"Un gigantesco videogame". Un labirinto infernale nel quale il Teseo di turno si trova di fronte un minotauro, lo batte e subito dopo ne esce fuori uno ancor più grande, inferocito e pericoloso. E il filo d’Arianna ancora all'orizzonte non s'intravede.
La crisi mondiale secondo Giulio Tremonti – ordinario di economia ed ex ministro economico di quattro governi di centrodestra – non è una fatalità congiunturale. E neanche una sorpresa.
Perché già nel 2008, alla vigilia del crac del colosso Lehman Brothers, scriveva “La paura e la speranza", un libro dedicato ai rischi della new economy, allo sbilanciamento da brivido tra volumi di somme a decine di zeri quasi impronunciabili che diventano il flusso quotidiano di scommesse finanziarie e gli equilibri delicati dei bilanci dei singoli stati, che finiscono per diventare il serbatoio di copertura degli speculatori.
Non è bastata quella pubblicazione – marchiata come un volume da "Cassandra" – e non sono bastati richiami anche scritti ai vertici della troika economica e politica europea e internazionale.
Il 2008 ha prodotto solo il primo effetto domino, partito dagli Usa e poi riverberatosi in Europa. La medicina però – scrive Tremonti in “Uscita di sicurezza” – si è gradualmente trasformata in malattia essa stessa, una patologia con cui oggi, quotidianamente, governi e cittadini, intesi come risparmiatori, si confrontano in un clima surreale di psicosi da spread – un termine che fino ad un anno fa era conosciuto da un fazzoletto di esperti e non tormentava il sonno di decine di milioni di persone.
"Mettere l’ordine al posto del caos; separare l’attività produttiva dall’attività speculativa; chiudere la bisca della finanza, in modo che siano i giocatori e non noi a pagare per le perdite sulle puntate; ristabilire il primato delle regole; pensare a investimenti pubblici in beni di interesse collettivo. Solo così, mettendo la ragione al posto degli spread, l’uomo al posto del lupo, il pane al posto delle pietre, si può uscire da questo mostruoso videogame in cui siamo entrati senza capirlo e senza volerlo".
Oggi mezza Europa è in bilico, la stessa moneta unica è in bilico e il dramma è che non esiste un soggetto identificabile contro il quale condurre un’azione politica, economica e strategica: il quadro thriller di oggi è la risultanza di una metamorfosi che ha visto capovolgersi negli anni il ruolo tra la politica e la finanza. In un ventennio, dall’inizio dei Novanta, "la politica ha appaltato i suoi lavori all’economia, che a sua volta li ha subappaltati prima al mercato e poi al mercato finanziario". Nella cieca convinzione che il mercato da solo potesse autodisciplinarsi, correggere il tiro laddove fosse stato fuori misura. Così non è stato, anzi la zona grigia che si è creata ha dato campo libero alla forma più esasperata di speculazione, ai prodotti derivati che hanno impennato i rischi, con una formula subdola: a guadagnare, a scommettere, erano e sono ancora oggi in pochi, ignoti e avidi avventurieri chissà da quale latitudine capaci di condizionare i listini di tutto il mondo; a pagare il conto sono invece tutti gli altri, perché ad essere aggrediti sono i debiti pubblici, sono le casse degli Stati, o quel che ne rimane. Di quell’Occidente che oggi si sente sempre più una colonia finanziaria di un impero senza nome.
Un’uscita di sicurezza ci sarebbe, secondo Tremonti: che individua strumenti specifici, come gli Eurobond, dà un’occhiata a situazioni analoghe del passato – anni 30, nazionalizzazione di imprese e banche dopo la grande depressione – senza dimenticare il futuro: che è e rimane un terreno sul quale muoversi con principi ed etica dimenticati completamente in questo ventennio.
Non solo dagli speculatori ma anche dai governi stessi, quelli nazionali e soprattutto quello europeo. O presunto tale...
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