“E’ nella crisi che sorge l’inventiva, le scoperte, le grandi strategie. Chi supera la crisi supera se stesso senza essere superato. Chi attribuisce alla crisi i suoi fallimenti e le sue difficoltà, violenta il suo stesso talento e dà più valore ai problemi che alle soluzioni. La vera crisi è la crisi dell’incompetenza. L’inconveniente delle nazioni e delle persone è la pigrizia nel cercare soluzioni e vie d’uscita. Senza crisi non ci sono sfide, senza sfide la vita è una routine, una lenta agonia. Senza crisi non c’è merito. E’ nella crisi che emerge il meglio di ognuno, perché senza crisi tutti i venti sono solo lievi brezze.
Parlare di crisi significa incrementarla, e tacere nella crisi è esaltare il conformismo.
Invece lavoriamo duro, finiamola una volta per tutte con l’unica crisi pericolosa, che è la tragedia di non voler lottare per superarla”.
Ho letto casualmente questo testo, riportato ieri nell’editoriale di apertura de “La Stampa” a firma del direttore, Mario Calabresi.
Sembra un testo scritto ieri o tutt’al più qualche settimana fa. Invece è un articolo a firma Albert Einstein, dei primi anni 30: ebbene, 80 anni dopo, un testo di straordinaria lucidità e attualità, che sembra tagliato su misura per i giorni nostri.
“Non possiamo pretendere che le cose cambino, se continuiamo a fare le stesse cose”, ammoniva quello che sarebbe diventato lo scienziato del secolo con la sua teoria della relatività. Una scoperta che non è casuale, provenendo da un’intelligenza acuta, profonda e fertile come queste righe confermano.
“Non ho mai trovato qualcosa di più lucido e coraggioso di fronte al buio e alla paura” scrive Calabresi con riferimento a queste riflessioni.
Parole, considerazioni, immagini che andrebbero fatte proprie praticamente ogni giorno.
Dovremmo leggerle e rileggerle, quasi memorizzarle, ripetercele al mattino, appena entrati in ufficio, o appena iniziato il proprio lavoro.
Proprio perché non sia la routine ad avere il sopravvento, non sia il ripetere pedissequamente il “da farsi quotidiano” a prevalere sulla necessità di far “mulinare i propri neuroni”, di pensare, escogitare, creare e perché no, rischiare (perché l’impresa in fin di conti, questo è).
Ognuno nel proprio piccolo, ognuno per dare il proprio contributo a cambiare: non tanto per farlo, ma per mettere il proprio mattone nel cambiamento di marcia che l’attualità ci richiede.
“Siamo un paese vecchio, che pensa da vecchio e agisce da vecchio” ha lapidariamente sentenziato qualche giorno fa il CT della Nazionale azzurra. Non c’è da scandalizzarsi se un allenatore di calcio – di indiscussa saggezza e buon senso come Prandelli – si avventuri in analisi di carattere quasi socio-politico (restando sul solco dei direttore tecnici di Nazionale, le relazioni di uno Julio Velasco sono quasi meglio di molte tesi di laurea in psicologia motivazionale).
Semmai c’è da chiedersi perché debba farlo lui, che in fondo è chiamato a scegliere i migliori calciatori azzurri e a metterli in campo – cosa che gli riesce piuttosto bene, visto come è andata a Euro 2012.
Ma la sferzata può essere salutare, perché è comunque un personaggio pubblico, le cui parole – volenti o nolenti – penetrano il tessuto adiposo di un’opinione pubblica adagiata ancora sull’amaca degli anni Ottanta-Novanta, quasi inconsapevole, in buona parte della stessa, che i rami si stanno spezzando…
E allora rispolverare pensieri e intuizioni così straordinariamente acute ed attuali non guasta.
Anche in un pomeriggio d’estate, anche in un periodo di ferie. Anche e soprattutto guardando ai prossimi difficili mesi.
Perché se proprio di crisi si deve parlare, l'immagine non dev'essere quella di un crepaccio sul ciglio del quale si è costretti a delicati esercizi di equilibrismo. Ma come fosse un’asticella da superare. E visto che ci sono le Olimpiadi all’orizzonte, diciamo che quell'asticella deve essere il nostro piccolo grande record da battere… Già capirlo, significa essere al centro della pedana, pronti alla rincorsa...
mercoledì 4 luglio 2012
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