Le buone notizie non vengono da sole. Per una volta. Soprattutto se poi riguardano la sanità, segmento della vita quotidiana assai delicato: perché se ne parla e se ne scrive soprattutto per ciò che non funziona (e resta tanto); perché nel privato se ne viene a contatto solo nelle situazioni di emergenza (diretta o indiretta, in ogni caso mai augurabile).
La buona notizia l’apprendo oggi, con una delle tante e-mail che imperversano nel mio Blackberry (faccio pubblicità gratuita perché vi assicuro che l’azienda non mi paga per questa citazione): l’associazione Eugubina per la Lotta contro il Cancro ha donato all’ospedale di Gubbio-Gualdo (la denominazione non è ancora ufficiale, ma pare gradita a molti politici di ambo i fronti del Chiascio, rispetto all’appellativo Branca) due cistoscopi flessibili a disposizione del reparto di urologia.
Che cosa sia esattamente il cistoscopio flessibile – anzi esattamente uretrocistoscopio digitale flessibile - oltre ad una specie di scioglilingua, ho potuto scoprirlo grazie ad un amico che non c’è più, ma che oggi sarebbe ancora più felice di me leggendo questa notizia.
Non è tanto e solo il valore materiale della donazione (circa 15 mila euro) quanto la storia che sta alle spalle di questa iniziativa, che mi riempie infatti di gioia e soddisfazione. Non senza qualche immancabile interrogativo (che poi aggiungerò in chiosa).
Per farla semplice – anzi, per spiegarla come l’ho capita io, che fortunatamente non ho dovuto mai utilizzarlo – il cistoscopio è lo strumento usato per la diagnosi delle neoplasie alla vescica, patologia tristemente diffusa soprattutto per gli over 50 (specie se accaniti fumatori): l’ospedale di Gubbio ne aveva in dotazione un paio, ma di quelli rigidi. Si tratta di apparecchiature sofisticate ma piuttosto “invasive” (considerando soprattutto “dove” il paziente deve essere invaso) e abbastanza anacronistiche rispetto alle soluzioni tecnologiche più moderne. Che si chiamano, appunto, cistoscopio flessibile digitale, lo stesso strumento, ma con una sonda leggerissima, flessibile e dunque – in fase di utilizzo e “inserimento” – decisamente meno dolorosa e invasiva.
Per ogni approfondimento, molto meglio di me potrebbe parlarne, ad esempio, l’amico urologo Federico Farneti, che dal palco del cinema Astra spiegò in modo esaudiente problematiche e terapie legate al tumore alla vescica.
Tecnicamente la terapia la chiamano follow up oncologico – una denominazione che definirei anglodeterrente, cioè fatta apposta per non far capire ai pazienti cosa li attende: di fatto, con il cistoscopio tradizionale solo gli sventurati diagnosticati osavano avvicinarsi allo strumento (costretti dal fato), ora con il modello più avanzato sarà possibile parlare finalmente anche di prevenzione (ovvero l’unica terapia finora più sicura per “prendere” in tempo il mostro e cavarsela). Ogni individuo con più di 50 anni, fumatore, potrebbe darsi un’occhiata periodica, senza temere alcun trauma, ma anzi avendo la serena certezza di un percorso lungimirante.
La storia che sta dietro a quella che oggi è diventata una cerimonia con (giuste) interviste e riconoscimenti, è quella di un signore, militare aeronautico in pensione, con la passione per le Frecce Tricolori (mi ha regalato un modellino che ancora conservo gelosamente a casa, lontano dalle "mani distruttive" dei figli) notizie e un “debole” per la redazione di Trg, che amava frequentare spesso, almeno finché la salute glielo concesse: un anno fa – avendo conosciuto suo malgrado le difficoltà operative dello strumento in questione – si inventò una raccolta fondi per dotare l’ospedale di Branca di un uretrocistoscopio flessibile a fibre ottiche: venne da me a parlarmi di questo progetto, non sapendo come poterlo divulgare, ma i suoi racconti sono bastati per convincermi che anche un sassolino nello stagno valeva la pena lanciarlo. Uno strumento che costava poco più di 5.000 euro ma che avrebbe lenito decisamente le sofferenze di tanti pazienti, oltre ad impedire che altri lo divenissero con una accurata e capillare opera di informazione e prevenzione.
Mi ripeteva: “Per quel poco che mi resta da campare, almeno vorrei fare qualcosa per gli altri”, e gli rispondevo che non doveva dire così, che lui avrebbe reagito, ne sarebbe uscito, saremmo andati a festeggiare insieme e altre frasi di circostanza che si dicono, poco utilmente, in questi casi per farsi e farci coraggio.
Il sasso è stato lanciato: un’intervista al primario dell’ospedale eugubino, il coinvolgimento di un’associazione (la Crisalide) che ha sposato fin dalla prim’ora la causa (non poteva farlo in prima e unica persona la nostra emittente, essendo azienda privata), l’avvio di un tam tam mediatico che sensibilizzasse un pochino l’opinione pubblica. Non è stato facile – neanche il nome dello strumento, tanto meno la patologia aiutavano – ma qualcosa si è mosso.
Ad esempio, il Comitato territoriale n.1 – allora guidato dall’attuale assessore alla cultura, Bellucci – ha abbracciato l’iniziativa e ha promosso una serata musicale per - raccogliere fondi. L’AELC – che da quasi 20 anni opera sul territorio in modo altamente encomiabile - a sua volta ha raccolto, per così dire, il testimone e l’ha portato felicemente al traguardo.
Un po’ come la fiaccola olimpica: un passaggio di consegne, magari alla fine l’ultimo tedoforo è quello che si becca qualche foto in più, ma la gratificazione, per aver sorretto quel simbolo universale, è di tutti.
Credo che oggi Giancarlo Nardelli – il signore che lanciò il sasso nello stagno – stia sorridendo, con quell’espressione divertita e un po’ ironica che lo ritrae anche nella foto che ho visto al cimitero.
A dimostrazione che anche un piccolo sasso, se c’è spirito, volontà e dedizione, può contribuire a fare tanto. Perfino in quel ginepraio burocratico-amministrativo che è la sanità, la nostra sanità.
Che come noto, pesa per il 70% sul bilancio dell’intera Regione, ma per la quale è necessario come il pane che esistano associazioni di volontari – e personaggi intraprendenti come Giancarlo, pronti a lanciare sassi nello stagno – per poter dotare un nosocomio definito da tutti all’avanguardia, di un’apparecchiatura, giudicata da tutti indispensabile, che costa meno di 10.000 euro.
Meno di qualche stipendio mensile elargito a top manager o qualche primario (perdonatemi, sono caduto nel qualunquismo, ma quando ce vo… ce vo…).
Prendiamola così. L’unione fa la forza. E facciamoci forza anche a resistere al facile istinto qualunquista, confidando nella stretta sinergia di pubblico e volontariato (magari con le risorse anche di qualche indispendabile fondazione bancaria) perché i nostri ospedali, votati ormai al principio assoluto della razionalizzazione (sembra che anche al giuramento di Ippocrate verranno tagliate un paio di righe…) possano avere oltre che solide mura, anche solidissime professionalità e strumenti adeguati.
A proposito, l’altra bella notizia – che non viene appunto da sola – è che dal 1 luglio sarà operativa un’ambulanza (anche se non medicalizzata, anche se solo H12) per il centro storico di Gubbio, di stanza all’ex ospedale: un’altra battaglia popolare, vinta sulla spinta di 11 mila firme, su iniziativa del solito attivo Comitato territoriale, per schiodare quella che veniva spiegata da vertici Asl e Assessorato alla Sanità come un’impossibile opzione per oggettiva carenza di fondi.
Peccato che a supportare la tesi non vi fosse la realtà, fatta di tre ospedali nel raggio di appena 50 km (Gubbio-Gualdo, C.Castello e la fatidica Umbertide, guarda caso città nativa dell’assessore portatore della tesi) e di risorse probabilmente ridotte ma sicuramente mal distribuite (un po’ come avviene nella sanità, quasi dappertutto).
E’ cambiato il Direttore generale Asl, l’assessore alla Sanità si è polverizzato (l’umbertidese dal quadro politico, il successore folignate per oggettive esigenze di indagine, causa Sanitopoli) e guarda caso il problema è stato risolto: quando si dice, un passo indietro della politica… Uno avanti, della sanità…
mercoledì 29 giugno 2011
lunedì 27 giugno 2011
In attesa di nuovi arrivi, due conferme... non da poco (di questi tempi)...
Talvolta sono le notizie che passano sotto silenzio quelle destinate a fare la differenza. Non è un principio assoluto dell’informazione. Ma accade spesso.
Un po’ perché, a furia di cercarla la notizia, capita che passi sotto il naso e neppure ci si accorge. O più frequentemente, qualcuno “tira il gruppo” verso notizie-non notizie, che poi quando la notizia c’è sul serio, il gruppo è distratto.
Tutto questo per parlare di calcio e di Gubbio. Strano, ma è proprio quello che è accaduto in questi giorni. Tanti nomi, tante speranze, qualche fantasia, parecchie disillusioni. Il mercato è lungo e non bisogna avere fretta – insegnano da un paio di stagioni in tandem Giammarioli-Simoni. E noi ci fidiamo.
Ma per ora le notizie sono due, e non sono secondarie: la prima è il rinnovo contrattuale del capitano, Alessandro Sandreani. La seconda è il riscatto, un po’ a sorpresa, di Alfredo Donnarumma, dal Catania, uno degli attaccanti chiave del Gubbio dei miracoli 2010-2011.
A distanza di un paio di centinaia di chilometri – l’impressione, dunque, può essere condizionata da questo – ho avuto la sensazione che le due notizie siano passate quasi inosservate. Troppo concentrati sui Sau e Burrai – il cui riscatto inaspettato da parte del Foggia li rende praticamente irraggiungibili – sul nuovo obiettivo offensivo Ciofani, sui tanti giovani che anche quest’anno, da diverse Primavere, dovrebbero venire a vestire il rossoblù. E ancora – diciamo la verità – qualche ferita rimasta aperta dopo l’addio (non indolore) di Vincenzo Torrente, che nell’ultima intervista a TRG (proprio qualche giorno dopo la presentazione a Bari) non ha nascosto rammarico per come “ci si è lasciati”, facendo chiaramente intendere che a suo avviso l’As Gubbio non avrebbe fatto poi granchè per confermarlo. Questione di pecunia, certo, ma forse non solo di quella.
Chiariamo subito un punto: lungi da noi – e spero sia così anche per i tifosi – una possibile sindrome da “moglie abbandonata”. Torrente ha fatto la sua scelta, la società la propria. Forse tutta la verità (e le cifre relative) non si sapranno mai, molto più probabilmente di verità ne continueranno a circolare due (quella dell’ex tecnico e quella della dirigenza rossoblù): non invocheremo lo spirito del giudice Santi Licheri per scoprire chi ha ragione. Voltiamo pagina e in bocca al lupo, piuttosto, a Fabio Pecchia (che, notizia del giorno, sarà affiancato dal collega Antonio Porta – in tandem due anni fa alla guida del Foggia, esperienza non irresistibile, ma questo conta relativamente).
Le due vere notizie, in realtà, ci riportano proprio al Gubbio vittorioso della stagione scorsa – quello che i tifosi potranno ricordare ancora meglio tra qualche settimana, con il nuovo doppio-dvd “Eravamo in 5.000 a gridare serie B” (così faccio anche lo spot auto promozionale, sennò il blog a che serve?).
Il capitano c’è. Si sapeva, o meglio, si dava per scontato. Ma forse è il caso di cominciare a mettersi in testa che a queste latitudini (serie B) non va dato niente per assodato. E non per scarsa serietà dei diretti interessati (nel caso di Sandreani, poi, sarebbe una bestemmia) ma perché le sirene possono spuntare ovunque. Che poi sotto la coda nascondano qualcos’altro (leggi contratti faraonici, ma difficoltà a onorarli), questo è un altro discorso.
Dicevamo, il capitano c’è. E la certezza è di quelle rassicuranti: perché con un nuovo tecnico (per altro, alla prima vera esperienza da inizio stagione in una categoria pesante), la presenza di Sandreani nello spogliatoio e in mezzo al campo funge quasi da garanzia bancaria. Meglio di una fideiussione.
Troppe ne ha viste (e sentite) il Capitano in questi 10 anni rossoblù per non essere in grado di consigliare al meglio, gestire serenamente e in modo lungimirante il rapporto con il mister e con i nuovi arrivati, accompagnare quasi per mano la squadra a questa nuova avventura. Che ci sia tutti lo presumevano ma ora c’è nero su bianco.
E si parla di adeguamento contrattuale: per fortuna – aggiungiamo noi – visto che proprio questa è stato la nota dolens in altre vicende (non solo quella del mister) per le quali o le strade si sono divise o l’empasse è totale (caso Borghese, al quale prossimamente dedicheremo a parte un’apposita riflessione).
Se la lieta novella si chiama dunque Sandreani – e se per ufficializzarla l’ufficio stampa ha diramato pure un comunicato – questo significa però che nel silenzio tutte le altre situazioni (dei presunti confermati) debbono essere ancora sistemate: Boisfer, Briganti, Bartolucci, Farina e il già citato Borghese – i contrattualizzati – e insieme a loro i prestiti aspiranti confermati – Caracciolo, Raggio Garibaldi, Daud.
Qualcuno dirà che prima del 1 luglio tanto non si può formalizzare nulla. Speriamo che il motivo sia solo questo.
E accanto ci mettiamo un’altra speranza: che l’ossatura dei cosiddetti “vecchietti” (come li chiama Giammarioli) venga confermata, non solo per le prestazioni in campo, ma proprio per la tenuta di quello spogliatoio che – a nostro modesto avviso – custodisce i veri segreti dei successi di questo gruppo.
Accanto, ovviamente, alle evoluzioni sul tappeto verde, per le quali si attende all’appello il nuovo tecnico. Pecchia ha dichiarato di non avere uno schema di base, ma la squadra che eredita – o che speriamo, erediti in un gruppo più consolidato possibile – giocava a memoria un 4-3-3 fatto di corsa, distanze azzerate, pressing e ripartenze palla a terra.
Schemi per i quali un giocatore come Alfredo Donnarumma era semplicemente fondamentale: lo si è capito parzialmente quando era in campo (segnando 5 gol ma propiziandone molti altri), lo si è capito molto meglio quando in campo non c’era più (causa strappo muscolare) e il Gubbio ha faticato maledettamente a creare palle gol (salvandosi in corner, o meglio sui calci piazzati di Daud).
Il buon Alfredo è giocatore che tecnicamente, tatticamente e soprattutto caratterialmente può dare tanto, anche in serie B.
Non sappiamo quali nomi comporranno l’attacco rossoblù (stando ai rumors, dovrebbe restare anche Daud): non ci sorprenderebbe scoprire che chiunque arrivi, alla fine, Donnarumma la sua maglia da titolare riuscirà a ritagliarsela spesso, molto spesso. Con una motivazione in più: esserci per quanto la fortuna non gli ha concesso quest’anno, da marzo in poi. Lasciandolo “appeso” a quel rigore di Reggio Emilia, ultimo acuto di una stagione eccellente.
In attesa di novità – vere – per ora restiamo a queste due notizie: non sono servite per farci copertina, forse. Ma sono due ottime notizie. Per cominciare…
sabato 25 giugno 2011
A luglio il doppio dvd "Eravamo in 5.000 a gridare serie B!"
“Eravamo in 5.000 a gridare serie B!”. Un doppio dvd per celebrare una stagione memorabile per il calcio eugubino e in generale per lo sport umbro.
A luglio la presentazione della nuova produzione firmata TRG a cura di Giacomo Marinelli Andreoli, con la prefazione di Walter Sabatini - direttore sportivo della Roma, Silvano Ramaccioni - team manager del Milan, Marco Giampaolo - allenatore del Cesena.
La promozione diretta del Gubbio nella serie cadetta – a distanza di 64 anni dalla prima storica partecipazione (allora in una B a girone doppio) – rappresenta una sorpresa, un’impresa e al tempo stesso una rinascita.
Il calcio umbro torna a calcare la seconda serie per eccellenza del football nazionale a distanza di 6 anni, ma la protagonista non si chiama più né Perugia né Ternana. Il Gubbio ha i panni dell’outsider ma nella stagione che segna il debutto in C1 dei rossoblù, dopo l’impresa dei play off del giugno 2010 e dello spareggio a San Marino (apparentemente l’apice di un ciclo per una piazza come quella eugubina), squadre blasonate come Verona, Salernitana, Alessandria, Reggiana, Cremonese o Spal debbono inchinarsi. La creatura del trio Simoni-Giammarioli-Torrente compie l’inaspettato. Ma il trionfo va al di là di ogni merito indiscusso guadagnato sul campo.
In questo doppio dvd, il racconto giornata per giornata di una cavalcata emozionante e progressiva, carica di passione, colore e calore di una tifoseria unica: una marcia che ha vissuto delle incertezze iniziali, della graduale consapevolezza, dello scatto bruciante a cavallo tra girone di andata e ritorno (13 vittorie in 14 partite) e del saggio amministrare conclusivo, culminato nella indimenticabile domenica 8 maggio, che consegna con la vittoria sulla Paganese, la matematica conquista del primo posto, davanti a 5.000 spettatori (da qui il titolo dell’edizione, che richiama anche il libro-dvd dello scorso anno, sempre edito da Trg).
Due dvd nei quali riassaporare l’ebbrezza di questa impresa con tutti i servizi di TRG (emittente esclusivista dei diritti delle gare del Gubbio calcio), relativi al campionato 2010-2011.
Inoltre le clip, con le immagini dei tifosi rossoblù, la sintesi del trionfo “Un anno di emozioni” (con brani di telecronache tratte sempre da TRG), il racconto della giornata clou dell’8 maggio, la simpatia dei tifosi con i più curiosi e simpatici sms alla trasmissione “Fuorigioco” .
Tutto questo in una produzione che, in poco più di 180’, si propone di far rivivere le emozioni di un anno unico per i tifosi eugubini. Per la società, la squadra e anche per la città di Gubbio.
A luglio la presentazione della nuova produzione firmata TRG a cura di Giacomo Marinelli Andreoli, con la prefazione di Walter Sabatini - direttore sportivo della Roma, Silvano Ramaccioni - team manager del Milan, Marco Giampaolo - allenatore del Cesena.
La promozione diretta del Gubbio nella serie cadetta – a distanza di 64 anni dalla prima storica partecipazione (allora in una B a girone doppio) – rappresenta una sorpresa, un’impresa e al tempo stesso una rinascita.
Il calcio umbro torna a calcare la seconda serie per eccellenza del football nazionale a distanza di 6 anni, ma la protagonista non si chiama più né Perugia né Ternana. Il Gubbio ha i panni dell’outsider ma nella stagione che segna il debutto in C1 dei rossoblù, dopo l’impresa dei play off del giugno 2010 e dello spareggio a San Marino (apparentemente l’apice di un ciclo per una piazza come quella eugubina), squadre blasonate come Verona, Salernitana, Alessandria, Reggiana, Cremonese o Spal debbono inchinarsi. La creatura del trio Simoni-Giammarioli-Torrente compie l’inaspettato. Ma il trionfo va al di là di ogni merito indiscusso guadagnato sul campo.
In questo doppio dvd, il racconto giornata per giornata di una cavalcata emozionante e progressiva, carica di passione, colore e calore di una tifoseria unica: una marcia che ha vissuto delle incertezze iniziali, della graduale consapevolezza, dello scatto bruciante a cavallo tra girone di andata e ritorno (13 vittorie in 14 partite) e del saggio amministrare conclusivo, culminato nella indimenticabile domenica 8 maggio, che consegna con la vittoria sulla Paganese, la matematica conquista del primo posto, davanti a 5.000 spettatori (da qui il titolo dell’edizione, che richiama anche il libro-dvd dello scorso anno, sempre edito da Trg).
Due dvd nei quali riassaporare l’ebbrezza di questa impresa con tutti i servizi di TRG (emittente esclusivista dei diritti delle gare del Gubbio calcio), relativi al campionato 2010-2011.
Inoltre le clip, con le immagini dei tifosi rossoblù, la sintesi del trionfo “Un anno di emozioni” (con brani di telecronache tratte sempre da TRG), il racconto della giornata clou dell’8 maggio, la simpatia dei tifosi con i più curiosi e simpatici sms alla trasmissione “Fuorigioco” .
Tutto questo in una produzione che, in poco più di 180’, si propone di far rivivere le emozioni di un anno unico per i tifosi eugubini. Per la società, la squadra e anche per la città di Gubbio.
giovedì 23 giugno 2011
Il tramonto di Alba, una frase di Jerry Calà e il colore di giugno...
“L’estate non è una stagione. E’ uno stato d’animo”.
Detta così sembrerebbe di un filosofo. Ma è solo la frase di commiato di Jerry Calà da uno dei suoi tanti spettacoli con musica vintage e aria nostalgica di chi ha saputo bersi davvero gli anni Ottanta – come recitava lo spot del Ramazzotti. Ed oggi riesce ancora a capitalizzare, tra un “Maracaibo” e un “Tarzan boy”, l’atmosfera di quell’era, tutta spot, ballerine e pailletes.
L’estate è entrata da qualche giorno. Ma se non fosse l’almanacco (radiofonico o televisivo, per chi non sta in vacanza e non riesce a staccare dalle abitudini davanti al tubo catodico) non ce ne saremmo accorti. Il caldo c’era già.
Pure per chi, come me, in vacanza ci sta davvero – anche se di staccare la spina (specie quella telefonica) neanche a pensarci.
E allora tra qualche ritocco al palinsesto venturo, qualche articolo a distanza, qualche contratto pubblicitario in fieri, l’aria quieta e sonnolenta di Alba Adriatica suggerisce lievi reminescenze. Che purtroppo di quieto hanno ben poco.
Intanto mentre scrivo si è smarrito il piccolo Alan: lo dice l’altoparlante della spiaggia, a due passi dal terrazzo da dove posso assaporare una vista sul mare straordinaria (la foto non è di quest’anno, ma vi assicuro che non è cambiato nulla: dal balcone il tramonto è proprio così…).
Le vacanze da queste parti valgono la pena per questa terrazza naturale sull’Adriatico (vedi foto in alto) e per la pista ciclabile sottostante (la passeggiata Alba-Giulianova è nella top ten delle cose che preferisco, l'ho fatta anche stamattina, rigenerante)… E anche perché non rischi di incontrare qualcuno che ti chieda di elezioni comunali, Ceri o serie B. Per un paio di settimane, almeno.
Finchè non squilla il telefono e allora…
L’idillio visivo cozza ben presto con questo messaggio, nudo e crudo, gracidante ansia: si è smarrito il piccolo Alan, indossa un costumino bianco con scritta blu. Non vorrei mai trovarmi nei panni dei suoi genitori. Ho perso per mezz’ora il mio Giovanni il giorno dei ceri piccoli, ed è stato panico puro (non che temessi che non ritrovasse la strada di casa, ma in piazza Grande in vista dell’alzata uno teme che può sempre succedere di tutto, e almeno per qualche altro anno sto più tranquillo ad averlo con me).
Giugno, poi, è stato sempre un mese un po' grigio. Non so perché. O forse lo so, ma preferisco non pensarci. Ciclicamente ho dovuto fare i conti con qualche problema. Ci sono anche stati giorni felici, carichi di emozioni. Ma di solito la memoria ragiona un po’ come le pagine di cronaca: prima la nera, poi la rosa, infine lo sport.
Anche qui è arrivata, inevitabile, l’eco della tragedia di Gubbio: di un sabato sera squarciato dall’assurdità di un dramma, reso ancora più pesante dalla giovane età della vittima. “Fortuna che non c’eri” m’ha bisbigliato qualcuno per telefono, nell’ennesima ricostruzione di quanto accaduto.
E invece mi accorgo che a distanza di 200 km il non essere spettatore di qualcosa (pur dovendo in qualche modo verificare cosa ne fosse scritto di quel qualcosa) – soprattutto se poi questo qualcosa ti angoscia e ti avvilisce – è forse peggio: nel senso di impotenza comune, che avvolge vicende come questa, pesa ulteriormente il senso di inutilità dello “stare in vacanza” (come se stando a Gubbio, si potesse essere utili a qualcosa purtroppo di ineluttabile).
Lontano non è meglio.
Forse perché la distanza – almeno in apparenza – attutisce in parte i colpi. Se non vedi un manifesto, non leggi un giornale o vedi un tg, se non ne parli con nessuno… Finisci quasi per illuderti che non sia successo… Anche se sai che non è così…
Senti il rumore di quanto è avvenuto, ma non hai l’esatta percezione della sua enormità.
Un po’ come quando, nell’84, sfollati dopo il terremoto nella casetta di campagna, sulla Madonna della Cima (un trilocale ad un solo piano in cemento armato, praticamente un bunker, nel quale eravamo appollaiati in una decina) non arrivava neppure una scossa dello sciame sismico che ogni terremoto si porta dietro (tutt’al più ci informava la radio): ma sentivamo a distanza una specie di ululato della terra. Era l’eco delle scosse, un tuono che seguiva il lampo della faglia che altrove si muoveva. Sapevamo cos’era, anche se in casa tutto era immobile. E sapevamo cosa provava chi si trovava ancora a Gubbio…
Di Riccardo ho un ricordo limpido. Pur non conoscendolo bene, ci salutavamo. E mi colpiva – otre che un po’ farmi imbarazzare – il fatto che mi salutasse dandomi del “lei”. Rivelando un’educazione e un garbo non sempre materia prima quando hai l’esuberanza dei 19 anni. Ci eravamo conosciuti ad una cena – credo del Basket Gubbio o forse degli sbandieratori (lui era tamburino), ma credo più la prima visto che c’era il padre – da cui si era dovuto assentare prima del dolce, perché doveva andare a studiare per la maturità. Mi è sempre parso un ragazzo di quelli per i quali non servono aggettivi: a posto. Tranquillo, sereno e affabile come il sorriso che spesso gli vedevo impresso.
Non so perché, ma ho pensato spesso che avrebbe fatto il giornalista: in questi giorni ho saputo che studiava giurisprudenza. E che a dargli l’ultimo saluto erano in oltre un migliaio di persone. Amici, coetanei, conoscenti. E un milione di perchè.
Ogni estate porta con sé un lutto. Non è un modo dire – anche se lo si sente dire più o meno ogni estate. Ognuno di noi lo sa. Sarà che con questo “refrain” ci sono cresciuto, per un lutto familiare di quando ancora ero sul passeggino (agosto 1972), una storia triste e dolorosa che ovviamente non ricordo, ma di cui ho sentito parlare migliaia di volte come se l’avessi vista con i miei occhi.
E ciclicamente l’estate porta con sé qualcosa di pesante, qualche storia, qualche vita, da rimpiangere: ferite vistose, patite più o meno direttamente, che lasciano sempre e comunque cicatrici profonde. E tante lacrime. Tanti, troppi perché…
Da qualche giorno è estate. Ma l’estate non è una stagione, è uno stato d’animo.
Già, è proprio così…
Detta così sembrerebbe di un filosofo. Ma è solo la frase di commiato di Jerry Calà da uno dei suoi tanti spettacoli con musica vintage e aria nostalgica di chi ha saputo bersi davvero gli anni Ottanta – come recitava lo spot del Ramazzotti. Ed oggi riesce ancora a capitalizzare, tra un “Maracaibo” e un “Tarzan boy”, l’atmosfera di quell’era, tutta spot, ballerine e pailletes.
L’estate è entrata da qualche giorno. Ma se non fosse l’almanacco (radiofonico o televisivo, per chi non sta in vacanza e non riesce a staccare dalle abitudini davanti al tubo catodico) non ce ne saremmo accorti. Il caldo c’era già.
Pure per chi, come me, in vacanza ci sta davvero – anche se di staccare la spina (specie quella telefonica) neanche a pensarci.
E allora tra qualche ritocco al palinsesto venturo, qualche articolo a distanza, qualche contratto pubblicitario in fieri, l’aria quieta e sonnolenta di Alba Adriatica suggerisce lievi reminescenze. Che purtroppo di quieto hanno ben poco.
Intanto mentre scrivo si è smarrito il piccolo Alan: lo dice l’altoparlante della spiaggia, a due passi dal terrazzo da dove posso assaporare una vista sul mare straordinaria (la foto non è di quest’anno, ma vi assicuro che non è cambiato nulla: dal balcone il tramonto è proprio così…).
Le vacanze da queste parti valgono la pena per questa terrazza naturale sull’Adriatico (vedi foto in alto) e per la pista ciclabile sottostante (la passeggiata Alba-Giulianova è nella top ten delle cose che preferisco, l'ho fatta anche stamattina, rigenerante)… E anche perché non rischi di incontrare qualcuno che ti chieda di elezioni comunali, Ceri o serie B. Per un paio di settimane, almeno.
Finchè non squilla il telefono e allora…
L’idillio visivo cozza ben presto con questo messaggio, nudo e crudo, gracidante ansia: si è smarrito il piccolo Alan, indossa un costumino bianco con scritta blu. Non vorrei mai trovarmi nei panni dei suoi genitori. Ho perso per mezz’ora il mio Giovanni il giorno dei ceri piccoli, ed è stato panico puro (non che temessi che non ritrovasse la strada di casa, ma in piazza Grande in vista dell’alzata uno teme che può sempre succedere di tutto, e almeno per qualche altro anno sto più tranquillo ad averlo con me).
Giugno, poi, è stato sempre un mese un po' grigio. Non so perché. O forse lo so, ma preferisco non pensarci. Ciclicamente ho dovuto fare i conti con qualche problema. Ci sono anche stati giorni felici, carichi di emozioni. Ma di solito la memoria ragiona un po’ come le pagine di cronaca: prima la nera, poi la rosa, infine lo sport.
Anche qui è arrivata, inevitabile, l’eco della tragedia di Gubbio: di un sabato sera squarciato dall’assurdità di un dramma, reso ancora più pesante dalla giovane età della vittima. “Fortuna che non c’eri” m’ha bisbigliato qualcuno per telefono, nell’ennesima ricostruzione di quanto accaduto.
E invece mi accorgo che a distanza di 200 km il non essere spettatore di qualcosa (pur dovendo in qualche modo verificare cosa ne fosse scritto di quel qualcosa) – soprattutto se poi questo qualcosa ti angoscia e ti avvilisce – è forse peggio: nel senso di impotenza comune, che avvolge vicende come questa, pesa ulteriormente il senso di inutilità dello “stare in vacanza” (come se stando a Gubbio, si potesse essere utili a qualcosa purtroppo di ineluttabile).
Lontano non è meglio.
Forse perché la distanza – almeno in apparenza – attutisce in parte i colpi. Se non vedi un manifesto, non leggi un giornale o vedi un tg, se non ne parli con nessuno… Finisci quasi per illuderti che non sia successo… Anche se sai che non è così…
Senti il rumore di quanto è avvenuto, ma non hai l’esatta percezione della sua enormità.
Un po’ come quando, nell’84, sfollati dopo il terremoto nella casetta di campagna, sulla Madonna della Cima (un trilocale ad un solo piano in cemento armato, praticamente un bunker, nel quale eravamo appollaiati in una decina) non arrivava neppure una scossa dello sciame sismico che ogni terremoto si porta dietro (tutt’al più ci informava la radio): ma sentivamo a distanza una specie di ululato della terra. Era l’eco delle scosse, un tuono che seguiva il lampo della faglia che altrove si muoveva. Sapevamo cos’era, anche se in casa tutto era immobile. E sapevamo cosa provava chi si trovava ancora a Gubbio…
Di Riccardo ho un ricordo limpido. Pur non conoscendolo bene, ci salutavamo. E mi colpiva – otre che un po’ farmi imbarazzare – il fatto che mi salutasse dandomi del “lei”. Rivelando un’educazione e un garbo non sempre materia prima quando hai l’esuberanza dei 19 anni. Ci eravamo conosciuti ad una cena – credo del Basket Gubbio o forse degli sbandieratori (lui era tamburino), ma credo più la prima visto che c’era il padre – da cui si era dovuto assentare prima del dolce, perché doveva andare a studiare per la maturità. Mi è sempre parso un ragazzo di quelli per i quali non servono aggettivi: a posto. Tranquillo, sereno e affabile come il sorriso che spesso gli vedevo impresso.
Non so perché, ma ho pensato spesso che avrebbe fatto il giornalista: in questi giorni ho saputo che studiava giurisprudenza. E che a dargli l’ultimo saluto erano in oltre un migliaio di persone. Amici, coetanei, conoscenti. E un milione di perchè.
Ogni estate porta con sé un lutto. Non è un modo dire – anche se lo si sente dire più o meno ogni estate. Ognuno di noi lo sa. Sarà che con questo “refrain” ci sono cresciuto, per un lutto familiare di quando ancora ero sul passeggino (agosto 1972), una storia triste e dolorosa che ovviamente non ricordo, ma di cui ho sentito parlare migliaia di volte come se l’avessi vista con i miei occhi.
E ciclicamente l’estate porta con sé qualcosa di pesante, qualche storia, qualche vita, da rimpiangere: ferite vistose, patite più o meno direttamente, che lasciano sempre e comunque cicatrici profonde. E tante lacrime. Tanti, troppi perché…
Da qualche giorno è estate. Ma l’estate non è una stagione, è uno stato d’animo.
Già, è proprio così…
mercoledì 22 giugno 2011
Switch off in Umbria: il cerchio si stringe (tra novembre e dicembre)... ma resta vago...
Qualcosa in più si sa. Ma non è granchè.
Lo switch off in Umbria ci arriverà in anticipo sui regali di Natale. E che sia un regalo per i telespettatori - almeno nelle ultime settimane dell'anno solare - è tutto da vedere...
Nella riunione del Tavolo nazionale per il digitale terrestre che si è svolta a Roma al Ministero dello Sviluppo economico, alla quale hanno partecipato i rappresentanti delle Regioni, Umbria compresa, che ancora non sono passate al digitale terrestre, i rappresentanti del Ministero hanno comunicato che lo “switch – off” è previsto nel periodo che va dal 7 novembre al 2 dicembre.
E fin qui nessuna novità, se non un cerchio che si stringe. Dal generico fine anno, cominciamo a limitare la data a 4 settimane. Improvvide comunque - dato che si collocheranno alla vigilia del periodo natalizio. Ma ormai lamentarsi delle dinamiche e delle direttive legate al passaggio al digitale è come rimpiangere le mezze stagioni... magari per attaccare discorso su una panchina del parco...
Nel frattempo l’assessore regionale alle Infrastrutture tecnologiche immateriali Stefano Vinti, ci conforta - si fa per dire - parlando di “comunicazioni vaghe e insufficienti” da parte del Ministero. Se non ne sanno nulla in Regione, figuriamoci cosa devono pensare le tv locali, che dallo switch off avranno poche certezze (alti costi e sicure difficoltà di individuazione da parte degli utenti almeno nelle prime settimane) e ancora troppe incognite...
In seguito, riferisce Vinti, verranno comunicate in maniera più dettagliata le date per le singole aree interessate. Il Ministero ha assicurato la disponibilità a collaborare con le Regioni e le amministrazioni locali per accompagnare tutti i soggetti coinvolti in questa fase delicata, soprattutto per quanto atterrà alle forme ed ai modi della comunicazione ai cittadini. Per l’assegnazione delle frequenze, da luglio in poi sarà attivato il bando nazionale a cui parteciperanno le emittenti locali.
Per ora TRG ha una certezza: il suo canale principale (che manterrà questa denominazione, TRG) sarà al numero 10 del vostro telecomando, prima emittente locale del cosiddetto LCN. Per il resto ci si sta muovendo per garantire ai telespettatori un'offerta che sia in grado di soddisfare le aspettative dell'utenza. Utenza che potrà essere molto più numerosa e ampia, come il bacino di utenza che potrebbe - per ora scaramanticamente usiamo ancora il condizionale - diventare regionale.
Vi aggiornerò man mano che le novità saranno concrete. Anche perché se aspettiamo chiarezza da altri lidi...
Lo switch off in Umbria ci arriverà in anticipo sui regali di Natale. E che sia un regalo per i telespettatori - almeno nelle ultime settimane dell'anno solare - è tutto da vedere...
Nella riunione del Tavolo nazionale per il digitale terrestre che si è svolta a Roma al Ministero dello Sviluppo economico, alla quale hanno partecipato i rappresentanti delle Regioni, Umbria compresa, che ancora non sono passate al digitale terrestre, i rappresentanti del Ministero hanno comunicato che lo “switch – off” è previsto nel periodo che va dal 7 novembre al 2 dicembre.
E fin qui nessuna novità, se non un cerchio che si stringe. Dal generico fine anno, cominciamo a limitare la data a 4 settimane. Improvvide comunque - dato che si collocheranno alla vigilia del periodo natalizio. Ma ormai lamentarsi delle dinamiche e delle direttive legate al passaggio al digitale è come rimpiangere le mezze stagioni... magari per attaccare discorso su una panchina del parco...
Nel frattempo l’assessore regionale alle Infrastrutture tecnologiche immateriali Stefano Vinti, ci conforta - si fa per dire - parlando di “comunicazioni vaghe e insufficienti” da parte del Ministero. Se non ne sanno nulla in Regione, figuriamoci cosa devono pensare le tv locali, che dallo switch off avranno poche certezze (alti costi e sicure difficoltà di individuazione da parte degli utenti almeno nelle prime settimane) e ancora troppe incognite...
In seguito, riferisce Vinti, verranno comunicate in maniera più dettagliata le date per le singole aree interessate. Il Ministero ha assicurato la disponibilità a collaborare con le Regioni e le amministrazioni locali per accompagnare tutti i soggetti coinvolti in questa fase delicata, soprattutto per quanto atterrà alle forme ed ai modi della comunicazione ai cittadini. Per l’assegnazione delle frequenze, da luglio in poi sarà attivato il bando nazionale a cui parteciperanno le emittenti locali.
Per ora TRG ha una certezza: il suo canale principale (che manterrà questa denominazione, TRG) sarà al numero 10 del vostro telecomando, prima emittente locale del cosiddetto LCN. Per il resto ci si sta muovendo per garantire ai telespettatori un'offerta che sia in grado di soddisfare le aspettative dell'utenza. Utenza che potrà essere molto più numerosa e ampia, come il bacino di utenza che potrebbe - per ora scaramanticamente usiamo ancora il condizionale - diventare regionale.
Vi aggiornerò man mano che le novità saranno concrete. Anche perché se aspettiamo chiarezza da altri lidi...
venerdì 17 giugno 2011
Le prime parole di Vincenzo Torrente... da allenatore del Bari... e una riflessione
Fa strano. Fa strano vedere Vincenzo Torrente con una sciarpa biancorossa al collo. Parlare del Bari. Mettere alle spalle due anni in rossoblù. E che anni...
Fa strano, ma il calcio - volenti o nolenti, romantici o cinici - è questo. Salire in serie B significa anche entrare in un'orbita nuova del professionismo nazionale. Una galassia nella quale i colori rossoblù possono contare, ma fino ad un certo punto. Le motivazioni, i tifosi, la piazza possono contagiare, ma fino ad un certo punto.
Ovviamente a tutto c'è l'eccezione: non so come, ma mi torna in mente sempre Alessandro Sandreani, Il Capitano, per eccellenza. Uno la cui maglia andrebbe ritirata dalla circolazione, due minuti dopo l'annuncio del suo ritiro...
Il mister - ormai ex, per il Gubbio - ha preso la sua strada. Una decisione che va rispettata, al di là delle trattative, delle indiscrezioni, delle cifre circolate (e per altro non confermate dallo stesso tecnico salernitano), da proposte ed offerte non corrisposte. Il suo presente si chiama Bari.
Ma il Gubbio resta. E chi ne prenderà il timone avrà un'eredità pesante - il gioco straordinario ammirato in questi due anni - ma anche la certezza di un tifo caldissimo e appassionato come quello eugubino.
Ma vediamo la prima conferenza stampa di Torrente a Bari, dal servizio di Telesveva (girato a TRG)...
Non è mancato chi ha criticato Torrente, chi ha usato anche epiteti pesanti (e ingenerosi). Si può sentire delusione per un "giocattolo" che non ha più i suoi pezzi originari. La triade poteva restare, ma non sarà così. Ciò non vuol dire che il giocattolo rossoblù debba per forza rompersi.
Credo che - al di là di tutto - la piazza gli debba comunque un grazie spontaneo e forte. Perché il gioco visto in questi due anni è qualcosa che resterà nella memoria di tanti. E vedere una sciarpa biancorossa al collo - per quanto faccia strano - non può cancellare tutto quello che si è visto in questi due anni...
Fa strano, sentirlo parlare da allenatore del Bari. Ma è la realtà.
E farà ancora più strano vederlo entrare al "Barbetti" da avversario. Tra qualche mese. Quel giorno però, ci perdonerà mister, sarà ancora più bello darle un dispiacere...
In bocca al lupo!
Fa strano, ma il calcio - volenti o nolenti, romantici o cinici - è questo. Salire in serie B significa anche entrare in un'orbita nuova del professionismo nazionale. Una galassia nella quale i colori rossoblù possono contare, ma fino ad un certo punto. Le motivazioni, i tifosi, la piazza possono contagiare, ma fino ad un certo punto.
Ovviamente a tutto c'è l'eccezione: non so come, ma mi torna in mente sempre Alessandro Sandreani, Il Capitano, per eccellenza. Uno la cui maglia andrebbe ritirata dalla circolazione, due minuti dopo l'annuncio del suo ritiro...
Il mister - ormai ex, per il Gubbio - ha preso la sua strada. Una decisione che va rispettata, al di là delle trattative, delle indiscrezioni, delle cifre circolate (e per altro non confermate dallo stesso tecnico salernitano), da proposte ed offerte non corrisposte. Il suo presente si chiama Bari.
Ma il Gubbio resta. E chi ne prenderà il timone avrà un'eredità pesante - il gioco straordinario ammirato in questi due anni - ma anche la certezza di un tifo caldissimo e appassionato come quello eugubino.
Ma vediamo la prima conferenza stampa di Torrente a Bari, dal servizio di Telesveva (girato a TRG)...
Non è mancato chi ha criticato Torrente, chi ha usato anche epiteti pesanti (e ingenerosi). Si può sentire delusione per un "giocattolo" che non ha più i suoi pezzi originari. La triade poteva restare, ma non sarà così. Ciò non vuol dire che il giocattolo rossoblù debba per forza rompersi.
Credo che - al di là di tutto - la piazza gli debba comunque un grazie spontaneo e forte. Perché il gioco visto in questi due anni è qualcosa che resterà nella memoria di tanti. E vedere una sciarpa biancorossa al collo - per quanto faccia strano - non può cancellare tutto quello che si è visto in questi due anni...
Fa strano, sentirlo parlare da allenatore del Bari. Ma è la realtà.
E farà ancora più strano vederlo entrare al "Barbetti" da avversario. Tra qualche mese. Quel giorno però, ci perdonerà mister, sarà ancora più bello darle un dispiacere...
In bocca al lupo!
giovedì 16 giugno 2011
La vera sfida per Guerrini? Non lasciare che le novità siano solo anagrafiche...
Meno di quarant’anni. E’ l’età media del nuovo governo cittadino a Gubbio guidato da Diego Guerrini.
Aveva promesso una svolta, in campagna elettorale, il candidato del centrosinistra. E per il momento ha mantenuto la promessa, almeno sul piano anagrafico. Tanto che, alla presentazione ufficiale, l’ex sindaco – neo vice sindaco – Maria Cristina Ercoli, insieme a Raffaello Di Benedetto – gli unici componenti over 50 – sembravano professori posare al primo giorno di lezione con la propria scolaresca.
Immagine a parte, la nuova Giunta – ma il discorso vale anche per il nuovo Consiglio comunale – ispira un’atmosfera più fresca rispetto al decennio che ci si lascia alle spalle. Non tanto sul piano politico, dove la novità è il ricompattamento dell’intero centrosinistra, mai avvenuto da 18 anni ad oggi. Quanto sul piano del clima nel quale il nuovo governo e l’assise cittadina si apprestano ad operare.
Cosa c’è di nuovo? Più che una certezza, è una sensazione palpabile: quella di una disponibilità al dialogo e all’ascolto, di un’apertura a idee e proposte, di una compartecipazione alla visione della cosa pubblica che dista in modo tangibile da quanto visto negli anni scorsi.
Che poi questo si traduca subito in “buona amministrazione” ce lo dirà il tempo, ce lo confermeranno (o smentiranno) i fatti, le realizzazioni, le iniziative, la concretezza. E soprattutto la capacità di proporsi ad altri livelli istituzionali come un soggetto interlocutore autorevole – ma non necessariamente autoritario; credibile e collaborativo – ma non necessariamente appiattito su politiche e strategie che troppo spesso, da Perugia, tendono ad emarginare, più che a coinvolgere; ad escludere (specie quando si tratta di destinare fondi) più che a premiare.
La sfida non è di poco conto per Diego Guerrini.
Da un lato dovrà dimostrare di avere spessore nelle faccende interne, nella attesa “rivoluzione” della macchina amministrativa, nella gestione di una maggioranza forte ma non per questo marmorea (come la stessa individuazione degli assessori da parte di PRC ha dimostrato); dall’altro è chiamato ad interpretare un ruolo più dinamico ed efficace nel dialogo con le istituzioni provinciale e regionale – con le quali l’affinità partitica si unisce ad un maggiore appeal politico rispetto ai predecessori di Rifondazione.
Cosa questo porterà lo capiremo già dai prossimi mesi.
Per ora le certezze sono un paio.
La prima è che il Consiglio comunale torna ad una “normalità” di massima che vede in campo una maggioranza ed una opposizione, nella quale vi sono sì le liste civiche autonome, ma prevalentemente un blocco di centrodestra che una volta tanto può avere qualche numero per far sentire la propria presenza.
La seconda è che Guerrini non sembra tipo che starà a guardare. Un anno fa, di questi tempi, era forse l’unico nel PD eugubino a credere di poter correre per diventare Sindaco. L’inverno, poi, lo ha prima “incoronato” candidato di segreteria, quindi lo ha visto subìre polemiche infuocate dentro il suo stesso partito (con l’ala dei Democratici per Gubbio in prima linea a invocare il voto), lo ha visto partecipare a primarie a rischio – molto a ridosso delle elezioni – lo ha visto vincere ma essere comunque messo in discussione da un’area degli sconfitti (Prc). Si è presentato al giudizio degli eugubini e ha vinto con numeri che nessuno aveva mai registrato prima, pur cedendo alcuni punti rispetto alla coalizione.
Il credito conquistato sul campo, insomma, non è poco. A dispetto dei suoi stessi alleati. E, se possibile, responsabilizza ancor più del ruolo di Sindaco in sé.
Ma se la grinta – silenziosa e mai polemica – spesa in questi mesi, sarà la stessa anche nei prossimi, la sua Giunta under 40 potrebbe segnalarsi non solo per il fattore anagrafico. E la novità potrebbe non limitarsi solo ad una questione di clima…
GMA
Da editoriale "Gubbio oggi" - giugno 2011
Aveva promesso una svolta, in campagna elettorale, il candidato del centrosinistra. E per il momento ha mantenuto la promessa, almeno sul piano anagrafico. Tanto che, alla presentazione ufficiale, l’ex sindaco – neo vice sindaco – Maria Cristina Ercoli, insieme a Raffaello Di Benedetto – gli unici componenti over 50 – sembravano professori posare al primo giorno di lezione con la propria scolaresca.
Immagine a parte, la nuova Giunta – ma il discorso vale anche per il nuovo Consiglio comunale – ispira un’atmosfera più fresca rispetto al decennio che ci si lascia alle spalle. Non tanto sul piano politico, dove la novità è il ricompattamento dell’intero centrosinistra, mai avvenuto da 18 anni ad oggi. Quanto sul piano del clima nel quale il nuovo governo e l’assise cittadina si apprestano ad operare.
Cosa c’è di nuovo? Più che una certezza, è una sensazione palpabile: quella di una disponibilità al dialogo e all’ascolto, di un’apertura a idee e proposte, di una compartecipazione alla visione della cosa pubblica che dista in modo tangibile da quanto visto negli anni scorsi.
Che poi questo si traduca subito in “buona amministrazione” ce lo dirà il tempo, ce lo confermeranno (o smentiranno) i fatti, le realizzazioni, le iniziative, la concretezza. E soprattutto la capacità di proporsi ad altri livelli istituzionali come un soggetto interlocutore autorevole – ma non necessariamente autoritario; credibile e collaborativo – ma non necessariamente appiattito su politiche e strategie che troppo spesso, da Perugia, tendono ad emarginare, più che a coinvolgere; ad escludere (specie quando si tratta di destinare fondi) più che a premiare.
La sfida non è di poco conto per Diego Guerrini.
Da un lato dovrà dimostrare di avere spessore nelle faccende interne, nella attesa “rivoluzione” della macchina amministrativa, nella gestione di una maggioranza forte ma non per questo marmorea (come la stessa individuazione degli assessori da parte di PRC ha dimostrato); dall’altro è chiamato ad interpretare un ruolo più dinamico ed efficace nel dialogo con le istituzioni provinciale e regionale – con le quali l’affinità partitica si unisce ad un maggiore appeal politico rispetto ai predecessori di Rifondazione.
Cosa questo porterà lo capiremo già dai prossimi mesi.
Per ora le certezze sono un paio.
La prima è che il Consiglio comunale torna ad una “normalità” di massima che vede in campo una maggioranza ed una opposizione, nella quale vi sono sì le liste civiche autonome, ma prevalentemente un blocco di centrodestra che una volta tanto può avere qualche numero per far sentire la propria presenza.
La seconda è che Guerrini non sembra tipo che starà a guardare. Un anno fa, di questi tempi, era forse l’unico nel PD eugubino a credere di poter correre per diventare Sindaco. L’inverno, poi, lo ha prima “incoronato” candidato di segreteria, quindi lo ha visto subìre polemiche infuocate dentro il suo stesso partito (con l’ala dei Democratici per Gubbio in prima linea a invocare il voto), lo ha visto partecipare a primarie a rischio – molto a ridosso delle elezioni – lo ha visto vincere ma essere comunque messo in discussione da un’area degli sconfitti (Prc). Si è presentato al giudizio degli eugubini e ha vinto con numeri che nessuno aveva mai registrato prima, pur cedendo alcuni punti rispetto alla coalizione.
Il credito conquistato sul campo, insomma, non è poco. A dispetto dei suoi stessi alleati. E, se possibile, responsabilizza ancor più del ruolo di Sindaco in sé.
Ma se la grinta – silenziosa e mai polemica – spesa in questi mesi, sarà la stessa anche nei prossimi, la sua Giunta under 40 potrebbe segnalarsi non solo per il fattore anagrafico. E la novità potrebbe non limitarsi solo ad una questione di clima…
GMA
Da editoriale "Gubbio oggi" - giugno 2011
mercoledì 15 giugno 2011
Trenta anni fa la tragedia di Alfredino... e da allora l'informazione in tv non fu più la stessa...
Sarà che in questi minuti sono sconvolto dalla notizia della scomparsa di un bambino di 10 anni di Umbertide: meningococco, l'esito lapidario della diagnosi all'ospedale Meyer di Firenze.
Sarà che da quando sono padre, notizie come queste finiscono per tormentare la sensibilità più intima, che in passato era nascosta dal limbo quasi di gomma, costruito su anni e anni di "mestiere" nel quale non puoi permetterti di commuoverti quando c'è da scrivere e raccontare.
Sarà che ripensando di averlo dovuto fare anche per persone molto care, ma con lo stesso apparente "distacco" che il ruolo di cronista impone, è un groppo alla gola quello che mi ritrovo nel pensare a quanto accadeva in questi giorni, esattamente 30 anni fa.
Alfredino Rampi da Vermicino: un bambino di appena 6 anni, nei primi giorni di giugno del 1981, avrebbe sconvolto con la sua storia - e l'epilogo tragico - l'intero Paese.
E soprattutto avrebbe inconsapevolmente contribuito a cambiare il modo di fare informazione nel nostro Paese.
Ma chi era Alfredino Rampi e di quale sventura fu protagonista?
Lo ricordo per i frequentatori del blog che in quel 1981 non erano ancora nati. E ai quali forse questo nome poco o nulla dirà. Negli anni scorsi, durante le lezioni di giornalismo a giovanotti classe '93, feci il nome di Alfredino ma la sollecitazione non provocò alcuna reazione (segno inequivocabile che ignoravano la sua storia).
Ai miei coetanei, probabilmente, dovrei riservare solo una rinfrescata: perché il suo nome, Alfredino, qualcosa, qualche pur pallido ricordo, necessariamente aiuterà a rivangare...
Un bambino che in un pomeriggio d'estate finisce accidentalmente in fondo ad un pozzo artesiano, nell'hinterland romano: da quella che potrebbe essere una disavventura poco più che domestica - roba da cronaca locale - scatena il putiferio: per la prima volta nella storia della tv il dramma viene raccontato in diretta. Va in onda il primo "reality show" della nostra televisione. Tutti si aspettano il lieto fine, il presidente Sandro Pertini in prima fila, ai bordi del pozzo. Ma il copione è in mano ad un destino molto più perfido e cinico di coloro che decisero di accumulare ascolti, in quelle ore febbrili, "giocando" un po' sulla sensibilità degli italiani.
Il lieto fine non ci fu. E il clima di tragedia avvolse ammutoliti oltre 20 milioni di telespettatori: lo show era finito, il sipario calato. Ma soprattutto la vita di un bimbo si era spenta, senza che i riflettori facessero altrettanto... prima che fosse troppo tardi...
Così ricostruisce quella storia, una delle più appassionanti puntate del ciclo "La Storia siamo noi", tra i capolavori firmati Giovanni Minoli:
Cosa accadde in quei giorni al giornalismo televisivo italiano? Qualcosa di forte, di poderoso, di incontrollabile. La sensazione fu di aver varcato un punto di non ritorno.
Da Vermicino fu tangibile la consapevolezza che vicende come questa non potessero più finire, senza controllo, senza regole, senza alcuna cognizione di sensibilità, sotto la lente d'ingrandimento dei media più invadenti (e spesso nocivi) come la televisione.
Infilare un microfono in un pozzo per carpire le grida disperate di un bambino incastrato a 80 metri di profondità, oggi, sarebbe non sono inammissibile, ma prima di tutto oltraggioso: allora accade perfino questo... Senza contare le telecamere accese 24 ore al giorno e puntate su familiari, conoscenti, presenti e perfino assenti, tutti protagonisti di un colossale reality che di minuto in minuto era riuscito a catalizzare l'attenzione di tutta l'Italia. Ci volle la vittoria ai Mondiali di Spagna, un anno dopo, per registrare ascolti simili.
Purtroppo con la parola reality abbiamo poi cominciato a prendere confidenza agli albori del XXI secolo: ben altra roba, a confronto di Vermicino, ma non certo tv dignitosa per la maggior parte dei casi.
E' comunque la tv post-moderna, che fatica terribilmente a rinnovare se stessa. E che forse ha bisogno di specchiarsi, come una donna in là con gli anni, a cercarsi qualche ruga, per capire che ora di un efficace maquillages...
Resta comunque la linea di confine di quel giugno 1981: da un piccolo borgo sperduto della campagna romana, una vicenda che cambiò il giornalismo di casa nostra. Un dramma che almeno aiutò a capire che esisteva un modo migliore e più umano di fare informazione.
Da Vermicino nacque una riflessione, anche e soprattutto autocritica, del mondo della stampa: che portò qualche anno dopo alla "Carta di Treviso", un codice di autoregolamentazione dei giornalisti a tutela dei minori.
Se oggi non compare la foto di un bambino su un quotidiano, o se in tv sono sempre più frequenti volti offuscati, perché i soggetti in questione non sono maggiorenni, è grazie alle tutele previste da questa Carta. Un Codice necessario, che è un notevole passo avanti. Non solo di comunicazione, ma prima di tutto di civiltà.
E' forse un tributo anche alla memoria di Alfredino Rampi: che se pagò con la vita la crudeltà riservatagli dal destino, non meritò di diventare suo malgrado oggetto di uno "stillicidio" mediatico senza precedenti...
Oggi si può dire che nella fatalità, la sua vita non se ne andò invano...
Sarà che da quando sono padre, notizie come queste finiscono per tormentare la sensibilità più intima, che in passato era nascosta dal limbo quasi di gomma, costruito su anni e anni di "mestiere" nel quale non puoi permetterti di commuoverti quando c'è da scrivere e raccontare.
Sarà che ripensando di averlo dovuto fare anche per persone molto care, ma con lo stesso apparente "distacco" che il ruolo di cronista impone, è un groppo alla gola quello che mi ritrovo nel pensare a quanto accadeva in questi giorni, esattamente 30 anni fa.
Alfredino Rampi da Vermicino: un bambino di appena 6 anni, nei primi giorni di giugno del 1981, avrebbe sconvolto con la sua storia - e l'epilogo tragico - l'intero Paese.
E soprattutto avrebbe inconsapevolmente contribuito a cambiare il modo di fare informazione nel nostro Paese.
Ma chi era Alfredino Rampi e di quale sventura fu protagonista?
Lo ricordo per i frequentatori del blog che in quel 1981 non erano ancora nati. E ai quali forse questo nome poco o nulla dirà. Negli anni scorsi, durante le lezioni di giornalismo a giovanotti classe '93, feci il nome di Alfredino ma la sollecitazione non provocò alcuna reazione (segno inequivocabile che ignoravano la sua storia).
Ai miei coetanei, probabilmente, dovrei riservare solo una rinfrescata: perché il suo nome, Alfredino, qualcosa, qualche pur pallido ricordo, necessariamente aiuterà a rivangare...
Un bambino che in un pomeriggio d'estate finisce accidentalmente in fondo ad un pozzo artesiano, nell'hinterland romano: da quella che potrebbe essere una disavventura poco più che domestica - roba da cronaca locale - scatena il putiferio: per la prima volta nella storia della tv il dramma viene raccontato in diretta. Va in onda il primo "reality show" della nostra televisione. Tutti si aspettano il lieto fine, il presidente Sandro Pertini in prima fila, ai bordi del pozzo. Ma il copione è in mano ad un destino molto più perfido e cinico di coloro che decisero di accumulare ascolti, in quelle ore febbrili, "giocando" un po' sulla sensibilità degli italiani.
Il lieto fine non ci fu. E il clima di tragedia avvolse ammutoliti oltre 20 milioni di telespettatori: lo show era finito, il sipario calato. Ma soprattutto la vita di un bimbo si era spenta, senza che i riflettori facessero altrettanto... prima che fosse troppo tardi...
Così ricostruisce quella storia, una delle più appassionanti puntate del ciclo "La Storia siamo noi", tra i capolavori firmati Giovanni Minoli:
Cosa accadde in quei giorni al giornalismo televisivo italiano? Qualcosa di forte, di poderoso, di incontrollabile. La sensazione fu di aver varcato un punto di non ritorno.
Da Vermicino fu tangibile la consapevolezza che vicende come questa non potessero più finire, senza controllo, senza regole, senza alcuna cognizione di sensibilità, sotto la lente d'ingrandimento dei media più invadenti (e spesso nocivi) come la televisione.
Infilare un microfono in un pozzo per carpire le grida disperate di un bambino incastrato a 80 metri di profondità, oggi, sarebbe non sono inammissibile, ma prima di tutto oltraggioso: allora accade perfino questo... Senza contare le telecamere accese 24 ore al giorno e puntate su familiari, conoscenti, presenti e perfino assenti, tutti protagonisti di un colossale reality che di minuto in minuto era riuscito a catalizzare l'attenzione di tutta l'Italia. Ci volle la vittoria ai Mondiali di Spagna, un anno dopo, per registrare ascolti simili.
Purtroppo con la parola reality abbiamo poi cominciato a prendere confidenza agli albori del XXI secolo: ben altra roba, a confronto di Vermicino, ma non certo tv dignitosa per la maggior parte dei casi.
E' comunque la tv post-moderna, che fatica terribilmente a rinnovare se stessa. E che forse ha bisogno di specchiarsi, come una donna in là con gli anni, a cercarsi qualche ruga, per capire che ora di un efficace maquillages...
Resta comunque la linea di confine di quel giugno 1981: da un piccolo borgo sperduto della campagna romana, una vicenda che cambiò il giornalismo di casa nostra. Un dramma che almeno aiutò a capire che esisteva un modo migliore e più umano di fare informazione.
Da Vermicino nacque una riflessione, anche e soprattutto autocritica, del mondo della stampa: che portò qualche anno dopo alla "Carta di Treviso", un codice di autoregolamentazione dei giornalisti a tutela dei minori.
Se oggi non compare la foto di un bambino su un quotidiano, o se in tv sono sempre più frequenti volti offuscati, perché i soggetti in questione non sono maggiorenni, è grazie alle tutele previste da questa Carta. Un Codice necessario, che è un notevole passo avanti. Non solo di comunicazione, ma prima di tutto di civiltà.
E' forse un tributo anche alla memoria di Alfredino Rampi: che se pagò con la vita la crudeltà riservatagli dal destino, non meritò di diventare suo malgrado oggetto di uno "stillicidio" mediatico senza precedenti...
Oggi si può dire che nella fatalità, la sua vita non se ne andò invano...
lunedì 13 giugno 2011
Un anno fa il trionfo di San Marino... E nessuno immaginava cosa sarebbe venuto dopo...
Ad un anno esatto dalla finale di ritorno di San Marino - primo capitolo di una storia di emozioni rossoblù destinata addirittura a crescere esponenzialmente nei mesi successivi - mi piace ricordare quella giornata riproponendo il testo dell'introduzione del libro "Eravamo in 3.000 a San Marino": con qualche aneddoto e il ricordo delle sensazioni di quella giornata. E di come ignorassimo, pur nell'ebbrezza di quel trionfo, cosa ci sarebbe toccato meno di un anno dopo...
"E’ il 13 giugno 2010. Lungo i tornanti di Serravalle, a due passi da San Marino, una signora si aggira nei paraggi dello stadio: centinaia di giovani, con la maglia rossoblù, stanno arrivando festanti e la circondano. Cantano, inneggiano, brindano.
Sono ancora le 14 e la signora non si capacita di cosa stia accadendo.
E’ il giorno di San Marino-Gubbio, finale di ritorno del campionato di II Divisione, fischio d’inizio alle ore 16. Incuriosita, chiede ad uno di loro: “Scusate ma cosa c’è oggi?”.
La risposta goliardica: “Signora, ma come non lo sa? C’è San Marino-Barcellona!”.
Sarà una domenica di quelle da segnare col cerchietto rosso (o se preferite, rossoblù), nel calendario dei ricordi. Per i tifosi eugubini. E non solo. Nell’anno in cui il calcio professionistico umbro conosce l’amarezza del fallimento del Perugia (già il secondo, dal 2005), l’anonimato della Ternana e la sola salvezza anticipata del Foligno come risultato positivo, è il Gubbio a guadagnarsi il palcoscenico.
Per una volta tutto per sé.
Il 13 giugno, in terra “straniera”, sono in tremila da Gubbio a spingere la squadra di Vincenzo Torrente, del direttore tecnico Gigi Simoni, del presidente Marco Fioriti, ad un successo che non è esagerato definire storico.
Per la prima volta la società di via Paruccini approda in C1, nell’odierna I Divisione: l’ultima volta che aveva “bazzicato” queste quote eravamo nell’immediato dopoguerra, 1946, spareggio di Pesaro, tra Gubbio e Baracca Lugo, vittoria dei rossoblù di Masetti e promozione in serie B.
Poi, dopo l’esperienza incancellabile della serie cadetta, la caduta di nuovo tra i dilettanti, prima di ritrovare il professionismo solo nel 1987, spareggio del “Curi” contro il Poggibonsi (anche in quel caso, con partecipazione oceanica dei tifosi, ben 22.000 sugli spalti dello stadio perugino).
Pesaro, Perugia e ora San Marino: il destino ha legato i trionfi memorabili del Gubbio a tre trasferte. Forse perché c’è più gusto nel festeggiare lontano da casa.
"Eravamo in 3.000 a San Marino" è un libro e dvd che aiuterà, negli anni, a ricordare i momenti forti di questa stagione, dalla presentazione in grande stile al Teatro Romano, a tutti i gol del campionato, dai servizi delle gare più importanti, in particolare dei play off e della finale di San Marino, alle clip indimenticabili con i gol, i festeggiamenti e soprattutto il colore e il calore del pubblico.
Un protagonista indiscusso, quest’ultimo, del successo della squadra e della società. Che si affaccia alla ribalta della terza serie, entrando dalla porta principale, nell’anno del suo Centenario.
Era il 1910 quando don Bosone Rossi, un sacerdote eugubino che coordinava le attività dell’associazione giovanile Spes, portò in città il primo pallone di cuoio. Cento anni dopo il nome di Gubbio figura tra le massime espressioni calcistiche del nostro Paese.
Era giusto ricordare una stagione come quella lasciata da poco alle spalle, con le parole, le immagini fotografiche e le immagini video, esclusive, realizzate da TRG.
Un regalo per i tifosi. Come lo è stato, soprattutto, quello che società e squadra hanno voluto loro riservare nell’anno del Centenario. La C1!".
Tratto da "Eravamo in 3.000 a San Marino" - Giacomo Marinelli Andreoli - edito da TRG network - luglio 2010
"E’ il 13 giugno 2010. Lungo i tornanti di Serravalle, a due passi da San Marino, una signora si aggira nei paraggi dello stadio: centinaia di giovani, con la maglia rossoblù, stanno arrivando festanti e la circondano. Cantano, inneggiano, brindano.
Sono ancora le 14 e la signora non si capacita di cosa stia accadendo.
E’ il giorno di San Marino-Gubbio, finale di ritorno del campionato di II Divisione, fischio d’inizio alle ore 16. Incuriosita, chiede ad uno di loro: “Scusate ma cosa c’è oggi?”.
La risposta goliardica: “Signora, ma come non lo sa? C’è San Marino-Barcellona!”.
San Marino - 13.6.2010 - tifosi in festa - foto Sergio Rossi |
Per una volta tutto per sé.
Il 13 giugno, in terra “straniera”, sono in tremila da Gubbio a spingere la squadra di Vincenzo Torrente, del direttore tecnico Gigi Simoni, del presidente Marco Fioriti, ad un successo che non è esagerato definire storico.
Per la prima volta la società di via Paruccini approda in C1, nell’odierna I Divisione: l’ultima volta che aveva “bazzicato” queste quote eravamo nell’immediato dopoguerra, 1946, spareggio di Pesaro, tra Gubbio e Baracca Lugo, vittoria dei rossoblù di Masetti e promozione in serie B.
Poi, dopo l’esperienza incancellabile della serie cadetta, la caduta di nuovo tra i dilettanti, prima di ritrovare il professionismo solo nel 1987, spareggio del “Curi” contro il Poggibonsi (anche in quel caso, con partecipazione oceanica dei tifosi, ben 22.000 sugli spalti dello stadio perugino).
Pesaro, Perugia e ora San Marino: il destino ha legato i trionfi memorabili del Gubbio a tre trasferte. Forse perché c’è più gusto nel festeggiare lontano da casa.
"Eravamo in 3.000 a San Marino" è un libro e dvd che aiuterà, negli anni, a ricordare i momenti forti di questa stagione, dalla presentazione in grande stile al Teatro Romano, a tutti i gol del campionato, dai servizi delle gare più importanti, in particolare dei play off e della finale di San Marino, alle clip indimenticabili con i gol, i festeggiamenti e soprattutto il colore e il calore del pubblico.
Un protagonista indiscusso, quest’ultimo, del successo della squadra e della società. Che si affaccia alla ribalta della terza serie, entrando dalla porta principale, nell’anno del suo Centenario.
Era il 1910 quando don Bosone Rossi, un sacerdote eugubino che coordinava le attività dell’associazione giovanile Spes, portò in città il primo pallone di cuoio. Cento anni dopo il nome di Gubbio figura tra le massime espressioni calcistiche del nostro Paese.
Era giusto ricordare una stagione come quella lasciata da poco alle spalle, con le parole, le immagini fotografiche e le immagini video, esclusive, realizzate da TRG.
Un regalo per i tifosi. Come lo è stato, soprattutto, quello che società e squadra hanno voluto loro riservare nell’anno del Centenario. La C1!".
Tratto da "Eravamo in 3.000 a San Marino" - Giacomo Marinelli Andreoli - edito da TRG network - luglio 2010
giovedì 9 giugno 2011
"Il Gubbio? Sembra il Perugia di D'Attoma e Castagner...". Parola di Silvano Ramaccioni
"Il Gubbio? Assomiglia moltissimo al mio Perugia dei miracoli!".
Parole di Silvano Ramaccioni, team manager del Milan, uno degli artefici alla fine degli anni Settanta dei successi dell'indimenticabile Perugia targato Franco D'Attoma, che in panchina proponeva un volto nuovo del calcio nazionale, Ilario Castagner.
Ramaccioni, tifernate d'origine, non dimentica le proprie radici anche se ormai da 25 anni è Milano (o forse meglio dire, Milanello) la sua patria adottiva. E da lassù sbircia con puntuale curiosità sulle vicende pedatorie della piccola Umbria. Una regione che da troppo tempo non propone protagonisti importanti alla ribalta del calcio nazionale (l'ultimo, Serse Cosmi con il suo Perugia capace di approdare in Coppa Uefa).
A rompere il digiuno il Gubbio della triade Simoni-Giammarioli-Torrente: "Una squadra simpatica, che sa fare bel gioco e che seguo con attenzione da quando Simoni è approdato a Gubbio - ci confida telefonicamente Ramaccioni - Direi che per una cittadina come Gubbio la conquista della serie B è qualcosa in più della serie A a Perugia.
Un traguardo straordinario e impensabile fino a qualche anno fa. Ho seguito le vicende dei rossoblù e ho visto che hanno vinto con ampio margine e pieno merito il campionato di C1. Complimenti a Simoni, che conosco da tanti anni e che credo abbia portato esperienza, competenza e capacità. Ma congratulazioni anche al giovane direttore sportivo Giammarioli e al tecnico Torrente, che ha dato alla squadra un gioco brioso ed efficace, una delle più belle squadre del nostro calcio".
Il contatto con Ramaccioni - che ho avuto graditissimo ospite in una puntata di "Link" nella formula dell'"a tu per tu", alcuni anni fa negli studi tifernati di TRG - nasce dall'idea di realizzare con lui (e con altri protagonisti del calcio nazionale) l'introduzione dell'opuscolo legato al doppio dvd, in preparazione in questi giorni, con le immagini più suggestive della trionfale cavalcata dei rossoblù: "Eravamo in 5.000 a gridare Serie B!".
Ramaccioni confessa di avere un "debole" per i colori rossoblù, anche perché ricorda che un suo concittadino - Gabrielli - vestiva la maglia del Gubbio nella stagione 1947-48 quando la squadra di Masetti disputò il campionato di serie B (allora diviso in due gironi): "Oggi l'impresa del Gubbio - aggiunge Ramaccioni - è un messaggio positivo per tutto il calcio italiano, alle prese con i suoi problemi economici ed ora nuovamente con uno scandalo di cui avremmo fatto volentieri a meno".
Il piccolo che stupisce. Proprio come fu il Perugia di D'Attoma, Ramaccioni e Castagner: "Il segreto è nel gruppo, ma fin qui può sembrare una frase fatta - spiega Ramaccioni - In realtà è la voglia di crescere continuamente, di vincere e magari anche di stupire. Io dico sempre che non bisogna mettere limiti alla provvidenza. E penso che valga anche per il Gubbio in serie B".
Oggi, la chiamano "fame". Ma il concetto resta lo stesso.
"Nessuno avrebbe pensato di giocare un campionato di serie A a Perugia fino al 1974. Nessuno avrebbe pensato di restare imbattuti fino al 1979, nè tanto meno di finire in Coppa Uefa - conclude Ramaccioni - Sono quelle imprese sportive che restano scritte nella storia del calcio. E il Gubbio ha compiuto già una grande impresa con la serie B: ma sento che non deve fermarsi qui. Prendiamo il Novara: in fondo, un anno fa, era al posto del Gubbio...".
Un augurio? Un auspicio? Certamente sì. Ma anche una valutazione di un personaggio che di calcio ne mastica da decenni. E che nell'ultimo quarto di secolo ha legato il proprio nome ad un'altra favola calcistica: il Milan dell'era-Berlusconi.
Parole di Silvano Ramaccioni, team manager del Milan, uno degli artefici alla fine degli anni Settanta dei successi dell'indimenticabile Perugia targato Franco D'Attoma, che in panchina proponeva un volto nuovo del calcio nazionale, Ilario Castagner.
Ramaccioni, tifernate d'origine, non dimentica le proprie radici anche se ormai da 25 anni è Milano (o forse meglio dire, Milanello) la sua patria adottiva. E da lassù sbircia con puntuale curiosità sulle vicende pedatorie della piccola Umbria. Una regione che da troppo tempo non propone protagonisti importanti alla ribalta del calcio nazionale (l'ultimo, Serse Cosmi con il suo Perugia capace di approdare in Coppa Uefa).
A rompere il digiuno il Gubbio della triade Simoni-Giammarioli-Torrente: "Una squadra simpatica, che sa fare bel gioco e che seguo con attenzione da quando Simoni è approdato a Gubbio - ci confida telefonicamente Ramaccioni - Direi che per una cittadina come Gubbio la conquista della serie B è qualcosa in più della serie A a Perugia.
Un traguardo straordinario e impensabile fino a qualche anno fa. Ho seguito le vicende dei rossoblù e ho visto che hanno vinto con ampio margine e pieno merito il campionato di C1. Complimenti a Simoni, che conosco da tanti anni e che credo abbia portato esperienza, competenza e capacità. Ma congratulazioni anche al giovane direttore sportivo Giammarioli e al tecnico Torrente, che ha dato alla squadra un gioco brioso ed efficace, una delle più belle squadre del nostro calcio".
Il contatto con Ramaccioni - che ho avuto graditissimo ospite in una puntata di "Link" nella formula dell'"a tu per tu", alcuni anni fa negli studi tifernati di TRG - nasce dall'idea di realizzare con lui (e con altri protagonisti del calcio nazionale) l'introduzione dell'opuscolo legato al doppio dvd, in preparazione in questi giorni, con le immagini più suggestive della trionfale cavalcata dei rossoblù: "Eravamo in 5.000 a gridare Serie B!".
Ramaccioni confessa di avere un "debole" per i colori rossoblù, anche perché ricorda che un suo concittadino - Gabrielli - vestiva la maglia del Gubbio nella stagione 1947-48 quando la squadra di Masetti disputò il campionato di serie B (allora diviso in due gironi): "Oggi l'impresa del Gubbio - aggiunge Ramaccioni - è un messaggio positivo per tutto il calcio italiano, alle prese con i suoi problemi economici ed ora nuovamente con uno scandalo di cui avremmo fatto volentieri a meno".
Il piccolo che stupisce. Proprio come fu il Perugia di D'Attoma, Ramaccioni e Castagner: "Il segreto è nel gruppo, ma fin qui può sembrare una frase fatta - spiega Ramaccioni - In realtà è la voglia di crescere continuamente, di vincere e magari anche di stupire. Io dico sempre che non bisogna mettere limiti alla provvidenza. E penso che valga anche per il Gubbio in serie B".
Oggi, la chiamano "fame". Ma il concetto resta lo stesso.
"Nessuno avrebbe pensato di giocare un campionato di serie A a Perugia fino al 1974. Nessuno avrebbe pensato di restare imbattuti fino al 1979, nè tanto meno di finire in Coppa Uefa - conclude Ramaccioni - Sono quelle imprese sportive che restano scritte nella storia del calcio. E il Gubbio ha compiuto già una grande impresa con la serie B: ma sento che non deve fermarsi qui. Prendiamo il Novara: in fondo, un anno fa, era al posto del Gubbio...".
Un augurio? Un auspicio? Certamente sì. Ma anche una valutazione di un personaggio che di calcio ne mastica da decenni. E che nell'ultimo quarto di secolo ha legato il proprio nome ad un'altra favola calcistica: il Milan dell'era-Berlusconi.
martedì 7 giugno 2011
Da lunedì 6 giugno TRG sbarca sul digitale: per ora a Gubbio... ma è solo l'inizio
L’era digitale è già iniziata a TRG. Da ieri, lunedì 6 giugno, infatti, la nostra emittente trasmette con un proprio canale sulla piattaforma digitale terrestre.
La data dello switch off – termine tecnico per definire il passaggio definitivo di tutti i canali dal sistema analogico a quello digitale – non è ancora stata resa nota per la nostra regione: il Governo, nonostante Regione ed emittenti televisive locali spingessero per uno slittamento al 2012, ha fissato per la seconda metà del 2011 il fatidico passaggio, anche se fino a settembre non si saprà neppure quali canali saranno disponibili per le tv locali. L'assegnazione, poi, avverrà a ridosso dello switch off.
Per la serie: siamo in Italia, bellezza!
Il caos che ha caratterizzato il passaggio epocale in altre regioni - dove ancora in tanti si "leccano le ferite" - ha spinto la nostra emittente ad anticipare i tempi: se Maometto non va alla montagna...
Un motivo in più per spingere TRG a creare un proprio calendario di switch off, almeno in quelle aree servite con una doppia frequenza analogica, come ad esempio Gubbio, l’area originaria della nostra emittente televisiva (dal 1985): il tradizionale canale 55 resta attualmente in trasmissione analogica, mentre da ieri, come detto, il canale 62 è stato trasformato in digitale.
I telespettatori che già sono in possesso di un apparecchio televisivo di nuova generazione, abilitato alla ricezione del segnale digitale, non avranno difficoltà a sintonizzare la frequenza di TRG, catturando appunto il canale 62, o – attraverso la memorizzazione automatica dei canali – trovandolo direttamente nella collocazione assegnata dal Ministero secondo le graduatorie del Corecom: visto che TRG è al primo posto tra le emittenti regionali, nella classifica Corecom – stilata in base ad un parametro che tiene conto di fatturato e personale dipendente giornalistico e tecnico – a TRG è stato assegnato il primo canale previsto per le emittenti locali, ovvero il numero 10.
Un numero, facilmente memorizzabile, che dovrà diventare familiare per i telespettatori umbri, nel quale troveranno sempre il primo dei canali del mux TRG, dove per mux si intende il pacchetto di almeno 6 canali che la nostra, come le altre emittenti, dovranno gestire in quanto "operatore di rete" (a differenza dei "fornitori di contenuti" che si limiteranno ad occupare una frequenza altrui con una propria programmazione).
Saranno mesi di intense novità per TRG e per i telespettatori, che la prossima stagione potranno scegliere tra più canali TRG, anche di carattere tematico e territoriale: la nostra struttura editoriale sta lavorando ad approntare un complesso di offerta televisiva ampio e variegato, capace di poter essere competitivo su tutto il territorio regionale, nel quale si estenderà l’emittente TRG.
Quello di ieri è solo il primo passo: e non poteva che essere nell’area madre dell’emittente stessa. Il primo canale tutto in digitale, che aprirà la serie di conversioni anche nelle altre aree servite dalla nostra emittente.
Per anticipare, più che attendere, il fatidico switch off e per abituare fin d’ora il proprio pubblico alla nuova dimensione e alle peculiarità della trasmissione digitale.
"Il piccolo che pensa in grande", è stato lo slogan che ha caratterizzato questi anni di grande crescita per TRG.
I fatti dimostrano – anche nell’era digitale - che non si trattava solo di uno slogan.
La data dello switch off – termine tecnico per definire il passaggio definitivo di tutti i canali dal sistema analogico a quello digitale – non è ancora stata resa nota per la nostra regione: il Governo, nonostante Regione ed emittenti televisive locali spingessero per uno slittamento al 2012, ha fissato per la seconda metà del 2011 il fatidico passaggio, anche se fino a settembre non si saprà neppure quali canali saranno disponibili per le tv locali. L'assegnazione, poi, avverrà a ridosso dello switch off.
Per la serie: siamo in Italia, bellezza!
Il caos che ha caratterizzato il passaggio epocale in altre regioni - dove ancora in tanti si "leccano le ferite" - ha spinto la nostra emittente ad anticipare i tempi: se Maometto non va alla montagna...
Un motivo in più per spingere TRG a creare un proprio calendario di switch off, almeno in quelle aree servite con una doppia frequenza analogica, come ad esempio Gubbio, l’area originaria della nostra emittente televisiva (dal 1985): il tradizionale canale 55 resta attualmente in trasmissione analogica, mentre da ieri, come detto, il canale 62 è stato trasformato in digitale.
I telespettatori che già sono in possesso di un apparecchio televisivo di nuova generazione, abilitato alla ricezione del segnale digitale, non avranno difficoltà a sintonizzare la frequenza di TRG, catturando appunto il canale 62, o – attraverso la memorizzazione automatica dei canali – trovandolo direttamente nella collocazione assegnata dal Ministero secondo le graduatorie del Corecom: visto che TRG è al primo posto tra le emittenti regionali, nella classifica Corecom – stilata in base ad un parametro che tiene conto di fatturato e personale dipendente giornalistico e tecnico – a TRG è stato assegnato il primo canale previsto per le emittenti locali, ovvero il numero 10.
Un numero, facilmente memorizzabile, che dovrà diventare familiare per i telespettatori umbri, nel quale troveranno sempre il primo dei canali del mux TRG, dove per mux si intende il pacchetto di almeno 6 canali che la nostra, come le altre emittenti, dovranno gestire in quanto "operatore di rete" (a differenza dei "fornitori di contenuti" che si limiteranno ad occupare una frequenza altrui con una propria programmazione).
Saranno mesi di intense novità per TRG e per i telespettatori, che la prossima stagione potranno scegliere tra più canali TRG, anche di carattere tematico e territoriale: la nostra struttura editoriale sta lavorando ad approntare un complesso di offerta televisiva ampio e variegato, capace di poter essere competitivo su tutto il territorio regionale, nel quale si estenderà l’emittente TRG.
Quello di ieri è solo il primo passo: e non poteva che essere nell’area madre dell’emittente stessa. Il primo canale tutto in digitale, che aprirà la serie di conversioni anche nelle altre aree servite dalla nostra emittente.
Per anticipare, più che attendere, il fatidico switch off e per abituare fin d’ora il proprio pubblico alla nuova dimensione e alle peculiarità della trasmissione digitale.
"Il piccolo che pensa in grande", è stato lo slogan che ha caratterizzato questi anni di grande crescita per TRG.
I fatti dimostrano – anche nell’era digitale - che non si trattava solo di uno slogan.
lunedì 6 giugno 2011
In attesa di completare la "triade" il Gubbio è come su una mongolfiera... tra ricordi, sogni e aspettative...
La cifra abbonati è già sopra quota 400. Non siamo neanche a due mesi e mezzo dal via del campionato. E neppure ad un anno di distanza da quel 13 giugno 2010, finale di ritorno all'Olimpico di San Marino, che andrebbe celebrato anche nel calendario ecclesiastico, tipo passaggio del Nilo con Mosè.
Lo stadio "Barbetti" è sotto i ferri, con un cantiere la cui celerità andrebbe presa ad esempio da Regione, Provincia e Comune e persino Pro loco, nei vari interventi sulle reti viarie del comprensorio.
Del Gubbio 2011-2012 ancora non c'è neppure l'ombra - se non le sembianze pur rassicuranti del Direttore tecnico Gigi Simoni e del diesse "fatto in casa" Stefano Giammarioli. Che non lo dice, ma la squadra per la serie cadetta ce l'ha già in testa (e forse anche in tasca). Ma attende che si componga il terzo tassello, nevralgico, del Gubbio che dovrà affrontare l'avventura in B: che poi questo segmento risponda al nome di Vincenzo Torrente è ancora possibile - anche se le probabilità diminuiscono, perché aumenta l'elenco di società blasonate che vorrebbero, almeno a parole, assicurarsi i servigi del trainer di Cetara.
Ufficialmente solo il Catania, virtualmente anche Brescia e Lecce ronzano intorno all'ex capitano genoano.
Comprensibile che continui a sfogliare la margherita: il circo calcistico proietta sugli altari e rigetta nella polvere con la velocità della luce. Capitalizzare due campionati vinti (e come, vinti) è umano. Perservare neppure tanto diabolico. Questione di giorni, forse anche di ore...
Di questa serie B che dovremo imparare a conoscere si intuisce la composizione, seppur non definitiva: a parte le "regine" Samp, Torino, Bari, Brescia, da ieri sappiamo che anche Reggina e Varese saranno tra le prossime avversarie dei rossoblù, ma con il bailamme del calcioscommesse appenna scoppiato non ci sorprenderemmo di veder rivoluzionata la griglia di partenza Bwin in almeno 3-4 caselle.
Pazienza.
In questo momento il clima nello stanzone rossoblù è serafico e al tempo stesso mesto e disincantato: un po' come passare con una mongolfiera sopra un campo di battaglia ancora in fermento. Prima o poi conteremo le vittime, passeremo al riconoscimento. Sapremo chi sono i superstiti. Resta la tristezza di un calcio che lontano da queste lande appare artificiale e gommoso: un po' come passare dalla lasagna al tartufo al cheese-burger. Può piacere tutto. Ma mai dare giudizi di quel che si è mangiato prima di averlo digerito...
In questi giorni sono al lavoro sul libro-dvd "Eravamo in 5.000 a gridare SERIE B!": stavolta non conta dove eravamo, ma quanti e soprattutto a fare cosa.
Ha già un che di nostalgico il rivedersi le clip, le azioni, i gol, riascoltare qualche intervista, rileggersi i testi delle "copertine" di Fuorigioco - con le musiche scelte accuratamente insieme a Riccardo "Rimpiccetto" Migliarini, ed i montaggi di Carlo Manciani.
Un sapore speciale ripercorrere questa stagione. Inaspettata e fantastica. Che nessuno immaginava potesse rivelarsi in questi termini dopo che un anno fa (come oggi il Gubbio batteva nell'andata il San Marino) credevamo tutti di aver già toccato l'Everest...
Il miracolo Gubbio ha fatto parlare l'Italia calcistica: anche se per poche ore - come è normale che sia per una piazza che resta piccola e infinitesimale rispetto ai teatri del calcio nostrano.
Ma che resta intatta rispetto ai cicloni che il calcio ciclicamente finiscono per travolgere.
I fiumi di intercettazioni, lo snocciolare di partite sotto indagine, i nomi di figuri ormai divenuti familiari, non sfiora neppure per sbaglio la maglia rossoblù. E fa senso pensare che molti dei "protagonisti" di questa ennesima farsa siano anche solo scesi in campo a fianco dei vari Lamanna, Borghese, Sandreani, Gomez: che stavano lì per menarle a tutti, fregandosene di quello che la gente scommetteva e prevedeva. E non aspettando altro che il triplice fischio finale per andare a correre sotto la curva dei supporters rossoblù...
Anzi, a pensarci bene, forse con il Gubbio qualcuno deve aver vinto pure pesante: se non altro per i pronostici sovvertiti rispetto all'inizio stagione.
Chissà quanto poteva essere quotata, la sera del 22 agosto 2010, la vittoria in campionato e promozione diretta in serie B dei rossoblù: dopo il 5-1 incassato a Cremona, nella prima stagionale allo "Zini", contro una squadra strafavorita dai bookmakers della vigilia e che, ironia della sorte, aveva in porta tale Marco Paoloni. Vogliamo stare bassi e azzardare 200 a 1? Beh, nessuno quella sera ha provato quella giocata.
Per un motivo semplice: nessuno l'aveva suggerita, studiata e architettata a tavolino. E forse neanche i rossoblù l'avrebbero mai sognata...
Poi la storia del campionato, quello vero, quello giocato, è stata ben diversa... E ha avuto un solo colore: il rossoblù...
Lo stadio "Barbetti" è sotto i ferri, con un cantiere la cui celerità andrebbe presa ad esempio da Regione, Provincia e Comune e persino Pro loco, nei vari interventi sulle reti viarie del comprensorio.
Del Gubbio 2011-2012 ancora non c'è neppure l'ombra - se non le sembianze pur rassicuranti del Direttore tecnico Gigi Simoni e del diesse "fatto in casa" Stefano Giammarioli. Che non lo dice, ma la squadra per la serie cadetta ce l'ha già in testa (e forse anche in tasca). Ma attende che si componga il terzo tassello, nevralgico, del Gubbio che dovrà affrontare l'avventura in B: che poi questo segmento risponda al nome di Vincenzo Torrente è ancora possibile - anche se le probabilità diminuiscono, perché aumenta l'elenco di società blasonate che vorrebbero, almeno a parole, assicurarsi i servigi del trainer di Cetara.
Ufficialmente solo il Catania, virtualmente anche Brescia e Lecce ronzano intorno all'ex capitano genoano.
Comprensibile che continui a sfogliare la margherita: il circo calcistico proietta sugli altari e rigetta nella polvere con la velocità della luce. Capitalizzare due campionati vinti (e come, vinti) è umano. Perservare neppure tanto diabolico. Questione di giorni, forse anche di ore...
Di questa serie B che dovremo imparare a conoscere si intuisce la composizione, seppur non definitiva: a parte le "regine" Samp, Torino, Bari, Brescia, da ieri sappiamo che anche Reggina e Varese saranno tra le prossime avversarie dei rossoblù, ma con il bailamme del calcioscommesse appenna scoppiato non ci sorprenderemmo di veder rivoluzionata la griglia di partenza Bwin in almeno 3-4 caselle.
Pazienza.
In questo momento il clima nello stanzone rossoblù è serafico e al tempo stesso mesto e disincantato: un po' come passare con una mongolfiera sopra un campo di battaglia ancora in fermento. Prima o poi conteremo le vittime, passeremo al riconoscimento. Sapremo chi sono i superstiti. Resta la tristezza di un calcio che lontano da queste lande appare artificiale e gommoso: un po' come passare dalla lasagna al tartufo al cheese-burger. Può piacere tutto. Ma mai dare giudizi di quel che si è mangiato prima di averlo digerito...
In questi giorni sono al lavoro sul libro-dvd "Eravamo in 5.000 a gridare SERIE B!": stavolta non conta dove eravamo, ma quanti e soprattutto a fare cosa.
Ha già un che di nostalgico il rivedersi le clip, le azioni, i gol, riascoltare qualche intervista, rileggersi i testi delle "copertine" di Fuorigioco - con le musiche scelte accuratamente insieme a Riccardo "Rimpiccetto" Migliarini, ed i montaggi di Carlo Manciani.
Un sapore speciale ripercorrere questa stagione. Inaspettata e fantastica. Che nessuno immaginava potesse rivelarsi in questi termini dopo che un anno fa (come oggi il Gubbio batteva nell'andata il San Marino) credevamo tutti di aver già toccato l'Everest...
Il miracolo Gubbio ha fatto parlare l'Italia calcistica: anche se per poche ore - come è normale che sia per una piazza che resta piccola e infinitesimale rispetto ai teatri del calcio nostrano.
Ma che resta intatta rispetto ai cicloni che il calcio ciclicamente finiscono per travolgere.
I fiumi di intercettazioni, lo snocciolare di partite sotto indagine, i nomi di figuri ormai divenuti familiari, non sfiora neppure per sbaglio la maglia rossoblù. E fa senso pensare che molti dei "protagonisti" di questa ennesima farsa siano anche solo scesi in campo a fianco dei vari Lamanna, Borghese, Sandreani, Gomez: che stavano lì per menarle a tutti, fregandosene di quello che la gente scommetteva e prevedeva. E non aspettando altro che il triplice fischio finale per andare a correre sotto la curva dei supporters rossoblù...
Anzi, a pensarci bene, forse con il Gubbio qualcuno deve aver vinto pure pesante: se non altro per i pronostici sovvertiti rispetto all'inizio stagione.
Chissà quanto poteva essere quotata, la sera del 22 agosto 2010, la vittoria in campionato e promozione diretta in serie B dei rossoblù: dopo il 5-1 incassato a Cremona, nella prima stagionale allo "Zini", contro una squadra strafavorita dai bookmakers della vigilia e che, ironia della sorte, aveva in porta tale Marco Paoloni. Vogliamo stare bassi e azzardare 200 a 1? Beh, nessuno quella sera ha provato quella giocata.
Per un motivo semplice: nessuno l'aveva suggerita, studiata e architettata a tavolino. E forse neanche i rossoblù l'avrebbero mai sognata...
Poi la storia del campionato, quello vero, quello giocato, è stata ben diversa... E ha avuto un solo colore: il rossoblù...
sabato 4 giugno 2011
Dai "cazzotti" alle scuse, dai quotidiani a youtube: ciò che dispiace e ciò che stona davvero...
“Scazzottata, caso chiuso. I protagonisti chiedono scusa”. Il titolo più o meno fa così.
Ma non si tratta della conclusione deamicisiana di una vicenda di cronaca.
Piuttosto dell’epilogo di un episodio che è avvenuto sotto gli occhi di tutti (e sotto quelli delle telecamere) il giorno dei Ceri piccoli, in una Piazza Grande affollata come non mai per questa manifestazione, durante la consueta diretta di TRG dell’alzata.
Non è stato certamente un bel vedere. E dispiace dirlo, soprattutto perché coinvolto era un amico, fraterno, e soprattutto un ceraiolo, indiscutibile.
Alla sera, a mente fredda, riflettevo che questo episodio – considerando anche l’indole di chi ne è stato protagonista, notoriamente schivo da qualsiasi forma di protagonismo, arroganza e prepotenza – dimostra una volta in più come l’intensità della Festa dei Ceri spinga ognuno a tirare fuori il meglio ma talvolta anche il peggio di sé. Può accadere a chiunque. Anche a chi, in questi giorni, si è eretto sul piedistallo del giudizio e ha puntato il dito. Forte di non si sa quale pedigree ceraiolo, che legittimasse un “giudizio sommario”. Personalmente ho sempre preferito riflettere, in questi casi, prima di aprire bocca. E mettermi nei panni altrui evitando, per quanto possibile, di giudicare.
Alberto ha sbagliato. E’ indiscutibile. Lo ha capito e lo ha ammesso, ha chiesto scusa al diretto interessato – un ragazzo trovatosi al momento sbagliato nel posto sbagliato – alla sua famiglia e soprattutto ha chiesto scusa pubblicamente, con una lettera che oggi tutti possono leggere dalle colonne di un giornale locale. Dimostrando la sua vera indole, lo spessore di una persona che non è infallibile, come ognuno di noi, ma sa ammettere - a differenza di tanti altri - quando sbaglia. Non crediate che quest’ultimo – soprattutto nella Festa dei Ceri – sia un costume così diffuso.
Se vogliamo, le scuse "a mezzo stampa" sono la vera novità di una vicenda che altrimenti è talmente consueta e connaturata alla Festa dei Ceri, da ispirarci piuttosto un’altra riflessione. Da ceraioli e da operatori di informazione.
Che senso ha riportare in un articolo di giornale un fatto che accade praticamente ogni 15 maggio, in tanti angoli della città, durante un momento che, per sua natura, è distinto e distante dal quotidiano convivere? Che senso ha giudicare con i canoni della quotidianità qualcosa che nulla ha a che vedere con essa?
Si chiede forse permesso al momento di entrare sotto il Cero? Si prega gentilmente il turista passante, di accomodarsi al lato della strada, mentre si avvicinano i Ceri alla propria muta?
Con questo non voglio giustificare le "scazzottate", ci mancherebbe. Ma la Festa dei Ceri le ha sempre conosciute e continuerà a conoscerle, soprattutto durante la corsa: fanno parte di una storia “mai scritta e documentata”, che è parte intima delle emozioni tumultuose di quei momenti. Qualcuno potrà storcere la bocca, ma è così.
Non mi risulta che la leggendaria Peppona offrisse tè e pasticcini ai sangiorgiari quando i Ceri partivano dalla porta di S.Ubaldo.
Certo, i tempi da allora sono cambiati. E con essi anche alcune “tendenze” ed eccessi ceraioli. Lasciando spazio ad altri, figli dell’attuale sentire comune (sagre in piazza alla sera del 14 e del 15, ambulanti con crepes alla nutella e via di questo genere…). Cambiare non sempre vuol dire migliorare...
Descrivere e provare a spiegare, specie su un giornale, specie a degli "estranei" della Festa, questa storia “detta ma non scritta né documentata” non è impresa difficile. E’ semplicemente inutile. Soprattutto per chi non l’ha mai vissuta. Dunque ci risparmieremo questa “fatica”.
La più grande differenza, la linea di confine tra un tipo di episodio diffuso e comune al 15 maggio (anche quest’anno mi sono trovato spettatore di 3-4 situazioni simili) e quello che è avvenuto giovedì scorso in Piazza Grande, è che quando tutto ciò avviene “sotto le telecamere” finisce per assumere una dimensione diversa e più eclatante: qualcosa che in realtà non appartiene alla reale volontà di quei gesti. Sbagliati senza ombra di dubbio ma in un contesto comunque diverso da quello dal quale vengono giudicati, il giorno dopo. Nell’immaginario collettivo, così come in chi è chiamato a raccontare la cronaca di quella giornata.
Sarebbe un po’ come se il cronista sportivo riportasse le frasi che i giocatori si rivolgono reciprocamente in campo (e che mai nessuno ha rivelato nelle dichiarazioni del dopo-gara); o come se lo chef raccontasse quello che avviene dentro la cucina del proprio ristorante. O come se – tornando alla Festa dei Ceri – trasmettessimo in diretta le riunioni in taverna: oltre alla dubbia confidenza con la grammatica, scopriremmo un universo dialettico e morale del tutto ignoto. E non necessariamente negativo. Ma che merita di restare oscuro, lontano dall'occhio e dall'orecchio di chi, a quel "mondo", non appartiene. E non potrebbe mai comprendere.
Non voglio dare giudizi morali su quanto è accaduto in Piazza Grande, non voglio criminalizzare nè tanto meno giustificare: parla da sola la lettera di Alberto, le sue scuse, gesto nobile e non facile. Dopo l'errore evidente, sotto gli occhi di tutti.
E aggiungo che neppure di "scazzottata" è opportuno parlare, come mi è stato giustamente ricordato, dal momento che i colpi sono partiti da una sola parte, per raggiungere l'altra.
Mi permetto però – facendo questo mestiere da più di 20 anni (non intendo il ceraiolo, quello lo faccio da più tempo… ma il giornalista) – di dire la mia su questo rincorrere notizie che tali sarebbero se inserite in un contesto di normalità.
Ma che tali non sono, e non saranno mai, se inserite in un contesto atipico (e da ceraioli, diremmo, unico) qual è quello della Festa dei Ceri.
Non dico per caso tutto questo, proprio all’indomani di un 15 maggio nel quale sono avvenuti alcuni episodi (cadute del cero “causate” da altri ceraioli), che rammaricano ma al tempo stesso fanno parte della storia dei Ceri. La stonatura è stato vedere ricostruiti alcuni di questi fatti su un popolarissimo social network (youtube) con tanto di moviola.
Ecco, che quasi senza accorgersene, si arriva alla distorsione del vivere ceraiolo, del detto e non scritto, della dimensione unica della Festa, che finisce per essere appiattita attraverso l’utilizzo di mezzi e forme di “lettura” che - magari sono di uso comune tutti i giorni - ma che con la Festa dei Ceri, e il suo spirito, non hanno nulla a che fare. La vera “stonatura”, ripeto, non è stata la caduta sventurata di un Cero, causa altrui: è avvenuto tante volte in passato e purtroppo avverrà ancora in futuro (magari "spartimole" ste disavventure, mi viene da dire, sorridendo…).
La “stortura” vera è aver visto raccontata questa storia non in una taverna, non in una chiacchierata ceraiola, non in una discussione, magari animata, anche tra ceraioli di camicia diversa, anche con qualche spintone, subito seguito da una stretta di mano o un chiarimento: ma su internet.
E ho apprezzato molto le parole del presidente della Famiglia dei Santantoniari, Alfredo Minelli, in una nota divulgata tra i ceraioli - e che avrei inserito anche qui, se non avessi avuto poi la sensazione di violare, nello stesso modo, l'intimità di quella riflessione, da condividere esclusivamente tra amici Santantoniari...
Internet o le colonne di un giornale. Siamo sulla stessa falsariga. E mai termine mi appare più azzeccato: falsariga. Perché è distorsione di quello che dovrebbe restare il terreno di discussione (e anche valutazione) di ciò che avviene in quei minuti: non le moviole, non le carte bollate. Ma il confronto verbale, diretto. Faccia a faccia. Quello che, se hai la coscienza pulita, non abbassi la testa. Non ti nascondi dietro un nickname, non devi usare una tastiera.
Se si sbaglia, e si è ceraioli, certamente si chiederà scusa. Perché non parliamo tra uomini primitivi. Ma tra uomini, e basta.
Nel codice non scritto di un ceraiolo, ci sta anche questo. Sbagliare, nell'enfasi eccessiva del momento. E poi, a quattr'occhi, chiarire. Senza bisogno che un moviolista, un cronista o un avvocato ci spieghino come...
Ma non si tratta della conclusione deamicisiana di una vicenda di cronaca.
Piuttosto dell’epilogo di un episodio che è avvenuto sotto gli occhi di tutti (e sotto quelli delle telecamere) il giorno dei Ceri piccoli, in una Piazza Grande affollata come non mai per questa manifestazione, durante la consueta diretta di TRG dell’alzata.
Non è stato certamente un bel vedere. E dispiace dirlo, soprattutto perché coinvolto era un amico, fraterno, e soprattutto un ceraiolo, indiscutibile.
Alla sera, a mente fredda, riflettevo che questo episodio – considerando anche l’indole di chi ne è stato protagonista, notoriamente schivo da qualsiasi forma di protagonismo, arroganza e prepotenza – dimostra una volta in più come l’intensità della Festa dei Ceri spinga ognuno a tirare fuori il meglio ma talvolta anche il peggio di sé. Può accadere a chiunque. Anche a chi, in questi giorni, si è eretto sul piedistallo del giudizio e ha puntato il dito. Forte di non si sa quale pedigree ceraiolo, che legittimasse un “giudizio sommario”. Personalmente ho sempre preferito riflettere, in questi casi, prima di aprire bocca. E mettermi nei panni altrui evitando, per quanto possibile, di giudicare.
Alberto ha sbagliato. E’ indiscutibile. Lo ha capito e lo ha ammesso, ha chiesto scusa al diretto interessato – un ragazzo trovatosi al momento sbagliato nel posto sbagliato – alla sua famiglia e soprattutto ha chiesto scusa pubblicamente, con una lettera che oggi tutti possono leggere dalle colonne di un giornale locale. Dimostrando la sua vera indole, lo spessore di una persona che non è infallibile, come ognuno di noi, ma sa ammettere - a differenza di tanti altri - quando sbaglia. Non crediate che quest’ultimo – soprattutto nella Festa dei Ceri – sia un costume così diffuso.
Se vogliamo, le scuse "a mezzo stampa" sono la vera novità di una vicenda che altrimenti è talmente consueta e connaturata alla Festa dei Ceri, da ispirarci piuttosto un’altra riflessione. Da ceraioli e da operatori di informazione.
Che senso ha riportare in un articolo di giornale un fatto che accade praticamente ogni 15 maggio, in tanti angoli della città, durante un momento che, per sua natura, è distinto e distante dal quotidiano convivere? Che senso ha giudicare con i canoni della quotidianità qualcosa che nulla ha a che vedere con essa?
Si chiede forse permesso al momento di entrare sotto il Cero? Si prega gentilmente il turista passante, di accomodarsi al lato della strada, mentre si avvicinano i Ceri alla propria muta?
Con questo non voglio giustificare le "scazzottate", ci mancherebbe. Ma la Festa dei Ceri le ha sempre conosciute e continuerà a conoscerle, soprattutto durante la corsa: fanno parte di una storia “mai scritta e documentata”, che è parte intima delle emozioni tumultuose di quei momenti. Qualcuno potrà storcere la bocca, ma è così.
Non mi risulta che la leggendaria Peppona offrisse tè e pasticcini ai sangiorgiari quando i Ceri partivano dalla porta di S.Ubaldo.
Certo, i tempi da allora sono cambiati. E con essi anche alcune “tendenze” ed eccessi ceraioli. Lasciando spazio ad altri, figli dell’attuale sentire comune (sagre in piazza alla sera del 14 e del 15, ambulanti con crepes alla nutella e via di questo genere…). Cambiare non sempre vuol dire migliorare...
Descrivere e provare a spiegare, specie su un giornale, specie a degli "estranei" della Festa, questa storia “detta ma non scritta né documentata” non è impresa difficile. E’ semplicemente inutile. Soprattutto per chi non l’ha mai vissuta. Dunque ci risparmieremo questa “fatica”.
La più grande differenza, la linea di confine tra un tipo di episodio diffuso e comune al 15 maggio (anche quest’anno mi sono trovato spettatore di 3-4 situazioni simili) e quello che è avvenuto giovedì scorso in Piazza Grande, è che quando tutto ciò avviene “sotto le telecamere” finisce per assumere una dimensione diversa e più eclatante: qualcosa che in realtà non appartiene alla reale volontà di quei gesti. Sbagliati senza ombra di dubbio ma in un contesto comunque diverso da quello dal quale vengono giudicati, il giorno dopo. Nell’immaginario collettivo, così come in chi è chiamato a raccontare la cronaca di quella giornata.
Sarebbe un po’ come se il cronista sportivo riportasse le frasi che i giocatori si rivolgono reciprocamente in campo (e che mai nessuno ha rivelato nelle dichiarazioni del dopo-gara); o come se lo chef raccontasse quello che avviene dentro la cucina del proprio ristorante. O come se – tornando alla Festa dei Ceri – trasmettessimo in diretta le riunioni in taverna: oltre alla dubbia confidenza con la grammatica, scopriremmo un universo dialettico e morale del tutto ignoto. E non necessariamente negativo. Ma che merita di restare oscuro, lontano dall'occhio e dall'orecchio di chi, a quel "mondo", non appartiene. E non potrebbe mai comprendere.
Non voglio dare giudizi morali su quanto è accaduto in Piazza Grande, non voglio criminalizzare nè tanto meno giustificare: parla da sola la lettera di Alberto, le sue scuse, gesto nobile e non facile. Dopo l'errore evidente, sotto gli occhi di tutti.
E aggiungo che neppure di "scazzottata" è opportuno parlare, come mi è stato giustamente ricordato, dal momento che i colpi sono partiti da una sola parte, per raggiungere l'altra.
Mi permetto però – facendo questo mestiere da più di 20 anni (non intendo il ceraiolo, quello lo faccio da più tempo… ma il giornalista) – di dire la mia su questo rincorrere notizie che tali sarebbero se inserite in un contesto di normalità.
Ma che tali non sono, e non saranno mai, se inserite in un contesto atipico (e da ceraioli, diremmo, unico) qual è quello della Festa dei Ceri.
Non dico per caso tutto questo, proprio all’indomani di un 15 maggio nel quale sono avvenuti alcuni episodi (cadute del cero “causate” da altri ceraioli), che rammaricano ma al tempo stesso fanno parte della storia dei Ceri. La stonatura è stato vedere ricostruiti alcuni di questi fatti su un popolarissimo social network (youtube) con tanto di moviola.
Ecco, che quasi senza accorgersene, si arriva alla distorsione del vivere ceraiolo, del detto e non scritto, della dimensione unica della Festa, che finisce per essere appiattita attraverso l’utilizzo di mezzi e forme di “lettura” che - magari sono di uso comune tutti i giorni - ma che con la Festa dei Ceri, e il suo spirito, non hanno nulla a che fare. La vera “stonatura”, ripeto, non è stata la caduta sventurata di un Cero, causa altrui: è avvenuto tante volte in passato e purtroppo avverrà ancora in futuro (magari "spartimole" ste disavventure, mi viene da dire, sorridendo…).
La “stortura” vera è aver visto raccontata questa storia non in una taverna, non in una chiacchierata ceraiola, non in una discussione, magari animata, anche tra ceraioli di camicia diversa, anche con qualche spintone, subito seguito da una stretta di mano o un chiarimento: ma su internet.
E ho apprezzato molto le parole del presidente della Famiglia dei Santantoniari, Alfredo Minelli, in una nota divulgata tra i ceraioli - e che avrei inserito anche qui, se non avessi avuto poi la sensazione di violare, nello stesso modo, l'intimità di quella riflessione, da condividere esclusivamente tra amici Santantoniari...
Internet o le colonne di un giornale. Siamo sulla stessa falsariga. E mai termine mi appare più azzeccato: falsariga. Perché è distorsione di quello che dovrebbe restare il terreno di discussione (e anche valutazione) di ciò che avviene in quei minuti: non le moviole, non le carte bollate. Ma il confronto verbale, diretto. Faccia a faccia. Quello che, se hai la coscienza pulita, non abbassi la testa. Non ti nascondi dietro un nickname, non devi usare una tastiera.
Se si sbaglia, e si è ceraioli, certamente si chiederà scusa. Perché non parliamo tra uomini primitivi. Ma tra uomini, e basta.
Nel codice non scritto di un ceraiolo, ci sta anche questo. Sbagliare, nell'enfasi eccessiva del momento. E poi, a quattr'occhi, chiarire. Senza bisogno che un moviolista, un cronista o un avvocato ci spieghino come...
mercoledì 1 giugno 2011
Scommesse choc: un senso di squallore, tristezza... e la proverbiale saggezza di Simoni...
Squallido. E' l'unico aggettivo che viene in mente leggendo di primo acchito dell'inchiesta sul nuovo caso di calcioscommesse tra serie B e Lega Pro. Una vicenda torbida che ancora deve svelare tutti i suoi retroscena e la sua verità - ammessa che mai la si sappia fino in fondo.
Ma già basta quello che è trapelato per provare un senso di nausea e imbarazzo al tempo stesso.
Come appassionati di calcio e di sport, prima ancora che narratori di vicende "pedatorie".
Come amanti spudorati di emozioni forti e irripetibili, come quelle che un gol o un rigore parato (dal tuo portiere) possono regalarti.
Altro che doping. Questa è alterazione genetica della passione sportiva.
In queste ore sarebbe perfino difficile trovare un principe del foro così abile da riuscire a difendere la credibilità di un circus - quello calcistico-mediatico - sempre più inghiottito dal dio-business: il solo profilerare di siti di scommesse sportve e di sponsor sulle maglie (anche più titolate), da solo stonava. E dava un senso di sproporzione.
Ora che viene a galla un nuovo caso-scommesse, a tutti gli effetti - coinvolte squadre come Atalanta e Siena, neopromosse in A, oltre ad un nugolo di formazioni della vecchia serie C, tra cui Cremonese e Ravenna - quel senso di inadeguatezza si trasforma in insofferenza...
Strano, dirà qualcuno. In fondo sono storie che non toccano neanche da vicino gli amati colori rossoblù: in fondo il famigerato Paoloni - portiere della Cremonese fino a gennaio - giocò contro il Gubbio solo quel 22 agosto (finì 5-1 per i grigiorossi), un'infausta domenica afosa che forse però insegnò tanto all'undici di Torrente.
Nessuno si accorse di Paoloni - quasi mai sollecitato dagli avanti eugubini - battuto solo da Bazzoffia, in una gara senza alcuna storia in cui l'unico "giallo" era la divisa - poi scaramanticamente mai più indossata - della squadra eugubina.
Vedremo cosa uscirà fuori da questo nuovo "vaso di Pandora", che senza coperchio rivela anche nomi eccellenti del calcio che fu (Signori su tutti, ma anche mister Ventura Bettarini), gente che non avrebbe bisogno di arrotondare i propri 740 con qualche scommessa galeotta...
Il senso di tristezza, mista a squallore, è attenuato quando nella stessa giornata ti trovi a parlare - anche per pochi minuti - con un signore del calcio, come Luigi Simoni: giusto stamattina il Direttore tecnico ha firmato la sua permanenza a Gubbio. Proprio Cremona bramava un suo ritorno, sembra che anche da Palermo siano giunte chiamate interessate. Qualche giorno di riflessione, e poi la decisione coerente con una saggezza, mai ostentata, ma sempre visibile, palpabile, anche ascoltando una semplice frase come questa, confidata oggi durante una telefonata: "Ci sono pochi posti in Italia dove si lavora bene come a Gubbio".
E quel "bene" significa tante cose...
Semplicità, schiettezza, motivazioni, voglia di crescere in una piazza che sa amare calorosamente, senza eccessive pressioni. Restando sempre e comunque coi piedi per terra. Sapendo chi si è, quali sono i propri limiti ma anche sfidando ogni volta in più il luogo comune che vorrebbe una città piccola come Gubbio relegata inevitabilmente in quarta serie: un teorema che in meno di due anni il triumvirato rossoblù ha saputo sovvertire.
Senza clamori, senza follie (se non quelle di una tifoseria letteralmente impazzita per una squadra trascinante). E soprattutto senza ombre. Una di quelle piazze dove, dopo una vittoria fondamentale per la promozione in serie B, puoi ritrovarti a mangiare un piatto di penne all'amatriciana (come Simoni nella foto del dopo gara Gubbio-Salernitana), in un clima amichevole e goliardico. Che non ha bisogno di etichettarsi come "terzo tempo", perchè non è scimmiottato: ma appunto, spontaneo.
Emblematico che certe parole - quelle del paterno Gigi - arrivino proprio in questo giorno: un 1 giugno che resterà agli annali come un'ignobile pagina di cronaca legata allo sport e che enfatizza indirettamente, se possibile, ancora di più l'impresa del Gubbio: talmente superiore alle avversarie, da ignorare inconsapevolmente anche quanto di strano e meschino accadeva intorno ad alcuni stadi del girone A di Lega Pro.
Gubbio sembra lontana anni luce - molto più di quanto non dica la tortuosità delle sue strade - da questo mondo artificiale e "finto" del cosiddetto "calcio che conta": la carezza paterna di Simoni a Marco Briganti, dopo la doppietta all'ambiziosa Salernitana, ci regala un flash d'altri tempi. Ma che non vuol dire di un calcio superato: è il calcio sano (e vincente) che si respira ancora a queste latitudini. Oggi fa notizia, proprio perché vince. Ma la sua autenticità prescinde dai risultati stessi.
Correttezza e deontologia vogliono che si debba attendere l'evolversi delle indagini, per emettere un giudizio già lapidario sul nuovo caso-scommesse. La certezza piuttosto è un'altra: da queste parti, invece, non c'è bisogno di aspettare il magistrato o l'intercettazione di turno per capire quanto grande sia stata l'impresa della squadra di Torrente. E quanto prezioso sia oggi il sì definitivo di un signore come Luigi Simoni. Dopo Stefano Giammarioli, i tasselli sono due: manca solo il terzo. E forse manca solo qualche giorno per ricollocare anche quello...
Dalla trasmissione sulla Lega Pro di Raisport, il replay di un gol "strano" incassato da Paoloni in una delle partite sotto indagine: Spezia-Cremonese 2-2.
Ma già basta quello che è trapelato per provare un senso di nausea e imbarazzo al tempo stesso.
Come appassionati di calcio e di sport, prima ancora che narratori di vicende "pedatorie".
Come amanti spudorati di emozioni forti e irripetibili, come quelle che un gol o un rigore parato (dal tuo portiere) possono regalarti.
Altro che doping. Questa è alterazione genetica della passione sportiva.
In queste ore sarebbe perfino difficile trovare un principe del foro così abile da riuscire a difendere la credibilità di un circus - quello calcistico-mediatico - sempre più inghiottito dal dio-business: il solo profilerare di siti di scommesse sportve e di sponsor sulle maglie (anche più titolate), da solo stonava. E dava un senso di sproporzione.
Ora che viene a galla un nuovo caso-scommesse, a tutti gli effetti - coinvolte squadre come Atalanta e Siena, neopromosse in A, oltre ad un nugolo di formazioni della vecchia serie C, tra cui Cremonese e Ravenna - quel senso di inadeguatezza si trasforma in insofferenza...
Paoloni schierato in Cremonese-Gubbio - foto gubbiofans.it |
Nessuno si accorse di Paoloni - quasi mai sollecitato dagli avanti eugubini - battuto solo da Bazzoffia, in una gara senza alcuna storia in cui l'unico "giallo" era la divisa - poi scaramanticamente mai più indossata - della squadra eugubina.
Vedremo cosa uscirà fuori da questo nuovo "vaso di Pandora", che senza coperchio rivela anche nomi eccellenti del calcio che fu (Signori su tutti, ma anche mister Ventura Bettarini), gente che non avrebbe bisogno di arrotondare i propri 740 con qualche scommessa galeotta...
Il senso di tristezza, mista a squallore, è attenuato quando nella stessa giornata ti trovi a parlare - anche per pochi minuti - con un signore del calcio, come Luigi Simoni: giusto stamattina il Direttore tecnico ha firmato la sua permanenza a Gubbio. Proprio Cremona bramava un suo ritorno, sembra che anche da Palermo siano giunte chiamate interessate. Qualche giorno di riflessione, e poi la decisione coerente con una saggezza, mai ostentata, ma sempre visibile, palpabile, anche ascoltando una semplice frase come questa, confidata oggi durante una telefonata: "Ci sono pochi posti in Italia dove si lavora bene come a Gubbio".
E quel "bene" significa tante cose...
Semplicità, schiettezza, motivazioni, voglia di crescere in una piazza che sa amare calorosamente, senza eccessive pressioni. Restando sempre e comunque coi piedi per terra. Sapendo chi si è, quali sono i propri limiti ma anche sfidando ogni volta in più il luogo comune che vorrebbe una città piccola come Gubbio relegata inevitabilmente in quarta serie: un teorema che in meno di due anni il triumvirato rossoblù ha saputo sovvertire.
Senza clamori, senza follie (se non quelle di una tifoseria letteralmente impazzita per una squadra trascinante). E soprattutto senza ombre. Una di quelle piazze dove, dopo una vittoria fondamentale per la promozione in serie B, puoi ritrovarti a mangiare un piatto di penne all'amatriciana (come Simoni nella foto del dopo gara Gubbio-Salernitana), in un clima amichevole e goliardico. Che non ha bisogno di etichettarsi come "terzo tempo", perchè non è scimmiottato: ma appunto, spontaneo.
Emblematico che certe parole - quelle del paterno Gigi - arrivino proprio in questo giorno: un 1 giugno che resterà agli annali come un'ignobile pagina di cronaca legata allo sport e che enfatizza indirettamente, se possibile, ancora di più l'impresa del Gubbio: talmente superiore alle avversarie, da ignorare inconsapevolmente anche quanto di strano e meschino accadeva intorno ad alcuni stadi del girone A di Lega Pro.
Gubbio sembra lontana anni luce - molto più di quanto non dica la tortuosità delle sue strade - da questo mondo artificiale e "finto" del cosiddetto "calcio che conta": la carezza paterna di Simoni a Marco Briganti, dopo la doppietta all'ambiziosa Salernitana, ci regala un flash d'altri tempi. Ma che non vuol dire di un calcio superato: è il calcio sano (e vincente) che si respira ancora a queste latitudini. Oggi fa notizia, proprio perché vince. Ma la sua autenticità prescinde dai risultati stessi.
Correttezza e deontologia vogliono che si debba attendere l'evolversi delle indagini, per emettere un giudizio già lapidario sul nuovo caso-scommesse. La certezza piuttosto è un'altra: da queste parti, invece, non c'è bisogno di aspettare il magistrato o l'intercettazione di turno per capire quanto grande sia stata l'impresa della squadra di Torrente. E quanto prezioso sia oggi il sì definitivo di un signore come Luigi Simoni. Dopo Stefano Giammarioli, i tasselli sono due: manca solo il terzo. E forse manca solo qualche giorno per ricollocare anche quello...
Dalla trasmissione sulla Lega Pro di Raisport, il replay di un gol "strano" incassato da Paoloni in una delle partite sotto indagine: Spezia-Cremonese 2-2.
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