sportiva – che naviga col barometro fermo sulla burrasca ormai da tempo. Crisi economico-finanziaria acclarata – molto prima che iniziasse quella vera – gestioni societarie sciagurate, scarsa propensione a valorizzare i settori giovanili (ormai pieni zeppi di stranieri anche questi), incapacità di fare di questo mondo un riferimento sociale (dove possono giocare a calcio oggi gli adolescenti?). Mi torna in mente una frase di Massimiliano Allegri al seminario di Coverciano: “Noi abbiamo imparato a giocare a calcio nei vicoli, oggi un ragazzino di 15 anni sembra un pollo d’allevamento: fosse per me, abolirei la tattica fino alla categoria allievi…”.
Il calcio sciopera ma sul banco degli imputati non vanno messi solo i calciatori: la compagnia recitante è ben nutrita e ogni segmento responsabile della decadenza del calcio italico è ben rappresentato: dirigenti federali, presidenti di società, procuratori, ognuno con la propria fetta di responsabilità ben definita.
E non perché a muovere tutto ormai è solo il dio denaro (evitiamo demagogie). Ma perché al di fuori di questo parametro non esiste altra unità di misura utilizzabile.
Le favole sportive, ormai, albergano solo in provincia. Unica area verde (o meglio, unica oasi) dove ancora accade qualche miracolo fatto di agonismo, passione e vera cultura sportiva.
Il calcio di A, il superprofessionismo di oggi, non ha nulla da insegnarci. Anzi, l’esempio è quasi sempre solo negativo. Sia in fatto di sport ma anche di management (in Inghilterra sono avanti anni luce): solo da questo mese, tanto per dire, in serie A ci sarà una squadra con un proprio stadio (Juventus Arena), un concetto base, un pre-requisito di gestione lungimiranti di una società di calcio, in altri Paesi europei.
In un altro post – mesi fa – lanciai una provocazione, ovviamente peregrina e che tale è destinata a restare. Lo sciopero dei tifosi, quelli veri.
Che domenica 11 settembre dovrebbero fare uno sforzo – autorigenerante ed educativo – restandosene a casa e tenendo la tv spenta.
Che se le giochino tra loro le prime partite della stagione. Che gli share e l’audience delle pay tv – che alla fine ci rimettono pure da questa storia – crollino.
Il messaggio sarebbe di portata epocale. Ma non accadrà.
Sarebbe comunque bello dare una lezione ad una classe dirigente (federazione, lega, procuratori, calciatori) che in tre mesi non è stata capace di raggiungere un’intesa e alla fine ha fatto saltare il banco perché non c’era più tempo per valutare le ultime controproposte.
Semplicemente vergognoso…
Viene voglia perfino di non fare “fantacalcio”: l’ultima frontiera delle emozioni, della fantasia, che una disciplina così trascinante come il calcio riesce ormai a generare…
E adesso si fa sul serio. E’ serie B. Ne parliamo da mesi, ne abbiamo vissuto l’escalation appassionante, ne abbiamo celebrato ogni dettaglio, e rivissuto ogni respiro.
Ma ora si riparte. E ci sono 21 avversarie, più o meno blasonate, ma tutte molto agguerrite, che aspettano il Gubbio.
La parola d’ordine è reset: si azzera tutto e si ricomincia.
Nuovo tecnico, nuova squadra e perfino nuova maglia.
A quest’ultima ci si abituerà col tempo, non tutti ancora hanno metabolizzato il blu compatto di retro. Continua ad essere rossoblù invece il colore di fronte e speriamo lo resti quello delle emozioni.
Sarà una maratona, 42 partite, un lungo cammino non certo alleggerito dalla diretta satellitare. Per fortuna alcune trasferte saranno chilometricamente più abbordabili di quelle passate.
Ad esempio Grosseto, da dove si parte. L’Olimpico di Maremma non vede il Gubbio esibirsi da 8 anni, si chiamava ancora serie C2, anche allora in diretta satellitare, ma su Raisport: finì 1-1 con un’inzuccata della meteora Caracciolese, riequilibrata nel secondo tempo da Machetti.
Altri tempi, verrebbe da dire. E l’auspicio è di utilizzare la stessa frase, tra qualche giorno, ripensando al 5-0 di un anno fa, in Tim Cup, con i biancorossi a maramaldeggiare contro la formazione eugubina, nell’occasione in un’inedita veste celeste poi opportunamente abbandonata, causa scaramanzia.
Il Gubbio arriva all’esordio con il morale a mille, dopo un’estate non poco sofferta. Paradossalmente l’esatto contrario dei grossetani che in Coppa sono stati travolti a Parma e ora sono scintille tra il vulcanico patron Camilli e il trainer Ugolotti.
Negli occhi dei tifosi rossoblù ancora vive le perle dello stadio “Azzurri d’Italia” dove la squadra di Fabio Pecchia – ampiamente rimaneggiata – si è regalata la prima impresa della stagione: una di quelle memorabili, perché non era mai successo che il Gubbio battesse una squadra di serie A in un match ufficiale.
Quel 4-3 rocambolesco e impensabile ha finito, non solo per iniettare adrenalina e fiducia allo stato puro, nel gruppo rossoblù, ma ha finito anche per modificare in parte le convinzioni della dirigenza di tornare pesantemente sul mercato.
Fino al 31 agosto si farà in tempo, ma forse con meno allarmismi.
Sotto questo profilo l’esordio all’Olimpico sarà un’altra verifica importante, pur con le attenuanti del caso: mancheranno Bartolucci, squalificato e malmenato, e Raggio Garibaldi, squalificato e glorificato dopo la stoccata decisiva alla Dea Atalanta. Non ci sarà Caracciolo mentre Briganti stringerà i denti.
Per Pecchia la necessità di cambiare di nuovo molte carte: ma forse, con un torneo a 42 giornate e con molte settimane fatte di 3 partite, l’avvocato in panca dovrà farci l’abitudine.
Sperando in un’impresa d’overture e perché no, aspettando qualche altro volto nuovo…
Copertina de "Il Rosso e il Blu" - 1a p. 25.8.2011
Musica di sottofondo: "A far l'amore..." - Bob Sinclair - 2011
Tutto è pronto per il debutto: domani sera, eccezionalmente di giovedì. Per poi diventare appuntamento fisso il VENERDI' SERA in concomitanza con l'anticipo di serie B.
Parte su TRG il nuovo talk show sportivo "IL ROSSO E IL BLU" - in alto la nuova sigla, realizzata da Luigi Lelli: andrà in onda, dopo la puntata d'esordio, il venerdì alle 21.15 e in replica il sabato alle ore 12.
Accanto alla conduzione del sottoscritto - che rispolvera dopo qualche anno il primo vecchio amore (sport) - ci sarà un volto nuovo per TRG, Angelica Menghini, già da due anni impegnata su RGM (la scorsa stagione con la fortunata rubrica "Terzo tempo rossoblù" che tornerà anche quest'anno dopo le radiocronache in diretta). Ospite di lusso dell'intero ciclo di trasmissioni sarà niente meno che LUIGI SIMONI, il direttore tecnico del Gubbio, che dall'alto di una indiscutibile saggezza ed esperienza, contribuirà a dare un valore aggiunto importante alla trasmissione.
Insieme a lui, si alterneranno in studio ex giocatori del Gubbio, sportivi (anche di altre discipline o del mondo arbitrale e giornalistico specializzato) ed esponenti della cosiddetta "società civile" (eugubini e non) che inevitabilmente in una stagione come questa non possono non essere attenti anche all'evolversi dell'avventura-Gubbio in serie B.
Per la prima puntata di domani, saranno in studio, oltre a Gigi Simoni, il tecnico dei rossoblù, Fabio Pecchia, l'assistente di linea Can A, Massimiliano Grilli (reduce dall'impegno in Supercoppa a Pechino per Milan-Inter) e l'opinionista (nonchè ex giornalista sportivo) Renzo Amanzio Regni.
In sommario, tra gli altri, servizi sull'avversaria del Gubbio (Grosseto), con una telefonata ad un collega toscano che segue da vicino la squadra di Ugolotti. Spazio anche ai ricordi dell'ex: telefonicamente sarà ospite della trasmissione anche GIOVANNI CIPOLLA, che ha vestito sia la maglia del Gubbio che quella del Grosseto.
Una rubrica speciale sarà poi dedicata anche ai tifosi internauti: grazie anche a questo blog, cercheremo di valorizzare le foto e le immagini che ci arriveranno dagli stadi che vedono impegnata la squadra rossoblù. I video e i flash più belli ed emozionanti, saranno mostrati nel corso della trasmissione in una rubrica che dal nome catturerà l'interesse dei telespettatori: YOU GUB.
Appuntamento dunque a domani e - dalla prossima settimana - a tutti i VENERDI in prima serata. Una serata che avrà due colori dominanti: IL ROSSO E IL BLU...
"Sarebbe importante che quanto annunciato dal Ministro dell’Interno e da quello della Giustizia nel corso della conferenza stampa di metà agosto non sia l’ennesimo annuncio spot sul tema della sicurezza stradale, effetto esclusivamente dell’onda emotiva per gli avvenimenti di questi ultimi giorni, ma rappresenti effettivamente una volontà politica e governativa di immediata attuazione>>.
Parole di Carmelo Lentino, portavoce di BastaUnAttimo, la campagna nazionale sulla sicurezza stradale e contro le stragi del sabato sera promossa da AssoGiovani e Forum Nazionale dei Giovani, in merito alla proposta dei Ministri dell’Interno e della Giustizia sull’introduzione del reato di omicidio stradale.
Da tempo la nostra emittente TRG ha sposato la campagna di sensibilizzazione "Basta un attimo", realizzando anche uno spot (molto efficace, a cura di Andrea Guerrini - che potete apprezzare in coda a questo post) che ha fatto il giro d'Italia nelle tv locali per l'efficacia con cui parlava dei rischi che si corrono, quotidianamente, sulla strada.
Ognuno di noi, purtroppo, ha perso qualcuno di importante. Ha lasciato sulla strada, un pezzo di sè...
Per questo non ho mai esitato ad incentivare, con ogni mezzo e modalità, qualsiasi iniziativa potesse aiutare a parlare di sicurezza sulla strada: dagli spot, alla semplice partecipazione a manifestazioni come "Guida la vita - Il senso della vita", promossa dall'ass. El.Ba. di Gubbio nelle scuole.
Stamane, leggendo sui giornali delle testimonianze di alcuni genitori di vittime della strada, proprio in relazione alla questione della proposta di legge sul reato di "omicidio stradale", ho avuto i brividi.
Emblematico il fondo di prima pagina sul "Giornale dell'Umbria" a firma di Umberto Maiorca dal titolo "Quando gli ubriachi al volante non pagano". Storie di vita (o meglio, di morte) quotidiana, rimaste del tutto impunite. Per la carenza di norme. O forse, per l'eccesso delle stesse, che aggrovigliate tra loro lasciano spazi di manovra ad abili giuristi capaci di farla "fare franca" ai propri assistiti. Con rispetto, ovviamente, dei più sani principi di garantismo, principi che - leggendo le storie narrate dal Giornale dell'Umbria - vanno semplicemente a farsi benedire.
"In Italia - continua il Portavoce di BastaUnAttimo - le vittime della strada continuano ad essere troppe e la guida in stato psico-fisico alterato dall’assunzione di alcool o sostanze stupefacenti continua ad essere una delle cause principali, assieme all’elevata velocità. Ci vogliono pene proporzionate alla gravità di quanto commesso, ma ad oggi il nostro ordinamento è carente".
"La politica - prosegue - affronta questo argomento da decenni, ma non ha mai avuto la determinazione necessaria per risolverlo. Altrimenti non si continuerebbero a contare, quotidianamente, dieci vite spezzate sulle strade italiane".
"Si passi dunque dalle parole ai fatti - conclude Lentino - ricordandosi anche degli indispensabili investimenti in educazione stradale, ma questo è un altro capitolo".
Parole pienamente condivisibili...
Spot prodotto da TRG (realizzazione Andrea Guerrini) per campagna nazionale "Basta un attimo"
Dove l'avevamo lasciato? Non nell'armadio, neanche nella cassa panca, quella che custodisce gli oggetti antichi. Eccolo qua, nella scrivania. Più moderna, a portata di mano. Adatta a quelle cose che è più facile e immediato ritrovare, che possono servire da un momento all'altro.
Sembrava dimenticato e invece torna subito di moda. L'album dei ricordi.
Già, perchè Atalanta-Gubbio, datata 21 agosto 2011, è da annuario rossoblù: 4-3, un risultato che evoca pagine storiche del calcio azzurro (l'ho definito, "l'incommensurabile fascino di una formula matematica"), ma che da ieri ha un significato speciale anche per i tifosi eugubini. Perché superare un turno di Coppa Italia non sarà il massimo, ma è pur sempre la prima vittoria assoluta del Gubbio contro una squadra di serie A, in competizioni ufficiali.
La statistica però lascia il tempo che trova, se si pensa soprattutto in che condizioni la squadra di Pecchia affrontava gli orobici. E quanto peso specifico possa rivestire una vittoria come questa, con questi numeri, con questo spirito, con questa avversaria.
Il Gubbio ha vinto in modo rocambolesco e appassionante, legittimando un successo semplicemente impronosticabile alla vigilia: la squadra rossoblù non aveva convinto nelle prime uscite stagionali, per di più affrontava la gara dello stadio "Atleti Azzurri d'Italia" senza mezzo centrocampo e mezza difesa. Basti fare i nomi di Sandreani e Boisfer in mezzo, Briganti e Caracciolo dietro, per capire quanto Gubbio mancasse all'appello di questo incontro. Pecchia ha dovuto indossare quasi i panni di Mago Merlino per inventarsi con la bacchetta magica uno schieramento in grado di affrontare l'urto di un'avversaria non solo di categoria superiore, ma anche "inferocita" dalle recenti vicende (e conseguenze) del calcioscommesse: non a caso a vestire la fascia di capitano dei nerazzurri, proprio quel Manfredini che 24 ore prima del match con i rossoblù è stato "assolto" in appello dopo la condanna in primo grado.
Il messaggio più importante che arriva da Bergamo, però, non è solo il risultato - che pure significa qualcosa. E' lo spirito con cui la squadra si è saputa spendere e sacrificare in un tappeto verde prestigioso e in un'occasione preziosa: la difesa d'emergenza, il centrocampo inventato, l'attacco cantiere aperto costante, non hanno fatto crollare la diga eugubina nel primo tempo - più timido - ed hanno avuto addirittura la forza di ribaltare l'inerzia dell'incontro nella ripresa. Decisivo l'innesto di un Giannetti che fiuta il gol con la destrezza del bomber d'annata, confortante il debutto in difesa del rientrante Briganti nei secondi 45', rassicurante la prova poderosa tra i pali di un Donnarumma che ha lasciato definitivamente nell'armadietto dello spogliatoio timori e imbarazzi di inizio agosto. E poi il finale imprevedibile: con un Gubbio - già esauriti i tre cambi - in campo con 4 punte di ruolo, di cui 2 (Bazzoffia e Mendicino) pronte a prodigarsi in un ruolo non proprio. E il guizzo finale, con Raggio Garibaldi a firmare un gol memorabile, per lui come per il Gubbio.
Sembra quasi divertirti il destino in questa firma conclusiva: Silvano Raggio Garibaldi non aveva mai segnato l'anno scorso, in una stagione da apoteosi in cui praticamente tutti i rossoblù avevano trovato gloria davanti alla porta avversaria. Sembra quasi aver conservato, gelosamente, questa perla per la prima grande occasione del nuovo anno. E in quel momento - senza gli assenti per squalifica e infortunio, senza Bartolucci azzoppato da un irascibile Tiribocchi - è stato uno dei reduci dell'impresa 2010-2011 a mettere un sigillo di classe in una serata d'elite.
Questo 4-3 fa bene. Fa bene al morale, all'autostima della squadra, al gruppo di giovani che ancora stanno conoscendo gradualmente la piazza e l'umore della tifoseria. Fa bene all'ambiente che aveva bisogno di una colossale valanga di fiducia, che ci arrtiva da Bergamo Alta.
Nasconde anche i suoi rischi, il 4-3: che ora qualcuno - più che in campo, fuori, sugli spalti - non interpreti col giusto equilibrio un successo che in vista del campionato è utile, ma non muove la classifica. Quella sobrietà anche ieri sera - in diretta radio su RGM - il diesse Giammarioli ha ribadito, come segreto dei successi dei rossoblù: il silenzio e la moderazione, nelle sconfitte come nelle imprese.
Di certo, dopo il 4-3, ci saranno almeno 200-300 tifosi in più in partenza per Grosseto. E anche questa non è una brutta notizia. Perchè da sabato si fa sul serio. Da sabato, all'Olimpico di Grosseto, comincia la serie B!
Ormai non si tratta più di essere berlusconiani o anti berlusconiani, di destra o di sinistra, rossi o azzurri, progressisti o conservatori. Ormai si tratta di salvare il Titanic. E nella peggiore delle ipotesi, di fare in modo che le scialuppe ci siano per la maggior parte dei passeggeri.
Chissà cosa penseranno quei (pochi) che nelle ultime due settimane sono stati in Messico: ricordo che da quelle parti non funzionavano i cellulari europei.
San Cristobal de las Casas
Era il 2002. E allora per comunicare, mi facevo spedire qualche e-mail sulla casella di posta inwind (faccio pubblicità ma tanto non mi pagano), recapito che fugacemente mi andavo a leggere nei pochi internet point raccattati tra Mexico City e S.Cristobal de las Casas, una cittadina antica, intrisa di cultura maya e spagnola, un mix letale di odori e tradizioni confuse e scimmiottate, che in realtà fino ad allora conoscevo solo perché a quelle alture (2.500 metri) Moser aveva stabilito nell’84 il record dell’ora: e dopo aver fatto una corsetta frenetica per un centinaio di metri, proprio per raggiungere uno di quei negozi adibiti a “finestra sul mondo”, mi resi conto cosa voleva dire correre in altura. Ci misi un quarticello per ricordarmi la password…
Ebbene chi deve essere stato di questi tempi in Messico e dovesse essere rientrato in questi giorni, si sarà risparmiato la lettura da stillicidio dei quotidiani o la visione di apocalittiche edizioni di tg, avrà evitato di fare qualche conto sugli effetti delle montagne russe di borsa, avrà ignorato le ripercussioni della maxi-manovra varata in questi ultimi giorni per salvare, appunto, il Titanic. O evitare che le scialuppe scarseggiassero.
Non so se siano più fortunati ad essersi risparmiati i miasmi di questa agonia, o se siano più sfortunati a doversi ora sorbire tutto d’un sorso l’olezzo di queste novità. Che in fondo qualcuno già conosceva – se è vero che da almeno 4 mesi certi fondi d’investimento avevano abbandonato l’Europa e in particolare l’Italia, avvertendo l’odore del napalm.
Comunque sia, la manovra c’è stata. E' inevitabile. Ed è una di quelle manovre che ti capitano quando sei di fretta, hai parcheggiato alla bell’e meglio, ti ritrovi l’auto ai limiti della strisciata sulla fiancata, ma i pochi minuti a disposizione ti impongono il sacrificio di una sverniciata a occhi chiusi, pur di uscire e andartene prima possibile.
Senza entrare nel tecnico – senza dire, ad esempio, che mai come ora era opportuno intervenire “a gamba tesa” sul sistema pensionistico, innalzando d’amblè l’età utile delle signore a 65 anni – una riflessione da “uomo della strada” non può evitare di pensare che ci sono settori che più di altri necessitano di una radicale rivoluzione.
Di mentalità prim'ancora che di organizzazione (e costi).
Stringere la cinghia è la parola d’ordine ormai in voga da anni: ma da dove si inizia? E soprattutto a chi tocca aprire le danze?
Ovviamente la risposta ci sarebbe ed è la più scontata: la politica. Che di tutte, è certamente la categoria più invisa e odiata ormai dalla gente. Che continua – è vero – a votare (anche perché al momento non esiste un’alternativa credibile alla democrazia, come disse Abramo Lincoln), ma che ha le tasche stracolme dei privilegi connessi (ed annessi) al ruolo di politico e amministratore pubblico. Da Roma, a Perugia, fino alle stesse periferiche lande eugubine. Cambia il numero degli zeri, ma non il principio e la sostanza.
Né qualunquismo né approssimazione, è lo slogan con cui da un paio di mesi “Il Giornale dell’Umbria” sta conducendo un’approfondita inchiesta sui costi della politica. Cosa volete che costi la politica in una regione che ha gli abitanti di un quartiere di Roma?
Tanto, anzi troppo.
Nel descrivere la nostra situazione ad un amico napoletano – che mi aveva ingolfato di esempi di mala-politica provenienti dalle sue terre (troppo facile…) – ho fatto un solo esempio: in Umbria ci sono 5 Asl e 2 Aziende ospedaliere. Si è messo a ridere.
Ma detta così, potrebbe apparire la solita frase da bar, ai confini del più sciatto populismo. “Il Giornale dell’Umbria” invece, ha fatto le pulci alla politica umbra, scoprendo ad esempio, che sono circa 5.000 i signori che vivono di politica (non solo consiglieri e amministratori, ma anche portaborse, portavoce, portavoti, e chiunque porti qualcosa che abbia a che fare col consenso).
In una regione piccola come la nostra, ci sono 92 comuni che ogni mese costano 200 mila euro solo di stipendio dei sindaci. E ci sono decine di enti inutili e società pubblico-private il cui scopo principale non è dare servizi, ma accogliere personale – utile a consolidare il dio consenso.
Ma l’aspetto più insopportabile di un sistema che è radicato ma in fondo comune a tante altre regioni, è il vitalizio: i conti esatti di quanto ci costano, con le loro pensioni dorate, gli ex consiglieri regionali, gli ex parlamentari di casa nostra, rappresentano cifre che fanno semplicemente ribollire il sangue.
Ad uno stipendio netto di 6.600 euro al mese, si aggiungono pensioni che sono tre volte (e addirittura quattro, per le donne) quello che gli stessi consiglieri regionali hanno versato come contributi.
E allora ecco la provocazione del direttore del quotidiano umbro, l’amico Giuseppe Castellini: cari signori, tagliatevi i vitalizi. Date l’esempio. Eliminate questi veri e propri privilegi, che in tempi magri come gli attuali, assomigliano maledettamente alle brioches che il Re Sole degustava alla faccia del popolo parigino stremato dalla fame.
Se si chiede agli italiani di accettare (in tutti i sensi) pezzi di tenore di vita, che ormai appartengono al passato perché non più sostenibili, chi invoca questo cambio di rotta sia il primo a dimostrare senso di responsabilità e sensibilità istituzionale.
Levando di mezzo non gli stipendi (comunque importanti), non le indennità (comunque corpose) ma quelle “pertinenze” dal sapore disgustoso che oggi rischiano perfino di scatenare reazioni sociali scomposte.
La manovra Tremonti in realtà sforbicia i vitalizi, ma a partire dalle prossime legislature (scommettiamo che non ci sarà più la corsa al candidato?).
Invece, il segnale forte sarebbe intervenire subito, autonomamente, dalla piccola Umbria.
“Io sto con Castellini” mi viene da dire, parafrasando citazioni più celebri. Non basta tagliare qualche auto blu, pre-pensionare un paio di dirigenti, razionalizzare qualche ente, organismo o accorpare una manciata di comuni.
Chissà se la provocazione verrà raccolta o semplicemente ascoltata…
Da parte nostra – di chi, per vocazione semantica deve “mediare” la vox populi con quella del Palazzo, e viceversa – l’impegno a porre con forza questa provocazione.
Stavolta non ci sono speranze o auspici – perché l’idea è che il vitalizio sia proprio la scialuppa più comoda e capiente, per abbandonare al momento giusto il Titanic.
C’è solo da “stanare” i destinatari del quesito provocatorio…
“Non mi dispiace il fatto che si parta a fari spenti. Anzi, è la condizione che preferisco”.
Diceva più o meno così, Marcello Lippi, alla vigilia della sua prima stagione alla guida della Juventus. Correva l’anno 1994. Quella stagione – con le corazzate Milan e Inter in prima fila, le romane a coltivare ambizioni, il sempre più quotato Parma, la Fiorentina e la Samp a fare da outsider – si concluse con il 23mo scudetto della Juventus. Non perché sulla carta fosse la squadra più forte.
Semplicemente, perché lo fu in campo.
Fari spenti, toni bassi, poche chiacchiere, molto lavoro. In teoria, belle parole. In pratica una disciplina precisa da applicare – prima ancora che predicare – ogni giorno. Soprattutto di fronte alle difficoltà.
Il calcio è pieno zeppo di esempi e aneddoti così: squadre partite senza il favore del pronostico, senza titoli, senza riflettori. E poi arrivate alla meta.
Quella meta conquistata soprattutto grazie all’atteggiamento, alla mentalità, alle motivazioni. Che la differenza l’hanno fatta quando le cose non andavano, quando qualcosa non funzionava, quando il giocattolo sembrava inceppato: e quel silenzio fu il terreno fertile nel quale trovare la chiave per ripartire.
Simoni, solitario, guarda il futuro del Gubbio...
Un po’ come è chiamato a fare in queste settimane anche il Gubbio. Non che i rossoblù rischino di avere addosso troppe luci e riflettori. Da più parti sono considerati - fin troppo prematuramente - una sorta di cenerentola della serie cadetta.
Ma la serie B è davvero un altro pianeta, rispetto alla Lega Pro. E la dimensione nella quale la squadra di Pecchia e del dt Simoni si prepara ad immergersi è una sorta di brodo primordiale, dal quale tutto può nascere. Ma finchè non lo assaggi, può avere qualsiasi sapore…
Aleggiano parecchi malumori sul Gubbio che si prepara al debutto in serie B. Le ultime uscite – Cesena, Agnone e poi la Coppa – hanno rivelato più ombre che luci. Lontano ricordo il gioco spumeggiante della scorsa stagione, il 4-1-4-1 messo in campo dal nuovo trainer non sembra convincere. O almeno, non appare ancora il vestito adatto alla squadra.
In più, restano forti le nostalgie per alcuni protagonisti della cavalcata vittoriosa conclusasi a maggio. Giocatori che addirittura torneranno a Gubbio da avversari. Avversari che certamente faranno di tutto per farsi valere. "Bisogna pensare al Gubbio di oggi. Grazie a chi ci ha fatto vincere, ma ormai il passato va messo alle spalle" suggerisce Simoni, a pubblico e stampa. Come sempre, saggezza da imbottigliare...
Ma se il contesto appare un po’ grigio, a mente lucida e bocce ancora ferme, è bene analizzare quello che non funziona nella squadra rossoblù, accanto ad alcune attenuanti indiscutibili, e quello che invece – è bene ricordarselo – già lascia promettere qualcosa di buono.
Cosa non va –
Sicuramente due elementi: il gioco ancora stenta a intravedersi, i gol subìti sembrano troppi. Se non preoccupano le 3 reti incassate dal Cesena, fanno riflettere ancor di più le 2 prese del Benevento, non tanto perché la squadra di Simonelli è di una categoria inferiore, quanto perché ha giocato un’ora in inferiorità numerica. Ma questa non si è vista. Ad onor del vero, va detto che la difesa titolare non ha praticamente mai giocato: Caracciolo si è riaffacciato timidamente qualche minuto in Coppa per tornare subito ai box, quanto a Briganti – elemento chiave sia tattico che carismatico – potremmo rivederlo domenica a Bergamo o al più tardi direttamente a Grosseto (ben sapendo che non sarà subito il miglior Briganti). Ma tra averlo e non averlo, qualcosa è di sicuro destinato a cambiare. A centrocampo non si vedono molte alternative al trittico riconfermato: Buchel è l’elemento che ha destato maggiore interesse, Gerbo è infortunato, Fonjock non è chiaro se resterà. Impensabile immaginare che Sandreani-Boisfer-Raggio (pur affidabilissimi) possano sobbarcarsi 42 battaglie. Già domenica a Bergamo capiremo meglio cosa significa giocare senza il francese in mezzo. Davanti infine si fatica vedere il vero Ragatzu, i cui sprazzi sporadici ci parlano di un giocatore sontuoso nel talento quanto imprevedibile nei movimenti. Lo stesso Mendicino promette ma non ancora mantiene. Più concreto e meno appariscente è invece Giannetti.
Cosa va –
Il gruppo – arma reale e neanche troppo segreta della squadra – è compatto. Una garanzia in vista di una stagione nella quale saranno ancora la forza e le energie tratte dallo spogliatoio a fare la differenza. Non ci sono primedonne. E caso mai ci fossero, avranno già capito che non è il caso di salire sul piedistallo da queste parti. Si rischia solo di cadere e farsi male (chiedere agli ultimi due attaccanti centrali, nelle ultime due stagioni, puntualmente usciti di scena).
Bomber Ciofani. Non convincono solo le 8 reti siglate in 6 gare, ma la disponibilità a sacrificarsi per la squadra. E anche il carattere, che appare distante da quello di tanti altri numeri 9 con troppo gel in testa, altrettanta puzza sotto il naso e poco olio canforato sulle gambe. La vecchia guardia (giocatori e staff tecnico, che affianca Pecchia, su tutti Simoni): un baluardo ad alzate di ingegno, un riferimento per imboccare nel modo giusto la nuova stagione. Da sola non basterà, ma sarà importante che faccia sempre sentire la sua presenza. Vista anche l’età media (quasi da Primavera) di molti rossoblù. Il pubblico: oltre 2.500 abbonati significano calore e sostegno sicuro (almeno in casa). Pur sapendo che bisognerà resettare la mente, scordarsi in fretta la Lega Pro (magari da conservare nel proprio video-archivio, anche con il nostro doppio dvd, da sorseggiare ogni tanto come un vino buono) e capire che quest’anno vincere significa restare in serie B: con le unghia e con i denti.
Le scommesse –
Sostanzialmente sono due: se si vincono, il gioco è praticamente fatto. La prima, ovviamente, si chiama Fabio Pecchia. Per lui, come per il Gubbio, la B è una novità (perfino da giocatore, non l’ha bazzicata molto, veleggiando molto più spesso in A). E’ partito con il 4-3-3 marchio di fabbrica, si è cautelato su un più prudente 4-1-4-1, ma da quando è arrivato dice: “Non esiste un dogma tattico. Ci adatteremo alle situazioni”. Ora sta a lui risolvere il problema della coperta corta. Confidando anche nelle ultime (possibili) novità di mercato.
La seconda scommessa è tra i pali. Antonio Donnarumma, un classe ’90 per una stagione in B. L’inizio non è stato facile, con un paio di gol di troppo che hanno fatto storcere la bocca. Ma la Coppa ha restituito il Donnarumma gigante descritto nelle giovanili rossonere. Gara sicura (sui gol poteva poco), uscite autorevoli, parate confortanti e soprattutto due prodezze ai penalty da vero e proprio colpo di… Eugenio. Anche lui avrà bisogno del pubblico. Ma almeno ha cominciato ad aiutarsi nel migliore dei modi.
Corsi e ricorsi –
Ai pessimisti e agli scettici ricordiamo solo un dato: un anno fa di questi tempi, i rossoblù stavano messi decisamente peggio. Non solo erano in una categoria inferiore, ma avevano incassato a Ferragosto 5 siluri all’Olimpico di Grosseto (in Coppa). Prima di prenderne altrettanti allo “Zini” di Cremona.
Le certezze non erano poi così granitiche: né tra i nuovi (difesa ballerina, con un Borghese ancora non inserito al meglio), né nei reparti specifici (attacco considerato da tutti meno incisivo di quanto non fosse con Marotta e Casoli).
Ebbene, quell’avvio stentato – così come lo era stato anche nella prima stagione di Torrente, con 4 sconfitte interne – è stato superato nel silenzio dello spogliatoio.
Senza colpi di mercato, senza colpi di testa, senza colpi di scena.
Ma trovando in se stessi la forza per reagire.
A luci spente. Proprio come predicava Marcello Lippi. Uno che, ad esempio, conosce bene Stefano Giammarioli: un signore che ha scommesso in questi anni su tanti nomi improbabili. E che oggi è il direttore sportivo di una squadra di serie B, sorpresa autentica del calcio nazionale.
Proprio come lo fu, 17 anni fa, quel Marcello Lippi: reduce da stagioni con Cesena, Atalanta, Napoli e poi... diventato il Marcello nazionale...
Chissà, rileggendo queste righe tra qualche mese, cosa verrà da pensare… Di sicuro le sottoscriverò ancora…
Forse è l’unico ad aver sognato e sperato un epilogo così. Antonio Donnarumma, portiere numero 32 del Gubbio, regala ai rossoblù l’accesso al terzo turno di Coppa Italia: due rigori parati nella lotteria finale con il Benevento, al termine di 120’ che hanno regalato emozioni a sprazzi e una squadra rossoblù con tanta buona volontà ma altrettante magagne ancora da sistemare.
Finisce 5-4 contro un ottimo Benevento, guidato dalla sagacia tattica di Gianni Simonelli, ex trainer del Sorrento, uno che a fine gara, in tipico accento campano, non nasconde con il sorriso l’amarezza di incrociare il Gubbio e uscire sempre con le ossa rotte: “Non vi voglio vedere più” commenta sarcasticamente, pur facendo l'in bocca al lupo alla squadra eugubina per il campionato.
Erano terminati in parità sia i tempi regolamentari (1-1) che i supplementari (2-2), due gol per parte, un’espulsione per squadra e qualche recriminazione a vicenda. Fabio Pecchia non nasconde che c’è ancora molto da lavorare. La squadra era partita bene – seppur privata dopo pochi minuti del rientrante Caracciolo, che avvertita una fitta ha preferito dopo un quarto d'ora tornarsi a sedere. Il 4-1-4-1 eugubino nel primo tempo ha limitato i rischi (una sola parata di Donnarumma su Germinale all’11’) e ha capitalizzato le azioni da gol.
Sul primo spunto, uno due in velocità Bazzoffia-Ciofani, l’ex aretino è stato agganciato: rigore netto e il numero 9 rossoblù firma l’ottava rete in sei gare. Alla mezz’ora lo stesso Ciofani se ne va, di rimessa, ma viene steso platealmente da Baican: rosso diretto al numero uno giallorosso ma punizione conseguente da dimenticare.
Nella ripresa il Gubbio potrebbe chiuderla: prima Ragatzu – le cui prestazioni sono ancora troppo altalenanti – si vede respinta sulla linea una conclusione sporca, poi si vede Mendicino, ma l’ex laziale spreca da due passi una bella combinazione di prima firmata dal crescente Almici.
Il Benevento si assesta in campo, con difesa a tre, e non soffre l’inferiorità numerica. Anzi a 10’ dalla fine Germinale indovina la parabola da 25 metri e firma il pareggio.
Per i supplementari Pecchia gioca la carta Giannetti – nell’unico reparto che al momento può dirsi abbondante: e proprio l’ex juventino al primo pallone giocato inventa il 2-1 con un tocco morbido e letale, quasi da biliardo, che bussa il palo e si accascia in rete. Sembra fatta anche perché il Benevento appare stanco, ma anche il Gubbio non ha la forza e la lucidità per dare il colpo di grazia.
Anzi, resta in 10, per un doppio giallo un po’ severo ai danni di Boisfer (la cui assenza sarà non poco pesante allo stadio "Azzurri d'Italia"). Senza diga, la difesa torna a ballare e nel finale di secondo tempo Falzarano non crede ai suoi occhi, servito tutto solo da due passi: ha il tempo di prendere la mira e fulminare Donnarumma per il 2-2.
Dal dischetto segnano per il Gubbio, Farina, Giannetti e Raggio Garibaldi, mentre il palo interno dice di no a Ciofani. Sull’altra sponda Fogolari e Germinale imprecano, e quando il neo acquisto Cipriani va sul dischetto, è ancora l’estremo rossoblù a chiudergli la porta.
Per lui serata di gloria - ci voleva dopo i dubbi post-Cesena: se è vero che per un attaccante la migliore medicina è il gol, per il portiere un rigore parato ne vale almeno tre.
Per il vero Gubbio, invece, manca ancora qualcosa, a due settimane dal campionato.
Anzi, mentre Simoni frena il pessimismo ("Bisogna avere pazienza, anche le altre stentano" rassicura, riferendosi a Samp, Bari o Torino), Pecchia parla di 3-4 nuovi acquisti...
Ieri intanto Jackpot Casoli è stato avvistato a Gubbio: di lui in Bari-Spezia (decisa al 93' da Masiello dopo un paio di miracoli di Lamanna) non si è vista traccia... Qualcosa vorrà pur dire...
L’ho ribattezzate “ferie simulate”. Sono quei giorni – spicchi di settimana, di solito a cavallo con i ponti festivi – che si ritagliano nel corso dell’anno per esaurire il monte ferie previsto dal contratto.
Per la verità, nessun contratto parla di “ferie simulate”, tutt’al più distingue le ferie dai ROL (recupero ore lavorative): ma non chiedetemi la differenza, ancora non l’ho capita.
Conosco bene invece la differenza tra le ferie e le ferie simulate. Con le prime te ne vai, lontano abbastanza da non dover rientrare (in genere 2 settimane, ma può scapparci anche il ponte, o mini-ponte infrasettimanale, magari abbinato ad una partita di calcio… che ci volete fare, ci sono malattie anche più gravi…).
Per le ferie vere – è un pensiero personale – l’ideale è un luogo salubre, aria buona, un po’ di sport, mangiare giusto ma comunque sano. Letture di ogni tipo e ad ogni ora della giornata. E possibilmente, un posto dove nessuno ti conosca (detta così sembra snob, ma quest’anno si correva il serio rischio di ritrovarsi a parlare a giugno di ceri – serie B – elezioni amministrative, e allora addio vacanza…).
Con le seconde, le “ferie simulate”, formalmente sei fuori ufficio, ti riposi, ti rilassi, ricarichi le pile. Ma è una dimensione virtuale, un po’ come molte delle amicizie di facebook.
In realtà sono simulate perché poi ti capita – ogni giorno – di tornare in ufficio, di essere ricontattato per sbrogliare una “bega”, di registrare una trasmissione (perché già che ci sei…), di fissare un appuntamento di lavoro (giusto quella mezz’ora che passo in ufficio)… E ovviamente, facendola in città, di ritrovarti a parlare delle stesse cose, tutti i giorni.
Insomma le ferie sono tali solo perché sono segnate sul libro presenze.
Ci pensavo questi giorni, perché proprio questa era la mia settimana di “ferie simulate”. La differenza sostanziale con quella precedente e con la prossima è che non faccio rassegna stampa (sveglia ore 6,25, lettura giornali e in onda in diretta alle 7,30), indosso un paio di bermuda per dare (e darmi) una parvenza di ferie (appunto, simulate), e ricavo una mezz’ora/tre quarti per una corsetta in più o una passeggiata sul monte. Cosa, quest’ultima, che riesco a fare anche nelle altre settimane, ma un po’ più a fatica: qualche volta penso che si consumino più calorie a pensare come organizzarsi per trovare il tempo di bruciarle, che non nell’atto stesso della corsa.
Un po’ come quando devo fare un regalo: il problema è trovare quello giusto, più che spendere la cifra giusta. In tempi di crisi, vedrei bene come lavoro part time (è un suggerimento agli amici del blog) il present trainer, una sorta di consulente per i regali. Uno che ti offre un pacchetto completo, idea – confezionamento - sbrigo faccende – e magari anche la frase ad effetto per il bigliettino (altra mansione per la quale ho sempre subìto l’incombenza, visto il lavoro che faccio, e ho dovuto sbrigarla senza fronzoli, né gloria postuma).
Sto deragliando paurosamente, lo so. Il problema restano le ferie simulate: ti disorientano. Perché non sono giorni di lavoro vero ma neanche di relax. Che parola insulsa, relax.
I latini – molto pragmatici e concreti - lo chiamavano otium, e non avevano tutti i torti. L’otium poi, a quei tempi, non aveva l’accezione negativa della sua traduzione moderna (ozio). Era considerata un’attività, essa stessa. Non a caso i romani hanno inventato le terme, scoprendo la cosa più naturale (e banale) del mondo: l’acqua calda.
Anzi, si riteneva che la pratica dell’otium fosse l’altra faccia della medaglia del lavoro, dell’operare, del “darsi da fare”, industriarsi, commerciare. In una parola, il complemento del “negotium”.
Ma nessun negotium funzionava davvero se non aveva anche un po’ di otium accanto a sé. Va detto, che ai tempi nostri in molti hanno interpretato l’antico precetto latino con perfida esagerazione: ti fanno credere di dedicarsi al negotium, ma praticano solo e solamente un insopportabile otium. Spesso anche a spese nostre…
E in fondo questa, più che una lezione semantica, rischia di essere una lezione di vita. Attuale, anche in un periodo di crisi nera come quella del 2011, che i nostri figli o nipoti ritroveranno nelle enciclopedie (forse multimediali) sotto la parola default. I latini, sempre concreti e pragmatici, l’avrebbero definita semplicemente tragedia collettiva.
Insomma le ferie simulate sono una fregatura. Non sono né otium, né negotium. Ne esce fuori una settimana ibrida nella quale perfino un blog finisce per risentirne. Non ci sono stimoli, emozioni, sollecitazioni che ti portino a scrivere. E a condividere, come fai sempre più spesso, qualche pensiero con altri 25 lettori (forse un po’ di più, ma anche il Manzoni si teneva basso...).
E comunque se questo ibrido fa effetto a me – arrivato a scrivere queste stupide righe – non ha lasciato indifferenti neanche voi (se siete riusciti ad arrivare a leggerle fino a questo punto…).
Tanto meglio abolirle queste settimane spurie, né carne né pesce. Vogliamo recuperare produttività e potere d’acquisto? Vogliamo sotterrare inutili privilegi e prebende che minano i conti e il futuro della nostra società?
Oltre alle auto blu e ai vitalizi – che se non saranno davvero toccati, credo che tra non molto diversi parlamentari dovranno raddoppiare le scorte a proprie spese… - pensiamo anche un po’ nel nostro piccolo.
Diamo a noi stessi il buon esempio. Aboliamo le ferie simulate: se si va in ferie, si parte e basta. Si chiude il cellulare, non si accende il pc, si coltiva il sano e immortale otium.
Che sarà pure il padre dei vizi. Ma ogni tanto, anche la carezza di un buon padre, a qualsiasi età, ti restituisce il sorriso…