(continua da I parte - 30.1.11)
Ho sempre visto Arrigo Sacchi un po’ sergente un po’ ayatollah. Per la sua ortodossia tattica ma anche per la ferrea disciplina che chiedeva ai giocatori. Mentale prima ancora che comportamentale.
E’ proprio vero che i suoi successi sono soprattutto in rossonero. La sua parentesi azzurra non è stata altrettanto fortunata. E anche la finale, persa solo ai rigori, contro il Brasile più “scarso” degli ultimi 30 anni, nel ’94, non ha lasciato impronte neanche a Coverciano. Le gigantografie che agghindano i corridoi sono solo quelle di Spagna 82 e Germania 2006. Non c’è traccia di quel Mondiale a stelle e strisce che, in fondo, potevamo anche vincere, così come poteva vederci rientrare già dopo 3 gare (passammo il turno come terzi ripescati, con il regolamento di oggi saremmo tornati a casa). Per non parlare dell’effetto “cul de Sac” che tradotto in Usa si legge Roberto Baggio: il suo diagonale al 90’ contro i nigeriani ci fece scendere dall’aereo, i tifosi riposero gli ortaggi e ritirarono fuori la bandiera, il Codino più celebre ci trascinò in finale – giocata in modo assurdo alle 12 ora locale, con 35 gradi e 80% di umidità, neanche fosse Giochi senza Frontiere con la coppia Gennaro Olivieri e Guido Pancaldi a scandire “un, deux, trois”.
Il mio ricordo personale di Sacchi è vederlo uscire mestamente dal “Curi” (ero a bordo campo, grazie all’intercessione degli Sbandieratori di Gubbio che si erano esibiti nell’intervallo). Un intero stadio lo mandava a quel paese, dopo un anonimo 1-0 sulla Georgia (mi sembra) nel ’96, gol di Ravanelli. Aveva l’Italia contro. Era uscito al primo turno da Euro 2006 in Inghilterra per le proprie “fisime” tattiche, per la cieca e ottusa insistenza a prediligere il modulo rispetto ai giocatori. Si era scavato la fossa con le sue stesse teorie. E aveva un intero Paese che lo mandava al diavolo (poi c’andò davvero… nel senso che tornò di lì a pochi giorni ad allenare il Milan. Quella di Perugia resta l’ultima panchina azzurra).
Che Sacchi ne abbia masticato di calcio, non l’ho scoperto a Coverciano. Quello che ho scoperto (insieme ai colleghi dell'Ussi Umbria - nella foto durante i lavori all'auditorium di Coverciano) è un Sacchi leggermente diverso, direi più al passo con i tempi. Difende sempre i propri dogmi (“i solisti non hanno mai fatto una buona orchestra, né una buona musica”), ma sembra più sfumato, ha ammorbidito gli spigoli. Ci spiega che nel decennio 1989-1999 l’Italia e i club italiani hanno raccolto i frutti del cambiamento di mentalità: un secondo e un terzo posto ai Mondiali (entrambi “bruciati” dai penalty), 3 titoli under 21, uno o addirittura due club vittoriosi ogni anno nelle competizioni europee (con il record del 1990 in cui tutte tre le Coppe finirono a Milan, Samp e Juve). Oggi siamo la “pecora nera” del calcio europeo. Perché?
Manca la qualità. Troppi stranieri. Troppa approssimazione nella preparazione dei giovani (“il corso per allenatore dura un mese – spiega Sacchi – Un tempo durava un intero anno”).
Ripartire da zero non è facile ma forse è l’unica terapia. Ma non è solo una questione di preparazione fisica o tattica: “Il calcio non nasce dai piedi ma dalla mente. I piedi non fanno la categoria. La testa fa la categoria – una delle sue frasi che più mi colpiscono, quasi fosse un gonzo con la veste arancione – E la preparazione mentale nasce dalle esperienze giovanili. Oggi non investiamo abbastanza nei settori giovanili. Ma a questo risultato devono contribuire tutti, stampa compresa".
Sapete qual è la critica che mi faceva la stampa a Madrid? Che giocavano pochi spagnoli e pochi giovani… Avete mai letto parole simili in un quotidiano italiano?”.
Interessante l’esempio della Francia, di cui ci parla Cristian Damiano oggi responsabile del settore giovanile della Roma. Dall’inizio degli anni Ottanta sono nati Centri di Formazione giovanile – una sorta di collegi – aperti in tutto il Paese, ai migliori talenti giovanili del calcio transalpino. Serbatoi neutri cui attingono le società francesi ma anche estere, dai quali è nata anche la generazione che poi ha portato a Parigi la Coppa del Mondo del ’98 e l’Europeo “maledetto” del 2000 (vinto contro gli azzurri e sofferto dal vivo).
L’Italia ha la forza e le risorse per fare tutto questo? Punto di domanda. La speranza è che qualcosa di simile facciano almeno le società più lungimiranti. Che sui giovani investono. Perché se una volta, come dice Allegri, i talenti nascevano per strada, oggi per strada non si gioca più, i talenti vanno scoperti “in laboratorio” (ovvero, nei campi verdi) ricordando un vecchio assunto che Mino Favini, storico talent scout dell’Atalanta (fucina di decine di campioni poi esplosi in tante squadre d’elite, l’ultimo esempio Pazzini) ci rispolvera in modo sapiente: “Nel calcio molti giocano, pochi vedono, pochissimi prevedono. E sono questi i fuoriclasse”.
C’è anche spazio per la lezione arbitrale: il parterre è notevole con il designatore Stefano Braschi, e gli arbitri Paolo Tagliavento (nella foto - ternano, con cui scambio piacevolmente qualche battuta prima del seminario) e Paolo Valeri di Roma.
Meno metodici e maniacali di Collina, ci spiegano soprattutto che l’arbitro non fa le regole, le applica. Le regole sono stabilite da un International Board composto da 8 membri (che secondo me, e lo dico pubblicamente anche a loro, “non hanno mai giocato a calcio, “altrimenti non si punirebbe nello stesso modo con il giallo l’esultanza con lo streap tease e un’entrata fallosa da dietro”). La novità maggiore quest’anno è che il quarto uomo diventa arbitro effettivo come gli altri, può segnalare situazioni, può incidere sulla partita. “Può anche vedere un’azione in video” chiediamo noi, anche se – per diplomazia – Braschi rifiuta l’ipotesi della moviola in campo. E si culla il miglioramento della percentuale di errori (4%) nelle prime 20 giornate di A contro il 6% dell’anno scorso (poi bisognerebbe vedere anche la qualità di questi errori, ma questa è un’altra storia…).
La frase che mi colpisce di Braschi invece è un’altra: “Ho un figlio e non mi dispiacerebbe che facesse l’arbitro. Ma non per arrivare in serie A ma perché a 15 anni, quando sei solo contro 22 persone in trans agonistica, devi prendere delle decisioni. Ti assumi una responsabilità. Non so quante attività quotidiane oggi riescano a avere la stessa forza formativa ed educativa per un giovane…”.
(continua)
lunedì 31 gennaio 2011
domenica 30 gennaio 2011
"Quando arrivi a Coverciano": appunti da un seminario con personaggi "eccellenti".... (I parte)
Quando arrivi a Coverciano la sensazione è quella del college. Non sono mai stato in un college, intendiamoci.
Ma uno s’immagina quei luoghi un po’ appartati, discreti, immersi nel verde, con atmosfera serafica – ma non abbastanza da sentirsi francescana – dove la disciplina, il rigore, lo stile composto si mescolano al “misticismo” – in questo caso di taglio sportivo. Che è una sorta di “mitologica” galleria scandita da immagini in ordine sparso che rievocano il passato, più o meno recente, e appartengono ad una collettività tutta.
Il saluto romano di Meazza, l’urlo di Tardelli, il cappello tricolore sulla Coppa del Mondo a Berlino. Tre modi di salutare un trionfo.
Con alcune di queste icone sei cresciuto, con altre hai esultato in età matura. Osservandole da vicino, penso alla fortuna di averle "vissute". E che il calcio – tra miriadi di difetti, a cominciare da molti interpreti indegni, dentro e fuori dal campo – continua a regalarti bagliori emozionali che difficilmente in altri campi riesci ad assaggiare.
Era la quarta volta, lunedì scorso, che andavo a Coverciano (le prime due è stato per giocare il torneo “D’Aguanno” con la selezione giornalisti Ussi Umbria), per il IV seminario “Il calcio e chi lo racconta”, un’iniziativa dell’Ussi (Unione stampa sportiva) nazionale a cui ho volentieri aderito – partecipando con una nutrita delegazione umbra, capitanata dal presidentissimo Remo Gasperini - dopo la felice esperienza dell’autunno 2009. Allora il parterre degli ospiti del ciclo di incontri di formazione per giornalisti sportivi, contava su nomi come Fabio Capello (che dichiarò la celebre frase “il calcio in Italia è in mano agli ultrà”) o Pierluigi Collina - che ci guidò, con tanto di video, in una lezione di alcune “situazioni” tipiche arbitrali, mostrandoci come ormai oggi ci sono squadre che provano in allenamento schemi mirati a confondere le idee alla terna arbitrale (ad es: lasciando 3-4 giocatori in fuori gioco sui cross da calcio piazzato, salvo poi gli stessi rientrare prima del traversone e incrociarsi con altri compagni di squadra che vanno in penetrazione). E soprattutto eravamo in compagnia della Coppa del Mondo, che troneggiava a fianco del tavolo nell’auditorium del centro sportivo.
Stavolta la Coppa non c’era (e chissà se e quando la rivedremo in queste stanze), ma il programma era decisamente ricco, non solo in quantità: dal presidente dell’Inter, Massimo Moratti, al tecnico del Milan, Massimiliano Allegri, al responsabile del settore giovanile delle Nazionali, Arrigo Sacchi, al designatore arbitrale di A Braschi (affiancato dagli arbitri Tagliavento e Valeri), al responsabile degli allenatori Renzo Ulivieri, fino – dulcis in fundo – al presidente dell’Uefa, Michel Platini.
Per un giornalista sportivo, per giunta abituato ad altri interlocutori nell’”opera quotidiana”, praticamente è stato come tornare bambino e ritrovarsi in negozio di Playmobil. La rivelazione vi apparirà un po’ ingenua – visto che affiancavo fior di colleghi, avvezzi ad avere a che fare con questi personaggi. Ma è stato solo l’impatto immediato e istantaneo.
Giusto il tempo di ambientarsi, tra le gigantografie di Lippi e Bearzot, qualche fermo immagine anni ’30 dell’epopea di Pozzo, i flash di Italia-Argentina o Italia-Brasile al Mundial ’82 e i fotogrammi ingranditi dei rigori di Berlino. O le carrellate nei corridoi con tutte le squadre under 21 vincitrici del Campionato Europeo (coppa che non alziamo più dal 2004 e un chè ci sarà…).
Poi guardandomi intorno, entrando in confidenza con qualche collega, parlando a tu per tu con alcuni degli ospiti citati (in particolare Allegri, Tagliavento e Ulivieri) ho avuto la conferma che la realtà spesso è meno “reverenziale” di quanto ci immaginiamo – un atteggiamento che mi fa tornare in mente la sensazione che provai all’hotel Ergife (febbraio 2007), quando all’esame da giornalista professionista mi ritrovai al banco accanto (per motivi di ordine alfabetico) un autentico fuoriclasse del microfono come Massimo Marianella; non rivedendolo poi in sede di prove orali e vedendomi addirittura col punteggio finale più alto rispetto agli altri 700 partecipanti, ho tratto le mie somme. E mi sono sentito un po’ più orgoglioso ma anche un po’ più Coliandro.
Gli interventi, sotto forma di relazioni piuttosto informali, da parte degli ospiti – davanti ad una platea di neanche un centinaio di giornalisti provenienti dall’Ussi di tutta Italia – toccavano tematiche diverse, ma sempre attuali e degne di interesse.
Il Presidente Massimo Moratti ha parlato della sua Inter plurivittoriosa: confesso che non ho simpatia per il personaggio. Un sentimento certamente figlio della mia “juventinità” (che amo definire, da tifoso di Salò – in attesa di un “risarcimento” morale e di scudetti sottratti). Ma se Moratti “mi sta qui” – per il suo atteggiamento da nobiluomo signorile predestinato al successo, quasi che il fato, il calcio italiano, il mondo intero gli debbano sempre qualcosa – chi non sopporto affatto sono i (tanti) colleghi più o meno altisonanti (e spesso autoreferenziali) che si sono esibiti in un concorso sulla domanda-zerbino dell’anno. Eviterò di fare nomi ma sentire quesiti del tipo: “Che sensazione ha avuto quando si è scoperto che l’Inter non vinceva perché qualcuno barava?”, ti fa pensare a cosa serva il nostro mestiere se si scambia l’arte dell’intervista con l’assist a porta vuota.
Non è un caso che l’unica domanda che abbia fatto storcere il naso al petroliere meneghino sia arrivata dal drappello di giornalisti eugubino-juventino – composto dal sottoscritto e dal collega Massimo Boccucci: domanda legittima (“cosa pensa del fatto che mentre l’Inter vince tutto, la Nazionale azzurra è in caduta libera, dalle giovanili alla squadra maggiore? E il 2006 con Calciopoli non ha inciso comunque sull’inizio dei trionfi dell’Inter?”). Moratti prima ha chiesto se era un nostro pensiero o una domanda giornalistica (ti pareva), poi ha replicato con l’aria di chi ha appena assaggiato uno yogurt scaduto: “Calciopoli è stato qualcosa di volgare. E ha dimostrato il perché l’Inter non vinceva prima. Le vittorie dopo il 2006 hanno confermato che c’era un sistema preordinato a non farci vincere”. (il giorno dopo questa frase campeggiava su tutti i quotidiani e siti internet sportivi nazionali).
Un’esibizione - a mio avviso - di presunzione allo stato cristallino perché se davvero signorili si fosse, si avrebbe la creanza di dire che è ancora in corso un procedimento ordinario (a Napoli) che potrebbe anche dichiarare inesistente la cosiddetta “cupola di Moggi”, dimostrare che la retrocessione della Juventus e i due scudetti sottratti sono stati un provvedimento “emotivo ed esageratamente impulsivo” (per i tempi che la giustizia dovrebbe comunque richiedere) figlio del clima giacobino che attorniava la Signora. E un pizzico di umiltà dovrebbe far riconoscere che dopo il 2006 gli errori arbitrali sono continuati a bizzeffe, solo che l’Inter ne è stata tra le principali beneficiarie (almeno un paio di scudetti, quelli persi nel rush finale dalla Roma, 2008 e 2010, ne sono stati condizionati).
Signori si nasce, e non basta tirare fuori petrolio da una piattaforma, o calibrare a dovere l’accento milanese, per diventarlo.
C’è una frase che mi è piaciuta – una sola – pronunciata dal presidente nerazzurro. L’ho segnata – come ho fatto con altre di altri ospiti, che mi hanno colpito: “L’Inter è come una bellissima donna di cui non potrai mai sentirti proprietario, ma sai di aver avuto la fortuna di amare”. Chapeau. Ma solo su questo, presidente.
Massimiliano Allegri sembra invece un vecchio compagno di classe. Che rivedi dopo 20 anni, ti racconta delle bischerate in gita, o dei flirt giovanili con la bionda del liceo. E’ leggero, scanzonato, quasi dissacrante il suo racconto di allenatore che in cinque anni dalla Lega Pro (allenava l’Aglianese contro il nostro Gubbio solo nel 2004) approda a Milanello. L’incarnazione di come ancora, fortunatamente, esista (e serva a qualcosa) una “gavetta” anche nel calcio di oggi.
E dire che il personaggio non dà l’idea, col suo passato da giocatore sopraffino nei piedi quanto imprevedibile nei modi, di poter “gestire” uno spogliatoio. Così non è invece. Stando ai risultati. Ma anche a quello che ti dice. O meglio, che quasi sembra confidarti. “Venire dal basso può sempre tornarti utile – confessa – Ho allenato ad Agliana, a Grosseto, a Sassuolo, a Cagliari, esperienze diverse, piazze diverse, presidenti diversi, ma tutti posti dove ho messo a frutto l’esperienza da calciatore – nei rapporti dello spogliatoio – e i dettami tecnico-tattici appresi negli anni. Ho imparato che i grandi personaggi devi ascoltarli sempre: anche quando dicono cose che sembrano banali, quelle frasi contengono qualcosa di più nascosto. Bisogna capire cos’hanno in mente”. E poi…
L’impatto con Milanello? – rivela – "Facevo le mie battute da livornese, i primi giorni. Poi quando vedevo che tutti sgranavano gli occhi, ho capito che forse non era il caso… Adesso la battuta la faccio, ma quando prendiamo un caffè dopo la conferenza stampa”.
La cosa più difficile per ora? “Gestire la pressione – risponde – Chiesi un giorno ad Ancelotti come si gestivano campioni importanti: mi ha risposto, sii te stesso. E allora ho cominciato a non dare spiegazioni a chi restava fuori: perché da giocatore ero il primo a non chiederle”. E poi l’aneddoto da giocatore: “Un giorno dissi al mio allenatore che voleva spiegarmi la decisione di lasciarmi in panchina: “Non deve dirmi nulla, se no tanto mi prende per il culo…”.
Ma dove ho scoperto un Allegri straordinariamente nitido (molto più che in questa foto, ma il collega Paladino ha fatto sicuramente del suo meglio...), profondo – non che non lo sembri – e di acutezza e intelligenza rare, è nella risposta alla mia domanda: lei ha giocato a Perugia, una piazza che ha scoperto e dato giocatori anche alla Nazionale campione del mondo (Materazzi, Grosso) pescandoli in serie C, dove ha poi allenato negli annis scorsi.
Non pensa che il nostro calcio conosca poco se stesso e le categorie minori, e sia un po’ troppo esterofilo?
“Secondo me il problema è un altro – ha replicato – dobbiamo cambiare modo di allenare i giovani. Oggi si fa tattica, diagonali, zona, fuorigioco, addirittura nelle categorie allievi. Un ragazzino sta un’ora a girare per il campo, senza toccare la palla. Io mi stancherei a fare ‘ste cose a 15 anni. Noi siamo cresciuti giocando 6 ore al giorno nei cortili o nei vicoli, e poi 3 giorni a settimana si andava a fare l’allenamento e affinare lo schieramento in campo. Ma la tecnica la imparavi nei rimbalzi fasulli di un vicolo, o sulla sabbia. Il fuoriclasse nasceva lì, perché sapeva adattarsi alle situazioni peggiori. Oggi i ragazzi stanno ore davanti alla playstation e poi vanno a fare tattica come avessero in mano ancora il joystick. Fosse per me abolirei la zona fino a 16 anni – frase lapidaria, tra qualche risatina del pubblico, perché in prima fila troneggiava niente meno che Arrigo Sacchi in attesa di parlare nel pomeriggio. E per sdrammatizzare, un po’ tra l’ingenuo e il provocatorio, Allegri gli fa: “Non so se il mister è d’accordo…” (e Sacchi, fuori microfono, diplomaticamente bugiardo “Io sono sempre d’accordo su tutto”).
Gustoso infine anche l’aneddoto su Galeone, uno maestro dalla panchina pescarese e perugina, ma dal quale Allegri non ha certo ripreso la spregiudicatezza (talvolta sconfinante in sprovvedutezza) tattica: “Ero arrivato a Pescara dal Pavia. Il mister il primo giorno mi vide e mi disse: se vuoi giocare in B o in A devi imparare a correre. Altrimenti la palla non la prenderai mai”.
Quanti talenti non hanno seguito un consiglio come questo, apparentemente banale. E hanno puntato solo sulla qualità dei loro piedi? E quanti talenti sono stati guidati male, esclusi, poco valorizzati, perché non inseriti in un quadro tattico? E quanti giovani si stanno perdendo davanti ad una playstation, pensando di poter fare cose per le quali non si allenano, ma che coltivano solo in teoria?
Tutte domande che la chiacchierata con Allegri lascia malinconicamente aperte (per il nostro calcio). Anche se illuminate da irriverente semplicità e innocente schiettezza.
(continua)
Ma uno s’immagina quei luoghi un po’ appartati, discreti, immersi nel verde, con atmosfera serafica – ma non abbastanza da sentirsi francescana – dove la disciplina, il rigore, lo stile composto si mescolano al “misticismo” – in questo caso di taglio sportivo. Che è una sorta di “mitologica” galleria scandita da immagini in ordine sparso che rievocano il passato, più o meno recente, e appartengono ad una collettività tutta.
Il saluto romano di Meazza, l’urlo di Tardelli, il cappello tricolore sulla Coppa del Mondo a Berlino. Tre modi di salutare un trionfo.
Con alcune di queste icone sei cresciuto, con altre hai esultato in età matura. Osservandole da vicino, penso alla fortuna di averle "vissute". E che il calcio – tra miriadi di difetti, a cominciare da molti interpreti indegni, dentro e fuori dal campo – continua a regalarti bagliori emozionali che difficilmente in altri campi riesci ad assaggiare.
Era la quarta volta, lunedì scorso, che andavo a Coverciano (le prime due è stato per giocare il torneo “D’Aguanno” con la selezione giornalisti Ussi Umbria), per il IV seminario “Il calcio e chi lo racconta”, un’iniziativa dell’Ussi (Unione stampa sportiva) nazionale a cui ho volentieri aderito – partecipando con una nutrita delegazione umbra, capitanata dal presidentissimo Remo Gasperini - dopo la felice esperienza dell’autunno 2009. Allora il parterre degli ospiti del ciclo di incontri di formazione per giornalisti sportivi, contava su nomi come Fabio Capello (che dichiarò la celebre frase “il calcio in Italia è in mano agli ultrà”) o Pierluigi Collina - che ci guidò, con tanto di video, in una lezione di alcune “situazioni” tipiche arbitrali, mostrandoci come ormai oggi ci sono squadre che provano in allenamento schemi mirati a confondere le idee alla terna arbitrale (ad es: lasciando 3-4 giocatori in fuori gioco sui cross da calcio piazzato, salvo poi gli stessi rientrare prima del traversone e incrociarsi con altri compagni di squadra che vanno in penetrazione). E soprattutto eravamo in compagnia della Coppa del Mondo, che troneggiava a fianco del tavolo nell’auditorium del centro sportivo.
Stavolta la Coppa non c’era (e chissà se e quando la rivedremo in queste stanze), ma il programma era decisamente ricco, non solo in quantità: dal presidente dell’Inter, Massimo Moratti, al tecnico del Milan, Massimiliano Allegri, al responsabile del settore giovanile delle Nazionali, Arrigo Sacchi, al designatore arbitrale di A Braschi (affiancato dagli arbitri Tagliavento e Valeri), al responsabile degli allenatori Renzo Ulivieri, fino – dulcis in fundo – al presidente dell’Uefa, Michel Platini.
Per un giornalista sportivo, per giunta abituato ad altri interlocutori nell’”opera quotidiana”, praticamente è stato come tornare bambino e ritrovarsi in negozio di Playmobil. La rivelazione vi apparirà un po’ ingenua – visto che affiancavo fior di colleghi, avvezzi ad avere a che fare con questi personaggi. Ma è stato solo l’impatto immediato e istantaneo.
Giusto il tempo di ambientarsi, tra le gigantografie di Lippi e Bearzot, qualche fermo immagine anni ’30 dell’epopea di Pozzo, i flash di Italia-Argentina o Italia-Brasile al Mundial ’82 e i fotogrammi ingranditi dei rigori di Berlino. O le carrellate nei corridoi con tutte le squadre under 21 vincitrici del Campionato Europeo (coppa che non alziamo più dal 2004 e un chè ci sarà…).
Poi guardandomi intorno, entrando in confidenza con qualche collega, parlando a tu per tu con alcuni degli ospiti citati (in particolare Allegri, Tagliavento e Ulivieri) ho avuto la conferma che la realtà spesso è meno “reverenziale” di quanto ci immaginiamo – un atteggiamento che mi fa tornare in mente la sensazione che provai all’hotel Ergife (febbraio 2007), quando all’esame da giornalista professionista mi ritrovai al banco accanto (per motivi di ordine alfabetico) un autentico fuoriclasse del microfono come Massimo Marianella; non rivedendolo poi in sede di prove orali e vedendomi addirittura col punteggio finale più alto rispetto agli altri 700 partecipanti, ho tratto le mie somme. E mi sono sentito un po’ più orgoglioso ma anche un po’ più Coliandro.
Gli interventi, sotto forma di relazioni piuttosto informali, da parte degli ospiti – davanti ad una platea di neanche un centinaio di giornalisti provenienti dall’Ussi di tutta Italia – toccavano tematiche diverse, ma sempre attuali e degne di interesse.
Il Presidente Massimo Moratti ha parlato della sua Inter plurivittoriosa: confesso che non ho simpatia per il personaggio. Un sentimento certamente figlio della mia “juventinità” (che amo definire, da tifoso di Salò – in attesa di un “risarcimento” morale e di scudetti sottratti). Ma se Moratti “mi sta qui” – per il suo atteggiamento da nobiluomo signorile predestinato al successo, quasi che il fato, il calcio italiano, il mondo intero gli debbano sempre qualcosa – chi non sopporto affatto sono i (tanti) colleghi più o meno altisonanti (e spesso autoreferenziali) che si sono esibiti in un concorso sulla domanda-zerbino dell’anno. Eviterò di fare nomi ma sentire quesiti del tipo: “Che sensazione ha avuto quando si è scoperto che l’Inter non vinceva perché qualcuno barava?”, ti fa pensare a cosa serva il nostro mestiere se si scambia l’arte dell’intervista con l’assist a porta vuota.
Non è un caso che l’unica domanda che abbia fatto storcere il naso al petroliere meneghino sia arrivata dal drappello di giornalisti eugubino-juventino – composto dal sottoscritto e dal collega Massimo Boccucci: domanda legittima (“cosa pensa del fatto che mentre l’Inter vince tutto, la Nazionale azzurra è in caduta libera, dalle giovanili alla squadra maggiore? E il 2006 con Calciopoli non ha inciso comunque sull’inizio dei trionfi dell’Inter?”). Moratti prima ha chiesto se era un nostro pensiero o una domanda giornalistica (ti pareva), poi ha replicato con l’aria di chi ha appena assaggiato uno yogurt scaduto: “Calciopoli è stato qualcosa di volgare. E ha dimostrato il perché l’Inter non vinceva prima. Le vittorie dopo il 2006 hanno confermato che c’era un sistema preordinato a non farci vincere”. (il giorno dopo questa frase campeggiava su tutti i quotidiani e siti internet sportivi nazionali).
Un’esibizione - a mio avviso - di presunzione allo stato cristallino perché se davvero signorili si fosse, si avrebbe la creanza di dire che è ancora in corso un procedimento ordinario (a Napoli) che potrebbe anche dichiarare inesistente la cosiddetta “cupola di Moggi”, dimostrare che la retrocessione della Juventus e i due scudetti sottratti sono stati un provvedimento “emotivo ed esageratamente impulsivo” (per i tempi che la giustizia dovrebbe comunque richiedere) figlio del clima giacobino che attorniava la Signora. E un pizzico di umiltà dovrebbe far riconoscere che dopo il 2006 gli errori arbitrali sono continuati a bizzeffe, solo che l’Inter ne è stata tra le principali beneficiarie (almeno un paio di scudetti, quelli persi nel rush finale dalla Roma, 2008 e 2010, ne sono stati condizionati).
Signori si nasce, e non basta tirare fuori petrolio da una piattaforma, o calibrare a dovere l’accento milanese, per diventarlo.
C’è una frase che mi è piaciuta – una sola – pronunciata dal presidente nerazzurro. L’ho segnata – come ho fatto con altre di altri ospiti, che mi hanno colpito: “L’Inter è come una bellissima donna di cui non potrai mai sentirti proprietario, ma sai di aver avuto la fortuna di amare”. Chapeau. Ma solo su questo, presidente.
Massimiliano Allegri sembra invece un vecchio compagno di classe. Che rivedi dopo 20 anni, ti racconta delle bischerate in gita, o dei flirt giovanili con la bionda del liceo. E’ leggero, scanzonato, quasi dissacrante il suo racconto di allenatore che in cinque anni dalla Lega Pro (allenava l’Aglianese contro il nostro Gubbio solo nel 2004) approda a Milanello. L’incarnazione di come ancora, fortunatamente, esista (e serva a qualcosa) una “gavetta” anche nel calcio di oggi.
E dire che il personaggio non dà l’idea, col suo passato da giocatore sopraffino nei piedi quanto imprevedibile nei modi, di poter “gestire” uno spogliatoio. Così non è invece. Stando ai risultati. Ma anche a quello che ti dice. O meglio, che quasi sembra confidarti. “Venire dal basso può sempre tornarti utile – confessa – Ho allenato ad Agliana, a Grosseto, a Sassuolo, a Cagliari, esperienze diverse, piazze diverse, presidenti diversi, ma tutti posti dove ho messo a frutto l’esperienza da calciatore – nei rapporti dello spogliatoio – e i dettami tecnico-tattici appresi negli anni. Ho imparato che i grandi personaggi devi ascoltarli sempre: anche quando dicono cose che sembrano banali, quelle frasi contengono qualcosa di più nascosto. Bisogna capire cos’hanno in mente”. E poi…
L’impatto con Milanello? – rivela – "Facevo le mie battute da livornese, i primi giorni. Poi quando vedevo che tutti sgranavano gli occhi, ho capito che forse non era il caso… Adesso la battuta la faccio, ma quando prendiamo un caffè dopo la conferenza stampa”.
La cosa più difficile per ora? “Gestire la pressione – risponde – Chiesi un giorno ad Ancelotti come si gestivano campioni importanti: mi ha risposto, sii te stesso. E allora ho cominciato a non dare spiegazioni a chi restava fuori: perché da giocatore ero il primo a non chiederle”. E poi l’aneddoto da giocatore: “Un giorno dissi al mio allenatore che voleva spiegarmi la decisione di lasciarmi in panchina: “Non deve dirmi nulla, se no tanto mi prende per il culo…”.
Ma dove ho scoperto un Allegri straordinariamente nitido (molto più che in questa foto, ma il collega Paladino ha fatto sicuramente del suo meglio...), profondo – non che non lo sembri – e di acutezza e intelligenza rare, è nella risposta alla mia domanda: lei ha giocato a Perugia, una piazza che ha scoperto e dato giocatori anche alla Nazionale campione del mondo (Materazzi, Grosso) pescandoli in serie C, dove ha poi allenato negli annis scorsi.
Non pensa che il nostro calcio conosca poco se stesso e le categorie minori, e sia un po’ troppo esterofilo?
“Secondo me il problema è un altro – ha replicato – dobbiamo cambiare modo di allenare i giovani. Oggi si fa tattica, diagonali, zona, fuorigioco, addirittura nelle categorie allievi. Un ragazzino sta un’ora a girare per il campo, senza toccare la palla. Io mi stancherei a fare ‘ste cose a 15 anni. Noi siamo cresciuti giocando 6 ore al giorno nei cortili o nei vicoli, e poi 3 giorni a settimana si andava a fare l’allenamento e affinare lo schieramento in campo. Ma la tecnica la imparavi nei rimbalzi fasulli di un vicolo, o sulla sabbia. Il fuoriclasse nasceva lì, perché sapeva adattarsi alle situazioni peggiori. Oggi i ragazzi stanno ore davanti alla playstation e poi vanno a fare tattica come avessero in mano ancora il joystick. Fosse per me abolirei la zona fino a 16 anni – frase lapidaria, tra qualche risatina del pubblico, perché in prima fila troneggiava niente meno che Arrigo Sacchi in attesa di parlare nel pomeriggio. E per sdrammatizzare, un po’ tra l’ingenuo e il provocatorio, Allegri gli fa: “Non so se il mister è d’accordo…” (e Sacchi, fuori microfono, diplomaticamente bugiardo “Io sono sempre d’accordo su tutto”).
Gustoso infine anche l’aneddoto su Galeone, uno maestro dalla panchina pescarese e perugina, ma dal quale Allegri non ha certo ripreso la spregiudicatezza (talvolta sconfinante in sprovvedutezza) tattica: “Ero arrivato a Pescara dal Pavia. Il mister il primo giorno mi vide e mi disse: se vuoi giocare in B o in A devi imparare a correre. Altrimenti la palla non la prenderai mai”.
Quanti talenti non hanno seguito un consiglio come questo, apparentemente banale. E hanno puntato solo sulla qualità dei loro piedi? E quanti talenti sono stati guidati male, esclusi, poco valorizzati, perché non inseriti in un quadro tattico? E quanti giovani si stanno perdendo davanti ad una playstation, pensando di poter fare cose per le quali non si allenano, ma che coltivano solo in teoria?
Tutte domande che la chiacchierata con Allegri lascia malinconicamente aperte (per il nostro calcio). Anche se illuminate da irriverente semplicità e innocente schiettezza.
(continua)
venerdì 28 gennaio 2011
Digitale terrestre: martedì a Roma clamorosa protesta delle tv locali... ci saremo anche noi...
C'era una volta lo "spazio vitale" di mussoliniana memoria. Le grandi potenze europee che danno vita a processi di espansione, in particolare in Africa (ma anche in alcune aree dell'Asia), per garantirsi uno "spazio vitale" dal quale trarre materie prime (e pensare che il petrolio ancora non era stato scoperto...) e nelle quali diffondere e ampliare le proprie economie.
L'esempio è vetero-nostalgico, ma credo più che azzeccato, quando si parla delle dinamiche che stanno accompagnando la transizione al digitale del nostro Paese. Un processo iniziato già da due anni (la prima regione fu la Sardegna) con "lacrime e sangue" da parte delle emittenti locali che hanno lasciato per strada ascolti, fidelizzazione dell'utente e soprattutto introiti pubblicitari.
Di questo fenomeno pochi parlano - e sembra paradossale trattandosi del sistema di comunicazione che resta più diffuso e penetrante nella nostra società, cioè la tv. Ma non è un caso...
Martedì prossimo a Roma si svolgerà una clamorosa protesta indetta dalle organizzazioni delle emittenti radio-televisive locali (Aeranti Corallo cui aderisce anche TRG e Frt), per protestare contro le
recenti norme della legge di stabilità 2011 che di fatto impediscono alle emittenti locali di consorziarsi per poter da un lato ampliare il bacino d'utenza nelle altre regioni, dall'altro per sostenere la raccolta pubblicitaria deficitaria (sia per la congiuntura economica ma soprattutto per le difficoltà tecniche di accesso al sistema digitale).
Ma da dove nasce l'inghippo e da dove hanno origine le difficoltà - e rischi seri di sopravvivenza - di centinaia di emittenti locali? Lo spiega lucidamente un articolo tratto dal periodico Broadcast & Production - specializzato sulle tematiche relative al mondo della produzione televisiva. Nulla di politico dunque. Anche se politico-imprenditoriale appare in realtà la "regia" di tutto ciò che sta accadendo.
Leggete il link in basso e avrete così la spiegazione di un panorama che - poi si capirà - non conviene ai grandi network nazionali (Rai, Mediaset, Sky) far conoscere al pubblico. Ma che sul grande pubblico rischia di riflettersi.
La spiegazione, in due parole, è semplice: i grandi circuiti hanno bisogno di "spazio vitale" (frequenze digitali): non potendole avere in quanto occupate da 550 emittenti locali, e non volendole acquistare per ovvi motivi di contenimento dei costi, hanno visto bene di favorire un fenomeno di "scomparsa darwiniana" delle emittenti. Che nel giro di qualche anno diminuiranno sensibilmente di numero - un po' come i dinosauri dopo la caduta del meteorite 65 milioni di anni fa - lasciando libere numerose frequenze ad appannaggio dei più grandi.
Una legge di mercato? Nient'affatto. Una legge politica che intende incidere fortemente sul mercato.
E anche sull'informazione e la cultura dei nostri territori che, senza una voce informativa e televisiva locale, rischiano davvero di "scomparire" anche dal piccolo schermo (basti pensare quanto e come si parlerebbe di Gubbio, ma anche di C.Castello o di Foligno, in Umbria, se non ci fosse TRG).
A voi il link che illustra il tutto... E martedì saremo a Roma per documentare i motivi della protesta, prima di una trasmissione regionale a reti unificate, pianificata già per venerdì 11 febbraio.
http://www.broadcast.it/BeP/Rivista/2010/2010_6/news_3.html
L'esempio è vetero-nostalgico, ma credo più che azzeccato, quando si parla delle dinamiche che stanno accompagnando la transizione al digitale del nostro Paese. Un processo iniziato già da due anni (la prima regione fu la Sardegna) con "lacrime e sangue" da parte delle emittenti locali che hanno lasciato per strada ascolti, fidelizzazione dell'utente e soprattutto introiti pubblicitari.
Di questo fenomeno pochi parlano - e sembra paradossale trattandosi del sistema di comunicazione che resta più diffuso e penetrante nella nostra società, cioè la tv. Ma non è un caso...
Martedì prossimo a Roma si svolgerà una clamorosa protesta indetta dalle organizzazioni delle emittenti radio-televisive locali (Aeranti Corallo cui aderisce anche TRG e Frt), per protestare contro le
recenti norme della legge di stabilità 2011 che di fatto impediscono alle emittenti locali di consorziarsi per poter da un lato ampliare il bacino d'utenza nelle altre regioni, dall'altro per sostenere la raccolta pubblicitaria deficitaria (sia per la congiuntura economica ma soprattutto per le difficoltà tecniche di accesso al sistema digitale).
Ma da dove nasce l'inghippo e da dove hanno origine le difficoltà - e rischi seri di sopravvivenza - di centinaia di emittenti locali? Lo spiega lucidamente un articolo tratto dal periodico Broadcast & Production - specializzato sulle tematiche relative al mondo della produzione televisiva. Nulla di politico dunque. Anche se politico-imprenditoriale appare in realtà la "regia" di tutto ciò che sta accadendo.
Leggete il link in basso e avrete così la spiegazione di un panorama che - poi si capirà - non conviene ai grandi network nazionali (Rai, Mediaset, Sky) far conoscere al pubblico. Ma che sul grande pubblico rischia di riflettersi.
La spiegazione, in due parole, è semplice: i grandi circuiti hanno bisogno di "spazio vitale" (frequenze digitali): non potendole avere in quanto occupate da 550 emittenti locali, e non volendole acquistare per ovvi motivi di contenimento dei costi, hanno visto bene di favorire un fenomeno di "scomparsa darwiniana" delle emittenti. Che nel giro di qualche anno diminuiranno sensibilmente di numero - un po' come i dinosauri dopo la caduta del meteorite 65 milioni di anni fa - lasciando libere numerose frequenze ad appannaggio dei più grandi.
Una legge di mercato? Nient'affatto. Una legge politica che intende incidere fortemente sul mercato.
E anche sull'informazione e la cultura dei nostri territori che, senza una voce informativa e televisiva locale, rischiano davvero di "scomparire" anche dal piccolo schermo (basti pensare quanto e come si parlerebbe di Gubbio, ma anche di C.Castello o di Foligno, in Umbria, se non ci fosse TRG).
A voi il link che illustra il tutto... E martedì saremo a Roma per documentare i motivi della protesta, prima di una trasmissione regionale a reti unificate, pianificata già per venerdì 11 febbraio.
http://www.broadcast.it/BeP/Rivista/2010/2010_6/news_3.html
giovedì 27 gennaio 2011
Tanto can can per un voto in pagella...
Per fortuna, lunedì sera ero fuori. E così non ho assistito alla puntata di "Fuorigioco" (su TRG) nella quale è andata in scena la polemica per un voto in pagella "mal digerito" dalla dirigenza della Gubbio calcio. Un 5,5 a Cristian Galano che è sembrata una sorta di "lesa maestà" alla storia centenaria rossoblù.
Così almeno deve averla intesa chi si è poi reso protagonista di un intervento (il vice presidente Brugnoni), che al telefono - quasi simultaneamente a quanto avveniva, nelle stesse dinamiche, a "L'Infedele" di Lerner con il premier via cavo - utilizzava termini come "incompetenti". Con uno stile che ricordava molto da vicino quello di altri interlocutori che in passato, e in diretta, avevano lanciato strali contro l'emittente - magari forti di una claque a disposizione...
Una vicenda spiacevole. Che speravo si chiudesse nello spazio ristretto di una serata "storta", in cui l'istintivo malumore aveva avuto prevalenza sul giudizioso silenzio (o comunque sul doveroso rispetto di un'opinione altrui).
Così non è stato, e addirittura il giorno dopo, martedì, mentre ero ancora a Coverciano, mi vedo arrivare via e-mail un comunicato stampa della As Gubbio calcio che - se non fosse per dovere di ruolo rispetto all'emittente che dirigo - sarebbe da definire "incomprensibile".
Qui non si tratta più di un impulsivo "gesto di cornetta": ma addirittura si cerca di giustificare "per il bene del Gubbio" un'uscita che - con bontà d'animo - consideriamo "infelice".
A seguito di questo comunicato - che per completezza riporto di seguito - con il presidente di Radio Gubbio spa, Giampiero Bedini, abbiamo risposto con una nostra nota (anch'essa riportata in basso), a nome di TRG, per chiedere che la vicenda sia definitivamente ricondotta nel solco di una correttezza di rapporti generali. Non senza aver preso chiaramente le distanze da quanto detto e scritto in questi due giorni.
Per chiudere con una battuta: domenica non si gioca. Mai come ora la sosta appare salutare... Per tutti...
Così almeno deve averla intesa chi si è poi reso protagonista di un intervento (il vice presidente Brugnoni), che al telefono - quasi simultaneamente a quanto avveniva, nelle stesse dinamiche, a "L'Infedele" di Lerner con il premier via cavo - utilizzava termini come "incompetenti". Con uno stile che ricordava molto da vicino quello di altri interlocutori che in passato, e in diretta, avevano lanciato strali contro l'emittente - magari forti di una claque a disposizione...
Una vicenda spiacevole. Che speravo si chiudesse nello spazio ristretto di una serata "storta", in cui l'istintivo malumore aveva avuto prevalenza sul giudizioso silenzio (o comunque sul doveroso rispetto di un'opinione altrui).
Così non è stato, e addirittura il giorno dopo, martedì, mentre ero ancora a Coverciano, mi vedo arrivare via e-mail un comunicato stampa della As Gubbio calcio che - se non fosse per dovere di ruolo rispetto all'emittente che dirigo - sarebbe da definire "incomprensibile".
Qui non si tratta più di un impulsivo "gesto di cornetta": ma addirittura si cerca di giustificare "per il bene del Gubbio" un'uscita che - con bontà d'animo - consideriamo "infelice".
A seguito di questo comunicato - che per completezza riporto di seguito - con il presidente di Radio Gubbio spa, Giampiero Bedini, abbiamo risposto con una nostra nota (anch'essa riportata in basso), a nome di TRG, per chiedere che la vicenda sia definitivamente ricondotta nel solco di una correttezza di rapporti generali. Non senza aver preso chiaramente le distanze da quanto detto e scritto in questi due giorni.
Per chiudere con una battuta: domenica non si gioca. Mai come ora la sosta appare salutare... Per tutti...
martedì 25 gennaio 2011
Addio "Maestro". Gubbio perde uno dei suoi figli più degni...
Ha aspettato di festeggiare il suo ultimo 17 gennaio, la festa di S.Antonio abate. Prima di salutare i suoi ceraioli. Lasciando un’impronta indelebile nella comunità a cui apparteneva, nella città che più di ogni altra cosa ha amato. Gubbio.
Si è spento, all’età di 83 anni, Pietrangelo Farneti, per tutti “Il Pacio”. Insegnante elementare, è stato prima di tutto “maestro” al di là della cattedra, per intere generazioni. A cui ha insegnato, in primo luogo, ad amare la propria città. Un legame grande, profondo, viscerale, ereditato dal padre, Pio Farneti, e tradotto in una quotidiana opera fatta di spirito di iniziativa, inventiva, energia, vitalità a cui ha saputo sempre abbinare un inesauribile entusiasmo.
Gubbio è stata la sua stella polare.
La Festa dei Ceri l’espressione più naturale nella quale ha saputo esprimere l’indole propositiva e straordinariamente passionale: e dire "Pacio" da decenni è dire Sant’Antonio, il cero che lo ha visto protagonista nitido, autentico, insuperabile. Quasi impossibile immaginare la Festa dei Ceri senza il “Pacio”. Quella presenza autorevole ed carismatica lungo la sfilata, fiera e trascinante durante la corsa, allegra e aggregante nella taverna. E’ stato capodieci del cero di Sant’Antonio nel 1960, mentre in piena guerra aveva guidato il suo cero con la corsa dei mezzani. E’ stato poi fondatore e per lunghi anni Presidente della Famiglia dei Santantoniari, un’altra delle sue inimitabili intuizioni, coltivata insieme ad altri ceraioli, a cominciare dal sor Nino Farneti, per fare della Festa dei Ceri un tesoro ancora più prezioso.
Consigliere (e presidente onorario) dell’associazione “Maggio Eugubino”, ne è stato a sua volta animatore eccellente e rappresentativo. E anche qui miriadi di iniziative, dall’imbandieramento della città, con vessilli, stendardi e il pennone della Rocca, a cui era profondamente legato, all’illuminazione di piazza 40 Martiri. Al Pacio è legata anche un’altra straordinaria creazione: l’Albero di Natale più grande del mondo, cullata come follia 30 anni fa, insieme ad Enzo Grilli, e poi diventata l’immagine del Natale di Gubbio e dell’Umbria. Importante anche il suo impegno in politica, dove ha rivestito il ruolo di consigliere comunale, candidandosi a sindaco nel 1993.
Infine, ma non da ultimo, la musica: un altro amore di suggestione e fascino unici. Di cui si è fatto interprete creando, dal nulla, la “banda santantoniara”, e promuovendo numerose iniziative legate in particolare alla tradizione lirica che, proprio grazie al Pacio e ai Santantoniari, da quasi 20 anni è tornata in auge nella nostra città. Quei motivi, a cominciare dall’amato “Vincerò” di Puccini, divenuto colonna sonora dei ceraioli santantoniari, che lo hanno accompagnato anche in questi giorni: e che nel concerto in onore di Sant’Antonio abate i musicisti gli hanno voluto dedicare.
Gubbio perde uno dei suoi figli più degni. Ma l’esempio resta. Solenne, intenso e melodioso. Proprio come le note del “Nessun dorma”…
Il servizio dal tg di TRG del 25.1.2011
http://www.trgmedia.it/video.aspx?but=1&imgx=1&img=img/tgtrg.gif&s=trgsette/&f=trg7-3634.wmv&d=TG%20del%2025/01/2011
Si è spento, all’età di 83 anni, Pietrangelo Farneti, per tutti “Il Pacio”. Insegnante elementare, è stato prima di tutto “maestro” al di là della cattedra, per intere generazioni. A cui ha insegnato, in primo luogo, ad amare la propria città. Un legame grande, profondo, viscerale, ereditato dal padre, Pio Farneti, e tradotto in una quotidiana opera fatta di spirito di iniziativa, inventiva, energia, vitalità a cui ha saputo sempre abbinare un inesauribile entusiasmo.
Gubbio è stata la sua stella polare.
La Festa dei Ceri l’espressione più naturale nella quale ha saputo esprimere l’indole propositiva e straordinariamente passionale: e dire "Pacio" da decenni è dire Sant’Antonio, il cero che lo ha visto protagonista nitido, autentico, insuperabile. Quasi impossibile immaginare la Festa dei Ceri senza il “Pacio”. Quella presenza autorevole ed carismatica lungo la sfilata, fiera e trascinante durante la corsa, allegra e aggregante nella taverna. E’ stato capodieci del cero di Sant’Antonio nel 1960, mentre in piena guerra aveva guidato il suo cero con la corsa dei mezzani. E’ stato poi fondatore e per lunghi anni Presidente della Famiglia dei Santantoniari, un’altra delle sue inimitabili intuizioni, coltivata insieme ad altri ceraioli, a cominciare dal sor Nino Farneti, per fare della Festa dei Ceri un tesoro ancora più prezioso.
Consigliere (e presidente onorario) dell’associazione “Maggio Eugubino”, ne è stato a sua volta animatore eccellente e rappresentativo. E anche qui miriadi di iniziative, dall’imbandieramento della città, con vessilli, stendardi e il pennone della Rocca, a cui era profondamente legato, all’illuminazione di piazza 40 Martiri. Al Pacio è legata anche un’altra straordinaria creazione: l’Albero di Natale più grande del mondo, cullata come follia 30 anni fa, insieme ad Enzo Grilli, e poi diventata l’immagine del Natale di Gubbio e dell’Umbria. Importante anche il suo impegno in politica, dove ha rivestito il ruolo di consigliere comunale, candidandosi a sindaco nel 1993.
Infine, ma non da ultimo, la musica: un altro amore di suggestione e fascino unici. Di cui si è fatto interprete creando, dal nulla, la “banda santantoniara”, e promuovendo numerose iniziative legate in particolare alla tradizione lirica che, proprio grazie al Pacio e ai Santantoniari, da quasi 20 anni è tornata in auge nella nostra città. Quei motivi, a cominciare dall’amato “Vincerò” di Puccini, divenuto colonna sonora dei ceraioli santantoniari, che lo hanno accompagnato anche in questi giorni: e che nel concerto in onore di Sant’Antonio abate i musicisti gli hanno voluto dedicare.
Gubbio perde uno dei suoi figli più degni. Ma l’esempio resta. Solenne, intenso e melodioso. Proprio come le note del “Nessun dorma”…
Il servizio dal tg di TRG del 25.1.2011
http://www.trgmedia.it/video.aspx?but=1&imgx=1&img=img/tgtrg.gif&s=trgsette/&f=trg7-3634.wmv&d=TG%20del%2025/01/2011
lunedì 24 gennaio 2011
Gubbio: contro tutto e contro tutti... sempre più capolista...
La fame gioca brutti scherzi. Nel calcio moderno, però, è paradossalmente un ingrediente fondamentale, per trovare quelle motivazioni e quella spinta in più che ti fanno superare ogni ostacolo.
Ne sa qualcosa il Gubbio, che su questa “fame” sta costruendo un autentico miracolo sportivo. Ne sa qualcosa anche lo Spezia che alla ricerca della rimonta, gioca bene, mette in mostra i suoi gioielli – ex serie A e B a go go – ma poi si ritrova come tutte le altre squadre arrivate al “Barbetti” piene di forti ambizioni e curriculum a suon di milioni di euro: a imboccare il tunnel di uscita e giù sotto la doccia, per dimenticare un passo falso con l’inattesa capolista.
La vittoria sui liguri però non è come le altre per il Gubbio: la sua pesantezza, in termini di morale e di classifica, rasenta l’uranio arricchito.
Nella settimana che aveva portato 0 zero punti dal Benelli di Ravenna e addirittura 1 punto (e 23 mila euro) in meno nella classifica e nelle casse rossoblù per mano della Procura Federale - causa inciampo burocratico (su cui ci sarebbe da discutere alla Sgarbi) - la squadra di Torrente voleva tornare a vincere: l’unico modo per cancellare, superare, dimenticare.
L’aria che tirava, fin dall’inizio, era quella delle domeniche cruciali. Chissà, magari tra qualche mese ci ricorderemo di questo 23 gennaio.
Primo per l’amarcord pre gara con l’ex Jackpot Fantacasoli, uno che i tifosi rossoblù non potevano aver dimenticato, e che appena 6 mesi fa su questo terreno, e con tutt’altra temperatura, aveva asfaltato la strada per salire in C1.
Poi la vendetta del cigno: Martino Borghese deve aver sognato questa partita almeno una ventina di settimane. Tante quante ne erano passate da quell’espulsione, con rigore annesso e applauso provocatorio incluso, beccati al Picco di La Spezia – dove già nel pre-gara era stato accolto come neanche il film di Vallanzasca. Il brutto anatroccolo, da quella disavventura in riva al Tirreno, c’aveva messo poco a trasformarsi in cigno. Ma non bastavano 3 reti già segnate in questo campionato. Deve aver sognato questa gara a lungo, ma forse neanche in quei sogni sperava di mettere un sigillo così penetrante: 1 gol, 2 pali, e un rigore procurato, con cartellino rosso conseguente, stavolta su sponda opposta, destinatario Buscaroli. Praticamente onnipresente, praticamente letale, praticamente un difensore travestito anzi attaccante in borghese. Se si pensa che ora i gol firmati sono 4 e che molti celebrati attaccanti di questa categoria devono ancora barrare questa casella.
Il resto, si fa per dire, lo ha fatto ancora una volta il cuore. Quello di una squadra a cui fa più paura la domenica di sosta, che non 90’ di sofferenza. Quello stringere i denti che nelle otto vittorie di fila, così come con lo Spezia, hanno contraddistinto lo spirito del gruppo: dove a turno sono stati anche i singoli ad ergersi – con i liguri, insieme al ciclopico Borghese, un provvidenziale Lamanna, le cui parate, almeno tre decisive, valgono quanto altrettanti gol. Ma dove alla fine è il risultato corale a dare la continuità. A fare, in una parola, la differenza. Coraggio, umiltà ma anche maturità: nel non perdere la testa in campo. Nel non perdersi in polemiche inutili, fuori dal campo, dove i tifosi hanno risposto con il silenzio, e senza striscioni, alla discutibile condanna infrasettimanale: chissà che avrà pensato in tribuna il delegato della Procura Federale.
Questione di fame, descritta mirabilmente da Sandreani come fattore indispensabile anche nelle prossime domeniche. E di cui hanno fatto spese in tanti. Che ora sono dietro, e non poco: 5 punti il Sorrento, 9 la coppia Alessandria-Spal.
Ora c’è il riposo: poi un’altra arena da brividi, di nome Bentegodi. Uno di quei palcoscenici dove gli acuti valgono tanto, dove l’orgoglio, la voglia di vincere e, appunto, la fame, saranno ancora decisivi. Insieme al pubblico: che di certo non mancherà in questa nuova trasferta lirica.
Copertina "A gioco fermo" di Fuorigioco del 24.1.2011
Musica di sottofondo "Money for nothing" - Dire Straits
Ne sa qualcosa il Gubbio, che su questa “fame” sta costruendo un autentico miracolo sportivo. Ne sa qualcosa anche lo Spezia che alla ricerca della rimonta, gioca bene, mette in mostra i suoi gioielli – ex serie A e B a go go – ma poi si ritrova come tutte le altre squadre arrivate al “Barbetti” piene di forti ambizioni e curriculum a suon di milioni di euro: a imboccare il tunnel di uscita e giù sotto la doccia, per dimenticare un passo falso con l’inattesa capolista.
La vittoria sui liguri però non è come le altre per il Gubbio: la sua pesantezza, in termini di morale e di classifica, rasenta l’uranio arricchito.
Nella settimana che aveva portato 0 zero punti dal Benelli di Ravenna e addirittura 1 punto (e 23 mila euro) in meno nella classifica e nelle casse rossoblù per mano della Procura Federale - causa inciampo burocratico (su cui ci sarebbe da discutere alla Sgarbi) - la squadra di Torrente voleva tornare a vincere: l’unico modo per cancellare, superare, dimenticare.
L’aria che tirava, fin dall’inizio, era quella delle domeniche cruciali. Chissà, magari tra qualche mese ci ricorderemo di questo 23 gennaio.
Primo per l’amarcord pre gara con l’ex Jackpot Fantacasoli, uno che i tifosi rossoblù non potevano aver dimenticato, e che appena 6 mesi fa su questo terreno, e con tutt’altra temperatura, aveva asfaltato la strada per salire in C1.
Poi la vendetta del cigno: Martino Borghese deve aver sognato questa partita almeno una ventina di settimane. Tante quante ne erano passate da quell’espulsione, con rigore annesso e applauso provocatorio incluso, beccati al Picco di La Spezia – dove già nel pre-gara era stato accolto come neanche il film di Vallanzasca. Il brutto anatroccolo, da quella disavventura in riva al Tirreno, c’aveva messo poco a trasformarsi in cigno. Ma non bastavano 3 reti già segnate in questo campionato. Deve aver sognato questa gara a lungo, ma forse neanche in quei sogni sperava di mettere un sigillo così penetrante: 1 gol, 2 pali, e un rigore procurato, con cartellino rosso conseguente, stavolta su sponda opposta, destinatario Buscaroli. Praticamente onnipresente, praticamente letale, praticamente un difensore travestito anzi attaccante in borghese. Se si pensa che ora i gol firmati sono 4 e che molti celebrati attaccanti di questa categoria devono ancora barrare questa casella.
Il resto, si fa per dire, lo ha fatto ancora una volta il cuore. Quello di una squadra a cui fa più paura la domenica di sosta, che non 90’ di sofferenza. Quello stringere i denti che nelle otto vittorie di fila, così come con lo Spezia, hanno contraddistinto lo spirito del gruppo: dove a turno sono stati anche i singoli ad ergersi – con i liguri, insieme al ciclopico Borghese, un provvidenziale Lamanna, le cui parate, almeno tre decisive, valgono quanto altrettanti gol. Ma dove alla fine è il risultato corale a dare la continuità. A fare, in una parola, la differenza. Coraggio, umiltà ma anche maturità: nel non perdere la testa in campo. Nel non perdersi in polemiche inutili, fuori dal campo, dove i tifosi hanno risposto con il silenzio, e senza striscioni, alla discutibile condanna infrasettimanale: chissà che avrà pensato in tribuna il delegato della Procura Federale.
Questione di fame, descritta mirabilmente da Sandreani come fattore indispensabile anche nelle prossime domeniche. E di cui hanno fatto spese in tanti. Che ora sono dietro, e non poco: 5 punti il Sorrento, 9 la coppia Alessandria-Spal.
Ora c’è il riposo: poi un’altra arena da brividi, di nome Bentegodi. Uno di quei palcoscenici dove gli acuti valgono tanto, dove l’orgoglio, la voglia di vincere e, appunto, la fame, saranno ancora decisivi. Insieme al pubblico: che di certo non mancherà in questa nuova trasferta lirica.
Copertina "A gioco fermo" di Fuorigioco del 24.1.2011
Musica di sottofondo "Money for nothing" - Dire Straits
sabato 22 gennaio 2011
Da lunedì a Coverciano: linea aperta anche per le vostre domande...
L'esperienza non è nuova. Ho già partecipato ad un seminario “Il calcio e chi lo racconta”, ottobre 2009, a Coverciano. Nella sala auditorium della "patria" del calcio azzurro (nella foto a fianco, in un momento di pausa), c'erano, in serie, Fabio Capello - che uscì con la celebre frase "il calcio è in mano agli ultrà" - l'ex arbitro Pierluigi Collina (allora designatore) - che analizzò con l'aiuto dei video i casi più spinosi per arbitri e assistenti, Renzo Ulivieri - che ci diede una splendida lezione tattica su come "raccontare" le partite dal punto di vista del gioco - il presidente della Figc, Giancarlo Abete.
Da lunedì sempre a Coverciano, nuovo appuntamento. E ci sarò di nuovo, insieme ad altri colleghi dell'USSI Umbria (Unione stampa sportiva) con un vero parterre de roi di ospiti.
Vi aggiornerò su curiosità e particolarità degli incontri che, per chi come me "respira" il football da quando muoveva i primi passi, saranno un'esperienza molto particolare.
Saremo non più di una quarantina di giornalisti. Ci sarà da divertirsi...
A proposito: questo di seguito è il programma nel dettaglio. Perchè non proviamo ad interagire fin d'ora? Aspetto qualche Vs domanda o suggerimento...
A presto!
Anche quest’anno la Federazione Italiana Giuoco Calcio (FIGC) e l’Unione Stampa Sportiva Italiana (USSI), in collaborazione con il Settore Tecnico e il Gruppo Toscano Giornalisti Sportivi, organizzano il seminario di aggiornamento tecnico-formativo per giornalisti sportivi “Il calcio e chi lo racconta”, giunto alla quarta edizione, che si terrà al Centro Tecnico FIGC di Coverciano lunedì 24 e martedì 25 gennaio.
Due giorni di dibattiti e riflessioni, con interventi, tra gli altri, del presidente della Uefa Michel Platini, del presidente dell’Inter Massimo Moratti, del coordinatore delle Nazionali giovanili Arrigo Sacchi. Ad aprire i lavori, lunedì 24, saranno il direttore generale della FIGC Valentini, il presidente USSI Ferrajolo e il presidente del Settore tecnico Roberto Baggio, mentre martedì 25 il presidente Giancarlo Abete terrà il discorso conclusivo.
Questo il programma:
Lunedì 24 gennaio
ore 10,45 - Apertura dei lavori con saluti di Antonello Valentini, direttore generale FIGC; Luigi Ferrajolo, presidente USSI; Roberto Baggio, presidente del Settore Tecnico FIGC
ore 11,00-12,00 – “Inter campione d’Italia, d’Europa e del mondo”, intervento di Massimo Moratti, presidente F.C. Internazionale
ore 12-13,30 – “Allenatori emergenti. In tre anni dalla Lega Pro alla Champions League”, intervento di Massimiliano Allegri, allenatore del Milan
ore 15,00-17,00 – “Il futuro del calcio italiano riparte dai giovani”, intervento di Arrigo Sacchi, coordinatore delle Nazionali giovanili.
A seguire dibattito su “L’importanza dei vivai”, con la partecipazione di Mino Favini, responsabile del Settore giovanile dell’Atalanta, e Christian Damiano, vice allenatore della Roma, già responsabile delle Nazionali giovanili della Federazione francese
ore 17,00–18,00 – “Perché il piano degli stadi nuovi in Italia non decolla”, intervento di Andrea Cardinaletti, presidente dell’Istituto per il credito sportivo, e Michele Uva, responsabile Centro studi, sviluppo e iniziative speciali FIGC
ore 18,30-20,00 – “Le novità regolamentari”, dibattito con la partecipazione di Stefano Braschi, designatore della CAN di serie A, e degli arbitri internazionali Paolo Tagliavento e Paolo Valeri
Martedì 25 gennaio
ore 9,00-11,00 – “Moduli e sostituzioni”, intervento di Renzo Ulivieri, direttore della Scuola allenatori del Settore Tecnico FIGC; partecipa Maurizio Viscidi
ore 11,00-12,00 – Il presidente dell’UEFA Michel Platini chiude il seminario con un intervento su “Il fair play finanziario” che entrerà in vigore dalla stagione 2013-2014. Partecipa Gianni Infantino, segretario generale UEFA
ore 12,00 – Saluto e conclusione dei lavori da parte del presidente della Federazione Italiana Giuoco Calcio Giancarlo Abete e del presidente dell’Unione Stampa Sportiva Italiana Luigi Ferrajolo
Il seminario si terrà a porte chiuse, la partecipazione è riservata ai soli iscritti.
P.S. Quest'anno ci sarà una grande assente. E' proprio lei, la Coppa del mondo. Quel giorno, a Coverciano, la sfiorai con una mano. Eravamo ancora titolari di quel trofeo. Si sognava un bis a distanza di qualche mese in Sudafrica.
Un presentimento (non so dire se propriamente negativo) mi filtrava tra i polpastrelli - catturati dal morbido contatto con quella superficie dorata, oggetto dei sogni di milioni di persone: chissà se l'avrei più rivista da vicino - pensai...
Per ora, è andata proprio così. Speriamo di rivederla tra qualche anno dalle nostre parti...
Anche se quella carezza, quel contatto sfuggente ed intenso al tempo stesso, resta indimenticabile...
Da lunedì sempre a Coverciano, nuovo appuntamento. E ci sarò di nuovo, insieme ad altri colleghi dell'USSI Umbria (Unione stampa sportiva) con un vero parterre de roi di ospiti.
Vi aggiornerò su curiosità e particolarità degli incontri che, per chi come me "respira" il football da quando muoveva i primi passi, saranno un'esperienza molto particolare.
Saremo non più di una quarantina di giornalisti. Ci sarà da divertirsi...
A proposito: questo di seguito è il programma nel dettaglio. Perchè non proviamo ad interagire fin d'ora? Aspetto qualche Vs domanda o suggerimento...
A presto!
IL 24 E 25 GENNAIO A COVERCIANO IL 4° SEMINARIO “IL CALCIO E CHI LO RACCONTA”
ORGANIZZATO DA FIGC E USSI E RISERVATO AI GIORNALISTI SPORTIVI
Anche quest’anno la Federazione Italiana Giuoco Calcio (FIGC) e l’Unione Stampa Sportiva Italiana (USSI), in collaborazione con il Settore Tecnico e il Gruppo Toscano Giornalisti Sportivi, organizzano il seminario di aggiornamento tecnico-formativo per giornalisti sportivi “Il calcio e chi lo racconta”, giunto alla quarta edizione, che si terrà al Centro Tecnico FIGC di Coverciano lunedì 24 e martedì 25 gennaio.
Due giorni di dibattiti e riflessioni, con interventi, tra gli altri, del presidente della Uefa Michel Platini, del presidente dell’Inter Massimo Moratti, del coordinatore delle Nazionali giovanili Arrigo Sacchi. Ad aprire i lavori, lunedì 24, saranno il direttore generale della FIGC Valentini, il presidente USSI Ferrajolo e il presidente del Settore tecnico Roberto Baggio, mentre martedì 25 il presidente Giancarlo Abete terrà il discorso conclusivo.
Questo il programma:
Lunedì 24 gennaio
ore 10,45 - Apertura dei lavori con saluti di Antonello Valentini, direttore generale FIGC; Luigi Ferrajolo, presidente USSI; Roberto Baggio, presidente del Settore Tecnico FIGC
ore 11,00-12,00 – “Inter campione d’Italia, d’Europa e del mondo”, intervento di Massimo Moratti, presidente F.C. Internazionale
ore 12-13,30 – “Allenatori emergenti. In tre anni dalla Lega Pro alla Champions League”, intervento di Massimiliano Allegri, allenatore del Milan
ore 15,00-17,00 – “Il futuro del calcio italiano riparte dai giovani”, intervento di Arrigo Sacchi, coordinatore delle Nazionali giovanili.
A seguire dibattito su “L’importanza dei vivai”, con la partecipazione di Mino Favini, responsabile del Settore giovanile dell’Atalanta, e Christian Damiano, vice allenatore della Roma, già responsabile delle Nazionali giovanili della Federazione francese
ore 17,00–18,00 – “Perché il piano degli stadi nuovi in Italia non decolla”, intervento di Andrea Cardinaletti, presidente dell’Istituto per il credito sportivo, e Michele Uva, responsabile Centro studi, sviluppo e iniziative speciali FIGC
ore 18,30-20,00 – “Le novità regolamentari”, dibattito con la partecipazione di Stefano Braschi, designatore della CAN di serie A, e degli arbitri internazionali Paolo Tagliavento e Paolo Valeri
Martedì 25 gennaio
ore 9,00-11,00 – “Moduli e sostituzioni”, intervento di Renzo Ulivieri, direttore della Scuola allenatori del Settore Tecnico FIGC; partecipa Maurizio Viscidi
ore 11,00-12,00 – Il presidente dell’UEFA Michel Platini chiude il seminario con un intervento su “Il fair play finanziario” che entrerà in vigore dalla stagione 2013-2014. Partecipa Gianni Infantino, segretario generale UEFA
ore 12,00 – Saluto e conclusione dei lavori da parte del presidente della Federazione Italiana Giuoco Calcio Giancarlo Abete e del presidente dell’Unione Stampa Sportiva Italiana Luigi Ferrajolo
Il seminario si terrà a porte chiuse, la partecipazione è riservata ai soli iscritti.
P.S. Quest'anno ci sarà una grande assente. E' proprio lei, la Coppa del mondo. Quel giorno, a Coverciano, la sfiorai con una mano. Eravamo ancora titolari di quel trofeo. Si sognava un bis a distanza di qualche mese in Sudafrica.
Un presentimento (non so dire se propriamente negativo) mi filtrava tra i polpastrelli - catturati dal morbido contatto con quella superficie dorata, oggetto dei sogni di milioni di persone: chissà se l'avrei più rivista da vicino - pensai...
Per ora, è andata proprio così. Speriamo di rivederla tra qualche anno dalle nostre parti...
Anche se quella carezza, quel contatto sfuggente ed intenso al tempo stesso, resta indimenticabile...
venerdì 21 gennaio 2011
Digitale terrestre: l'Umbria lancia un grido d'allarme. E' in corso una "guerra silenziosa" che rischia di soffocare decine di emittenti...
Un Tavolo con le emittenti televisive che trasmettono in Umbria e tutti i soggetti interessati per gestire la fase di transizione dalla tecnologia analogica al digitale terrestre.
E' la proposta che è emersa oggi in un summit svoltosi a Perugia, a Palazzo Donini, presente l'assessore regionale alle infrastrutture tecnologiche immateriali, Stefano Vinti, e i rappresentanti delle emittenti televisive regionali umbre (per TRG oltre al sottoscritto come direttore responsabile, ha partecipato il presidente di Radio Gubbio spa, Giampiero Bedini).
Nel corso dell'incontro l'assessore Vinti ha avanzato la proposta di istituire un tavolo tra le tv umbre, proposta che e' stata accolta dai rappresentanti delle emittenti radiotelevisive umbre. Obiettivo, fare sistema e continuare a operare in stretta sinergia per contrastare i rischi che potrebbero derivare alle emittenti locali e, inoltre, impedire che sugli utenti umbri gravino i disagi e i costi sociali riscontrati nelle regioni dove gia' il digitale terrestre e' realta'.
Ma quali sono i due problemi essenziali che mettono seriamente a rischio il futuro dell'emittenza radio-televisiva umbra?
1) La legge di stabilità 2011 prevede una norma - surrettizia e verrebbe da dire anche "subdola" - che di fatto impedisce alle tv locali di inserire nell'ambito dei propri canali contenuti non locali.
"Cosa c'è di strano?" può essere la domanda legittima di un telespettatore, abituato a seguire la propria emittente locale (ad es: TRG) proprio per avere informazioni su quanto accade nel suo territorio. Succede che vietando alle emittenti locali di inserire contenuti non locali, si impedisce di fatto alle emittenti stessa qualsiasi possibilità di consorziarsi con altre emittenti di altre regioni (possibilità che proprio la nuova frontiera del digitale può aprire sul piano tecnologico, dato che ogni emittente operatore di rete ha a disposizione non uno, ma sei-sette canali, con notevoli benefici potenziali sul piano dell'espansione territoriale, della raccolta pubblicitaria e dunque della competitività).
"Cosa c'è di strano?" può essere la domanda legittima di un telespettatore, abituato a seguire la propria emittente locale (ad es: TRG) proprio per avere informazioni su quanto accade nel suo territorio. Succede che vietando alle emittenti locali di inserire contenuti non locali, si impedisce di fatto alle emittenti stessa qualsiasi possibilità di consorziarsi con altre emittenti di altre regioni (possibilità che proprio la nuova frontiera del digitale può aprire sul piano tecnologico, dato che ogni emittente operatore di rete ha a disposizione non uno, ma sei-sette canali, con notevoli benefici potenziali sul piano dell'espansione territoriale, della raccolta pubblicitaria e dunque della competitività).
Vietare il trattamento di temi non locali, significa dunque vietare i consorzi. Una norma che – inutile dirlo - agevola non poco i network nazionali e internazionali, che da un lato hanno già copertura totale, e che così eviterebbero "via decreto" di ritrovarsi nel giro di qualche anno qualche concorrente in più (sotto forma di consorzio di emittenti) in grado di competere magari sul fronte dei prezzi e delle tariffe pubblicitarie. Per dirla con una definizione che va di moda, una "norma illiberale" che, ironia della sorte (ma neanche tanto) proviene proprio da un Governo che richiama tra i suoi principi quello della libertà...
2) Se il primo problema potrebbe non interessare direttamente il telespettatore (che rischia però nel giro di qualche anno di veder scomparire oltre la metà delle emittenti locali, non più in grado di sostenere i costi della trasmissione digitale senza poter usare alcun strumento di espansione per sostenerli con la raccolta pubblicitaria) il secondo problema è invece direttamente correlato: preoccupa infatti l'ipotesi di un anticipo del cosiddetto switch off anche in Umbria (il passaggio automatico da analogico a digitale), con l'anticipazione della data alla seconda meta' del 2011 invece che nella seconda metà del 2012 come inizialmente previsto.
Anche in questo caso, l'anticipo di un anno - richiesto proprio in questi giorni dall'AGCom (Autorità di Garanzia delle Comunicazioni) al Ministero - rischia di mettere nei guai le emittenti locali che avevano calendarizzato l'avvicinamento nei prossimi 2 anni: anticipare investimenti per qualcosa come 250-300.000 euro non è cosa da poco. C'è chi potrebbe riuscire comunque ad allestire la conversione delle apparecchiature di alta frequenza (ponti di trasmissione) e di bassa frequenza (regia e distribuzione segnale), ma c'è anche chi sarebbe costretto a farlo in fretta e furia, senza ponderare acquisti di materiale, programmazione, ritrovandosi magari ad effettuare scelte sbagliate che poi rischia di pagare dopo lo switch off.
Senza contare che per i telespettatori il passaggio al digitale - come insegna l'esperienza delle regioni dove è già avvenuto - imporrà un training di adeguamento delle proprie abitudini (a cominciare dalla memorizzazione dei canali) tutt'altro che facile.
Da qui la preoccupazione tangibile di tutti gli operatori del settore che hanno evidenziato le difficoltà già esistenti sul fronte economico per investimenti che andranno a toccare in modo rilevante i bilanci attuali, che già pagano non poco la congiuntura economica negativa. Il passaggio al digitale terrestre fin troppo anticipato, rischia di tradursi anzichè in un'opportunita' per le tv e per i cittadini, in un colpo letale per una fetta di informazione (quella locale) di cui oggi il telespettatore non può fare a meno.
Lo dicono i dati Auditel, secondo i quali la somma di tutte le emittenti locali italiane pone questo sistema al secondo posto dietro Rai o Mediaset tra i competitor: forse è proprio questo che "spaventa" il duopolio televisivo nazionale.
Lo dicono i dati Auditel, secondo i quali la somma di tutte le emittenti locali italiane pone questo sistema al secondo posto dietro Rai o Mediaset tra i competitor: forse è proprio questo che "spaventa" il duopolio televisivo nazionale.
Nelle prossime settimane (presumibilmente l'11 febbraio) le emittenti umbre a reti unificate trasmetteranno un talk show per spiegare le problematiche e le informazioni utili ai telespettatori per quello che sarà comunque un passaggio epocale (dall'analogico al digitale) ma anche per evitare che diventi un "salto nel buio" per tante realtà televisive locali che, anche se in un ambito ristretto, rappresentano e garantiscono un servizio fondamentale di informazione, presenza e riferimento per le esigenze e i problemi del cittadino.
giovedì 20 gennaio 2011
Perugia-Ancona: non chiamatela strada, chiamatela "via crucis"...
Se fino a pochi giorni fa poteva dirsi l’eterna incompiuta, oggi la definizione più azzeccata per la direttrice stradale Perugia-Ancona è "via crucis". Non bastano i ritardi e i contrattempi dovuti allo stop imposto dal Tar per i lavori della galleria "Picchiarella", lungo il tratto Schifanoia-Valfabbrica (mancano pochi metri allo sfondamento ma è tutto fermo - vedi foto a fianco).
Ora avanza anche lo spettro di un altro stop, quello dei lavori lungo la Valfabbrica-Pianello.
La causa stavolta è legata alla critica situazione economico-finanziaria della ditta costruttrice BTP Baldassini-Tognozzi-Pontello, una delle maggiori realtà imprenditoriali toscane, affidataria dei lavori della 318 nel tratto Valfabbrica-Pianello: come anticipato in un’iniziativa regionale dal consigliere eugubino Andrea Smacchi che per primo ha lanciato l’allarme, la ditta Baldassini-Tognozzi-Pontello sta attraversando un momento molto difficile che rischia di riflettersi pesantemente sul prosieguo dei lavori.
Oggi a farsi sentire sono i sindacati: "I costanti ritardi nei pagamenti degli stipendi e dei fornitori sembrano arrivati ad una situazione non più sostenibile – scrivono Cgil Cisl Uil - I fornitori, causa ritardo pagamenti, hanno bloccato le forniture dei materiali e gli operai, che attendono lo stipendio di dicembre, riuniti in assemblea, hanno proclamato lo stato di agitazione che - senza notizia da parte dell'azienda entro martedì prossimo - sfocerà in uno sciopero di tutte le maestranze per mercoledì 26 gennaio".
A dimostrazione che la situazione sembra ormai diventata seriamente insostenibile, scende in campo la stessa presidente della Regione, Catiuscia Marini, che insieme all’assessore regionale alle Infrastrutture Silvano Rometti, ha convocato per lunedì prossimo un incontro con il presidente della società “Quadrilatero”, Gaetano Galia, in merito ai lavori sull’asse Perugia-Ancona. Nel corso dell’incontro verrà fatta una verifica puntuale circa le difficoltà legate al blocco dell’attività di alcuni cantieri, per individuare soluzioni che consentano di evitare un ulteriore allungamento dei tempi di realizzazione delle opere. L’assessore Rometti, inoltre, ha provveduto a convocare un incontro urgente con le organizzazioni sindacali dei lavoratori impegnati nei cantieri interessati dal blocco dei lavori.
Il caso Perugia-Ancona nel frattempo ha trovato spazio anche nel dibattito parlamentare: è stato il deputato del Pd Giampiero Bocci a presentare un'interrogazione al ministro Matteoli sulla vicenda della Perugia-Ancona. “Tutte le istituzioni umbre - scrive il parlamentare del Pd – sono preoccupate per l'inevitabile ritardo sul completamento dell'opera e sono intenzionate a chiedere l'intervento delle massime autorità dello Stato''. ''Chiediamo quindi al ministro Matteoli - conclude Bocci - di attivarsi urgentemente per risolvere la situazione, anche chiedendo all'Anas di ricercare un accordo fra le due ditte in contenzioso, che eviti un ulteriore ricorso di carattere giudiziario''.
GMA
Da servizio "TRG Sera" del 20.1.2011
Ora avanza anche lo spettro di un altro stop, quello dei lavori lungo la Valfabbrica-Pianello.
La causa stavolta è legata alla critica situazione economico-finanziaria della ditta costruttrice BTP Baldassini-Tognozzi-Pontello, una delle maggiori realtà imprenditoriali toscane, affidataria dei lavori della 318 nel tratto Valfabbrica-Pianello: come anticipato in un’iniziativa regionale dal consigliere eugubino Andrea Smacchi che per primo ha lanciato l’allarme, la ditta Baldassini-Tognozzi-Pontello sta attraversando un momento molto difficile che rischia di riflettersi pesantemente sul prosieguo dei lavori.
Oggi a farsi sentire sono i sindacati: "I costanti ritardi nei pagamenti degli stipendi e dei fornitori sembrano arrivati ad una situazione non più sostenibile – scrivono Cgil Cisl Uil - I fornitori, causa ritardo pagamenti, hanno bloccato le forniture dei materiali e gli operai, che attendono lo stipendio di dicembre, riuniti in assemblea, hanno proclamato lo stato di agitazione che - senza notizia da parte dell'azienda entro martedì prossimo - sfocerà in uno sciopero di tutte le maestranze per mercoledì 26 gennaio".
A dimostrazione che la situazione sembra ormai diventata seriamente insostenibile, scende in campo la stessa presidente della Regione, Catiuscia Marini, che insieme all’assessore regionale alle Infrastrutture Silvano Rometti, ha convocato per lunedì prossimo un incontro con il presidente della società “Quadrilatero”, Gaetano Galia, in merito ai lavori sull’asse Perugia-Ancona. Nel corso dell’incontro verrà fatta una verifica puntuale circa le difficoltà legate al blocco dell’attività di alcuni cantieri, per individuare soluzioni che consentano di evitare un ulteriore allungamento dei tempi di realizzazione delle opere. L’assessore Rometti, inoltre, ha provveduto a convocare un incontro urgente con le organizzazioni sindacali dei lavoratori impegnati nei cantieri interessati dal blocco dei lavori.
Il caso Perugia-Ancona nel frattempo ha trovato spazio anche nel dibattito parlamentare: è stato il deputato del Pd Giampiero Bocci a presentare un'interrogazione al ministro Matteoli sulla vicenda della Perugia-Ancona. “Tutte le istituzioni umbre - scrive il parlamentare del Pd – sono preoccupate per l'inevitabile ritardo sul completamento dell'opera e sono intenzionate a chiedere l'intervento delle massime autorità dello Stato''. ''Chiediamo quindi al ministro Matteoli - conclude Bocci - di attivarsi urgentemente per risolvere la situazione, anche chiedendo all'Anas di ricercare un accordo fra le due ditte in contenzioso, che eviti un ulteriore ricorso di carattere giudiziario''.
GMA
Da servizio "TRG Sera" del 20.1.2011
mercoledì 19 gennaio 2011
Gubbio penalizzato e multato. Simoni placa la rabbia dei tifosi: "Nessun complotto, vinceremo con più gusto!"
Alexandre Dumas, celebre scrittore francese (tra i suoi romanzi "Il Conte di Montecristo") ipotizzava la teoria del complotto: “Poiché nessuno pensa che le sue sventure possano essere attribuite a una sua pochezza, ecco che dovrà individuare un colpevole. Dumas offre alla frustrazione di tutti (ai singoli come ai popoli) la spiegazione dei loro fallimenti. E’ stato qualcun altro a progettare la tua rovina…”. Una frase che ho letto ne "Il Cimitero di Praga", di Umberto Eco (volume di straordinario magnetismo, che fatico un po' a seguire, con ritmi lenti e farraginosi, e che forse riuscirò a completare poco prima che esca un film, come fu per "Il Nome della Rosa").
Segnatevi questa frase perchè ci farà comodo. Intanto ci aiuta a capire che spesso abbiamo bisogno di un "capro espiatorio" - la storia d'Italia è costellata di personaggi, tolti di mezzo i quali il problema è dato per risolto ma non lo è affatto (da Craxi a Moggi, l'elenco potrebbe essere alluvionale, fate un po' voi...).
Ma la definizione "teoria del complotto" torna d'attualità in queste ore anche nella nostra piccola Gubbio. Per vicende tutt'altro che rilevante - come lo è il football, che però alla fine catalizza sempre ascolti, attenzione, entusiasmi, e giustamente finisce per appassionare molto più, ad esempio, delle tante inutili querelle politico-amministrative la cui stucchevolezza non è dissimile tra Montecitorio o Palazzo Pretorio (non avevo mai fatto caso che fanno rima...).
Il Gubbio è in silenzio stampa. La parola più ricorrente nell'ambiente rossoblù è "mazzata": così è definita la decisione della Commissione Disciplinare in merito alla tardiva regolarizzazione dei delegati sicurezza che è costata 1 punto in classifica (i rossoblù restano in vetta ma le distanze dal Sorrento scendono a 2) e soprattutto 20.000 euro di multa oltre a 3.000 euro e un mese di inibizione al presidente Fioriti. Rabbia e stupore, ma anche tanta incomprensione, sono gli stati d'animo dei tifosi.
Il motivo è presto detto: penalizzare in classifica una squadra, a prescindere da chi sia, per un'irregolarità legata ad esempio al mancato pagamento degli stipendi può avere un senso (in quanto si utilizza la prestazione di un giocatore, poi non retribuito, per conquistare punti e definire quella classifica); ma intervenire sulla classifica per irregolarità puramente formali, che non incidono sullo svolgimento delle gare sul campo (come il caso del "delegato sicurezza") è semplicemente assurdo.
Passi per la sanzione economica, comunque nel caso dei rossoblù molto corposa.
La beffa per il Gubbio è che oltre al punto, è arrivata anche la multa (cosa che non è avvenuta per le altre società).
"Ce l'hanno con noi, non vogliono farci andare in serie B": è la frase ricorrente tra i tifosi. E umanamente è comprensibile, se si pensa che il Gubbio - ad esempio - ha dovuto giocare 5 settimane senza portiere titolare in quanto aggredito e pestato in quel di Alessandria, vicenda sulla quale la Procura Federale - al momento - non ha deciso alcunchè. Come se la frase ripetuta ogni domenica dall'altoparlante degli stadi di Lega Pro ("Le società rispondono in via oggettiva dei fatti accaduti prima, durante e dopo la gara, dentro e fuori lo stadio") fosse lo spot di una concessionaria automobilistica.
Comprensibile la rabbia, ma alla teoria del complotto - di Dumasiana memoria - francamente è bene non dare ossigeno. Almeno fino a prova contraria (o almeno, fino a che la somma di indizi - che a Giurisprudenza ci insegnavano dover essere almeno 3 - non facciano la prova...).
A placare gli animi prova Luigi Simoni, direttore tecnico rossoblù, uomo di calcio da oltre 50 anni, che ho raggiunto telefonicamente (è ancora influenzato) nel corso della trasmissione televisiva "Trg Plus" (in onda stasera alle 21 e in replica intorno alle 24).
E' l'unico delegato dalla società eugubina a parlare con la stampa (insieme al ds Giammarioli): "Certamente la sentenza ci ha toccato fortemente, e sembra sproporzionata rispetto alla questione al centro della valutazione. Non si tratta di una irregolarità sportiva ma di una procedura formale, credo fosse giusto che gli organi competenti agissero solo in via amministrativa senza intervenire sulla classifica. Oltre al punto però, ci pesa anche la sanzione di 20.000 euro, una cifra importante per una società come la nostra, che non dispone di grossi budget. Con una cifra come questa avremmo potuto anche prendere un giocatore in più".
Il sodalizio eugubino ha inoltrato ricorso e spera di veder quanto meno alleggerita nel complesso la sanzione. C'è anche chi, tra i tifosi, legge questi provvedimenti come una sorta di "manovra di palazzo" contro il Gubbio, che sul fronte sicurezza si sente decisamente vittima di circostanze che hanno già pesantemente penalizzato i rossoblù (caso Lamanna ad Alessandria, ma anche multa per la banda musicale sugli spalti il giugno scorso): "E' un'ipotesi che non prendo neanche in considerazione - commenta serenamente Simoni - Come il Gubbio, sono state penalizzate anche Alessandria e Spezia, che come noi lottano per le zone alte della classifica. Credo che certe teorie di complotti vadano escluse a priori. E ai tifosi dico di sostenerci con ancora maggiore forza fin da domenica, proprio contro lo Spezia, per dimostrare a maggior ragione che i nostri ragazzi meritano la vetta. Sono fiducioso perché la squadra si sta esprimendo bene. A Ravenna abbiamo interrotto la serie di 8 vittorie, ma pur non giocando ai nostri livelli, alla fine avremmo potuto anche pareggiare. Stiamo lavorando anche per puntellare alcuni reparti (oggi è arrivata la firma del centrocampista scuola Torino, Suciu) e non sarà questo punto di penalizzazione a frenare la corsa del Gubbio. Dimostriamo di essere più forti anche di queste disavventure".
In fondo la saggezza del maestro, Luigi Simoni nella fattispecie, dovrebbe farci da guida: inutile accapigliarsi per qualcosa che ormai è deciso (speriamo timidamente nel ricorso, ma senza troppe illusioni).
Questa brutta storia deve dare maggiore carica alla squadra, maggiori stimoli alla tifoseria ad essere sempre più numerosa (ma già il livello è altissimo, con 1.000 supporters in trasferta...), e finirà che magari, darà ancora più gusto - come diciamo dalle nostre parti - vincere alla fine...
Questa squadra può farcela. Ora, a maggior ragione, è il momento di dimostrarlo...
Segnatevi questa frase perchè ci farà comodo. Intanto ci aiuta a capire che spesso abbiamo bisogno di un "capro espiatorio" - la storia d'Italia è costellata di personaggi, tolti di mezzo i quali il problema è dato per risolto ma non lo è affatto (da Craxi a Moggi, l'elenco potrebbe essere alluvionale, fate un po' voi...).
Ma la definizione "teoria del complotto" torna d'attualità in queste ore anche nella nostra piccola Gubbio. Per vicende tutt'altro che rilevante - come lo è il football, che però alla fine catalizza sempre ascolti, attenzione, entusiasmi, e giustamente finisce per appassionare molto più, ad esempio, delle tante inutili querelle politico-amministrative la cui stucchevolezza non è dissimile tra Montecitorio o Palazzo Pretorio (non avevo mai fatto caso che fanno rima...).
Il Gubbio è in silenzio stampa. La parola più ricorrente nell'ambiente rossoblù è "mazzata": così è definita la decisione della Commissione Disciplinare in merito alla tardiva regolarizzazione dei delegati sicurezza che è costata 1 punto in classifica (i rossoblù restano in vetta ma le distanze dal Sorrento scendono a 2) e soprattutto 20.000 euro di multa oltre a 3.000 euro e un mese di inibizione al presidente Fioriti. Rabbia e stupore, ma anche tanta incomprensione, sono gli stati d'animo dei tifosi.
Il motivo è presto detto: penalizzare in classifica una squadra, a prescindere da chi sia, per un'irregolarità legata ad esempio al mancato pagamento degli stipendi può avere un senso (in quanto si utilizza la prestazione di un giocatore, poi non retribuito, per conquistare punti e definire quella classifica); ma intervenire sulla classifica per irregolarità puramente formali, che non incidono sullo svolgimento delle gare sul campo (come il caso del "delegato sicurezza") è semplicemente assurdo.
Passi per la sanzione economica, comunque nel caso dei rossoblù molto corposa.
La beffa per il Gubbio è che oltre al punto, è arrivata anche la multa (cosa che non è avvenuta per le altre società).
"Ce l'hanno con noi, non vogliono farci andare in serie B": è la frase ricorrente tra i tifosi. E umanamente è comprensibile, se si pensa che il Gubbio - ad esempio - ha dovuto giocare 5 settimane senza portiere titolare in quanto aggredito e pestato in quel di Alessandria, vicenda sulla quale la Procura Federale - al momento - non ha deciso alcunchè. Come se la frase ripetuta ogni domenica dall'altoparlante degli stadi di Lega Pro ("Le società rispondono in via oggettiva dei fatti accaduti prima, durante e dopo la gara, dentro e fuori lo stadio") fosse lo spot di una concessionaria automobilistica.
Comprensibile la rabbia, ma alla teoria del complotto - di Dumasiana memoria - francamente è bene non dare ossigeno. Almeno fino a prova contraria (o almeno, fino a che la somma di indizi - che a Giurisprudenza ci insegnavano dover essere almeno 3 - non facciano la prova...).
A placare gli animi prova Luigi Simoni, direttore tecnico rossoblù, uomo di calcio da oltre 50 anni, che ho raggiunto telefonicamente (è ancora influenzato) nel corso della trasmissione televisiva "Trg Plus" (in onda stasera alle 21 e in replica intorno alle 24).
E' l'unico delegato dalla società eugubina a parlare con la stampa (insieme al ds Giammarioli): "Certamente la sentenza ci ha toccato fortemente, e sembra sproporzionata rispetto alla questione al centro della valutazione. Non si tratta di una irregolarità sportiva ma di una procedura formale, credo fosse giusto che gli organi competenti agissero solo in via amministrativa senza intervenire sulla classifica. Oltre al punto però, ci pesa anche la sanzione di 20.000 euro, una cifra importante per una società come la nostra, che non dispone di grossi budget. Con una cifra come questa avremmo potuto anche prendere un giocatore in più".
Il sodalizio eugubino ha inoltrato ricorso e spera di veder quanto meno alleggerita nel complesso la sanzione. C'è anche chi, tra i tifosi, legge questi provvedimenti come una sorta di "manovra di palazzo" contro il Gubbio, che sul fronte sicurezza si sente decisamente vittima di circostanze che hanno già pesantemente penalizzato i rossoblù (caso Lamanna ad Alessandria, ma anche multa per la banda musicale sugli spalti il giugno scorso): "E' un'ipotesi che non prendo neanche in considerazione - commenta serenamente Simoni - Come il Gubbio, sono state penalizzate anche Alessandria e Spezia, che come noi lottano per le zone alte della classifica. Credo che certe teorie di complotti vadano escluse a priori. E ai tifosi dico di sostenerci con ancora maggiore forza fin da domenica, proprio contro lo Spezia, per dimostrare a maggior ragione che i nostri ragazzi meritano la vetta. Sono fiducioso perché la squadra si sta esprimendo bene. A Ravenna abbiamo interrotto la serie di 8 vittorie, ma pur non giocando ai nostri livelli, alla fine avremmo potuto anche pareggiare. Stiamo lavorando anche per puntellare alcuni reparti (oggi è arrivata la firma del centrocampista scuola Torino, Suciu) e non sarà questo punto di penalizzazione a frenare la corsa del Gubbio. Dimostriamo di essere più forti anche di queste disavventure".
In fondo la saggezza del maestro, Luigi Simoni nella fattispecie, dovrebbe farci da guida: inutile accapigliarsi per qualcosa che ormai è deciso (speriamo timidamente nel ricorso, ma senza troppe illusioni).
Questa brutta storia deve dare maggiore carica alla squadra, maggiori stimoli alla tifoseria ad essere sempre più numerosa (ma già il livello è altissimo, con 1.000 supporters in trasferta...), e finirà che magari, darà ancora più gusto - come diciamo dalle nostre parti - vincere alla fine...
Questa squadra può farcela. Ora, a maggior ragione, è il momento di dimostrarlo...
martedì 18 gennaio 2011
A (quasi) un anno dalla "prima volta", un premio (indiretto) e una sensazione speciale...
Non sapevo se mi sarebbe piaciuto. Non sapevo se sarei stato in grado di realizzarlo. E soprattutto di "alimentarlo" con idee, riflessioni, pensieri. E pure qualche "cazzeggio" (perdonatemi il temine, ma da quando ho letto sul libro di Sandro Petrone (Il linguaggio delle news) che era proprio questa la definizione originaria in redazione di rubriche del Tg2 tipo "Costume e società" o "Tg2 motori", posso permettemi la licenza...).
Eppure fare un blog, un proprio blog, è stato e continua ad essere una scoperta sempre più coinvolgente. E appassionante. Quando un giorno, con un amico, si parlava di questo, mi ha chiesto: "Perché un blog?".
Perchè sono un po' più me stesso, mi è venuto da dirgli al volo. Mi sento meno "direttore" - anche se l'esperienza quotidiana in redazione inevitabilmente viene a galla - e un po' più Giacomo. Magari non in tutto quello che scrivo, ma soprattutto in "come lo scrivo": dove il come sta per "lo spirito con cui" fai una cosa.
Non la devi fare. La fai se ti va. Se ti passa per la testa. O magari per il cuore. Punto.
Domande che spesso non conviene neanche farsi in redazione.
Poi ti accorgi che ogni giorno hai qualcosa da dire. Da scrivere. Da lasciare alla riflessione (e magari anche alle repliche) degli altri. Dove gli altri, in realtà, sono quei "25 lettori" di manzoniana memoria, preziosi custodi di qualcosa di tuo. Di vero. Di importante.
E' passato quasi un anno dal primo post (19 febbraio 2010, ci sarà modo il prossimo 19 febbraio di fare un pit stop di bilancio): e devo dire che questo scrivere e scrivermi, ma anche condividere con altri quello che si scrive, è un'esperienza paradossalmente nuova. Paradossalmente perché in fondo, nel mio caso, dovrei sentirmi abituato a confrontarmi con il pubblico.
Per la verità quando scrivi su un giornale o fai tv, non guardi in faccia chi ti ascolta o chi ti legge. Presumi che qualcuno ci sia (poi lo scopri dai dati Auditel o Audipress), ma in realtà quel tuo interlocutore non ha un volto, non ha un nome. Finchè magari non ti scrive, il più delle volte per lamentarsi di un refuso, di una dimenticanza, di un errore. E vai con la rettifica...
Sul palcoscenico poi, non guardare sul viso chi ti ascolta non solo è opportuno ma addirittura necessario (un segreto dei presentatori di lungo corso) per evitare distrazioni inutili, interpretare qualche smorfia o movimento come reazione ad una propria frase (quando magari chi ti ascolta pensa a tutt'altro), e magari smarcarsi da qualche cenno che potrebbe solo creare confusione.
Dunque contatto diretto, zero.
Stavolta no. Con il blog è come essere in un cenacolo virtuale: quasi che ci trovassimo intorno ad un camino (o come ai tempi degli scout, intorno al fuoco, in uno scorcio di montagna, a riscaldarsi la mente e il corpo, prima di infilarsi nel sacco a pelo e sperare di non svegliarsi nel cuore della notte per non sentire freddo), quasi che la pensassimo tutti allo stesso modo (anche se così non è, e per fortuna...).
Con il blog riesci a riconquistare un'identità che va al di là del tuo ruolo, del Giacomo Marinelli Andreoli che devi scrivere in fondo ad un articolo o che metti in sottopancia su un editoriale. Anche se qualche volta i pezzi che inserisco sono quelli che poi escono così. Ma il solo fatto di anticiparli a qualcuno, regala loro un qualcosa di speciale... Per carità non sono anteprime esclusive, niente per cui valga la pena fare corse o svegliarsi di notte. Ma sai che chi ti legge o ti segue qui, non lo fa nel corso di una manovra di zapping o sfogliando distrattamente un quotidiano o un periodico. Deve arrivarci, deve cercarti. In una parola, deve volerti. Non importa quanti siano a farlo. Già di per sè è... Piacevole.
E poi ti confronti: ti rileggi e ti metti in discussione molto più di quanto non si faccia professionalmente tutti i giorni.
E magari hai anche le tue soddisfazioni gratificanti (come un paio di fantastiche cartoline inviatemi dal sig. Bruno Raggio Garibaldi, direttamente da Chiavari, dove confessa di essere un affezionato lettore del blog... Grazie, anche per la splendida Agenda Nautica 2011!).
Tutto questo per dire che l'esperienza ha un fascino particolare: insospettabile a priori, ma piacevolmente assaporato in corso d'opera. E chissà cosa ci riserverà, non dico tra un anno... ma domani.
Ora capisco anche perché l'amica che mi ha aiutato nella realizzazione tecnica del blog mi ha detto: "E' una splendida idea", quando le dissi che stavo cullando questo piccolo personale progetto.
Beh approfitto per dirle "grazie". Un doppio grazie. Per avermi aiutato mentre brancolavo nel buio tecnico più totale (essendo un perfetto "uomo di Neanderthal" davanti alla tastiera) e per avermi ricordato quando lei stessa - meritatamente - ha ricevuto il premio "Sunshine Awards" con il suo blog "iosonoquesto". Che ha voluto condividere anche con questo mio blog.
Grazie Antonella. Da un anno a questa parte mi hai aiutato a conoscere un po' meglio anche me stesso... E il cammino resta ancora lungo... Per fortuna...
http://iosonoquesto.blogspot.com/2011/01/premio-sunshine-awards.html
Eppure fare un blog, un proprio blog, è stato e continua ad essere una scoperta sempre più coinvolgente. E appassionante. Quando un giorno, con un amico, si parlava di questo, mi ha chiesto: "Perché un blog?".
Perchè sono un po' più me stesso, mi è venuto da dirgli al volo. Mi sento meno "direttore" - anche se l'esperienza quotidiana in redazione inevitabilmente viene a galla - e un po' più Giacomo. Magari non in tutto quello che scrivo, ma soprattutto in "come lo scrivo": dove il come sta per "lo spirito con cui" fai una cosa.
Non la devi fare. La fai se ti va. Se ti passa per la testa. O magari per il cuore. Punto.
Domande che spesso non conviene neanche farsi in redazione.
Poi ti accorgi che ogni giorno hai qualcosa da dire. Da scrivere. Da lasciare alla riflessione (e magari anche alle repliche) degli altri. Dove gli altri, in realtà, sono quei "25 lettori" di manzoniana memoria, preziosi custodi di qualcosa di tuo. Di vero. Di importante.
E' passato quasi un anno dal primo post (19 febbraio 2010, ci sarà modo il prossimo 19 febbraio di fare un pit stop di bilancio): e devo dire che questo scrivere e scrivermi, ma anche condividere con altri quello che si scrive, è un'esperienza paradossalmente nuova. Paradossalmente perché in fondo, nel mio caso, dovrei sentirmi abituato a confrontarmi con il pubblico.
Per la verità quando scrivi su un giornale o fai tv, non guardi in faccia chi ti ascolta o chi ti legge. Presumi che qualcuno ci sia (poi lo scopri dai dati Auditel o Audipress), ma in realtà quel tuo interlocutore non ha un volto, non ha un nome. Finchè magari non ti scrive, il più delle volte per lamentarsi di un refuso, di una dimenticanza, di un errore. E vai con la rettifica...
Sul palcoscenico poi, non guardare sul viso chi ti ascolta non solo è opportuno ma addirittura necessario (un segreto dei presentatori di lungo corso) per evitare distrazioni inutili, interpretare qualche smorfia o movimento come reazione ad una propria frase (quando magari chi ti ascolta pensa a tutt'altro), e magari smarcarsi da qualche cenno che potrebbe solo creare confusione.
Dunque contatto diretto, zero.
Stavolta no. Con il blog è come essere in un cenacolo virtuale: quasi che ci trovassimo intorno ad un camino (o come ai tempi degli scout, intorno al fuoco, in uno scorcio di montagna, a riscaldarsi la mente e il corpo, prima di infilarsi nel sacco a pelo e sperare di non svegliarsi nel cuore della notte per non sentire freddo), quasi che la pensassimo tutti allo stesso modo (anche se così non è, e per fortuna...).
Con il blog riesci a riconquistare un'identità che va al di là del tuo ruolo, del Giacomo Marinelli Andreoli che devi scrivere in fondo ad un articolo o che metti in sottopancia su un editoriale. Anche se qualche volta i pezzi che inserisco sono quelli che poi escono così. Ma il solo fatto di anticiparli a qualcuno, regala loro un qualcosa di speciale... Per carità non sono anteprime esclusive, niente per cui valga la pena fare corse o svegliarsi di notte. Ma sai che chi ti legge o ti segue qui, non lo fa nel corso di una manovra di zapping o sfogliando distrattamente un quotidiano o un periodico. Deve arrivarci, deve cercarti. In una parola, deve volerti. Non importa quanti siano a farlo. Già di per sè è... Piacevole.
E poi ti confronti: ti rileggi e ti metti in discussione molto più di quanto non si faccia professionalmente tutti i giorni.
E magari hai anche le tue soddisfazioni gratificanti (come un paio di fantastiche cartoline inviatemi dal sig. Bruno Raggio Garibaldi, direttamente da Chiavari, dove confessa di essere un affezionato lettore del blog... Grazie, anche per la splendida Agenda Nautica 2011!).
Tutto questo per dire che l'esperienza ha un fascino particolare: insospettabile a priori, ma piacevolmente assaporato in corso d'opera. E chissà cosa ci riserverà, non dico tra un anno... ma domani.
Ora capisco anche perché l'amica che mi ha aiutato nella realizzazione tecnica del blog mi ha detto: "E' una splendida idea", quando le dissi che stavo cullando questo piccolo personale progetto.
Beh approfitto per dirle "grazie". Un doppio grazie. Per avermi aiutato mentre brancolavo nel buio tecnico più totale (essendo un perfetto "uomo di Neanderthal" davanti alla tastiera) e per avermi ricordato quando lei stessa - meritatamente - ha ricevuto il premio "Sunshine Awards" con il suo blog "iosonoquesto". Che ha voluto condividere anche con questo mio blog.
Grazie Antonella. Da un anno a questa parte mi hai aiutato a conoscere un po' meglio anche me stesso... E il cammino resta ancora lungo... Per fortuna...
http://iosonoquesto.blogspot.com/2011/01/premio-sunshine-awards.html
lunedì 17 gennaio 2011
Da Ravenna con l'inciampo ma senza cicatrici: e la coincidenza Boisfer...
Non è il caso di fare drammi. Il Gubbio cade. Non avveniva dal 31 ottobre. Un’eternità, o quasi, quella sconfitta col Pergocrema, prima delle otto storiche vittorie di fila. Unico comun denominatore, tra quel passo falso al Barbetti e il 2-1 subìto ieri a Ravenna, l’assenza di Boisfer.
Sarà un caso ma senza la linea maginot del transalpino il Gubbio ricasca.
Non può essere un solo giocatore, e la sua assenza, però a giustificare il ko del “Benelli”. Che se non pesa in classifica – grazie alla Reggiana che strapazza il Sorrento, e alla Cremonese e il Pavia che stoppano sul pari Spal e Alessandria entrambe su suolo amico – dispiace certamente per i 1.000 tifosi rossoblù (nella foto, tratta da http://www.gubbiofans.it/), sciarpa più sciarpa meno, che hanno gremito lo stadio ravennate. Dimostrando, loro sì, di essere già pronti per un altro deciso salto di categoria. Numeri come quelli di ieri su gradinate esterne non li ricordiamo, al di fuori dei play off, almeno dai tempi di Landi, quando non c’era pay tv, le squadre del comprensorio eugubino si contavano sulle dita di mezza mano, e si giocava tutti indistintamente alle 14.30.
I tempi moderni non bastano però a tenere lontano il grande pubblico dalla squadra di Torrente che però a Ravenna, va detto subito, ha regalato almeno 45’ agli avversari: che di tanta manna non avevano neanche bisogno visto che la squadra di Rossi voleva fortissimamente riscattare la sconfitta di Bassano ed arrivava comunque da una striscia di risalita in classifica che è coincisa con l’arrivo dell’esperto Chianese in autunno.
E così Lamanna – dopo gli sbadigli di Bolzano – ha dovuto rimettere la corazza, e il Gubbio l’elmetto, ma non è bastato. Anche perché Perelli non è Boisfer (e si sapeva – come si sapeva che il piccolo centrocampista ex Giacomense è in procinto di andarsene), Capogrosso non è Caracciolo in fase difensiva e soprattutto il Galano di queste domeniche non è Galano, complici anche terreni di gioco poco adatti alle sue caratteristiche. Speriamo che lo stage in azzurro con il CT Ferrara lo rianimi subito perché il Gubbio ha bisogno del furetto barese in piena forma.
Nonostante tutto, nonostante un Gubbio a mezzo servizio, almeno il pareggio anche a Ravenna poteva scapparci: perché è vero che la squadra di casa ha sciorinato bel calcio e grande determinazione per un’ora, ma è anche vero che sul 2-1, con il 12mo sigillo stagionale di Gomez, i rossoblù sentivano profumo di rimonta, come lo squalo sente l’odore del sangue. Un’illusione però che Rossi, l’estremo di casa, ha spezzato nel forcing finale.
Alla fine la sconfitta va in archivio senza grosse cicatrici: la classifica è quasi intatta, salvo malaugurati interventi della Commissione Disciplinare che potrebbe fare più male del Ravenna. Per questioni di forma, più che di sostanza, che però rischiano di cambiare le classifiche. E di infliggere colpi psicologici che vanno al di là del punto o dei due punti. La sensazione è che lo sport, qualche volta, sia solo un optional.
Ma il Gubbio dovrà essere più forte anche di questo. E’ vivamente sconsigliato piangersi addosso, ma è bene guardare avanti trovando, anche da eventuali cervellotiche penalizzazioni, lo stimolo per riprendere la marcia, con ogni "arma" collaudata a puntino. A ricominciare dalla prossima domenica, contro una squadra che con gli arsenali dovrebbe avere dimestichezza: lo Spezia…
Testo copertina "A gioco fermo" per "Fuorigioco" di lunedì 17.1.2011
musica di sottofondo: "Stop crying your heart" - Oasis - 2002
Sarà un caso ma senza la linea maginot del transalpino il Gubbio ricasca.
Non può essere un solo giocatore, e la sua assenza, però a giustificare il ko del “Benelli”. Che se non pesa in classifica – grazie alla Reggiana che strapazza il Sorrento, e alla Cremonese e il Pavia che stoppano sul pari Spal e Alessandria entrambe su suolo amico – dispiace certamente per i 1.000 tifosi rossoblù (nella foto, tratta da http://www.gubbiofans.it/), sciarpa più sciarpa meno, che hanno gremito lo stadio ravennate. Dimostrando, loro sì, di essere già pronti per un altro deciso salto di categoria. Numeri come quelli di ieri su gradinate esterne non li ricordiamo, al di fuori dei play off, almeno dai tempi di Landi, quando non c’era pay tv, le squadre del comprensorio eugubino si contavano sulle dita di mezza mano, e si giocava tutti indistintamente alle 14.30.
I tempi moderni non bastano però a tenere lontano il grande pubblico dalla squadra di Torrente che però a Ravenna, va detto subito, ha regalato almeno 45’ agli avversari: che di tanta manna non avevano neanche bisogno visto che la squadra di Rossi voleva fortissimamente riscattare la sconfitta di Bassano ed arrivava comunque da una striscia di risalita in classifica che è coincisa con l’arrivo dell’esperto Chianese in autunno.
E così Lamanna – dopo gli sbadigli di Bolzano – ha dovuto rimettere la corazza, e il Gubbio l’elmetto, ma non è bastato. Anche perché Perelli non è Boisfer (e si sapeva – come si sapeva che il piccolo centrocampista ex Giacomense è in procinto di andarsene), Capogrosso non è Caracciolo in fase difensiva e soprattutto il Galano di queste domeniche non è Galano, complici anche terreni di gioco poco adatti alle sue caratteristiche. Speriamo che lo stage in azzurro con il CT Ferrara lo rianimi subito perché il Gubbio ha bisogno del furetto barese in piena forma.
Nonostante tutto, nonostante un Gubbio a mezzo servizio, almeno il pareggio anche a Ravenna poteva scapparci: perché è vero che la squadra di casa ha sciorinato bel calcio e grande determinazione per un’ora, ma è anche vero che sul 2-1, con il 12mo sigillo stagionale di Gomez, i rossoblù sentivano profumo di rimonta, come lo squalo sente l’odore del sangue. Un’illusione però che Rossi, l’estremo di casa, ha spezzato nel forcing finale.
Alla fine la sconfitta va in archivio senza grosse cicatrici: la classifica è quasi intatta, salvo malaugurati interventi della Commissione Disciplinare che potrebbe fare più male del Ravenna. Per questioni di forma, più che di sostanza, che però rischiano di cambiare le classifiche. E di infliggere colpi psicologici che vanno al di là del punto o dei due punti. La sensazione è che lo sport, qualche volta, sia solo un optional.
Ma il Gubbio dovrà essere più forte anche di questo. E’ vivamente sconsigliato piangersi addosso, ma è bene guardare avanti trovando, anche da eventuali cervellotiche penalizzazioni, lo stimolo per riprendere la marcia, con ogni "arma" collaudata a puntino. A ricominciare dalla prossima domenica, contro una squadra che con gli arsenali dovrebbe avere dimestichezza: lo Spezia…
Testo copertina "A gioco fermo" per "Fuorigioco" di lunedì 17.1.2011
musica di sottofondo: "Stop crying your heart" - Oasis - 2002
sabato 15 gennaio 2011
Il referendum, il caso Mirafiori, il senso di un sì... E qualche domanda in più...
Una curiosità. Apro il sito Tgcom e in apertura c'è il caso Mirafiori, il referendum Marchionne, la vittoria del sì. E un'icona parla del cosiddetto decalogo di disposizioni alla base del voto.
Clicco e vado a leggere...
http://www.tgcom.mediaset.it/economia/articoli/articolo500601.shtml
Clicco e vado a leggere...
http://www.tgcom.mediaset.it/economia/articoli/articolo500601.shtml
Cosa c'è di scandaloso in queste note? E' la domanda che mi sorge spontanea. Certo, si tratta di una restrizione di alcune delle condizioni che fino a ieri caratterizzavano gli accordi aziendali: ma se lo è, non lo è per chi vede il lavoro come fonte di reddito, in tempi in cui "avere un lavoro" (specie se questo è collegato ad un contratto a tempo indeterminato) è quasi un mezzo privilegio. Lasciamo stare la gratificazione o realizzazione personale. Il lavoro a catena non appassiona nessuno, dai tempi di Charlie Chaplin e del suo "Tempi moderni" (ma allora i diritti mancavano davvero).
Mettetevi nei panni di un giovane, in cerca di un'occupazione che magari precaria, legata ad un co.co.co., senza grandi illusioni per il futuro (ma con l'unica certezza che non ci sarà una pensione ad attenderlo tra una quarantina d'anni) assista a questo scenario.
I sindacati sono divisi: l'ala oltranzista della Fiom non ne vuol sapere di scendere a patti con Marchionne, e punta il dito contro Cisl, Uil (ma anche la Cgil) che sarebbero "asservite al padrone".
Il Governo Berlusconi - che non perde giorno per trovare un motivo in più per gettare fumo intorno a sè - sta alla finestra, e nell'unica uscita del Premier ("Se vince il no, fa bene Marchionne a portare la Fiat altrove") perde l'unica occasione per tacere.
L'opposizione (PD in testa) invita cautamente a votare sì a questo protocollo, ma al tempo stesso critica Marchionne, chi plaude Marchionne e ovviamente condanna Berlusconi e le sue dichiarazioni.
Il quadro, nel suo caos, è piuttosto chiaro: si capisce perché un manager pure facoltoso - e non certo estraneo agli ambienti politici - come il prof. Pierluigi Celli (ex Cda Rai, oggi alla Luiss di Roma) abbia suggerito al figlio di andarsene all'estero. Bene che va si farà una bella esperienza, male che va imparerà a vivere e a lavorare in qualche paese normale. Ma chi non può permettersi la fuga dal suolo patrio?
Ecco, credo che oggi un giovane che si trovi a dover giudicare una vicenda come quella di Mirafiori, se leggesse il link che ho riportato in alto, avrebbe un motivo in più per incazzarsi.
Stavolta non con Marchionne - che non avrà modi garbati e il savouir faire di un maitre del grand hotel - ma con il mondo che gli sta attorno: dalla politica "indecisa a tutto", ai sindacati (ancora blindati a logiche di lotta anni Settanta) allo stesso mondo delle imprese che spesso nelle più piccole e dinamiche espressioni trova esempi di eccellenza, mentre nelle più grandi si ritaglia spesso ormai l'immagine di una vecchia signora ingombrante e assistita.
Illuminante la lucidità espressa nell'intervista dal sindaco di Torino, Chiamparino (PD) giovedì sera ad "Anno Zero": "Il nemico non è Marchionne ma il mondo. C'è un mondo che ci sta facendo diventare sempre più piccoli e noi fatichiamo a capirlo, ragionando con gli schemi di 40 anni fa. E se il 40% degli operai oggi vota il centrodestra, beh la colpa non è di Berlusconi. E' soprattutto di un centro-sinistra che non sa più parlare al suo elettorato naturale".
venerdì 14 gennaio 2011
Una lettera accorata... degna di un grande gesto. Di un vero ceraiolo.
Il carisma è come la classe. Non è acqua. Nel cero e nella vita di tutti i giorni.
E la frase è riferita all’amico “Picchio”, al secolo Francesco Pascolini, che per anni ho salutato con un abbraccio davanti alle colonne di Barbi, con un in bocca al lupo reciproco.
Lui sangiorgiaro, io santantoniaro. La corsa distava pochi minuti e fino a che non spuntava la mantellina gialla dalla Statua, il clima da “6 meno 5” metteva tutti sullo stesso piano. Qualunque colore avesse la nostra camicia, quello del volto era identico. E un sorriso, con un abbraccio, aiutava solo a stemperare. E a sentirsi ancora un pizzico in più, in quel momento, ceraioli.
Poi una volta sotto, era giusto non guardare più in faccia a nessuno. E per qualche anno abbiamo pure “rovinato diverse foto” ai sangiorgiari di Barbi (impedendo a Gavirati di esporre ingrandimenti della muta che sarebbero stati imbarazzanti…).
Ma ci sono stati anche gli anni che l’ingrandimento c’era. Ed era inequivocabile. Chapeau.
Non mi sorprende che proprio lui, Francesco, il “Picchio”, abbia compiuto questo passo. Coraggioso, nobile, degno, autentico. Scrivendo una lettera che è un invito accorato. Ad essere, prima di tutto, ceraioli.
In tanti aspetti la nostra splendida Festa – parlo di Festa, non a caso – si distingue e si distacca da Giostre, Palii, rievocazioni varie: il più cristallino di questi aspetti è quello che si rifà alle parole e all’esempio del nostro Patrono.
Ci si divide, per due ore, in un tutti contro tutti che in realtà, ognuno nel proprio cero, è un “tutti per uno”. Un po’ come nella vita, si corre, si lotta, si combatte, per prevalere. Dove questo non vuol dire superarsi fisicamente, ma superarsi nella limpidezza di una corsa che è la forma più avvincente, originale e appassionante di questa devozione.
Poi ci si ritrova, dopo quelle due ore frenetiche e irripetibili, di fronte ad un portone chiuso.
La corsa è finita ma la Festa vera dovrebbe essere sul punto di cominciare.
E invece non è così.
Il ritrovarsi insieme non è soltanto “più bello” – in senso coreografico. Anzi parlare di semplice impatto estetico è quasi riduttivo. Sarà anche bello, ma è soprattutto e semplicemente “ceraiolo”: la corsa è finita, quello che dovevamo dimostrare lo abbiamo fatto. Chi ha motivo di gioire è giusto che lo faccia, chi ha motivo di rammaricarsi se lo terrà dentro e aspetterà un altro anno per cercare di fare meglio. Proprio come nella vita.
Per tutti, indistintamente, però, vale la pena essere lì per un abbraccio corale al nostro Patrono.
L’unico senso che questa Festa ci dà perché possa svolgersi da sempre, in qualunque condizione atmosferica, in qualunque condizione di salute, in qualunque condizione gli altri 364 giorni dell’anno ci abbiano ridotto.
Siamo lì per Lui. Per quel S.Ubaldo (scritto con il punto) che dentro l’urna continua a ripeterci silenziosamente che abbiamo una fortuna immensa – a poterlo onorare in modo così unico e straordinario – che spesso sembra quasi che non ce ne accorgiamo.
Ci divertiamo a rovinare tutto, a travisare il senso di questa giornata. Come se la Festa dei Ceri dipendesse da pochi personaggi. Da individualità. Una festa collettiva non può esaltare l’individuo. Come se qualcuno da solo “potesse portare il cero in cima al monte” (ci sono alcuni ceraioli magari pure convinti di riuscirci). Come se questa Festa non ci insegnasse, anche fuori dal 15 maggio, che da soli non si va da nessuna parte. Che l’umiltà non è una parola con l’accento, buona per i discorsi al microfono. Che quello che ci insegna il Cero, lo stare insieme grazie al Cero, ce lo portiamo dentro tutta la vita.
Ecco perché sono con il “Picchio”, lo ringrazio e lo appoggio in pieno. Perché sentire la Festa in modo autentico non dipende dal colore di una camicia. Così come sentirsi devoti al Patrono. Quello che portiamo al Suo cospetto, appunto il cero, è solo un omaggio. Sant’Ubaldo (scritto con l’apostrofo), San Giorgio e Sant’Antonio, non sono che dei “doni” offerti al Patrono. In legno forgiato (e da quest’anno, pure restaurato), che presi da soli, nel loro correre senza una meta, non avrebbero senso. Ma lassù, di fronte a Colui per il quale si fa tutto questo, acquistano, insieme e in un tutt’uno, un valore incommensurabile.
Che distingue, questo sì, la Festa dei Ceri, da qualsiasi altra manifestazione ed espressione religiosa o di popolo che si conosca. Tutto ruota intorno a questo.
La Festa dei Ceri, il suo presente ma anche e soprattutto il suo futuro, è questo.
Di seguito il testo della lettera elaborata da Francesco Pascolini "Picchio" e pronta per essere sottoscritta:
E la frase è riferita all’amico “Picchio”, al secolo Francesco Pascolini, che per anni ho salutato con un abbraccio davanti alle colonne di Barbi, con un in bocca al lupo reciproco.
Lui sangiorgiaro, io santantoniaro. La corsa distava pochi minuti e fino a che non spuntava la mantellina gialla dalla Statua, il clima da “6 meno 5” metteva tutti sullo stesso piano. Qualunque colore avesse la nostra camicia, quello del volto era identico. E un sorriso, con un abbraccio, aiutava solo a stemperare. E a sentirsi ancora un pizzico in più, in quel momento, ceraioli.
Poi una volta sotto, era giusto non guardare più in faccia a nessuno. E per qualche anno abbiamo pure “rovinato diverse foto” ai sangiorgiari di Barbi (impedendo a Gavirati di esporre ingrandimenti della muta che sarebbero stati imbarazzanti…).
Ma ci sono stati anche gli anni che l’ingrandimento c’era. Ed era inequivocabile. Chapeau.
Non mi sorprende che proprio lui, Francesco, il “Picchio”, abbia compiuto questo passo. Coraggioso, nobile, degno, autentico. Scrivendo una lettera che è un invito accorato. Ad essere, prima di tutto, ceraioli.
In tanti aspetti la nostra splendida Festa – parlo di Festa, non a caso – si distingue e si distacca da Giostre, Palii, rievocazioni varie: il più cristallino di questi aspetti è quello che si rifà alle parole e all’esempio del nostro Patrono.
Ci si divide, per due ore, in un tutti contro tutti che in realtà, ognuno nel proprio cero, è un “tutti per uno”. Un po’ come nella vita, si corre, si lotta, si combatte, per prevalere. Dove questo non vuol dire superarsi fisicamente, ma superarsi nella limpidezza di una corsa che è la forma più avvincente, originale e appassionante di questa devozione.
Poi ci si ritrova, dopo quelle due ore frenetiche e irripetibili, di fronte ad un portone chiuso.
La corsa è finita ma la Festa vera dovrebbe essere sul punto di cominciare.
E invece non è così.
Il ritrovarsi insieme non è soltanto “più bello” – in senso coreografico. Anzi parlare di semplice impatto estetico è quasi riduttivo. Sarà anche bello, ma è soprattutto e semplicemente “ceraiolo”: la corsa è finita, quello che dovevamo dimostrare lo abbiamo fatto. Chi ha motivo di gioire è giusto che lo faccia, chi ha motivo di rammaricarsi se lo terrà dentro e aspetterà un altro anno per cercare di fare meglio. Proprio come nella vita.
Per tutti, indistintamente, però, vale la pena essere lì per un abbraccio corale al nostro Patrono.
L’unico senso che questa Festa ci dà perché possa svolgersi da sempre, in qualunque condizione atmosferica, in qualunque condizione di salute, in qualunque condizione gli altri 364 giorni dell’anno ci abbiano ridotto.
Siamo lì per Lui. Per quel S.Ubaldo (scritto con il punto) che dentro l’urna continua a ripeterci silenziosamente che abbiamo una fortuna immensa – a poterlo onorare in modo così unico e straordinario – che spesso sembra quasi che non ce ne accorgiamo.
Ci divertiamo a rovinare tutto, a travisare il senso di questa giornata. Come se la Festa dei Ceri dipendesse da pochi personaggi. Da individualità. Una festa collettiva non può esaltare l’individuo. Come se qualcuno da solo “potesse portare il cero in cima al monte” (ci sono alcuni ceraioli magari pure convinti di riuscirci). Come se questa Festa non ci insegnasse, anche fuori dal 15 maggio, che da soli non si va da nessuna parte. Che l’umiltà non è una parola con l’accento, buona per i discorsi al microfono. Che quello che ci insegna il Cero, lo stare insieme grazie al Cero, ce lo portiamo dentro tutta la vita.
Ecco perché sono con il “Picchio”, lo ringrazio e lo appoggio in pieno. Perché sentire la Festa in modo autentico non dipende dal colore di una camicia. Così come sentirsi devoti al Patrono. Quello che portiamo al Suo cospetto, appunto il cero, è solo un omaggio. Sant’Ubaldo (scritto con l’apostrofo), San Giorgio e Sant’Antonio, non sono che dei “doni” offerti al Patrono. In legno forgiato (e da quest’anno, pure restaurato), che presi da soli, nel loro correre senza una meta, non avrebbero senso. Ma lassù, di fronte a Colui per il quale si fa tutto questo, acquistano, insieme e in un tutt’uno, un valore incommensurabile.
Che distingue, questo sì, la Festa dei Ceri, da qualsiasi altra manifestazione ed espressione religiosa o di popolo che si conosca. Tutto ruota intorno a questo.
La Festa dei Ceri, il suo presente ma anche e soprattutto il suo futuro, è questo.
Di seguito il testo della lettera elaborata da Francesco Pascolini "Picchio" e pronta per essere sottoscritta:
SANTUBALDARI
(DOPO LA CHIUSURA DEL PORTONE)
NON DIVIDETE IL POPOLO EUGUBINO!
I tre ceri sono, insieme, espressione del nostro popolo.
Sono inscindibili.
Dividerli significa non capire il potente messaggio che in essi è custodito.
Significa sminuirli irresponsabilmente.
Tre in uno, tre per Uno.
Dopo la lotta, dopo la chiusura del portone, di fronte l'Urna del Patrono, l'unico atto comprensibile è il ritrovarsi tutti insieme in un grido carico d'orgoglio:
"il rito è compiuto, il popolo è nuovamente unito!".
Eugubini con eugubini.
Spesso così non è per la scelta di alcuni.
Ceraioli di Sant'Ubaldo questo è un appello accorato alla saggezza e per la saggezza del popolo eugubino: insegniamo ai nostri figli che la sfida è giusta, leale e virile, solo quando combattuta in campo aperto.
Non quando tutto è concluso! Non dietro un portone chiuso...
Non perdiamo un'altra occasione. Miglioriamo ciò che può essere migliorato.
E' il nostro tempo. E' il nostro dovere.
Francesco Pascolini (detto "Picchio")
Eugubino
Ceraiolo di San Giorgio.
La lettera è preceduta da due frasi, tratte dal libro "Passeggiando tra i ricordi - le tracce dei valori" (2008), di Bruno Capannelli ("Baratieri"), storico ceraiolo santubaldaro.
"Siate forti per la corsa, fortissimi fino alla chiusura della porta, straordinariamente agguerriti e combattivi contro gli altri Ceri, per poi riunirvi in un ideale abbraccio nell'amore per S.Ubaldo, abbiate anche la mente aperta al confronto, lo sguardo attento, rivolto al mondo nel quale, ora, state vivendo".
"Il motto dei santubaldari deve restare sempre lo stesso: lottare sempre, ma alla luce del sole, non dietro un portone chiuso!".
mercoledì 12 gennaio 2011
I ricordi di Walter Pauselli, pilota Tornado nella Guerra del Golfo. E un pezzo di un acerbo giornalista che oggi rifirmerei da cima a fondo...
Era il gennaio 1992. Da un anno la Guerra del Golfo si era consumata. Nel batter d'occhio di poche settimane. Erano bastate alcune incursioni aeree della coalizione alleata - che sotto l'egida dell'Onu aveva attaccato Baghdad capitale dell'Iraq di Saddam, a sua volta protagonista dell'invasione del Kuwait 6 mesi prima - per sbaragliare la famosa "Guardia Nazionale" irachena.
Tra i 16 piloti dei Tornado dell'Aviazione italiana, c'era un eugubino: l'allora tenente colonnello (oggi colonnello) Walter Pauselli.
A 20 anni di distanza ho voluto ascoltare dalle sue parole ricordi, aneddoti e racconti che in parte aveva già esternato ma che in piccola - ma significativa - porzione, aveva forse tenuto per sè. Una chiacchierata, più che un'intervista, su una guerra "anomala" - come lui stesso l'ha definita. Primo perché combattuta in poche settimane, praticamente solo in cielo. Secondo perché l'Italia stessa l'aveva dovuta definire "operazione di polizia internazionale" (escludendo la Costituzione la possibilità per l'esercito italiano di svolgere iniziative belliche che non fossero di difesa del suolo patrio).L'intervista - che andrà in onda stasera nella 13ma puntata di "Link" (giovedì sera 21.15, venerdì 14.30, sabato ore 16 e domenica ore 12) rivela da un lato la straordinaria preparazione tecnica dei piloti di Tornado, la capacità di calarsi in una realtà che non era più virtuale, come lo sono le simulazioni. Ma al tempo stesso la sensibilità con cui affiorano ricordi personali, che trapelano dalle parole di Walter Pauselli: il ricordo dei familiari al telefono, in quei pochi minuti di contatto consentiti dalla linea satellitare americana (allora non esistevano nè cellulari nè tanto meno internet); il rammento delle lacrime di suo padre ("che mi colpirono più di ogni altra cosa" ricorda Pauselli, "perchè lui la guerra l'aveva vissuta da piccolo e perché non ti aspetti che tuo padre, quella persona a cui ti sei sempre aggrappato, possa crollare. Qualcosa non torna, dici a te stesso..."), la necessaria freddezza di fronte alle evenienze che un conflitto comunque può presentare (come la cattura dei colleghi Cocciolone e Bellini, di cui Pauselli venne a sapere la mattina dopo pensando "Cominciamo bene... ma poi andai a fare colazione. Del resto che potevo fare? Dovevamo partire di lì a breve e dovevamo mettere in conto anche questo....). E infine la consapevolezza che il lavoro che si fa non è di quelli che può farti stare tranquillo, soprattutto se poi sfocia in un'esperienza come un evento bellico. Pur restando comunque il sogno cullato da bambino: "Da quando, studente geometri a Gualdo - dice - andavo alle Campestrine, e vedendo con un mio amico passare sulle nostre teste un F104, pur non sapendo che fosse un F104, dissi a me stesso: un giorno salirò su quell'aereo...".
E rovistando anche tra i ricordi personali di una guerra che fu, per me, giornalista in erba, la prima vissuta dal vivo, in diretta tv, con il memorabile collegamento di "Studio aperto" di Emilio Fede (vedi riquadro in fondo al post) in contemporanea con la Cnn dell'inviato Peter Arnett testimone di quell'immagine di Bagdad notturna illuminata dai proiettili color verde tra contraerea e aviazione in arrivo, ho ripescato anche un articolo dal numero di gennaio 1992 di "Gubbio oggi". Per la verità m'interessava una foto (quella di copertina, che è riportata in cima a questo pezzo). Poi è sbucato fuori anche un articolo.
Lo firmava un acerbo Gma, appena 20enne.
Rileggendolo, però, lo sottoscriverei da cima a fondo: pensando a quanta ipocrisia e populismo spesso si consuma in celebrazioni e cerimonie di discutibile profilo, con personaggi che magari hanno poco o nulla a che fare con la nostra città. Dimenticando puntualmente chi invece ha compiuto il proprio dovere, ha messo in gioco anche la propria esistenza, in nome di un ideale che ormai, purtroppo, si sente pulsare (a malapena) solo pochi minuti prima di una partita di calcio... Si chiamava Patria... "Siamo militari, dobbiamo mettere a disposizione la nostra professionalità senza discutere la bontà o meno degli ordini - ha spiegato Pauselli, sempre nell'intervista a TRG - Non sta a noi decidere se un conflitto è giusto o non è giusto. Noi siamo lì per rappresentare il nostro Paese, a prescindere da chi lo governa. Abbiamo fatto un giuramento. Andreotti era Capo del Governo nella Guerra del Golfo, ma poi qualche anno dopo quando andammo in Kosovo, il Governo (D'Alema n.d.r.) era di un altro colore. Per noi non cambiava nulla. Per questo ho grande rispetto dei militari che ancora oggi sono in Afghanistan e in altre parti del mondo a rappresentare il nostro Paese".
Ah, dimenticavo... Il pezzo di "Gubbio oggi". Eccolo di seguito: datato gennaio 1992. Rileggerlo oggi ha qualcosa di antico, nostalgico ma al tempo stesso - nella voglia di guardare avanti, al di là di ogni steccato - di attuale. Mentre andava in stampa questa modesta riflessione, ancora esisteva il muro, c'erano Dc e Pci a dividersi poltrone e potere, rispettivamente a Roma e dalle nostre parti. E uscire con articoli del genere non era, quel che si dice, "seguire l'umore della piazza". Che anzi se poteva, protestava contro quella missione ed etichettava chi osava andare fuori dal "pensiero unico".
Ma se si ha un'idea, se si è convinti di questa, è giusto metterci la firma, la faccia, la coerenza. Perchè al di là di ogni opinione, l'unico modo per cercare di far bene questo mestiere è... sbagliare con la propria testa.
GUBBIO OGGI - gennaio 1992
I reduci dal Golfo, anche quelli che si trovavano negli Emirati Arabi come meccanici, infermieri o ausiliari di guerra, una volta rientrati in Italia sono stati accolti con calore e riconoscimenti dalle autorità cittadine. Ma quelli che hanno veramente conosciuto la guerra sono i 28 equipaggi (piloti e navigatori) dei Tornado italiani. E Walter era tra questi. Si era ad un certo punto ventilata l'ipotesi di una manifestazione con la Banda dell'Aeronautica, poi non se n'è fatto più nulla. Ancora una volta Gubbio (ma in questo caso, tutta l'Umbria) ha brillato per la sua latitanza.
I più impulsivi e faziosi politicanti, forse, ci criticheranno: offuscati e annebbiati dall'ipocrita demagogia, ignorano che dietro una divisa, dentro un Tornado, dietro la stretta di mano di un Presidente della repubblica, c'è un uomo, un eugubino, che ha combattuto in nome del nostro Paese. Ha rischiato la vita, certo professionalmente, ma lo ha fatto. Al ritorno, solo i familiari, gli amici più stretti e qualche associazione (le Famiglie dei Santantoniari e dei Sangiorgiari, il Comitato Albero di Natale) gli hanno fatto omaggio di semplici riconoscimenti. Niente dalla Regione, niente dalla Provincia, nemmeno un "bentornato" dal Comune. Walter è un ragazzo semplice: e con la sua aria bonacciona avrà sorriso a quella indifferenza di protocollo, che è forse l'immagine più chiara di quel "senso civico" e quel "rispetto per i diritti di tutti i cittadini" che i nostri politici tanto hanno enfatizzato nello Statuto Comunale.
"Gubbio oggi" vuole dimostrare, attraverso questa intervista, di non essersi dimenticata di un concittadino, che ha onorato il proprio dovere verso la patria. Un valore che trascende qualsiasi ideologia.
GMA
Da "Studio aperto" 16 gennaio 1991 - annuncio attacchi aerei su Baghdad in diretta
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