Il mio puzzle, i miei pezzi.Di ieri e l'altro ieri.

mercoledì 1 maggio 2013

Un 1 maggio contro tutti gli "ismi"... anche quelli nascosti dietro presunte libertà...

Quest'anno si è ironizzato anche sul 1 maggio. Se fino all'anno scorso quelle sfilate con tanto di bandiere al vento avevano un che di nostalgico e folcloristico, con la crisi imperante è imperversata la domanda: "Scusate ma cosa si festeggia?". O peggio ancora, c'è chi l'ha definita, la Festa dei Disoccupati. Non è di primo maggio che voglio parlare, anche se un po' è proprio la giornata di festa che mi ha ispirato questa riflessione.
Sì perché spesso dietro slogan e liturgie stanche e ripetitive ci si nasconde. E la bandiera della libertà, talvolta, diventa il tabernacolo dentro al quale si celano soprusi e ipocrisie.
Tre casi bastano per tutti, a dimostrare quanto gli "ismi" - di qualunque colore e tipologia essi vivano - rappresentano ancora oggi una minaccia all'intelligenza e alla libertà, quella vera, di pensiero.

Caso numero 1) Nella serata finale del Festival Internazionale del Giornalismo la blogger cubana Yoani Sanchez è stata aggredita (per fortuna solo verbalmente) da un gruppo di filocastristi perugini a cui non piaceva che una tizia venuta da Cuba raccontasse che il regime non è poi così idilliaco come alcune associazioni di nostalgici vorrebbe farci credere. E' dovuta intervenire pure la Polizia per consentire all'organizzatrice del Festival, la collega Arianna Ciccone, di sedare gli animi e perfino di tornare a casa. Tutto questo, ovviamente, in nome della libertà, sbandierata sotto l'icona di Che Guevara, uno a cui credo non sarebbe piaciuta l'idea che non si possa manifestare un pensiero diverso da quello del proprio regime.

"Mi piacerebbe che si potesse protestare così anche nel mio Paese" è stata la replica esemplare di Yoani Sanchez a chi la insultava e le dava, nel migliore dei casi, della spia della Cia (ma si è sentito anche di peggio). Un attonito Mario Calabresi ha faticato a mediare, cercando di mantenere l'aplomb sufficiente per condurre l'intervista. Certo qualche domanda su questa manifestazione di intolleranza "allo stato brado" se la deve pure essere fatta. Peccato che ancora una volta Perugia non abbia dato bella mostra di sè. Il sindaco Boccali si preoccupa (e querela) chi osa definire il nostro capoluogo "un supermarket della droga" (lo ha fatto anche Saviano, proprio al Festival). Eppure la cultura di questa comunità dovrebbe sentirsi ancor più offesa da queste manifestazioni, ottuse e totalitarie, che appartengono a epoche, latitudini e costumi lontani anni luce dal presente. E da noi. "Chi tocca Cuba muore" verrebbe da parafrasare. Il sorriso e la serenità sul volto della Sanchez sono l'unico motivo di conforto dopo una serata così allucinante.


Caso numero 2) Il 1 maggio viene escluso - dopo essere stato invitato - dal concertone di Roma, abitualmente palcoscenico affidato a messaggi e interpreti, diciamo così, progressisti, il rapper Fabri Fibra. Motivo, la triplice sindacale ritiene inappropriata la sua presenza, assecondando una lamentela dell'associazione DIRE (Donne in rete contro la violenza) per alcuni testi di canzoni che qualche anno fa avevano enfatizzato, per usare un eufemismo, il rapporto carnale-violento uomo-donna. Si scomoda pure Jovanotti per definire questa esclusione degna del "Minculpop" (il ministero della cultura popolare nel Ventennio Fascista).
La notizia è passata in sordina, se l'avete notata è stata diramata per lo più su internet (dove non a caso Fabri Fibra è maggiormente gettonato). Ma le tv e i giornali, quando si tratta di "bacchettare" i sindacati, ci pensano due volte. A dimostrazione che non solo esistono i "sepolcri imbiancati" di dimensioni gigantesche - ovvero quei soggetti che oggi sfilavano per la giustizia e il lavoro, ma che si arrogano il diritto di dividere tra buoni e cattivi anche il palcoscenico - ma anche le "zone d'ombra" sconosciute nell'informazione. Quei "poteri forti" tante volte acclamati e additati, che assumono però le sembianze insospettabili di coloro che dovrebbero essere, per tutti, le "sentinelle dei diritti".
Fossi Fabri Fibra risponderei con una canzone: un rap dedicato a Cgil-Cisl-Uil. Un motivo tipo "Tranne te" dedicato a chi si erge sul piedistallo dell'uguaglianza. Ma poi, quando si tratta di immergersi nel placido liquido della demagogia, non guardano in faccia a nessuno. Prima o poi, bisognerà anche scoperchiare la pentola di questa "casta"... Se qualcuno avrà mai il coraggio di farlo...

Caso numero 3) Un senatore del "Cinque Stelle" viene espulso dal movimento per la sua eccessiva esposizione mediatica. Troppe comparsate in tv, e per Marino Mastrangeli il destino è sembrato ribaltarsi contro, un po' alla Robespierre, storico fautore della ghigliottina come metodo di soluzione giustizialista nell'epoca della Rivoluzione francese, finito a sua volta per essere decapitato quando la rivoluzione ha preso una piega incontrollabile. Non conosco questo Mastrangeli, ma il solo fatto di essere stato cacciato con metodi che ricordano la "democrazia" pseudo-cambogiana, me lo rende epidermicamente empatico.

Il caso fa riflettere, perchè quel movimento che si presentava come il più limpido, trasparente e felicemente rivoluzionario, sull'onda della naturale simpatia per Grillo e delle indiscutibili istanze per le quali alzava la voce, si sta rivelando una macchina spietata di "sottomissione al consenso via clic". Una sorta di assolutismo della social-networkcrazia, per il quale se finisci nel tritacarne del sistema, basta un post sul blog del guru, un pollice verso (stile Nerone al Colosseo) per finire fatalmente catapultati dall'altare alla polvere. Sulle contraddizioni che in poche settimane il Movimento di Grillo ha già manifestato ci sarà modo di tornare. Ma questa storia è emblematica di come molta strada debba ancora fare chi si propone come alternativa politica e culturale alla Prima e Seconda Repubblica. Ma non riesce ancora a spiegare perchè ogni esponente del Cinque Stelle debba sistematicamente sottrarsi al confronto con altri politici (vietato da statuto) o perchè l'eccessivo proporsi sul piccolo schermo o sui media in genere debba diventare addirittura rischioso per la propria "sopravvivenza" in seno al movimento. Le conduttrici telecomandate con l'auricolare erano materia cara a Boncompagni. A Montecitorio per vedere all'opera semplici "pianisti" e alzatori di mano non c'era bisogno di uno tsunami.

Finiamo il 1 maggio con un sorriso. Ho pescato per caso questa notizia in rete: in Corea del Nord il regime ha autorizzato solo 18 tipi di taglio capelli per le donne del paese. Insomma anche sul look le fedeli al giovane Kim Jong-Un dovranno limitare la propria fantasia. In nome dello Stato, che tutto può e tutto vede, anche in fatto di cute.
Chissà se qualche dissidente nordcoerana dovesse arrivare dalle nostre parti e rischiasse quello che è accaduto alla Yoani Sanchez.
Potremmo sempre rivolgerci al'asso-acconciatori... se non altro per solidarietà...

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