Silenziosamente ci accompagnano in momenti "insignificanti" della nostra vita. Apparentemente insignificanti perchè in fondo, accendere la radio e ascoltare "Tutto il calcio minuto per minuto" è null'altro che un piacevole gioco da adulti, una liturgia laica che si rinnova ogni domenica.
E sull'altare di questo piccolo e ripetitivo rito, la voce che, umile ma immancabile, scandiva il susseguirsi di ogni domenica, era quella di Alfredo Provenzali.
Un giornalista che apparteneva alla generazione di radiocronisti che hanno segnato l'epoca d'oro di Radio Rai: forti non solo dell'assenza di una vera concorrenza (e la mancanza della pay tv che ha "violentato" il fascino dell'ascolto radio delle partite) ma soprattutto forti una professionalità e personalità che erano figlie di quel tempo, di quell'Italia ricostruitasi con le proprie mani, capace di rimboccarsi le maniche sapendo che c'era tanta strada da fare.
Se un giorno metteremo in classifica i primi dieci fenomeni di costume del XX secolo, potrebbe scapparci anche di inserire "Tutto il calcio minuto per minuto": perchè il rituale della domenica non conosceva sosta, perchè sapeva sciorinare le emozioni più appassionanti per gli sportivi italiani, perchè riusciva a condensare la capacità di fare cronaca con l'abilità di commentare, senza urla nè esasperazione, quello che in fondo era "il più bel cartone animato per adulti" (appunto, il calcio).
In questo teatro, Provenzali non ha mai amato apparire in prima fila: ma il suo ruolo è stato sempre di grande protagonista. Puntuale, rigoroso e inappuntabile.
La sua scomparsa - dopo quella degli anni scorsi dei vari Ameri e Ciotti (che però in prima fila sapevano esaltarsi con le inconfondibili cadenze e raucedini) - è l'addio definito ad una radio che non c'è più, ad un'informazione che non c'è più, ad una liturgia che ha cambiato le proprie forme, i colori, gli strumenti.
E sicuramente anche lo stile.
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