29 febbraio... Pensandoci, mi viene in mente "Il Giorno in più", il libro di Fabio Volo. Uno dei più... intensi.
Non che la riflessione di oggi abbia a che fare con quel libro. Ma con quel suo giorno in più.
Per noi conta poco. In fondo è solo un foglio in più - o una casella in più - sul calendario. Magari i tanti 29 febbraio vissuti - per me ormai una decina - hanno sempre detto poco.
Eppure, a pensarci bene, non sempre è stato così. Eppure il 29 febbraio mi ricorda - e non può essere altrimenti - l'anno bisestile. Di solito, si dice che l'anno bisestile sia una sorta di iattura. Ma chi lo dice?
Anzi, ad essere sinceri, alcuni momenti top della mia esistenza sono avvenuti proprio in anni bisestili.
Il primo che mi viene in mente è la laurea. Non per importanza, ma proprio perchè - ironia della sorte - mi laureai il 29 febbraio: purtroppo era il 1996 - quindi 16 anni fa (di già?).
Di quel giorno, per assurdo, non ho molti ricordi: l'aula, relativamente piccola, della facoltà di Giuriprudenza. La materia, inedita per uno studente di Legge, che era Economia Politica. Il prof., tale Andrea Boitani, che avrò visto sì e no 5 volte in vita mia, di cui rammento più l'espressione sorpresa di quando gli andai a chiedere la tesi che non la faccia che fece quando mi assegnarono il voto (non proprio alto, per l'epoca, ma ero un tipo che si portava a casa di tutto - perfino i 21 negli esami complementari... figuriamoci).
Navigando su wikipedia l'ho ripescato in un paio di puntate di Tg1 Economia, l'ho scoperto redattore di lavoce.info e ora docente alla Cattolica di Milano. Però...
Con quella tesi svelai la mia sostanziale idiosincrasia per le leggi e i diritti in genere: avrei tagliato definitivamente ogni ponte un anno dopo, chiudendo l'esperienza dopo 11 mesi di praticantato in uno studio legale, e capendo, ormai al capolinea, che non faceva per me.
La laurea me l'ero presa e forse ho sempre pensato di aver fatto abbastanza presto - 5 anni - più per la fretta di andarmene che non per la reale passione per usucapione o ricorsi in Cassazione.
Di quel quinquennio - in cui poco ho frequentato e ancor meno ho assimilato - mi resteranno belle soddisfazioni (ogni volta che un prof appoggiava la sua penna sul mio libretto, quindi una 25ina), un'infrastruttura giuridico-mentale di base (che mi torna utile oggi nel delicato mestiere del centellinare gli aggettivi e di correre border line sul filo della querela) ma anche diversi bocconi amari. Oltre a migliaia di chilometri percorsi, in una specie di circumnavigazione dei tappeti e delle mattonelle di casa mia, a ripetere (generalmente a voce alta), durante lo studio, capitoli e capitoli di diritto e interi manuali mandati praticamente a memoria. E ora richiusi in un armadio, sotto forma di libri-ricordo.
Con qualche aneddoto curioso: come una frattura alla caviglia tutto sommato "fortunata", perchè mi portò a superare al primo colpo Procedura Civile. Costretto immobile a letto per 20 giorni, preparai l'esame, non dico alla grande. Ma di sicuro, come non avrei mai fatto con due caviglie a posto...
Non fu altrettanto buena suerte con Diritto del Lavoro, che finì per ripetere 2 volte (e la seconda, praticamente sapendo tutto di tutto). Inciampi del mestiere.
Alla fine la seduta di laurea fu una ratifica, una sostanziale formalità: solenne sì, con una schiera di prof a squadrarti, non so ancora se pateticamente o con sincero orgoglio, il relatore a sostenerti per dovere contrattuale e il controrelatore a controbattere qualcosa, lasciandoti l'insostenibile dubbio se avesse davvero dato un'occhiata al tuo testo.
Lo ricordo rilegato di verde - m'era piaciuto così, e ancora fortuna che non era un colore leghista... Scritto in orari improbabili, nella redazione di "Gubbio oggi", dove trascorrevo metà delle mie giornate. Ricordo di essere andato a Roma, con la tesi sotto braccio, solo per farla firmare al mio prof (che s'era dimenticato di farlo quando gliel'avevo consegnata a Perugia).
Quel giorno, quel 29 febbraio, ero felice per la felicità che vedevo nei miei. In chi mi era vicino. La mia me l'ero goduta in occasione dell'ultimo esame. Perchè già da allora, 5 mesi prima, avevo avuto la certezza che non sarei più finito davanti al "plotone d'esecuzione" - tale mi sembrava ogni commissione d'esame - con quel senso di ansia, di precario e di indefinito, che ogni istante prima di un esame universitario, riversa su di te...
Forse è una fortuna, perchè in fondo da allora, di 29 febbraio ne sono passati relativamente pochi (4 appena). Il problema, semmai, è che quel 4 va moltiplicato x 4.
A dirla tutta, se faccio un rapido excursus il bisesto mi ha sempre segnato in qualcosa di straordinario.
Nel 2000 mi sono sposato. Nel 2004 è nato mio figlio, Giovanni (la Vitti è sfuggita dal bisesto, ma giustamente è una "fuori dagli schemi"). Nel 2008 sono tornato in Usa, un viaggio indimenticabile con un amico fraterno. Un ritorno, dopo che là ero già stato la prima volta nel 1992 (altro anno bisestile, vedi un po'....) anche se allora eravamo in quattro (sempre Dada, e con lui Ettore e Filippo).
Nel 2012? Che accadrà di così memorabile?
Questo ancora non lo so... Un paio di idee mi vengono in mente, ma mi piace riprendere questo discorso tra qualche mese. Quando magari si saranno concretizzate.
Per ora solo un pensiero, personale, su questo anno bisestile. Chi lo dice che sia per forza, ineluttabilmente, un anno "sfigato"? Un po' dipende anche da noi. E, nel mio caso, anche da quel paio di idee che ho in serbo. Non sono nè un 6 al Superenalotto nè un'evenienza da congiuntura astrale.
Ma qualcosa di più... di più importante. Di mio. Che questo 2012 potrebbe regalarmi...
Basta crederci, si dice... no?
E comunque vada, basta la salute, rispondo io... Anche per quel giorno in più...
mercoledì 29 febbraio 2012
martedì 28 febbraio 2012
Omicidio stradale: per la prima volta un ministro prende un impegno. Per ora a parole. Ma è già qualcosa.
Una vettura sventrata. I soccorsi, spesso inutili, per quanto immediati. Una strada chiusa al traffico. E dietro a tutto questo, soprattutto, una vita che si spegne. E un dolore che resta per sempre.
E' un tema di cui mi sono occupato in altre occasioni, in questo blog. Che ha toccato spesso tutti noi, direttamente o indirettamente. Lasciando ferite profonde.
E per il quale cerco di adoperarmi, anche personalmente, aiutando un'associazione ("El.Ba.") che meritoriamente conduce una campagna di sensibilizzazione nelle scuole alla guida sicura e alla prevenzione contro le stragi del sabato sera. Che più in generale riguardano la necessità che, soprattutto i più giovani (ma non solo), si mettano alla guida consapevoli di tutelare la propria salute e anche quella altrui.
Una piccola svolta sembra ora profilarsi da parte del Governo dei Tecnici, almeno sul piano normativo. A colmare una lacuna, finora ingiustificabile. Il riconoscimento del cosiddetto "omicidio stradale". Ad esporsi per la prima volta, in tal senso, è il ministro dei Trasporti, Corrado Passera:
http://www.tgcom24.mediaset.it/cronaca/articoli/1038501/passera-valutiamo-reato-di-omicidio-stradale.shtml
E' la prima volta che un esponente del Governo prende posizione su questo tema. Finora chi ha provocato la morte o serie conseguenze alla guida di un'autovettura (sotto l'effetto di alcool o stupefacenti) ha spesso potuto contare su un "vuoto legislativo" che di fatto lo rendeva immune da conseguenze proporzionate al danno procurato. Come più volte denunciato - soprattutto dai familiari delle vittime - e come avevo testimoniato anche su questo blog, su invito di uno di questi (vedi post del 15 novembre 2011 e del 23 agosto 2011).
Ora le cose potrebbero cambiare - come si può leggere dall'articolo di Tgcom, allegato. E ad esprimere soddisfazione anche il portavoce di "Basta un attimo", Carmelo Lentino, da anni in prima linea nella tutela della sicurezza stradale:
"Salutiamo con piacere l'importante apertura del ministro Corrado Passera che finalmente riconosce la gravità delle morti causate da chi si mette alla guida di un mezzo sotto l'effetto di alcol o sostanze stupefacenti. Attualmente, purtroppo, queste erano considerate come fossero morti di serie B".
Carmelo Lentino è portavoce di "BastaUnAttimo" la campagna nazionale per la sicurezza stradale e contro le stragi del sabato sera che fa parte del Forum Nazionale Giovani.
"La certezza della pena - prosegue Lentino - ed una pena adeguata al reato che è stato commesso, devono essere alla base di un'azione di contrasto al fenomeno dell'incidentalità stradale affinché l'Italia, che ha fallito l'obiettivo del 2010, possa invece raggiungere quanto previsto dalla Carta Europea per la Sicurezza Stradale nel 2020".
"Serve una società più giusta - ha concluso il portavoce di BastaUnAttimo - dove chi uccide riceva una giusta condanna. Questo, però, deve andare di pari passo con un serio investimento per la formazione all'educazione stradale e la sensibilizzazione all'incidentalità".
Parole di cui fare tesoro, queste ultime. E di cui ognuno, nel proprio piccolo, dovrebbe prendere spunto per un impegno concreto, di sensibilizzazione attiva, soprattutto nei confronti dei giovani.
Come con il concorso "Guida la Vita - Il Senso della Vita" aperto a Gubbio a tutte le classi IV superiori, e di cui torneremo a parlare ad aprile. Con la nuova edizione del concorso.
Un piccolo seme. Destinato però a lasciare un segno importante...
E' un tema di cui mi sono occupato in altre occasioni, in questo blog. Che ha toccato spesso tutti noi, direttamente o indirettamente. Lasciando ferite profonde.
E per il quale cerco di adoperarmi, anche personalmente, aiutando un'associazione ("El.Ba.") che meritoriamente conduce una campagna di sensibilizzazione nelle scuole alla guida sicura e alla prevenzione contro le stragi del sabato sera. Che più in generale riguardano la necessità che, soprattutto i più giovani (ma non solo), si mettano alla guida consapevoli di tutelare la propria salute e anche quella altrui.
Una piccola svolta sembra ora profilarsi da parte del Governo dei Tecnici, almeno sul piano normativo. A colmare una lacuna, finora ingiustificabile. Il riconoscimento del cosiddetto "omicidio stradale". Ad esporsi per la prima volta, in tal senso, è il ministro dei Trasporti, Corrado Passera:
http://www.tgcom24.mediaset.it/cronaca/articoli/1038501/passera-valutiamo-reato-di-omicidio-stradale.shtml
Il ministro Passera |
Ora le cose potrebbero cambiare - come si può leggere dall'articolo di Tgcom, allegato. E ad esprimere soddisfazione anche il portavoce di "Basta un attimo", Carmelo Lentino, da anni in prima linea nella tutela della sicurezza stradale:
"Salutiamo con piacere l'importante apertura del ministro Corrado Passera che finalmente riconosce la gravità delle morti causate da chi si mette alla guida di un mezzo sotto l'effetto di alcol o sostanze stupefacenti. Attualmente, purtroppo, queste erano considerate come fossero morti di serie B".
Carmelo Lentino è portavoce di "BastaUnAttimo" la campagna nazionale per la sicurezza stradale e contro le stragi del sabato sera che fa parte del Forum Nazionale Giovani.
"La certezza della pena - prosegue Lentino - ed una pena adeguata al reato che è stato commesso, devono essere alla base di un'azione di contrasto al fenomeno dell'incidentalità stradale affinché l'Italia, che ha fallito l'obiettivo del 2010, possa invece raggiungere quanto previsto dalla Carta Europea per la Sicurezza Stradale nel 2020".
"Serve una società più giusta - ha concluso il portavoce di BastaUnAttimo - dove chi uccide riceva una giusta condanna. Questo, però, deve andare di pari passo con un serio investimento per la formazione all'educazione stradale e la sensibilizzazione all'incidentalità".
Parole di cui fare tesoro, queste ultime. E di cui ognuno, nel proprio piccolo, dovrebbe prendere spunto per un impegno concreto, di sensibilizzazione attiva, soprattutto nei confronti dei giovani.
Come con il concorso "Guida la Vita - Il Senso della Vita" aperto a Gubbio a tutte le classi IV superiori, e di cui torneremo a parlare ad aprile. Con la nuova edizione del concorso.
Un piccolo seme. Destinato però a lasciare un segno importante...
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Campagna sensibilizzazione
lunedì 27 febbraio 2012
Si torna al "Barbetti", si torna alla musica più gradita e familiare... La vittoria. E che vittoria...
Ciofani e Bazzoffia ascoltano la "musica" del Barbetti. Il Gubbio torna alla vittoria (foto Settonce) |
Bastava tornare a giocare davanti al proprio pubblico. Bastava risentire la musica del “Barbetti” – quell’atmosfera familiare condita da un pubblico sempre caliente e pronto a sostenere la squadra soprattutto nei momenti difficili.
Non che Gubbio-Modena sia stata partita entusiasmante, sul piano tecnico. Ma i rossoblù sono tornati a macinare chilometri, ad aggredire l’avversario. Sono tornati ad essere il Gubbio.
Come non si vedeva da un po’. Come aveva lasciato trasparire solo l’ultima mezz’ora del “Bentegodi”.
Sciarpata rossoblù (foto Settonce) |
Con un vantaggio non indifferente: gli scontri diretti a favore dei rossoblù – pareggio all’andata e vittoria al ritorno – bilancio che costringerà gli emiliani a sopravanzare il Gubbio, perché a pari merito sarebbe la squadra di Simoni ad avere la meglio.
Un fattore che anche psicologicamente potrebbe rivelarsi decisivo, dall’una e dall’altra parte, nel rush finale.
La voleè del "Lisippo" per l'1-0 (foto Settonce) |
Intanto i gol: Ciofani e Sandreani. Per il “Lisippo” in casacca rossoblù forse la ciabattata più goffa della stagione corrisponde al gol decisamente più pesante. Che non solo lo avvicina alla doppia cifra (con 8 reti vere messe dentro, al di là dei riconoscimenti della statistica) ma ribadisce come sia uno dei pochi a “vedere davvero la porta” anche in situazioni difficili. E poteva essere doppietta se sulla linea Carini non si fosse immolato nel finale di tempo, dopo che lo stesso bomber si era prima incartato e quindi aveva sbrogliato con una conclusione di forza.
Il capitano diventa rapace: è 2-0 (foto Settonce) |
Comun denominatore delle due stoccate, l’uomo assist: il solito Bazzoffia, tornato in campo e tornato a incidere come quasi sempre in questa stagione.
Per lui 3 gol – e già è un mezzo record – ma soprattutto 2 rigori procurati e ben 6 assist vincenti, ne fanno di gran lunga il giocatore più decisivo in zona gol.
Il sinistro di Guzman: a tratti pennellate d'autore (foto Settonce) |
E’ anche la conferma di una squadra che se riuscisse ad esprimere le proprie potenzialità – anche non del tutto chiare agli stessi interpreti – la classifica sarebbe ben diversa.
Il portiere del Brescia, Arcari: non prende gol da 810' |
Copertina di "Fuorigioco" - lunedì 27.2.2012
Brano di sottofondo: "Una musica può fare" - Max Gazzè (1999)
domenica 26 febbraio 2012
"La classe non è acqua". L'aristocrazia inglese e l'eleganza di Antonio Caprarica...
"Un Primo Ministro può nominare un Lord. Ma non può fare di un uomo, un gentiluomo".
E' una delle frasi che più colpiscono de "La classe non è acqua", la più recente "fatica" letteraria di Antonio Caprarica, popolare volto del Tg1 da Londra, già inviato in Medio Oriente, Mosca e Parigi, e negli anni scorsi direttore dei Giornali radio Rai.
Una piacevolissima conoscenza quella di cui mi ha dato l'opportunità l'incontro pubblico di ieri, sabato, a Palazzo Pretorio, nella suggestiva Sala Trecentesca, che ho ammirato finalmente piena come non sempre avviene - purtroppo - in occasioni culturali.
Stavolta era così, merito senza dubbio del protagonista, personaggio affabile e accattivante, per il quale l'attributo "elegante", sembra calzare a pennello. Proprio come le sgargianti ma mai inopportune cravatte che esibisce - sembra ne abbia quasi 1.000, tutte realizzate a mano da un sapiente artigiano leccese (con cui condivide le stesse origini e la ventura di risiedere nella City).
E proprio nei meandri storico-geografici dell'Inghilterra più autentica, in una insolita veste di antropologo sociale, sembra accompagnarci nel suo libro Antonio Caprarica. Il suo non è un semplice ritorno al passato, ma è quasi un dilettarsi a dipingere un affresco ironico e realistico al termpo stesso, di quel divertente e intrigante ‘anacronismo’ che è l’aristocrazia britannica – come la definisce Roy Hattersley: storia, personaggi e aneddoti legati a non più di 1.200 famiglie (un decimo di quelle che popolano una città piccola come Gubbio) che oltreManica possiedono ancora i terreni di un terzo dell’isola e, seppur private dall'avvento di Blair di concreta influenza politica, continuano a esercitare fascino sui conterranei e sul Continente.
Fu proprio Blair, nel 1999, a ridimensionare la Camera dei Lord (limitando ad appena 60 il numero dei cosiddetti "Pari Ereditari", ovvero parlamentari per derivazione dinastica), lasciando la stragrande maggioranza dei componenti all'esclusiva nomina da parte del Primo Ministro ("norma che per altro non esclude, ma anzi forse incentiva, una sorta di cooptazione da parte dei premier di turno", come rilevato dallo stesso Caprarica).
Che l'aristocrazia british ispiri curiosità, quand'anche non spirito emulativo, la conferma il successo e la popolarità dell’evento matrimoniale del Principe William e Kate Middleton ("rappresentante di una classe che definiremmo ormai celebrities, le persone famose per il semplice fatto di esserlo").
Di questa anacronistica aristocrazia - che sa ancora tenere coltello e forchetta in un'epoca in cui si mangia con le mani - Caprarica illustra la storia e le singole vicende: i nobili in Inghilterra esercitano ancora un certo fascino perché sono considerati "una benedizione laddove altrove sono considerati un danno". Rappresentano la memoria di un’epoca d’oro, quella dell’impero e proprio in un momento di crisi come quello dei nostri giorni si torna a guardare ai fasti di un glorioso passato. “Di fronte a un futuro deludente gli inglesi si sono affrettati a girare la testa verso un passato rassicurante” scrive l'autore. Gli inglesi, e non solo, provano ammirazione per ciò che la nobiltà ha fatto in passato, è stata una vera classe dirigente che ha fatto di una piccola isola il più grande impero della storia.
Se oggi, uscendo dai nostri confini nazionali, si è obbligati a parlare almeno 4-5 parole di inglese, non è un caso. E' il frutto di una supremazia politica che si è tradotta, nei secoli, in supremazia culturale, o almeno linguistica. Gli States, in questo, c'entrano poco, almeno fino agli anni Sessanta del secolo scorso...
“I patrizi inglesi resistono in una bolla temporale che sembra proteggerli dal volgare appiattimento della modernità - continua Caprarica - Sono gli unici nobili d’Europa a permetterselo. Percossa e ammaccata dalle rivoluzioni sociali del ‘900 la casta dei padroni della terra qui non ha perso come ovunque nel mondo il suo senso di identità. Si è piegata sotto il vento si è adattata ma alla fine è sopravvissuta e ha conservato larga parte delle sue colossali proprietà. Può essere magari un po’ a corto di contanti ma mai di servitù”.
Questo libro è destinato anche a far crollare uno dei più diffusi luoghi comuni sull'aristocrazia inglese: quello che sia stata sempre composta da personaggi irreprensibili, gente poco avvezza a licenze o trasgressioni, i classici personaggi definiti "stiff upper lip" (labbro superiore rigido), che non si emozionano, non si scompongono, praticamente poco più mobili di una "statua di cera". Questi integerrimi lord appartengono in realtà all'età Vittoriana (seconda metà '800, inizio '900). Prima, la classe sociale aristocrica inglese (che non definiamo "casta" solo per l'accezione profondamente negativa che oggi il termine ha assunto dalle nostre parti) era molto meno british di quanto l'aggettivo, non a caso legato allo stereotipo anglosassone tutto d'un pezzo, faccia intendere.
La storia è ben altra. Perchè molti protagonisti di questo libro somigliano piuttosto agli inglesi ribaldi dei secoli previttoriani, i cattivi delle tragedie di Shakespeare (attaccabrighe, ubriaconi, arruffoni, disonesti ecc.), veri e propri campioni di eccentricità, follia e dissipazione, lussuria e libertinaggio.
Se oggi come oggi i nobili inglesi sono un anacronismo che è molto divertente studiare, lo si deve soprattutto per la lucida e particolarissima follia, sempre assai snob, che li caratterzzava. Come quella che portò Lord Hamilton a procurarsi un sarcofago egiziano per la sua dimora eterna, salvo poi scoprire poco prima della morte che, essendo appartenuto a una donna egizia, non poteva contenere adeguatamente le sue spoglie mortali: e in punto di morte, la sua ultima frase fu: "Vi prego, piegatemi in due!".
O il giovane Duca di Norfolk, appena respinto da Oxford, a dichiarare: "Sono loro che perdono tanto, non certo io". O le gesta del Marchese danzante, al secolo Marchese di Anglesey, capace di dissipare in appena 8 anni, miliardi di sterline per una strampalata compagnia di ballo che aveva creato dal nulla e di cui ovviamente era "primadonna", circondandosi di vestiti, lacchè e futilità tra le più costose al mondo.
E se spesso gli esempi maschili parlavano di uomini innamorati di se stessi ancor più che di alcool e stravizi, gli esempi femminili parlavano spesso di nobili spregiudicate, specialmente di fronte alla scelta di chi portarsi tra le lenzuola. E così consapevoli del proprio ruolo aristocratico, da far dire ad una di esse: "Figlia mia, ti sei innamorata del pittore di corte? Prima sposa il nobile che ti è stato promesso, poi penserai al pittore...".
"Spesso le cose più interessanti sono le più folli", diceva Federico Fellini. E il viaggio che ci propone Antonio Caprarica nelle storie della nobiltà di Sua Maestà sono qualcosa più che un semplice viaggio nella fantasia di un mondo che ci appare distante.
Sono anche una felice perlustrazione di un universo che è stato capace di creare le basi (economiche, finanziarie ma anche culturali) del suo presente. A differenza dell'aristocrazia italica, ad esempio: "Mentre i nostri nobili giocavano a zecchinetta campando di una rendita che li avrebbe alla lunga abbandonati - ha spiegato nel corso dell'incontro eugubino, Caprarica - i nobili inglese facevano i "Don Giovanni", si dilettavano nella caccia alla volpe, nel football e nel cricket, ma intanto conquistavano il mondo. E sapevano tenerlo in pugno".
Una lezione che ha un qualcosa di straordinariamente attuale.
E che al fascino dell'eleganza (che come dice lo scrittore Coelho "non è qualcosa di superficiale bensì la maniera che l’uomo ha scoperto per onorare la vita") ha saputo abbinare l'estrema pragmaticità di chi ha saputo tradurre nella vita la parola "leadership".
Fattore P (pragmatismo) lo chiamano i Britannici. Quel fattore che a noi, purtroppo, ha spesso fatto difetto...
E' una delle frasi che più colpiscono de "La classe non è acqua", la più recente "fatica" letteraria di Antonio Caprarica, popolare volto del Tg1 da Londra, già inviato in Medio Oriente, Mosca e Parigi, e negli anni scorsi direttore dei Giornali radio Rai.
Una piacevolissima conoscenza quella di cui mi ha dato l'opportunità l'incontro pubblico di ieri, sabato, a Palazzo Pretorio, nella suggestiva Sala Trecentesca, che ho ammirato finalmente piena come non sempre avviene - purtroppo - in occasioni culturali.
Stavolta era così, merito senza dubbio del protagonista, personaggio affabile e accattivante, per il quale l'attributo "elegante", sembra calzare a pennello. Proprio come le sgargianti ma mai inopportune cravatte che esibisce - sembra ne abbia quasi 1.000, tutte realizzate a mano da un sapiente artigiano leccese (con cui condivide le stesse origini e la ventura di risiedere nella City).
E proprio nei meandri storico-geografici dell'Inghilterra più autentica, in una insolita veste di antropologo sociale, sembra accompagnarci nel suo libro Antonio Caprarica. Il suo non è un semplice ritorno al passato, ma è quasi un dilettarsi a dipingere un affresco ironico e realistico al termpo stesso, di quel divertente e intrigante ‘anacronismo’ che è l’aristocrazia britannica – come la definisce Roy Hattersley: storia, personaggi e aneddoti legati a non più di 1.200 famiglie (un decimo di quelle che popolano una città piccola come Gubbio) che oltreManica possiedono ancora i terreni di un terzo dell’isola e, seppur private dall'avvento di Blair di concreta influenza politica, continuano a esercitare fascino sui conterranei e sul Continente.
Fu proprio Blair, nel 1999, a ridimensionare la Camera dei Lord (limitando ad appena 60 il numero dei cosiddetti "Pari Ereditari", ovvero parlamentari per derivazione dinastica), lasciando la stragrande maggioranza dei componenti all'esclusiva nomina da parte del Primo Ministro ("norma che per altro non esclude, ma anzi forse incentiva, una sorta di cooptazione da parte dei premier di turno", come rilevato dallo stesso Caprarica).
Che l'aristocrazia british ispiri curiosità, quand'anche non spirito emulativo, la conferma il successo e la popolarità dell’evento matrimoniale del Principe William e Kate Middleton ("rappresentante di una classe che definiremmo ormai celebrities, le persone famose per il semplice fatto di esserlo").
Di questa anacronistica aristocrazia - che sa ancora tenere coltello e forchetta in un'epoca in cui si mangia con le mani - Caprarica illustra la storia e le singole vicende: i nobili in Inghilterra esercitano ancora un certo fascino perché sono considerati "una benedizione laddove altrove sono considerati un danno". Rappresentano la memoria di un’epoca d’oro, quella dell’impero e proprio in un momento di crisi come quello dei nostri giorni si torna a guardare ai fasti di un glorioso passato. “Di fronte a un futuro deludente gli inglesi si sono affrettati a girare la testa verso un passato rassicurante” scrive l'autore. Gli inglesi, e non solo, provano ammirazione per ciò che la nobiltà ha fatto in passato, è stata una vera classe dirigente che ha fatto di una piccola isola il più grande impero della storia.
Se oggi, uscendo dai nostri confini nazionali, si è obbligati a parlare almeno 4-5 parole di inglese, non è un caso. E' il frutto di una supremazia politica che si è tradotta, nei secoli, in supremazia culturale, o almeno linguistica. Gli States, in questo, c'entrano poco, almeno fino agli anni Sessanta del secolo scorso...
“I patrizi inglesi resistono in una bolla temporale che sembra proteggerli dal volgare appiattimento della modernità - continua Caprarica - Sono gli unici nobili d’Europa a permetterselo. Percossa e ammaccata dalle rivoluzioni sociali del ‘900 la casta dei padroni della terra qui non ha perso come ovunque nel mondo il suo senso di identità. Si è piegata sotto il vento si è adattata ma alla fine è sopravvissuta e ha conservato larga parte delle sue colossali proprietà. Può essere magari un po’ a corto di contanti ma mai di servitù”.
Questo libro è destinato anche a far crollare uno dei più diffusi luoghi comuni sull'aristocrazia inglese: quello che sia stata sempre composta da personaggi irreprensibili, gente poco avvezza a licenze o trasgressioni, i classici personaggi definiti "stiff upper lip" (labbro superiore rigido), che non si emozionano, non si scompongono, praticamente poco più mobili di una "statua di cera". Questi integerrimi lord appartengono in realtà all'età Vittoriana (seconda metà '800, inizio '900). Prima, la classe sociale aristocrica inglese (che non definiamo "casta" solo per l'accezione profondamente negativa che oggi il termine ha assunto dalle nostre parti) era molto meno british di quanto l'aggettivo, non a caso legato allo stereotipo anglosassone tutto d'un pezzo, faccia intendere.
La storia è ben altra. Perchè molti protagonisti di questo libro somigliano piuttosto agli inglesi ribaldi dei secoli previttoriani, i cattivi delle tragedie di Shakespeare (attaccabrighe, ubriaconi, arruffoni, disonesti ecc.), veri e propri campioni di eccentricità, follia e dissipazione, lussuria e libertinaggio.
Se oggi come oggi i nobili inglesi sono un anacronismo che è molto divertente studiare, lo si deve soprattutto per la lucida e particolarissima follia, sempre assai snob, che li caratterzzava. Come quella che portò Lord Hamilton a procurarsi un sarcofago egiziano per la sua dimora eterna, salvo poi scoprire poco prima della morte che, essendo appartenuto a una donna egizia, non poteva contenere adeguatamente le sue spoglie mortali: e in punto di morte, la sua ultima frase fu: "Vi prego, piegatemi in due!".
O il giovane Duca di Norfolk, appena respinto da Oxford, a dichiarare: "Sono loro che perdono tanto, non certo io". O le gesta del Marchese danzante, al secolo Marchese di Anglesey, capace di dissipare in appena 8 anni, miliardi di sterline per una strampalata compagnia di ballo che aveva creato dal nulla e di cui ovviamente era "primadonna", circondandosi di vestiti, lacchè e futilità tra le più costose al mondo.
E se spesso gli esempi maschili parlavano di uomini innamorati di se stessi ancor più che di alcool e stravizi, gli esempi femminili parlavano spesso di nobili spregiudicate, specialmente di fronte alla scelta di chi portarsi tra le lenzuola. E così consapevoli del proprio ruolo aristocratico, da far dire ad una di esse: "Figlia mia, ti sei innamorata del pittore di corte? Prima sposa il nobile che ti è stato promesso, poi penserai al pittore...".
"Spesso le cose più interessanti sono le più folli", diceva Federico Fellini. E il viaggio che ci propone Antonio Caprarica nelle storie della nobiltà di Sua Maestà sono qualcosa più che un semplice viaggio nella fantasia di un mondo che ci appare distante.
Sono anche una felice perlustrazione di un universo che è stato capace di creare le basi (economiche, finanziarie ma anche culturali) del suo presente. A differenza dell'aristocrazia italica, ad esempio: "Mentre i nostri nobili giocavano a zecchinetta campando di una rendita che li avrebbe alla lunga abbandonati - ha spiegato nel corso dell'incontro eugubino, Caprarica - i nobili inglese facevano i "Don Giovanni", si dilettavano nella caccia alla volpe, nel football e nel cricket, ma intanto conquistavano il mondo. E sapevano tenerlo in pugno".
Una lezione che ha un qualcosa di straordinariamente attuale.
E che al fascino dell'eleganza (che come dice lo scrittore Coelho "non è qualcosa di superficiale bensì la maniera che l’uomo ha scoperto per onorare la vita") ha saputo abbinare l'estrema pragmaticità di chi ha saputo tradurre nella vita la parola "leadership".
Fattore P (pragmatismo) lo chiamano i Britannici. Quel fattore che a noi, purtroppo, ha spesso fatto difetto...
venerdì 24 febbraio 2012
Altro che Pavarotti o aceto balsamico: per una volta Modena vuol dire "penultima spiaggia"...
Per una volta non avrà il sapore inconfondibile dell’aceto dell’ balsamico. Non avrà il fascino prorompente degli acuti di Pavarotti. O il profumo nostalgico delle figurine Panini. Modena, per una volta, è sinonimo di “ultima spiaggia”, o quasi. Anche se la riviera, quella vera, dista un’ora d’auto.
La riviera in classifica, invece, per il Gubbio, dista almeno 3 punti. Ovvero il ritorno alla vittoria, che nel caso dello scontro diretto con i canarini, vorrebbe dire scavalcare d’incanto tre squadre. L’Albinoleffe, l’Empoli – che deve recuperare una gara a inizio marzo ma sul difficile campo di “Marassi” – e appunto il Modena, che precede i rossoblù proprio di tre tacche, ma perdendo si vedrebbe scavalcato per il computo degli scontri diretti, visto che all’andata finì 1-1 (gol dello "scomparso" Lunardini) con il primo punticino messo in classifica dalla squadra allora in mano a Pecchia.
Insomma una partita che vale tanto, non ancora tutto. Perché ancora siamo a febbraio, ma l’onda lunga delle sconfitte esterne di questo mese ha gettato un’ombra per niente rassicurante sul cammino dei rossoblù.
Fortuna che si torna al “Barbetti”, allora, ad iniziare un ciclo di incontri che vedranno per un mese il Gubbio nel proprio nido ben tre volte, e in mezzo la trasferta di Nocera Inferiore contro quella che al momento è l’unica squadra ad aver fatto meno punti dell’undici di Simoni.
Ora o mai più, verrebbe da dire. E non vale solo per la squadra. Vale anche per il pubblico, chiamato a dare la spinta decisiva in questa fase. Anche se il morale – sugli spalti – non sembra alle stelle.
Quanto alla squadra, le buone notizie parlano di un recupero definitivo di Graffiedi e Bazzoffia, di un test per Guzman dietro le punte, di un mistero che resta comunque fitto – ed è anche giusto sia così – sullo schieramento da vedere in campo.
Ma al di là del modulo e dei numeri, quel che è certo è che serve il Gubbio dell’ultima mezz’ora di Verona. L’atteggiamento di una squadra che lascia da parte timori e timidezze tattiche e aggredisce l’avversario con la voglia di “fare male”.
Un’impronta che dipende dall’avvio di gara, forse anche dal passo di alcuni giocatori – specie a centrocampo – sicuramente dalla capacità della squadra di essere gruppo, di volere a tutti i costi la vittoria.
Non sarà facile. Perché il Modena è squadra che sosta costantemente dietro la linea del pallone, perché Cuttone è tecnico che predilige la fase difensiva, perché difendere e ripartire è la moda più in voga in questa serie B.
Certo non avremo di fronte una squadra al top dell’affiatamento, specie con il tecnico, che vive da settimane da separato in casa, in una situazione quasi surreale. Però, la trasferta di Brescia insegna, in campo gli emiliani non lasciano nulla di intentato. E a Gubbio sanno, anch’essi, di giocarsi tanto nella corsa salvezza.
Sarà una partita brutta? Il rischio c’è, ma a questo punto l’estetica conta poco. Quel che pesa sarà il risultato finale.
Non sarà un’ultima spiaggia. Forse una “penultima”, e comunque la si conti o la si guardi, resta una gara da non fallire…
Copertina de "Il Rosso e il Blu" - puntata 24.2.12
Musica di sottofondo: "Tomorrow" - The Cranberries (2010)
La riviera in classifica, invece, per il Gubbio, dista almeno 3 punti. Ovvero il ritorno alla vittoria, che nel caso dello scontro diretto con i canarini, vorrebbe dire scavalcare d’incanto tre squadre. L’Albinoleffe, l’Empoli – che deve recuperare una gara a inizio marzo ma sul difficile campo di “Marassi” – e appunto il Modena, che precede i rossoblù proprio di tre tacche, ma perdendo si vedrebbe scavalcato per il computo degli scontri diretti, visto che all’andata finì 1-1 (gol dello "scomparso" Lunardini) con il primo punticino messo in classifica dalla squadra allora in mano a Pecchia.
Lunardini esulta con Mendicino dopo il gol di Modena Un Gubbio che non c'è più... (foto Settonce) |
Fortuna che si torna al “Barbetti”, allora, ad iniziare un ciclo di incontri che vedranno per un mese il Gubbio nel proprio nido ben tre volte, e in mezzo la trasferta di Nocera Inferiore contro quella che al momento è l’unica squadra ad aver fatto meno punti dell’undici di Simoni.
Ora o mai più, verrebbe da dire. E non vale solo per la squadra. Vale anche per il pubblico, chiamato a dare la spinta decisiva in questa fase. Anche se il morale – sugli spalti – non sembra alle stelle.
Quanto alla squadra, le buone notizie parlano di un recupero definitivo di Graffiedi e Bazzoffia, di un test per Guzman dietro le punte, di un mistero che resta comunque fitto – ed è anche giusto sia così – sullo schieramento da vedere in campo.
Ma al di là del modulo e dei numeri, quel che è certo è che serve il Gubbio dell’ultima mezz’ora di Verona. L’atteggiamento di una squadra che lascia da parte timori e timidezze tattiche e aggredisce l’avversario con la voglia di “fare male”.
Un’impronta che dipende dall’avvio di gara, forse anche dal passo di alcuni giocatori – specie a centrocampo – sicuramente dalla capacità della squadra di essere gruppo, di volere a tutti i costi la vittoria.
Non sarà facile. Perché il Modena è squadra che sosta costantemente dietro la linea del pallone, perché Cuttone è tecnico che predilige la fase difensiva, perché difendere e ripartire è la moda più in voga in questa serie B.
Certo non avremo di fronte una squadra al top dell’affiatamento, specie con il tecnico, che vive da settimane da separato in casa, in una situazione quasi surreale. Però, la trasferta di Brescia insegna, in campo gli emiliani non lasciano nulla di intentato. E a Gubbio sanno, anch’essi, di giocarsi tanto nella corsa salvezza.
Sarà una partita brutta? Il rischio c’è, ma a questo punto l’estetica conta poco. Quel che pesa sarà il risultato finale.
Non sarà un’ultima spiaggia. Forse una “penultima”, e comunque la si conti o la si guardi, resta una gara da non fallire…
Copertina de "Il Rosso e il Blu" - puntata 24.2.12
Musica di sottofondo: "Tomorrow" - The Cranberries (2010)
giovedì 23 febbraio 2012
La bufera giudiziaria, i risvolti politici, da Gubbio a Perugia... E l'importanza di riacquistare un "senso civico"...
Nicla Restivo |
L'inchiesta sul cosiddetto "gruppo Goracci" - come è stato definito nelle carte dell'accusa - continua a far parlare. E sarà così ancora per molto. E mentre martedì prossimo potrebbe conoscere una prima importante svolta - quando il Tribunale del Riesame (con il giudice Nicla Restivo, in passato togata alla sezione del Tribunale di Gubbio) deciderà in merito alle richieste di scarcerazione da parte degli avvocati difensori - in città ci si interroga sul futuro di una comunità che sembra quasi trovarsi sbattuta davanti allo specchio con l'aria di chi fatica a credere a quello che viene raccontato nelle carte dell'ordinanza cautelare. O forse, in qualche caso, ha la sensazione di aver percepito in tutti questi anni, ma sottovalutato.
Comunque la si veda, non saranno in pochi coloro che dovranno confrontarsi con questa realtà. E non parliamo di realtà giudiziaria. Quella seguirà un suo excursus - che si prevede anche lungo - e riserverà sicuramente colpi di scena.
La realtà con cui il cittadino comune dovrà confrontarsi è altra: è politica, è sociale, è - diremmo - civica. Perchè l'inchiesta sul "gruppo Goracci" è anche un'inchiesta sulla Gubbio dell'ultimo decennio.
Una città che infondo - volente o nolente - ha legittimato quanto accaduto, sul piano politico.
Perchè per ben due volte il personaggio che oggi figura al centro dell'attenzione della Magistratura, Goracci appunto, è stato eletto in modo netto, nel 2001, e contro i pronostici, nel duello con l'allora sindaco uscente Corazzi; e 5 anni dopo, in modo quasi plebiscitario, nel ballottaggio con un altro ex sindaco, Barboni.
Una votazione di oltre 11.000 cittadini che oggi ovviamente mescolano e rimuginano le sensazioni e reazioni più diverse.
L'analisi politica pervade in queste ore il dibattito dei Palazzi: sia che si chiamino Palazzo Pretorio, sia che si chiamino Palazzo Cesaroni.
A Gubbio il Consiglio comunale di martedì ha prodotto due risultati importanti: un confronto serio, serrato ma anche senza strumentalizzazioni, sul panorama politico cittadino dell'ultimo decennio. Le parti si sono confrontate, ognuna con le proprie ragioni, ma senza livore, senza quel clima di attacchi incrociati che per troppo tempo è sembrato essere diventato la "normalità".
Perfino le ventilate richieste di dimissioni al sindaco attuale Guerrini - per aver condiviso il percorso elettorale col Prc e con i consiglieri oggi ancora ristretti in custodia cautelare - si sono tramutate sui banchi della Sala Consiliare in una disponibilità al dialogo - purchè vi fosse coinvolgimento nelle decisioni. E la seduta stessa ha partorito due approvazioni all'unanimità (regolamento sulla toponomastica e regolamento sulle sponsorizzazioni) che non hanno precedenti nell'ultimo decennio.
Che si sia cambiata rotta improvvisamente nel tenore dei rapporti tra maggioranza e opposizione? Forse è presto per dirlo, il vero banco di prova sarà l'approvazione del bilancio a fine marzo. Non c'è molto da aspettare per saperlo.
A Perugia il caso-Goracci sembra rompere "le uova nel paniere" molto più di quanto non abbia fatto lo stesso ex sindaco di Gubbio, non sempre allineato con i colleghi del centro-sinistra. Saltata la condivisione con l'opposizione per il rinnovo dell'Ufficio di presidenza (che per la prima volta non vede la presenza di membri delle minoranze), lo strappo è destinato a lasciare strascichi. C'è chi chiede una verifica alla Giunta di Catiuscia Marini per la presenza di una "questione morale": Goracci è solo l'ultimo degli indagati, a Palazzo Cesaroni. Molto prima di lui l'attuale Presidente del Consiglio, Brega e uno degli assessori della squadra Marini, il folignate Riommi.
La questione morale potrebbe portare il centrosinistra a non avere più una maggioranza, perchè l'Idv non si è semplicemente "smarcato", ma è uscito dall'aula, declinando l'invito a partecipare al voto per l'Ufficio di Presidenza. Un atto politico destinato ad indebolire fortemente la Presidente Marini e la sua Giunta, chiamata ora a fare i conti (e non solo dei consiglieri a suo appannaggio).
"O mette il loden, alla Mario Monti, inserendo nella Giunta figure tecniche di maggiore affidabilità, o si torna a votare" ha sintetizzato con la consueta essenzialità caustica il collega Marco Brunacci (Il Messaggero) in collegamento telefonico nel corso della trasmissione "Link".
Insomma la politica è chiamata a "contarsi". Ma il cittadino è chiamato a farsi sentire di più. E' il senso della riflessione di questa sera, durante la trasmissione "Link" - dedicata al caso Goracci - con l'ex presidente del Tribunale Minori, Sergio Matteini Chiari e il sacerdote Don Angelo Fanucci:
"La politica non può essere semplice delega - ha dichiarato Matteini - il cittadino non può limitarsi a votare ogni 5 anni e lasciare che poi chi fa politica decida tutto per lui. Essere cittadini consapevoli significa anche informarsi, documentarsi, avere elementi per giudicare. E non solo per fare una X su una scheda elettorale".
Uno stimolo che ha fatto sorgere l'idea di una rubrica di "educazione civica" che potrebbe nascere da questo colloquio in diretta tv.
E dal canto suo, Don Angelo Fanucci, non ha mancato di ricordare uno dei suoi "cavalli di battaglia":
"Il protagonismo del cittadino va al di là del sapere o non sapere cosa fa il politico di turno. Deve essere un protagonismo attivo, sociale, di stimolo per il Palazzo, di stimolo anche per la cittadinanza più pigra".
L'impressione è che - comunque vada a finire - l'inchiesta e lo "schiaffo" morale subìto dalla città, si farà sentire ancora nel tempo. Ma potrà rivelarsi utile se la città, gli eugubini, di ogni colore, sapranno cogliere l'occasione per ridestarsi. Risvegliare un dinamismo "civico" di cui si sono perse le radici (emblematiche le affuenze sotto il 20% alle elezioni per gli istituti di partecipazione, meglio noti come Comitati territoriali), sentire un'appartenenza forte ad una comunità che in queste ore sente il "peso" di un'immagine negativa, ma deve trovare consapevolezza e motivazioni giuste per guardarsi dentro.
E cambiare. Prima di pretendere che sia la politica - genericamente intesa - a farlo.
lunedì 20 febbraio 2012
"Non sarà l'inferno", canta Emma. Il purgatorio però è a piano terra. Ma il Gubbio del secondo tempo di Verona può farcela...
"Non è l’inferno". Per ora lo canta Emma, dal palco di Sanremo. Ma la canzone sembra quasi dedicata a chi non se la passa alla grande ma non è neanche sull’orlo del baratro: una mestizia travestita da cauto ottimismo. Non proprio una maschera carnevalesca, ma un modo diverso di guardarsi allo specchio e cercare fiducia in vista delle prossime tappe.
E’ quello che toccherà al Gubbio da qui a sabato. Analizzare l’ennesimo passo falso esterno, l’1-0 di Verona, è quasi farsi del male. Ma non è esercizio inutile, se si pensa che il punteggio identico, rispecchia invece una prestazione molto diversa rispetto a quella di 7 giorni prima a Varese.
Per capirci: il Gubbio di Varese non avrebbe speranze, quello di Verona può farcela. La differenza non è irrilevante.
La differenza sta anche nella caparbietà di affrontare una gara – con un avversario sulla carta superiore – senza timori di partenza, senza eccessive prudenze, che alla fine possono rivelarsi una sorta di pass par tout involontario per gli avversari stessi.
Il Verona non ha incantato, doveva schiacciare e chiudere in un angolo il Gubbio: nel primo tempo ha spinto, è vero, ma la difesa a 4 dei rossoblù, sostenuta da un centrocampo più solido, anche se incapace di ripartire efficacemente, ha retto.
Donnarumma ci ha messo la manona un paio di volte e al 45’ sarebbe stato sicuramente risultato ad occhiali, se Benedetti – nella giornata personale più infausta da quando veste il rossoblù – non avesse regalato palla e spalancato la prateria all’incredulo Gomez, che non ha potuto esimersi dall’infierire. Che poi il guardialinee non abbia sbandierato nel dubbio, è altra storia. Come sarebbe stata probabilmente altra storia a parti inverse.
Non è il solito piagnisteo, ma la realtà: basti guardare cosa è accaduto al 93’, una mezza verità – il braccio non teso ma comunque decisivo di Ceccarelli su tiro di Lofquist – non ha avuto la stessa valutazione della mezza verità sull’off side di un’ora prima.
Cose della vita, perché se ti chiami Gubbio e non Verona, un che ci deve essere.
Chiamarsi Gubbio ora però significa vendere cara la pelle. Perché il mese che attende i rossoblù a marzo è da dentro o fuori, altro che campionato lungo. In attesa di sapere cosa combinerà la truppa di Cuttone nel primo recupero spareggio con l’Albinoleffe.
Modena e Brescia in casa, Nocerina fuori, e Crotone di nuovo al Barbetti. Da queste 4 gare, 3 casalinghe, con il pubblico che potrà incidere come mai in questa stagione, si capirà il destino della squadra di Simoni.
Che anche se non dovesse ritrovare la parola – con il silenzio stampa scelto dalla società forse per evitare qualche malinteso tra le parti – dovrà farsi sentire, eccome, in campo: la sconfitta di Verona ha avuto almeno un che di fatale. Ha dimostrato che il Gubbio può giocare anche in modo spregiudicato. Può e a questo punto vien da pensare anche che deve farlo: perché nella ripresa Ragatzu, Guzman, Ciofani, Lofquist hanno messo in apprensione la potenziale capolista del campionato, una squadra che sul quel campo vince ininterrottamente da ottobre.
Torneranno Graffiedi e Bazzoffia, ma soprattutto dovrà tornare il Gubbio vero: quello che sa aggredire, coprire gli spazi, colpire l’avversario. Lo ha fatto e non per caso. Ora dovrà tornare a farlo. Perché non sarà l’inferno, ma il purgatorio è ormai al piano terra. Per evitare di scendere, c’è un solo modo… Risalire…
Ritornare se stessi.
Copertina di "Fuorigioco" - lunedì 20.2.12
musica di sottofondo: "Non è l'inferno" - Emma (2012)
E’ quello che toccherà al Gubbio da qui a sabato. Analizzare l’ennesimo passo falso esterno, l’1-0 di Verona, è quasi farsi del male. Ma non è esercizio inutile, se si pensa che il punteggio identico, rispecchia invece una prestazione molto diversa rispetto a quella di 7 giorni prima a Varese.
Ciofani, fermato con le "cattive" dalla difesa veronese (foto Settonce |
La differenza sta anche nella caparbietà di affrontare una gara – con un avversario sulla carta superiore – senza timori di partenza, senza eccessive prudenze, che alla fine possono rivelarsi una sorta di pass par tout involontario per gli avversari stessi.
Il Verona non ha incantato, doveva schiacciare e chiudere in un angolo il Gubbio: nel primo tempo ha spinto, è vero, ma la difesa a 4 dei rossoblù, sostenuta da un centrocampo più solido, anche se incapace di ripartire efficacemente, ha retto.
Benedetti soffre Ferrari. Per il centrale rossoblù una giornataccia (foto Settonce) |
Non è il solito piagnisteo, ma la realtà: basti guardare cosa è accaduto al 93’, una mezza verità – il braccio non teso ma comunque decisivo di Ceccarelli su tiro di Lofquist – non ha avuto la stessa valutazione della mezza verità sull’off side di un’ora prima.
Cose della vita, perché se ti chiami Gubbio e non Verona, un che ci deve essere.
Chiamarsi Gubbio ora però significa vendere cara la pelle. Perché il mese che attende i rossoblù a marzo è da dentro o fuori, altro che campionato lungo. In attesa di sapere cosa combinerà la truppa di Cuttone nel primo recupero spareggio con l’Albinoleffe.
Modena e Brescia in casa, Nocerina fuori, e Crotone di nuovo al Barbetti. Da queste 4 gare, 3 casalinghe, con il pubblico che potrà incidere come mai in questa stagione, si capirà il destino della squadra di Simoni.
Simoni deluso, lascia il "Bentegodi" (foto Settonce) |
Torneranno Graffiedi e Bazzoffia, ma soprattutto dovrà tornare il Gubbio vero: quello che sa aggredire, coprire gli spazi, colpire l’avversario. Lo ha fatto e non per caso. Ora dovrà tornare a farlo. Perché non sarà l’inferno, ma il purgatorio è ormai al piano terra. Per evitare di scendere, c’è un solo modo… Risalire…
Ritornare se stessi.
Copertina di "Fuorigioco" - lunedì 20.2.12
musica di sottofondo: "Non è l'inferno" - Emma (2012)
sabato 18 febbraio 2012
Riscoprire a 40 anni le figurine Panini: il pretesto per riassaporare un pizzico d'infanzia...
"Il segreto del calcio? Credo che sia la sua capacità di farci tornare bambini. E di riportarci alle emozioni più belle e innocenti della nostra infanzia". Ricordo di averlo sentito da Paolo Villaggio, in un'intervista di Gianni Minà, risalente al 1991, mentre accompagnava il noto attore comico allo stadio "Marassi" per assistere a quella che sarebbe stata la partita-scudetto della Samp.
Le emozioni della propria infanzia sono spesso custodite in cofanetti insospettabili: hanno forme e colori diversi, la chiave poi esce fuori quando meno te l'aspetti.
Non pensavo, qualche tempo fa, di riassaporare uno dei profumi più inconfondibili dei miei primi anni '80: l'odore - ma sarebbe il caso di definirlo "aroma" - delle figurine Panini.
Sto riscoprendone fascino e unicità in queste settimane. Grazie al mio Giovi che - dico la verità, con una mia piccola forzatura ab origine - ha iniziato la collezione classica dei calciatori Panini 2011-2012. Forzatura, aiutino, chiamiamolo un po' così. Diciamo che gli ho procurato l'album e le prime figurine. Poi il resto è venuto da sè. Per lui è tutta una scoperta. Per me una godibile riscoperta.
Fa sorridere il fatto che qualche sera fa mi sia ritrovato con un altro "babbo", in palestra, prima di giocare a pallavolo per il torneo Csi, a scambiarci qualche figurino. Oltre 80 anni in due, io e lui, ma in fondo indaffarati proprio come due pre-adolescenti, a sbirciare giocatori, squadre, ruoli e novità varie, per trovare quelli che mancavano all'appello. Ufficialmente la collezione si fa in onore del Gubbio in serie B (altra chicca che chissà quale generazione futura potrà riaccarezzare).
"Ce l'ho, ce l'ho, ce l'ho, me manca!": una specie di ora pro nobis, che recitavamo (ricordo soprattutto all'Oratorio, appunto mi ricordava una litania) prima di andare a giocare la classica partita a calcio del sabato pomeriggio, dalle 14 alle 17. Partita infinita nella quale l'intervallo era di un'oretta (dalle 15 alle 16) giusto il tempo di assistere alla settimanale lezione di catechismo (per i più, un opportuno pretesto per rifare le squadre in vista della seconda partita). Non ce ne vorrà il Concilio Vaticano, ma la fede, per noi, il sabato pomeriggio era più o meno questa.
E le liturgie avevano le sembianze di uno scambio incessante di figurine, di Falcao e Platini che passavano da una mano all'altra, ma anche di sconosciuti carneadi del calcio nostrano, che assurgevano agli onori della cronaca per la loro "introvabilità".
Non credo che gli annali del calcio riusciranno ad annoverare personaggi come Anzivino od Osellame, Criniti piuttosto che Vito Chimenti. Facce scure, spesso neanche sorridenti, che a riguardarle oggi - e a paragonarle agli impomatati prestipedatori del XXI secolo - sembrano più reduci dell'"Anonima Sequestri", che non giocatori di un calcio che non c'è più.
Come non esistono più, ahimè, i giochi sfiziosi di allora: il "topino" (una sorta di "concincina" con le figurine Panini, nella quale il giocatore della stessa squadra "mangiava" l'altro e l'unica regola da chiarire era se "Serie B batte serie B oppure squadra con squadra"). O come il mitico "costamuro" (il lancio delle figurine verso una parete ingiallita dell'Oratorio, destinato a premiare il partecipante che più si avvicinava all'anonimo muro della sala).
In questa carrellata di flash vintage, con ricordi non meno sudati di quanto già non fossimo noi in quei pomeriggi interminabili, il ricordo più curioso mi riporta alla Cartolibreria Pierini, che negli anni della mia scuola media (primi anni Ottanta) era l'indiscutibile luogo di ritrovo per i "malati" di collezione Panini. Una "mecca" verso la quale dirigersi, anzichè alle 12, poco dopo le 14, ma con spirito non meno devoto.
Ricordo che fuori, una volta acquistate le "dosi quotidiane" (2-3 bustine di figurine) iniziava la fase dello scambio, con una frenesia degna dei giorni più bollenti a Wall Street. Il mio giorno per eccellenza - uno di quelli da incorniciare nella memoria - mi vide fortunato destinatario di una figurina, ancora la ricordo Aldo Maldera III, praticamente introvabile in tutta Gubbio.
In pochi secondi venni assaltato come una gazzella in mezzo ad un branco di leoni, nella savana, da un gruppo di ragazzotti - più grandi di me - che arrivarono ad offrirmi forniture di bibite per almeno una settimana, pur di avere la rarissima istantanea del baffuto terzino milanista (o forse già giocava nella Roma, non ricordo).
Mollai molto più prosaicamente per un gruzzolo di figurine (almeno un centinaio) che un tipo corpulento e cicciotto mi propose, tirandole fuori dalle tasche del suo giubbotto: praticamente quella sera potevo passare dalla fase di "iniziazione" a quella della "quasi ultimazione" dell'album, in pochi minuti. Senza Maldera, ovviamente. Ma con il gusto e la soddisfazione di aver fatto il mio primo indiscutibile... affare.
Oggi Maldera non fa neanche l'opinionista e non so che fine abbia fatto. Pierini non vende più figurine (da una decina d'anni ad appannaggio delle edicole. L'ho saputo proprio lì quando mi sono recato la prima volta memore di quel luogo di "licenze ludiche"). Lo stesso album ormai è lontano anni luce dallo schematismo asciutto ed essenziale dei miei anni (oggi c'è perfino una sezione per gli arbitri e il calcio femminile...).
Io intanto, superanta la soglia degli anta, ho rispolverato il gusto di divertirmi così: un po' banalmente, nel vedere ma anche nel partecipare, alla raccolta dei miei figli (anche la piccola Vittoria si è appassionata, lei è addetta a scartare le bustine e poi dirci, con la sua memoria infallibile, se ci sono o meno doppioni).
Ormai ogni sera si ripete l'iirrinunciabile rituale, che mi diverte come un bambino. E mi piace pensare che un giorno anche il mio, di bambino, si rammenterà di questi piccoli "sacri" momenti. Conditi da dettagli che solo a distanza di tempo si impara ad accarezzare: lo strappo della bustina, la sorpresa di trovare il giocatore "che manca", lo scoramento nel veder spuntare il doppione.
E il profumo... il profumo delle figurine.
Che potrei riconoscere anche in mezzo ad una discarica...
Profumo di emozioni. Di un viaggio ideale da cui - anche attraverso l'immagine di quel cartoncino adesivo, che ti ride o ti fissa un po' più serio - una volta imboccato, non puoi più uscire a retromarcia.
Perchè in fondo è un po' rivedere se stessi, 30 anni dopo, attraverso quelle foto...
Le emozioni della propria infanzia sono spesso custodite in cofanetti insospettabili: hanno forme e colori diversi, la chiave poi esce fuori quando meno te l'aspetti.
Non pensavo, qualche tempo fa, di riassaporare uno dei profumi più inconfondibili dei miei primi anni '80: l'odore - ma sarebbe il caso di definirlo "aroma" - delle figurine Panini.
Sto riscoprendone fascino e unicità in queste settimane. Grazie al mio Giovi che - dico la verità, con una mia piccola forzatura ab origine - ha iniziato la collezione classica dei calciatori Panini 2011-2012. Forzatura, aiutino, chiamiamolo un po' così. Diciamo che gli ho procurato l'album e le prime figurine. Poi il resto è venuto da sè. Per lui è tutta una scoperta. Per me una godibile riscoperta.
Fa sorridere il fatto che qualche sera fa mi sia ritrovato con un altro "babbo", in palestra, prima di giocare a pallavolo per il torneo Csi, a scambiarci qualche figurino. Oltre 80 anni in due, io e lui, ma in fondo indaffarati proprio come due pre-adolescenti, a sbirciare giocatori, squadre, ruoli e novità varie, per trovare quelli che mancavano all'appello. Ufficialmente la collezione si fa in onore del Gubbio in serie B (altra chicca che chissà quale generazione futura potrà riaccarezzare).
"Ce l'ho, ce l'ho, ce l'ho, me manca!": una specie di ora pro nobis, che recitavamo (ricordo soprattutto all'Oratorio, appunto mi ricordava una litania) prima di andare a giocare la classica partita a calcio del sabato pomeriggio, dalle 14 alle 17. Partita infinita nella quale l'intervallo era di un'oretta (dalle 15 alle 16) giusto il tempo di assistere alla settimanale lezione di catechismo (per i più, un opportuno pretesto per rifare le squadre in vista della seconda partita). Non ce ne vorrà il Concilio Vaticano, ma la fede, per noi, il sabato pomeriggio era più o meno questa.
E le liturgie avevano le sembianze di uno scambio incessante di figurine, di Falcao e Platini che passavano da una mano all'altra, ma anche di sconosciuti carneadi del calcio nostrano, che assurgevano agli onori della cronaca per la loro "introvabilità".
Non credo che gli annali del calcio riusciranno ad annoverare personaggi come Anzivino od Osellame, Criniti piuttosto che Vito Chimenti. Facce scure, spesso neanche sorridenti, che a riguardarle oggi - e a paragonarle agli impomatati prestipedatori del XXI secolo - sembrano più reduci dell'"Anonima Sequestri", che non giocatori di un calcio che non c'è più.
Come non esistono più, ahimè, i giochi sfiziosi di allora: il "topino" (una sorta di "concincina" con le figurine Panini, nella quale il giocatore della stessa squadra "mangiava" l'altro e l'unica regola da chiarire era se "Serie B batte serie B oppure squadra con squadra"). O come il mitico "costamuro" (il lancio delle figurine verso una parete ingiallita dell'Oratorio, destinato a premiare il partecipante che più si avvicinava all'anonimo muro della sala).
In questa carrellata di flash vintage, con ricordi non meno sudati di quanto già non fossimo noi in quei pomeriggi interminabili, il ricordo più curioso mi riporta alla Cartolibreria Pierini, che negli anni della mia scuola media (primi anni Ottanta) era l'indiscutibile luogo di ritrovo per i "malati" di collezione Panini. Una "mecca" verso la quale dirigersi, anzichè alle 12, poco dopo le 14, ma con spirito non meno devoto.
Ricordo che fuori, una volta acquistate le "dosi quotidiane" (2-3 bustine di figurine) iniziava la fase dello scambio, con una frenesia degna dei giorni più bollenti a Wall Street. Il mio giorno per eccellenza - uno di quelli da incorniciare nella memoria - mi vide fortunato destinatario di una figurina, ancora la ricordo Aldo Maldera III, praticamente introvabile in tutta Gubbio.
In pochi secondi venni assaltato come una gazzella in mezzo ad un branco di leoni, nella savana, da un gruppo di ragazzotti - più grandi di me - che arrivarono ad offrirmi forniture di bibite per almeno una settimana, pur di avere la rarissima istantanea del baffuto terzino milanista (o forse già giocava nella Roma, non ricordo).
Mollai molto più prosaicamente per un gruzzolo di figurine (almeno un centinaio) che un tipo corpulento e cicciotto mi propose, tirandole fuori dalle tasche del suo giubbotto: praticamente quella sera potevo passare dalla fase di "iniziazione" a quella della "quasi ultimazione" dell'album, in pochi minuti. Senza Maldera, ovviamente. Ma con il gusto e la soddisfazione di aver fatto il mio primo indiscutibile... affare.
Oggi Maldera non fa neanche l'opinionista e non so che fine abbia fatto. Pierini non vende più figurine (da una decina d'anni ad appannaggio delle edicole. L'ho saputo proprio lì quando mi sono recato la prima volta memore di quel luogo di "licenze ludiche"). Lo stesso album ormai è lontano anni luce dallo schematismo asciutto ed essenziale dei miei anni (oggi c'è perfino una sezione per gli arbitri e il calcio femminile...).
Io intanto, superanta la soglia degli anta, ho rispolverato il gusto di divertirmi così: un po' banalmente, nel vedere ma anche nel partecipare, alla raccolta dei miei figli (anche la piccola Vittoria si è appassionata, lei è addetta a scartare le bustine e poi dirci, con la sua memoria infallibile, se ci sono o meno doppioni).
Ormai ogni sera si ripete l'iirrinunciabile rituale, che mi diverte come un bambino. E mi piace pensare che un giorno anche il mio, di bambino, si rammenterà di questi piccoli "sacri" momenti. Conditi da dettagli che solo a distanza di tempo si impara ad accarezzare: lo strappo della bustina, la sorpresa di trovare il giocatore "che manca", lo scoramento nel veder spuntare il doppione.
E il profumo... il profumo delle figurine.
Che potrei riconoscere anche in mezzo ad una discarica...
Profumo di emozioni. Di un viaggio ideale da cui - anche attraverso l'immagine di quel cartoncino adesivo, che ti ride o ti fissa un po' più serio - una volta imboccato, non puoi più uscire a retromarcia.
Perchè in fondo è un po' rivedere se stessi, 30 anni dopo, attraverso quelle foto...
venerdì 17 febbraio 2012
Si torna a Verona: sognando che torni ad essere "fatale"...
Il calendario non sembra l'alleato migliore.
Se c’era un avversario da evitare di questi tempi, forse era proprio il Verona. Per giunta al “Bentegodi”.
E invece al Gubbio – reduce da due trasferte forzatamente consecutive – tocca la terza fatica lontana dal “Barbetti”: sicuramente la più difficile, perché il Verona è lanciatissimo quanto meno verso i play off, perché la squadra di Mandorlini ha vinto le ultime 8 gare interne di fila. Ha spirito, ha voglia di arrivare, ha quella fame che era stata ingrediente straordinario del Gubbio che proprio un anno fa – era il 6 febbraio 2011 – in uno dei templi del calcio italiano, firmava una delle imprese della centenaria storia calcistica rossoblù.
Il tabellone finale è un’icona di quella giornata: e anche un emblema dell’intera stagione per le due squadre.
Il Gubbio vinse con i gol di due indiscussi trascinatori, il capitano straordinario e irriducibile, e il fromboliere migliore, che stavolta si trova sulla sponda opposta.
Ma anche per Ferrari quel gol, apparentemente inutile, fu la scintilla con la quale il bomber scaligero si sbloccò trascinando da lì in poi l’undici veneto alla rimonta e alla promozione ai play off.
Proprio questo è l’aspetto che paradossalmente dovrebbe stimolare di più la rincorsa eugubina di quest’anno. Perché in un anno cambiano tante cose e il Verona-Gubbio di domani ha un sapore diametralmente diverso da quello del 2011.
Quasi a parti invertite. Ma proprio la parabola di Ferrari – fischiatissimo nei primi minuti di quel match e poi diventato nel giro di qualche settimana l’eroe scaligero – deve essere di sprono per la squadra di Simoni.
Che arriva – diciamo la verità – malconcia non poco all’appuntamento del “Bentegodi”: sembra tradizione che gli infortuni di quest’anno colpiscano in blocco interi reparti. Stavolta tocca all’attacco, dove a mancare saranno in tre.
Potrebbe così scoccare l’ora del neoacquisto Lofiquist, dal 1’, ma anche del ritorno in campo di Daniele Ragatzu, un giocatore il cui talento non è mai stato in dubbio ma al quale continuità e tenacia hanno finora fatto difetto.
Pensando a Ragatzu, pensando alla chance che potrebbe toccargli al “Bentegodi” ci viene in mente proprio l’esperienza di Ferrari, sull’altra sponda.
Il calcio, spesso, si diverte a rivelarsi illeggibile e quasi irrazionale. Un po’ come il carattere e l’estro del funambolico attaccante sardo: rimasto a Gubbio quasi per caso, e magari destinato a rivelarsi il vero nuovo acquisto di gennaio.
Chissà.
Di sicuro, davanti a non meno di 20.000 spettatori, il Gubbio dovrà affrontare la gara in modo siderale rispetto agli approcci di Reggio Calabria e Varese.
Il cammino resta lungo ma non c’è più tempo da perdere. Conta poco ormai anche il nome dell’avversario e il luogo della disfida.
Non è più tempo di ricordi e nostalgie. E’ tempo di tornare ad assaporare il gusto di esserci: di essere in corsa, di giocarsela, di non aver timori riverenziali per una serie B nella quale il Gubbio sta dimostrando – in tutte le sue componenti, prima fra tutti quella del tifo – di meritare di restare.
Il calendario non dà una mano, per questo sabato: ma spesso il calcio insegna che proprio nelle situazioni più impossibile esce fuori l’impresa. E quest’anno, dopo diversi exploit interni, è ora che arrivi anche in trasferta…
Copertina de "Il Rosso e il Blu" - venerdì 17.2.12
musica di sottofondo: "Si può dare di più" - Ruggeri-Tozzi-Morandi 1987
Se c’era un avversario da evitare di questi tempi, forse era proprio il Verona. Per giunta al “Bentegodi”.
E invece al Gubbio – reduce da due trasferte forzatamente consecutive – tocca la terza fatica lontana dal “Barbetti”: sicuramente la più difficile, perché il Verona è lanciatissimo quanto meno verso i play off, perché la squadra di Mandorlini ha vinto le ultime 8 gare interne di fila. Ha spirito, ha voglia di arrivare, ha quella fame che era stata ingrediente straordinario del Gubbio che proprio un anno fa – era il 6 febbraio 2011 – in uno dei templi del calcio italiano, firmava una delle imprese della centenaria storia calcistica rossoblù.
Il tabellone finale è un’icona di quella giornata: e anche un emblema dell’intera stagione per le due squadre.
Il Gubbio vinse con i gol di due indiscussi trascinatori, il capitano straordinario e irriducibile, e il fromboliere migliore, che stavolta si trova sulla sponda opposta.
Ma anche per Ferrari quel gol, apparentemente inutile, fu la scintilla con la quale il bomber scaligero si sbloccò trascinando da lì in poi l’undici veneto alla rimonta e alla promozione ai play off.
Proprio questo è l’aspetto che paradossalmente dovrebbe stimolare di più la rincorsa eugubina di quest’anno. Perché in un anno cambiano tante cose e il Verona-Gubbio di domani ha un sapore diametralmente diverso da quello del 2011.
Quasi a parti invertite. Ma proprio la parabola di Ferrari – fischiatissimo nei primi minuti di quel match e poi diventato nel giro di qualche settimana l’eroe scaligero – deve essere di sprono per la squadra di Simoni.
Che arriva – diciamo la verità – malconcia non poco all’appuntamento del “Bentegodi”: sembra tradizione che gli infortuni di quest’anno colpiscano in blocco interi reparti. Stavolta tocca all’attacco, dove a mancare saranno in tre.
Potrebbe così scoccare l’ora del neoacquisto Lofiquist, dal 1’, ma anche del ritorno in campo di Daniele Ragatzu, un giocatore il cui talento non è mai stato in dubbio ma al quale continuità e tenacia hanno finora fatto difetto.
Pensando a Ragatzu, pensando alla chance che potrebbe toccargli al “Bentegodi” ci viene in mente proprio l’esperienza di Ferrari, sull’altra sponda.
Il calcio, spesso, si diverte a rivelarsi illeggibile e quasi irrazionale. Un po’ come il carattere e l’estro del funambolico attaccante sardo: rimasto a Gubbio quasi per caso, e magari destinato a rivelarsi il vero nuovo acquisto di gennaio.
Chissà.
Di sicuro, davanti a non meno di 20.000 spettatori, il Gubbio dovrà affrontare la gara in modo siderale rispetto agli approcci di Reggio Calabria e Varese.
Il cammino resta lungo ma non c’è più tempo da perdere. Conta poco ormai anche il nome dell’avversario e il luogo della disfida.
Non è più tempo di ricordi e nostalgie. E’ tempo di tornare ad assaporare il gusto di esserci: di essere in corsa, di giocarsela, di non aver timori riverenziali per una serie B nella quale il Gubbio sta dimostrando – in tutte le sue componenti, prima fra tutti quella del tifo – di meritare di restare.
Il calendario non dà una mano, per questo sabato: ma spesso il calcio insegna che proprio nelle situazioni più impossibile esce fuori l’impresa. E quest’anno, dopo diversi exploit interni, è ora che arrivi anche in trasferta…
Copertina de "Il Rosso e il Blu" - venerdì 17.2.12
musica di sottofondo: "Si può dare di più" - Ruggeri-Tozzi-Morandi 1987
mercoledì 15 febbraio 2012
Un 14 febbraio che Gubbio non dimenticherà...
Sarà un 14 febbraio che difficilmente ci scorderemo. Difficilmente Gubbio riuscirà a cancellarlo.
La cronaca non passa per questo blog. Basta collegarsi ad un qualsiasi sito di informazione regionale che sarà facile attingere a piene mani dai contenuti dell'ordinanza cautelare del Gip.
Gubbio si è svegliata come da un sogno. O da un incubo. A seconda dei punti di vista.
E fermo restando che ognuno farà le sue valutazioni - in attesa (rispettosa) che la Magistratura compia fino in fondo il proprio lavoro - c'è da chiedersi fin d'ora come questa comunità può ora gettare uno sguardo al futuro. Come e con quale spirito, soprattutto.
Sapendo di avere alle spalle un decennio sul quale - senza emettere sentenze premature ma sempre con estrema prudenza - è lecito porsi degli interrogativi.
Lo tsunami è appena iniziato. Ma quanto tempo ci vorrà per raccogliere le macerie?
E i progetti che questa città ha in corso - molti dei quali avviati proprio nel decennio ora sotto la lente d'ingrandimento della Procura - che futuro possono avere?
E i cittadini, privati e imprese, che attendono dalla Pubblica amministrazione risposte efficaci (pensiamo ad aree Cai e Piano Regolatore, giusto per toccare due tasti delicati) e già sono costretti a pagare ritardi burocratici e fisiologici della macchina amministrativa, ora, di fronte al bailamme giudiziario, cosa debbono pensare?
Personalmente ho come un senso di repulsione mista ad un pizzico di angoscia per la vicenda esplosa ieri.
Ho vissuto personalmente un "certo clima" nel decennio passato, e come pochi altri posso capire qualche episodio ricostruito dall'ordinanza cautelare.
Ma preferisco tenere distinta - sebbene il blog, alla fin fine, sia il mio - la sfera personale, dall'analisi che comunque una storia così delicata impone, da osservatori quali siamo con la non trascurabile responsabilità di essere anche "narratori" di questa vicenda.
Ci sono tre dimensioni sulle quali impostare una riflessione.
La prima è quella giudiziaria, e lì c'è poco da dire e commentare. Ci sono le indagini, le risultanze, le conclusioni a cui arriva il Gip. Ora non resta che attendere gli sviluppi, i primi interrogatori, i commenti degli avvocati, i prossimi capitoli.
C'è una dimensione politica: quali risvolti può avere questa vicenda sul futuro politico di questa città (ma anche della Regione, visto lo spessore del principale degli inquisiti). Per il centrosinistra umbro è l'ennesima "patata bollente" dopo che in cinque anni già in Provincia (Appaltopoli) e nella Sanità regionale (Sanitopoli) sono esplose indagini con risvolti clamorosi (anche se non con conseguenze restrittive così pesanti).
C'è soprattutto una dimensione umana. Ed è l'aspetto che maggiormente provoca un senso di fastidio e di sgomento, pensando ai personaggi coinvolti - che praticamente ogni giorno, in alcuni casi, ci capitava di incrociare o frequentare - alle famiglie, loro malgrado travolte dagli effetti dello "tsunami", ai conoscenti e amici. Quelli veri. I pochi che, in queste parabole devastanti, ti restano accanto.
E pensando anche alle persone coinvolte, in questi anni, in azioni che ne hanno compromesso l'equilibrio, la serenità o la crescita professionale.
Ma anche ai tanti che invece, in queste ore, a Gubbio, si affrettano probabilmente a "cambiare casacca", a virare frettolosamente, a rinnegare - come nel più tipico dei costumi dell'"Italia dell'8 settembre" - un decennio da ultrà.
E così come oggi, girando per il Belpaese, è difficile trovare un elettore convinto di Berlusconi, probabilmente, girando per Gubbio, si potrebbe scoprire che i consensi sono come evaporati...
Personalmente ho avuto non pochi contrasti con l'ex sindaco di Gubbio: credo che in molti ricorderanno alcune interviste o collegamenti in diretta (specie post-elettorali) nei quali dovetti far uso copioso e reiterato di auto-controllo, per evitare la "gazzarra" televisiva. Per non cadere nelle provocazioni di chi mi definiva, nella migliore delle ipotesi, "servo del potere". Sono finito sui manifesti, sono stato additato, epiteti tutt'altro che felici mi sono stati rivolti e ripetuti per anni.
Ma sono e resto, quello che ero. Dieci anni fa, all'ascesa al potere di Goracci; cinque anni fa, alla conferma quasi plebiscitaria, del suo mandato. Oggi, con il protagonista della vita politica cittadina dell'ultimo decennio, in carcere.
Non ho cambiato nè idee nè modo di fare. E di interpretare questo nostro mestiere.
E non mi pento, anzi, ripensando che esattamente un mese e mezzo fa - era il 29 dicembre 2011 - sono stato l'unico giornalista a cui il personaggio, che stamattina era "sbattuto" su tutte le prime pagine dei quotidiani, ha concesso un'intervista tv, l'unica dopo l'avviso di garanzia. Una lunga intervista. In cui ovviamente si è difeso.
Sono stato criticato anche per quello. Ma oggi, ancora più che allora, credo che sia stato giusto e opportuno: non sarà del resto un'intervista a condizionare le indagini, nel bene o nel male.
Ma può essere quell'intervista a confermare, a maggior ragione, che si può raccontare una vicenda - complicata e torbida quanto si vuole - dando voce a tutti. Proprio tutti.
A prescindere anche da quello che, personalmente, si può essere vissuto anni addietro.
Non so come finirà questa storia, che ora come ora incute solo grande tristezza. So che sarà per tutti noi - chiamati a raccontarla - l'ennesimo "banco di prova". Non facile, non indifferente, ma al quale non possiamo sottrarci. Sapendo che in un mestiere, straordinario ma anche imprevedibile come il nostro, una sola bussola deve continuare a guidarci: la nostra credibilità.
Serve tanto, ogni giorno, per alimentarla. Basta poco, e può accadere in un giorno qualsiasi, per dissolverla...
La cronaca non passa per questo blog. Basta collegarsi ad un qualsiasi sito di informazione regionale che sarà facile attingere a piene mani dai contenuti dell'ordinanza cautelare del Gip.
Gubbio si è svegliata come da un sogno. O da un incubo. A seconda dei punti di vista.
E fermo restando che ognuno farà le sue valutazioni - in attesa (rispettosa) che la Magistratura compia fino in fondo il proprio lavoro - c'è da chiedersi fin d'ora come questa comunità può ora gettare uno sguardo al futuro. Come e con quale spirito, soprattutto.
Sapendo di avere alle spalle un decennio sul quale - senza emettere sentenze premature ma sempre con estrema prudenza - è lecito porsi degli interrogativi.
Lo tsunami è appena iniziato. Ma quanto tempo ci vorrà per raccogliere le macerie?
E i progetti che questa città ha in corso - molti dei quali avviati proprio nel decennio ora sotto la lente d'ingrandimento della Procura - che futuro possono avere?
E i cittadini, privati e imprese, che attendono dalla Pubblica amministrazione risposte efficaci (pensiamo ad aree Cai e Piano Regolatore, giusto per toccare due tasti delicati) e già sono costretti a pagare ritardi burocratici e fisiologici della macchina amministrativa, ora, di fronte al bailamme giudiziario, cosa debbono pensare?
Personalmente ho come un senso di repulsione mista ad un pizzico di angoscia per la vicenda esplosa ieri.
Ho vissuto personalmente un "certo clima" nel decennio passato, e come pochi altri posso capire qualche episodio ricostruito dall'ordinanza cautelare.
Ma preferisco tenere distinta - sebbene il blog, alla fin fine, sia il mio - la sfera personale, dall'analisi che comunque una storia così delicata impone, da osservatori quali siamo con la non trascurabile responsabilità di essere anche "narratori" di questa vicenda.
Ci sono tre dimensioni sulle quali impostare una riflessione.
La prima è quella giudiziaria, e lì c'è poco da dire e commentare. Ci sono le indagini, le risultanze, le conclusioni a cui arriva il Gip. Ora non resta che attendere gli sviluppi, i primi interrogatori, i commenti degli avvocati, i prossimi capitoli.
C'è una dimensione politica: quali risvolti può avere questa vicenda sul futuro politico di questa città (ma anche della Regione, visto lo spessore del principale degli inquisiti). Per il centrosinistra umbro è l'ennesima "patata bollente" dopo che in cinque anni già in Provincia (Appaltopoli) e nella Sanità regionale (Sanitopoli) sono esplose indagini con risvolti clamorosi (anche se non con conseguenze restrittive così pesanti).
C'è soprattutto una dimensione umana. Ed è l'aspetto che maggiormente provoca un senso di fastidio e di sgomento, pensando ai personaggi coinvolti - che praticamente ogni giorno, in alcuni casi, ci capitava di incrociare o frequentare - alle famiglie, loro malgrado travolte dagli effetti dello "tsunami", ai conoscenti e amici. Quelli veri. I pochi che, in queste parabole devastanti, ti restano accanto.
E pensando anche alle persone coinvolte, in questi anni, in azioni che ne hanno compromesso l'equilibrio, la serenità o la crescita professionale.
Ma anche ai tanti che invece, in queste ore, a Gubbio, si affrettano probabilmente a "cambiare casacca", a virare frettolosamente, a rinnegare - come nel più tipico dei costumi dell'"Italia dell'8 settembre" - un decennio da ultrà.
E così come oggi, girando per il Belpaese, è difficile trovare un elettore convinto di Berlusconi, probabilmente, girando per Gubbio, si potrebbe scoprire che i consensi sono come evaporati...
Il faccia a faccia Goracci-Barboni del 2006 a Trg |
Ma sono e resto, quello che ero. Dieci anni fa, all'ascesa al potere di Goracci; cinque anni fa, alla conferma quasi plebiscitaria, del suo mandato. Oggi, con il protagonista della vita politica cittadina dell'ultimo decennio, in carcere.
Non ho cambiato nè idee nè modo di fare. E di interpretare questo nostro mestiere.
E non mi pento, anzi, ripensando che esattamente un mese e mezzo fa - era il 29 dicembre 2011 - sono stato l'unico giornalista a cui il personaggio, che stamattina era "sbattuto" su tutte le prime pagine dei quotidiani, ha concesso un'intervista tv, l'unica dopo l'avviso di garanzia. Una lunga intervista. In cui ovviamente si è difeso.
Sono stato criticato anche per quello. Ma oggi, ancora più che allora, credo che sia stato giusto e opportuno: non sarà del resto un'intervista a condizionare le indagini, nel bene o nel male.
Ma può essere quell'intervista a confermare, a maggior ragione, che si può raccontare una vicenda - complicata e torbida quanto si vuole - dando voce a tutti. Proprio tutti.
A prescindere anche da quello che, personalmente, si può essere vissuto anni addietro.
Non so come finirà questa storia, che ora come ora incute solo grande tristezza. So che sarà per tutti noi - chiamati a raccontarla - l'ennesimo "banco di prova". Non facile, non indifferente, ma al quale non possiamo sottrarci. Sapendo che in un mestiere, straordinario ma anche imprevedibile come il nostro, una sola bussola deve continuare a guidarci: la nostra credibilità.
Serve tanto, ogni giorno, per alimentarla. Basta poco, e può accadere in un giorno qualsiasi, per dissolverla...
lunedì 13 febbraio 2012
Da Varese solo gelate: involuzione caratteriale e una squadra parsa spaesata...
Benedetti è l'immagine del Gubbio a Varese (foto Settonce) |
La sconfitta al “Franco Ossola” è il punto più preoccupante dell’involuzione caratteriale di una squadra che a tratti è parsa quasi spaesata, vittima e al tempo stesso carnefice di alcune contraddizioni tattiche ma anche e soprattutto di un atteggiamento mentale lontano anni luce da quello che serve ad un gruppo che deve e vuole salvarsi.
Un altro gol al 6’ del primo tempo è il primo sintomo di un impatto troppo morbido con la partita. E’ sembrato di rivedere in scena la gara del Granillo, cambiava solo il nome dell’avversario e il colore delle maglie. Quanto alle incertezze tattiche, invece, quelle somigliavano più alla gara di Ascoli, dove già la scelta di Boisfer centrale e Briganti sulla fascia aveva lasciato molte perplessità – salvata in quel caso dall’ingresso di Almici e l’avanzamento del francese a metà campo.
Rivas insacca il gol vittoria: è il 6' del primo tempo (foto Settonce) |
L’equivoco tattico però ha finito per compromettere almeno un tempo: a centrocampo due soli rossoblù incontristi veri hanno concesso superiorità e predominio sulle seconde palle al Varese, disposto invece a 4. Guzman ha potuto fare poco il trequartista perché pochi i palloni giocabili. Quasi nessuno per Ciofani e Mastronunzio, che nell’unica chance è sembrato ancora in ritardo di condizione.
Alla squadra di Maran, alla fine, non è servita neppure la partita della vita per addomesticare l’1-0 fino alla triplice fischio e ritrovare così il successo casalingo a distanza di 3 mesi. Proprio come la Reggina 10 giorni fa.
Granoche circondato da difensori rossoblù (foto Settonce) |
Piccoli passi che appaiono come passi da giganti a confronto del ruolino dell’ultimo mese del Gubbio: 4 partite 1 solo punto (anche se con la Samp i 3 punti erano meritati), e soprattutto le ultime prove in trasferta davvero asfittiche sul piano della quantità di gioco.
La punizione di Guzman, unico tiro nello specchio della porta in tutta la gara (foto Settonce) |
Cosa ci sia alla radice, non lo sappiamo. E la speranza è sempre quella di una giornata storta. Ma su alcuni punti interrogativi a questo punto è bene che società e staff tecnico sappiano dare una risposta chiara ai tifosi: Buchel relegato in tribuna; Bazzoffia con problemi muscolari e un contratto che fa discutere; l’evanescenza di Mastronunzio; i tanti troppi moduli tattici modificati nel corso della stagione; gli avvii di gara da psicodramma.
Saluto pre-gara tra Maran e Simoni |
Si chiama “Bentegodi”. Ma è bene anche non pensare a quanto accaduto un anno fa. Il presente è quello che conta. Se il Gubbio c’è, è il momento di battere un colpo...
Musica di sottofondo: "I wanna dance with somebody" - W.Houston - 1987
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