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mercoledì 13 febbraio 2013

Ratzinger e quelle dimissioni, recitate in latino...

C'è un particolare che in pochi hanno sottolineato di questo 11 febbraio 2013.
Intanto un ennesimo numero 11. Che non crea angoscia e dramma come l'11 settembre, ma certo stupore e portata epocale, quella sì.
Un Papa che lascia il soglio del Vaticano non ha precedenti. E non era ipotizzabile neanche nei racconti fantastici di Tolkien.
Inutile rivangare le storie di Celestino V, risalire ad un 1200 che è due secoli prima della scoperta dell'America, quando il mondo conosciuto era quasi un terzo di quello attuale, i rapporti sociali e il vivere civile era poggiato su radici antropologiche imparagonabili. Per non parlare del fatto che il Pontefice, allora, era prima di tutto il capo di uno Stato, e poi anche (eventualmente) di una religione.

La portata di quanto Benedetto XVI ha deciso e farà da qui a fine mese, forse, non la capiremo prima di qualche anno. E sicuramente non prima di aver conosciuto il suo successore.

Il particolare che mi va di evidenziare, invece, riguarda un aspetto meramente comunicativo.
Si dirà che Benedetto XVI passerà alla storia, ormai, per queste dimissioni. Tra 100, 1000 anni, sarà ricordato forse solo per questo. Non è poco, se è vero che il destino gli aveva riservato di raccogliere un'eredità pesantissima e ingombrante come quella di Giovanni Paolo II, beatificato e santificato già a pochi mesi dalla sua dipartita.
Eppure, nell'epoca della comunicazione digitale, dei social network, che pure lui stesso aveva abbracciato da qualche settimana aprendo un account perfino su twitter, che pure lo avevano visto protagonista proprio a Gubbio di un'inedita cerimonia di accensione dell'Albero di Natale più grande del mondo, via tablet, a distanza, Joseph Ratzinger ha scelto un momento particolare e una veste particolare per annunciare la sua storia decisione: un'omelia al concistoro del lunedì, recitata in latino.
Ecco. La lingua latina. In fondo, la lingua dell'Europa, l'idioma della storia, prima che l'inglese diventasse the major.

Nessuno si è chiesto, perchè Papa Ratzinger abbia scelto espressamente di dichiarare in latino quelle frasi che così profondamente hanno segnato un solco, probabilmente, tra due ere geologiche del Vaticano.
In fondo, aveva maturato da tempo questo proposito (come confermato da sua fratello, in Germania). In fondo, poteva scegliere un'altra occasione, magari un'udienza generale come quella del mercoledì, per esternare questa sua scelta. O una frase dalla finestra dell'Angelus una domenica mattina.
Invece no, l'ha fatto nel luogo di culto, nel corso della liturgia, nella lingua che è della Chiesa. Da sempre.
In tutto questo mi sembra di scorgere dei segni tangibili del rigore ortodosso del personaggio ma anche del carattere e dell'eredità spirituale che il Pontefice intende lasciare a chi gli succederà. Una sorta di messaggio intestino al mondo (non solo Cattolico) che si prepara a salutare ritirandosi praticamente a vita monastica.

Il mondo sta progredendo con velocità pazzesche, la tecnologia sta accorciando tempi, modi, luoghi, dimensioni, arrivando perfino a distorcere la realtà stessa. Talmente appiattita nei segmenti infinitesimali in cui oggi riusciamo a parcellizzare tutto ciò che ci circonda, da far perdere di vista l'unità di misura.
Non tutto, però, può essere suddiviso con uno stesso parametro.
Può anche accadere, nel 2013, che un Papa si dimetta. Ma non può succedere con un post.


Non tutto può essere mercificato e speso sull'altare della comunicazione. In fondo, queste sue dichiarazioni che richiamano una radice antica e forma ai più incomprensibile (chi comprende ormai più il latino come lingua corrente?) sono in qualche modo "difese" e preservate: sono autentiche. Non saranno mai "materiale da vetrina", non saranno mai un'icona buona per un clic su un social network. Non diventeranno tormentoni commerciali ripetuti a memoria, come spesso avviene per le frasi memorabili di statisti immortali ("Anch'io sono un Berlinese" di Kennedy) o di personaggi cult della società (come il "siate folli, siate affamati" di Steve Jobs).
Tant'è che una sola corrispondente tra i tanti presenti (la Vaticanista dell'Ansa) ha percepito chiaramente il significato di quanto il Pontefice stesse dicendo (bruciando il resto dei colleghi del globo nel lancio della prima Agenzia che annunciava questo scoop secolare).
Del resto nessun freddo comunicato stampa ne avrebbe saputo tradurre l'intima partecipazione.

Ci sono luoghi, modi e tempi nei quali è opportuno procedere. Per fare le cose. E anche per annunciarle.
E' un po' come se Benedetto XVI abbia voluto svelare il suo animus nell'atto finale. Dopo 8 anni nei quali ha siglato un Pontificato inevitabilmente differente rispetto al suo precedessore - di cui era in ogni caso il teologo di riferimento - ma che ha voluto, come griffare, con questo epilogo sorprendente.
Sarà lui, in fondo, l'unico erede di Pietro che potrà salutare - sapendo di farlo - per l'ultima volta da Pontefice i propri fedeli.
Sarà lui, l'unico Papa che potrà guardare negli occhi il suo successore. Sarà certamente lui ad uscire di scena, in punta di piedi e in silenzio, senza correre il rischio di diventare una "assenza ingombrante" per chi - si chiami Benedetto XVII, Giovanni Paolo III o Paolo VII - sarà al suo posto prima ancora che arrivi Pasqua: e dovrà raccogliere un'eredità che non sarà, forse, immediatamente pesante come quella che Ratzinger si è ritrovato a sostenere, ma che con il tempo rivelerà tutta la sua complessità di sfide.
Che la Chiesa del III Millennio è chiamata ad affrontare: nel pieno delle proprie energie (energie che Benedetto non riteneva di avere più a sufficienza) e nella piena consapevolezza della propria coerenza e della necessità di "tenere il passo" con il Millennio stesso.


Essere Papa o Fare il Papa? 
Sarà infine questo, l'ultimo dilemma che il prossimo Pontefice dovrà sciogliere. Joseph Ratzinger la sua risposta l'ha data. Uscendo di scena prima che il destino lo decidesse.
E pronunciandolo con il verbo che la Chiesa ha da sempre declinato. Il latino...

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