Il mio puzzle, i miei pezzi.Di ieri e l'altro ieri.

domenica 15 luglio 2012

"L'attimo in cui siamo felici": conoscere i momenti di felicità altrui... per apprezzare di più anche i propri...

"L'attimo in cui siamo felici". Non so, per la verità, se esista davvero. Non so se si può fotografare, cristallizzare, se si può cesellare e incastonare in un cofanetto, da conservare gelosamente tra le cose preziose della propria esistenza. Per poi andarselo a riguardare, a rileggere, a rivivere ogni volta che c'è bisogno.
Operazione audace, a cui si sottopone - gioco forza - Valerio Millefoglie, con il suo libro edito da Einaudi (che mi ha accompagnato durante qualche giornata di questa estate, tra quelli in concorso per la nuova rassegna "Onor d'Agobio" di cui sarò indegno componente di giuria).
Il libro si intitola proprio così "L'attimo in cui siamo felici". E parte da una necessità interiore e paradossalmente egoistica (se di egoismo si può parlare quando è il lutto a condensare la gran parte delle proprie emozioni). La perdita del padre.
L'elaborazione del lutto è difficile e sofferta, per il protagonista del libro - che poi altri non è che il suo autore. E per uscire - o tentare di uscire - dal tunnel depressivo fatto di rinunce, consapevolezza e ricordi, Millefoglie rispolvera un esperimento che aveva abbozzato negli anni che avevano preceduto quel lutto. Una sorta di "terapia della felicità", comminata su se stessi con un metodo semplice quanto acuto: conoscere, apprezzare (e magari anche godere) delle felicità altrui.

Omacatl, divinità della felicità
almeno per gli Aztechi
Cos'è la felicità? E' un interrogativo che dai tempi di Omacatl (divinità azteca) passando per la mitologia greca, in poi ha imperversato cultura e letteratura, ma in fondo - tra tante vacuità e inutilità quotidiane - è l'unica domanda seria che ci rimane anche nel XXI secolo. La domanda ci sta, è la risposta che è difficile da articolare.
Perchè in fondo la felicità non è qualcosa di materiale, di tangibile, di inquadrabile. Forse nel momento stesso in cui si focalizza, è già passata.
E0 così che l'autore chiosa il suo libro: "E' proprio questo che rende così bella e unica la felicità: che finisce".
La felicità esiste. Ma forse non esistono le persone felici. Perchè non si può essere "sempre felici", come non si può essere fortunatamente sempre infelici. Stati d'animo ed emozioni si alternano, un po' come le figure sfocate di alberi e case, dal finestrino di un treno, mentre si viaggia: figure appannate che si accavallano col buio delle gallerie e il monotono e rutilante tran tran delle rotaie.

Valerio Millefoglie
Tant'è che Millefoglie racconta nel suo libro un percorso parallelo: quello personale, di chi vive l'angoscia di una perdita irreversibile, e di chi invece si è raccontato, candidamente e quasi ingenuamente, con un esercizio di una semplicità elementare ma di una profondità unica. Ovvero gli interlocutori conosciuti casualmente da Millefoglie nei bar, negli ospedali, alla posta, piuttosto che nelle scuole o nei supermercati: lui, l'autore, ha lasciato una semplice scheda da compilare.
Indicate i vostri attimi di felicità, recitava con un preciso questionario da redigere almeno su scala settimanale: giorno - ora - durata (anche minima, anche pochi secondi) - motivazione.
Rileggendo una semplice scheda settimanale, poi, l'autore ha intervistato gli anonimi compilatori. Non certo delle cavie, anzi. Persone, in carne e osse, grazie alle quali scoprire un universo sconosciuto di stereotipi diversi: i gemelli che vivono insieme le proprie emozioni quotidiane, il signore dal piumino verde accompagnato in ogni dove dalla propria fede, la ragazza che si realizza facendo volontariato, la nonnina del 1910 - che dopo una vita trascorsa accanto al marito, ormai defunto, sogna di incontrarlo un giorno: e cosa vi direte? le chiede Valerio, "Niente, risponde, basterà guardarsi":
E poi Simona (ma con la s minuscola, perchè non si sente di meritare un nome in maiuscolo) o Marco Elettrico, con la sua compilation della felicità e infine xxx la ragazza di tatuaggi e piercing, per la quale la felicità è riuscire a parlare di nuovo dopo essersi fatta dividere in due niente meno che la lingua.

E' un libro che mi ha colpito. Non per le storie che racconta, più o meno interessanti, più o meno emblematiche, ma per il senso che esprime.
La felicità raccontata come fosse un puzzle, ma un puzzle senza contorni - quelli che in fondo ti permettono, a cominciare dai quattro angoli retti, di comporre quello stesso puzzle. Senza contorni e senza confini, dove ognuno raccoglie i propri istanti felici.
Perchè la felicità, in fondo, non ha una definizione e nemmeno un clichè. Bere un caffé con un amico, incontrare per caso una persona speciale, tornare a casa, assaggiare il piatto preferito, guardare un programma tv, fare il tifo per la propria squadra di calcio, vedere proprio figlio crescere, godere di un'alba o di un tramonto. O anche respirare in mezzo ad un bosco durante una passeggiata. O un bel voto a scuola o all'università.
La felicità non è qualcosa di costruito, ma di istantaneo: ti coglie, all'improvviso, ti appassiona e ti gratifica.
Ma la ricetta del "dottor Millefoglie" ha una qualità in più: ti consente di archiviare questi piccoli grandi momenti. Come? Magari compilando la sua scheda - la trovate riprodotta davvero all'inizio del libro - almeno per una settimana.
La scheda per compilare... i propri attimi di felicità
Sarà come rivedersi in fotografia i momenti più belli. Quelli che ti fanno capire che in fondo questa parola così ridondante - felicità - è in realtà il risultato di gesti semplici, spesso condivisi, il più delle volte inaspettati. Che diventano però, a loro modo, eterni; "rendere eterno il minuto" dice proprio l'autore - "mettere sottovuoto alcuni momenti felici, fermarli per un attimo".
Proprio con quella capacità di cristallizzare l'istante che è propria di una fotografia - a differenza di un'immagine filmata che è documento più completo, ricco e accattivante, ma non sa discernere l'istante dal complesso.
E a proposito di eterno, Millefoglie conclude la sua riflessione - dopo aver conosciuto una coppia di imprenditori, titolari di un'agenzia funebre - con una riflessione un po' bizzarra e decisamente originale. Ma profonda.
"Se invece delle lapidi e delle frasi misericordiose e commemorative o dei fiori, si potessero leggere le felicità dei defunti, andare al cimitero non sarebbe così triste. E nessuno verrebbe dimenticato".
Allora ho provato.

Giacomo Marinelli Andreoli: amava scrivere, leggere, emozionarsi, conoscere storie e persone, sperando di riuscire a raccontarle. Anche con un semplice blog.
Che ne dite?
Può sonare bislacca. Ma io la metterei così...

Invece la prossima settimana voglio autosperimentare la scheda di Millefoglie: raccoglierò le felicità quotidiane, dal lunedì alla domenica successiva. Chissà che non mi aiuti ad apprezzare di più i piccoli momenti della giornata, quei dettagli che spesso fanno la differenza. Provate anche voi... (anche il blog è a vostra disposizione).

4 commenti:

  1. Da facebook -

    «La felicità è un sentimento segreto, esclusivo, inquisitorio, dolcissimo e supremamente crudele. Vi si sta arroccati come in un palazzo di ferro e cemento, dalle grandi vetrate; nello stesso tempo è un riflesso sull’acqua che non solo la b...rezza, ma l’ombra di un passante può alterare….La felicità non si narra. Si può appena, come la pioggia scorrendo a rivoli sui vetri traccia e scancella delle figurazioni, annotare i momenti salienti che ci consentono di intravederla. E un’altra cosa so della felicità: che essa è muta.»
    La Toni Ghirelli

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  2. E' vero, la felicità è muta. Ma ti parla come può parlarti uno sguardo. O addirittura come può parlarti un volto che ti nega uno sguardo. Non servono parole per esprimere concetti la cui stessa esplicabilità diventa banale, di fronte alla forza dello stato d'animo.
    Ecco perchè la maggior parte delle volte, in cui siamo felici, non ce ne accorgiamo: capendolo poi quando quell'istante, quella condizione, quella piacevolissima sensazione di leggerezza... è già svanita.
    Felicità è anche riposarsi qualche minuto sul letto, dopo pranzo, in attesa di tornare in ufficio. E osservare la tenda della propria finestra che si gonfia, come la vela di un'imbarcazione, sospinta dal vento soffice e fresco che si insinua nella stanza. E col pensiero si prova a scommettere con se stessi per quanti secondi, quel panneggio color crema, continuerà ad animarsi prima di perdere energia e tornare ad adagiarsi, muto, come fosse una semplice stupida tenda...

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  3. Molti, troppi, erroneamente credono che essere felici, sia un obiettivo da raggiungere. E' proprio questo l’errore che commettiamo: cercare, rincorrere, lottare per ottenere la felicità, attraverso un modello di aspettative fasulle o irrealizzabili, per il normale e misterioso corso della vita. La felicità dipende da noi e solo da noi, dal nostro atteggiamento mentale con cui affrontiamo ogni situazione quotidiana. Gli eventi che accadono ad ogni persona sono quasi uguali per tutti, gioie, delusioni per un amore non corrisposto, per un abbandono, per un concorso vinto o perso, per incomprensioni con il partner, con i familiari, con gli amici, per i lutti, per la ricerca faticosa di un lavoro, della casa, ecc….. quello che cambia è la nostra reazione ed accettazione nei confronti di questi avvenimenti inevitabili; e ciò fa la differenza tra l’essere ed il non essere felici.....

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  4. Hai ragione, la differenza spesso è nei dettagli. Io ad esempio sarei stato felice se non fossi rimasto/a anonimo/a in questo tuo pensiero... ma fa lo stesso...
    A presto!

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