Tra le cose che ho sempre detestato (poche per la verita', ma tutte profondamente sentite) ci sono quelle scene patetiche cui si assiste settimanalmente sui campi di gioco (prevalentemente calcio) nei tornei giovanili. Non parlo dei giovanissimi giocatori in campo ma dei genitori sugli spalti. Il più' delle volte invadenti, urlanti e tutti rigorosamente esperti della disciplina sportiva cui e' dedito (speriamo almeno in quello, spontaneamente) il rispettivo pargolo.
Francamente penso che se i tornei giovanili fino alla maggiore eta' si giocassero a porte chiuse almeno un 50% dei giocatori che poi fatalmente abbandonano, diventerebbero dei campioni. Ma questo e' un mio pensiero (confortato pero' dal fatto che sono davvero rari, per quanto ci siano, i casi in cui un genitore riesce con la propria sobrieta' a non "rovinare" il figlio. L'eccezione che pero' conferma la regola).
E' con questo timore latente che domenica sono voluto andare a vedere la prima uscita agonistica di mio figlio. Si gioca a
basket e non a calcio, ma il concetto resta lo stesso.
Pero' sono rimasto felicemente sorpreso: di me e dell'ambiente nel complesso. Eravamo a Perugia in una palestra periferica di quelle dove, se piove, finisci per coprirti le scarpe di malta. Dentro pero' era un bel complesso.
Perugia e Gubbio e' sempre una bella sfida, anche se la dovessi giocare a boccette. E i piccoli eugubini ci hanno dato dentro, riuscendo alla fine a vincere 6 mini gare su 8 (tutti tempi da 5' ciascuno), in totale e' finita 31-17 - anche se solo a fine gara ho appreso che il punteggio si assegna con 3 punti ogni gara vinta, dunque punteggio finale 18-6.
Quando l'ho saputo mi sono sentito un pesce fuor d'acqua, un po' come quando 17enne telecronista in erba (direi, anzi, in seme) venni catapultato a fare la telecronaca di rugby!
Ricordo solo che quel Gubbio-Sulmona, nel fango del San Benedetto, fu uno strazio (per me che non sapevo un'acca di palla ovale) e per giunta la partita fini' 0-0 (giuro!), cosa che scoprii solo qualche minuto dopo il fischio finale quando anche la voce tecnica che mi affiancava (non ricordo chi fosse, di sicuro non Mallett) si accerto' che in effetti era finita con l'inconsueto risultato ad occhiali. Sulla panchina di quel Rugby Gubbio pionieristico sedeva con la sua folta chioma e il sorriso da tanguero,
Ike Amador, uno dei personaggi più' intéressanti e sottovalutati che lo sport eugubino abbia avuto la fortuna di incrociare.
Tornando alla palestra di basket, la mia sorpresa interiore e' stata nel constatare che la temuta "orda barbarica" di genitori isterici e intolleranti (verso ogni decisione arbitrale o cambio del coach) non c'e' stata. Giusto
un richiamino di qualche secondo dell'arbitro ad un genitore (uno dei nostri) diciamo un po' impulsivo e soprattutto con tonalita' vocale troppo elevata per gli standard di una palestra semideserta di periferia.
Sara' che non era ancora campionato, sara' che il basket non e' il calcio (ma ad entusiasmo degli spalti non ha nulla da invidiare...) sta di fatto che tutto e' filato liscio.
E' stato emozionante vedere all'opera il "cucciolo" per il parquet di Ferro di Cavallo. Corre che e' un piacere (e' la cosa che gli riesce meglio e più' degli altri), ruba palla a più' non posso e quando puo', infila pure canestro (ne ho contati 3 ma potrei averne anche saltato uno).
Ma l'effetto più' particolare e' stato all'inizio: ero seduto cercando di capire come comportarmi (attento a non eccedere con gli incitamenti e a distribuirne in parti uguali anche agli altri bambini della squadra), quando e' stato lui dal campo a chiamarmi, salutandomi come per dire: "
non ti sei accorto che ci sono anch'io?".
Quella gioia spensierata mi ha fatto capire quanto sia straordinario il gesto sportivo quando riesce a restare nell'alveo del gioco. Quella leggerezza che non ha eta', ma che soprattutto alla sua età puoi toccare con mano. E che ti fa dare di più' anche in campo. Ma soprattutto l'emozione di fare
tutto questo davanti a tuo padre. Una sensazione di pienezza che puo' caricarti a mille. Cosi' come puo' toglierti ogni energia, quasi a paralizzarti.
Ho un ricordo appannato di una mia partita di calcio, credo in terza o quarta elementare, al "Beniamino Ubaldi" con i Giaguari (il nome della squadra della mia classe, Scuola elementare S.Agostino, oggi "Aldo Moro" - che buon anima all'epoca di quella gara credo fosse ancora vivo...).
Avevamo delle maglie rosse e pantaloncini bianchi, sull'onda dell'entusiasmo per il
Perugia dei miracoli di Castagner. Ricordo il fastidio di quella lana grezza appiccicata alla pelle, sensazione ancora più' ruvida man mano che si sudava. E l'odore di quel feltro, tutto da immaginare, dovuto probabilmente al fatto che chi l'aveva usato precedentemente non si era curato di lavarlo... L'unico ricordo nitido che ho di quel torneo scolastico e' una partita contro una classe dell'Edificio scolastico - che richiamava scolari da tutta la citta' e dunque dovevano essere più' forti. Avevano maglie a strisce bianconere (di sicuro non ispirate all'Ascoli) e gia' facevano impressione solo a guardare la divisa. Erano bravi, si diceva che alcuni di loro (avevamo 7-8 anni, proprio l'eta' attuale di mio figlio) giocassero con qualche squadra (le più' in voga il Victoria o il Fontanelle).
Non so ricordare come fini'
ma segnai il primo gol: le porte erano senza reti e vedere quella palla calciata in corsa passare il portiere e finire dentro fu favoloso. Non a caso e' uno dei flash che mi sarebbero rimasti di quegli anni. L'avevo evidentemente nel back up del mio cervello perche' domenica e' tornato sul desktop della memoria. Perche' a differenza di mio figlio, che ha festeggiato giustamente i suoi canestri con la squadra, io dopo il gol andai a esultare verso mio padre che stava li' a guardarmi a bordo campo. Ricordo il suo sorriso soddisfatto e un po' timido, nascosto dietro un giacchino di renna di quel marrone cosi' in voga negli anni Settanta.
Di chi - proprio come me domenica a Perugia - non voleva mettersi troppo in mostra.
Mi aveva promesso 1.000 lire per ogni gol, scherzando, il giorno prima e io correndo ad abbracciarlo come avessi segnato all'Azteca di Citta' del Messico (l'erba era alta uguale) gli ricordai quel "premio partita" (se oggi promettessi l'equivalente, 50 centesimi di euro, secondo voi che figura farei?).
Morale, passai il resto della gara a pensare cosa avrei potuto comprare con quelle 1.000 lire che allora ancora erano un bel gruzzolo per un bambino in cerca di dolci o figurine Panini nello spaccio sotto casa. E combinai poco altro come se il mio compito fosse finito li'.
Giovanni invece non si e' fermato. Ha continuato a correre, giocare, dannarsi anche sui passaggi sbagliati a meta' campo. Un'altra stoffa (per fortuna), rispetto a suo padre che dopo quel gol si era come bloccato in un'estasi fine a se stessa.
Ma il gesto più' bello che gli ho visto fare, più' naturale e spontaneo, e' l'abbraccio con i compagni di squadra anche quando era seduto in panchina (in quella condizione naturale di attesa e frustrazione - che qualche volta ho vissuto negli anni a seguire - che intimamente e istintivamente ti porterebbe ad augurare il peggio a chi gioca al posto tuo, anche se non lo ammetteresti mai). Lui no, lui esultava ad ogni canestro, rideva e scherzava con un'allegria contagiosa ed elettrizzante che spero non l'abbandoni.
Che domenica...
E pensare che doveva essere solo una scocciatura perugina per un'amichevole "senza senso"...