Un'altra settimana di campagna elettorale, un'altra indigestione di interviste, previsioni, analisi e approfondimenti politici. Se le "primarie" del centrosinistra hanno avuto un merito non è solo quello di aver solleticato una sana partecipazione - dopo il flop delle elezioni siciliane dove più di un cittadino su due è rimasto a casa. L'altro valore aggiunto di questa esperienza è stato aver sollevato più di un punto interrogativo sull'attuale classe dirigente di alcune regioni che sembravano intangibili in questa consultazione.
L'equazione Renzi batte Bersani, ergo l'elettorato boccia la dirigenza del Pd è forse troppo semplicistico.
Ma merita comunque una riflessione il fatto che in Umbria - e lo stesso vale per le Marche (mentre la Toscana viste le origini del sindaco fiorentine, fa storia a sè) - la nomenklatura stesse prevalentemente con il segretario nazionale e che ogni pronostico oggettivamente fosse proprio dalla sua parte.
Che città come Perugia e Todi, i cui sindaci attuali o passati sono chiara espressione della corrente bersaniana, abbiano visto l'exploit del Giamburrasca toscano, in pochi se lo aspettavano.
Se l'elettorato di centrosinistra, e in prevalenza Pd, si è invece orientato per Matteo Renzi qualcosa vorrà dire. Che ci sia voglia di rottamazione anche dei quadri dirigenti locali?
E' un'ipotesi. Così come è un'ipotesi il fatto che Renzi, indirettamente, sia andato ad intercettare il desiderio di cambiamento di politica - prima che di politici - del panorama umbro.
E la questione non investe, a ben vedere, solo il centrosinistra o il Pd. Ma tutto l'arco politico, in particolare quello dell'opposizione che di questa affermazione di Renzi dovrebbe fare non un bandiera da sventolare ma un pugno di cenere con cui cospargersi il capo.
Perchè se circa un umbro (di centrosinistra) su due affiderebbe volentieri la propria fiducia al Sindaco di Firenze, inquadrandolo come espressione di una politica di innovazione, all'interno del centrosinistra, come alternativa alla classe dirigente della maggioranza che ormai è di stanza a Palazzo Cesaroni da anni, e in alcuni casi parecchi anni, ciò significa che in realtà è proprio l'opposizione - in primis il centrodestra - ad aver clamorosamente "cannato" (per usare un termine in auge) in questi mesi la propria strategia, la comunicazione, la politica, il poter essere realmente un riferimento alternativo.
E non si chiami in causa l'aspetto puramente partitico o politico, che ormai incide in minima parte: c'è un'ampia porzione "grigia" di elettorato per il quale il termine "sinistra" o "destra" non ha più alcun valore, per il quale la politica deve recuperare un gap morale prima di tutto e funzionale in secondo luogo.
Senza doversi più affidare in modo fideistico al "Partito" - come era inteso negli anni Settanta - senza poggiare in modo altrettanto messianico nell'Uomo della Provvidenza, ma cercando di capire come e con chi può davvero cambiare il modo di fare politica nel nostro Paese.
A cominciare dai nostri piccoli borghi. E sapendo che non è l'anti-politica a dover sconfiggere la mala-politica. Ma la Politica... con la P maiuscola.
In tutto questo la domanda di un elettore moderato dovrebbe essere: dov'è il centrodestra?
In Italia è un quesito al quale credo neppure le Primarie del 16 dicembre - se si faranno davvero - sapranno dare una risposta. I 6 o 7 attuali candidati sembrano più espressione di una disarmante diaspora che non di un ritrovato pluralismo - pronto a spegnersi non appena l'ex premier annuncerà come sembra, la sua ridiscesa in campo niente meno con l'antico vessillo di "Forza Italia" - rispetto al quale perfino "Forza Nuova" offre qualche spiraglio di freschezza in più.
A livello locale - che si parli di Palazzo Cesaroni o di Palazzo Pretorio a Gubbio - il quadro è stagnante se non addirittura sconfortante.
Ho sentito molti elettori di centrodestra confidare che andrebbero volentieri a crociare la casella di Matteo Renzi. E non per fare un dispetto al "nemico" o come accaduto altrove (Gualdo) per privilegiare il concorrente meno insidioso - visto che a livello nazionale tutto lascia presagire che chi vincerà le Primarie Pd sarà a primavera il Presidente del Consiglio...
L'incapacità della classe dirigente moderata di esprimere un politico che sappia catalizzare non l'appeal o il fascino, ma molto più semplicemente la fiducia è un fattore che dovrebbe allarmare le nomenclature di centrodestra, che invece sembrano già pronte ad azzuffarsi in un "tutti contro tutti" che alla fine rischia di non partorire nulla di costruttivo.
Un quadro che somiglia in modo preoccupante ad una contesa molto marginale - quella delle elezioni comunali di Gubbio del 2006 - quando per motivi che ancora non è chiaro conoscere nella loro interezza, furono addirittura quattro i candidati di centrodestra: con l'unico risultato di dividersi i "pochi" voti dell'area e favorire indirettamente i competitors del centrosinistra.
Sul piano nazionale è quello che si sta vedendo. Se poi un elettore va a cercare Renzi, non è solo Bersani che deve chiedersi perchè...
martedì 27 novembre 2012
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