"Vota il miglior gol rossoblù": è l'iniziativa, poco più che un gioco, che la redazione sportiva di TRG ha lanciato nell'ultima puntata stagionale di "Fuorigioco" - trasmissione per eccellenza dedicata al Gubbio calcio - per incoronare il gol dell'anno.
Un mix di prodezze balistiche, conclusioni memorabili, epiloghi vittoriosi, di una stagione semplicemente indimenticabile. Che è pure impossibile sintetizzare con un solo gol.
Proprio oggi, con Luigi Lelli pazientemente in sala montaggio, abbiamo cercato di sintetizzare il campionato straordinario dei rossoblù - con un video che sarà proiettato tra poche ore nella Festa Rossoblù in Piazza Grande: è stato praticamente impossibile "stare sotto" i 20 minuti.
E' vero che la sintesi è una delle doti più importanti un giornalista: ma quando si tratta di scrivere. Quando invece si tratta di ricordare, e soprattutto rispolverare le emozioni forti, beh, è un po' dura andare giù di taglio... Come accorciare le maniche ad uno smoking, con un paio di forbici da cucina...
E allora eccola la rassegna dei quindici gol più belli selezionati per il voto dei tifosi (è possibile cliccare sul Forum di http://www.trgmedia.it/ ed esprimere un voto, rivedendo anche i gol uno ad uno), nel montaggio curato da Roberto Minelli e per la parte tecnica da Alessandro Orsini:
http://www.trgmedia.it/playflash.aspx?url=file=../speciali/gol.flv
Si va dalle prime sorprendenti imprese come Gubbio-Verona (con la "perla" di Sandreani ispirata dallo slalom di Galano) o Gubbio-Reggiana (splendido il filtrante del capitano per Juanito Gomez, che gioca di sponda col palo e dedica l'acuto alla sua mamma...), fino alla prodezza balisticamente straordinaria della rovesciata di Paganese-Gubbio - ancora con Gomez, assoluto protagonista anche della fantastica voleè in tandem con Donnarumma nel 3-1 sulla Salernitana. Più che un gol, un passo di danza...
E ancora la sciabolata secca di Donnarumma sul terreno ruvido di Bolzano, o la pennellata su calcio da fermo al "Bentegodi" con l'indimenticabile corsa di Alex verso la curva rossoblù, o l'avvolgente azione di Crema, stile Barcellona, per l'1-1 ancora di Gomez. A proposito di Barcellona - non a caso sede del viaggio premio della squadra nei giorni scorsi: se il gol di Boisfer alla Paganese, l'avesse segnato Iniesta, quanti replay ci saremmo dovuti digerire da mamma Sky?
C'è l'imbarazzo della scelta. Così come, se dovessimo incasellare in una sorta di piramide, la scala di emozioni di questo campionato, sarebbe davvero dura. Su due piedi, non è un gol, ma una parata quella che ricordo come uno dei sussulti più vibranti e significativi di tutta l'annata: il rigore parato da Gegè Lamanna all'Alessandria... Con quello che c'era stato, con quello che aveva subìto... Una pagina di sport e di vissuto degna di una puntata di "Storie"...
martedì 31 maggio 2011
sabato 28 maggio 2011
Dai regali al "San Francesco" al nodo rinnovi e motivazioni... Il Gubbio chiude senza ciliegina: ma la torta rimane...
La ciliegina è mancata. Ma la torta resta lo stesso.
Il Gubbio lascia la stagione più entusiasmante della sua storia centenaria con una sconfitta: al "San Francesco" di Nocera Inferiore esce di nuovo un 1-0 per i rossoneri. Come lo scorso anno, in campionato, allora al 93'. Stavolta però sono ancora maggiori i rimorsi per un risultato bugiardo dopo una prova decisamente convincente per i ragazzi di Torrente. Nonostante avessero già le valigie al check in - destinazione Barcellona - i rossoblù hanno preso subito in mano le redini della gara, dovendo per forza segnare un gol dopo un 1-1 all'andata, giusto sul piano dei meriti, ma beffardo per la dinamica (ancora un gol incassato dai molossi a tempo scaduto).
E' mancata la stoccata, non il coraggio, nè la volontà. A più riprese Galano (palo esterno), Daud e Gomez hanno messo i brividi alla difesa rossonera, scossa dalle folate degli eugubini almeno quanto lo è stata la società campana in settimana per il blitz antidroga nelle cui maglie è finito niente meno che il capitano dei rossoneri (De Liguori).
Poi la gara si è in un certo senso "assestata", Negro (solita spina nel fianco per le difese altrui) ha ricordato a tutti che c'era anche la Nocerina in campo (con una traversa clamorosa), Auteri ha chiesto ai suoi di uscire dalla propria metà campo.
Nella ripresa, proprio quando sembrava che i campani fossero riusciti a contenere la spinta del Gubbio, l'arbitro Borriello - conduzione non impeccabile, con troppi gialli e tutti o quasi, a senso unico - estraeva un rosso ai danni dei padroni di casa. Paradossalmente in 10 contro 11 la Nocerina faceva quadrato, anche se in una delle rare falle difensive, concedeva ad un Gomez straripante (nonostante la convalescenza) il varco giusto, assist al bacio per Bazzoffia che confermava l'ormai leggendaria idiosincrasia con la porta avversaria: "datemi una palla e rovescerò le più basilari leggi del gol", sembra dire l'attaccante di Assisi facendo il verso ad Archimede. Con un teorema che presuppone l'indubbia capacità di Bazzoffia di trovarsi nel posto giusto al momento giusto: salvo, fare poi, puntualmente, la scelta sbagliata.
E pensare che lo stadio si chiamava San Francesco, il buon Daniele è di Assisi, ma indossa la maglia del Gubbio: è mancato il morso del lupo. Quello che è arrivato 10' dopo a firma Castaldo, sfruttando una scivolata di Briganti, unica disattenzione difensiva di tutta la gara. Morale: la Nocerina ha alzato la Coppa, prendendosi meriti anche al di sopra di quanto visto in campo nei secondi 90'.
Peccato, siamo convinti che un gol - quel gol - non solo avrebbe cambiato l'inerzia della gara ma avrebbe fortemente minato le certezze tattiche della squadra di Auteri. Non è stato così e chissà se ci saranno altre occasioni per iscrivere il nome del Gubbio accanto a squadre come Siena, Grosseto, Rimini, Novara...
Non è più tempo di recriminare. Sono i giorni in cui si decide la sorte della triade: un tassello è assicurato - Giammarioli - sugli altri due resta ancora il punto interrogativo. L'auspicio è che la triade resti intatta (il presidente Fioriti ne è convinto). Noi aggiungiamo un pensiero, senza vena polemica: l'importante è non solo che resti, ma che lo faccia con le motivazioni giuste. Quella "fame" e quella spensierata leggerezza che ha contraddistinto il Gubbio delle ultime due stagioni.
Non vorremmo che troppe sirene creaino un effetto "bulimia". O comunque, finiscano per tradurre la scelta rossoblù... in una sorta di ripiego.
Non sarebbe giusto per la squadra, per la tifoseria, per la città... Per quanto fatto in questi due anni "irripetibili"...
Il Gubbio lascia la stagione più entusiasmante della sua storia centenaria con una sconfitta: al "San Francesco" di Nocera Inferiore esce di nuovo un 1-0 per i rossoneri. Come lo scorso anno, in campionato, allora al 93'. Stavolta però sono ancora maggiori i rimorsi per un risultato bugiardo dopo una prova decisamente convincente per i ragazzi di Torrente. Nonostante avessero già le valigie al check in - destinazione Barcellona - i rossoblù hanno preso subito in mano le redini della gara, dovendo per forza segnare un gol dopo un 1-1 all'andata, giusto sul piano dei meriti, ma beffardo per la dinamica (ancora un gol incassato dai molossi a tempo scaduto).
E' mancata la stoccata, non il coraggio, nè la volontà. A più riprese Galano (palo esterno), Daud e Gomez hanno messo i brividi alla difesa rossonera, scossa dalle folate degli eugubini almeno quanto lo è stata la società campana in settimana per il blitz antidroga nelle cui maglie è finito niente meno che il capitano dei rossoneri (De Liguori).
Poi la gara si è in un certo senso "assestata", Negro (solita spina nel fianco per le difese altrui) ha ricordato a tutti che c'era anche la Nocerina in campo (con una traversa clamorosa), Auteri ha chiesto ai suoi di uscire dalla propria metà campo.
Nella ripresa, proprio quando sembrava che i campani fossero riusciti a contenere la spinta del Gubbio, l'arbitro Borriello - conduzione non impeccabile, con troppi gialli e tutti o quasi, a senso unico - estraeva un rosso ai danni dei padroni di casa. Paradossalmente in 10 contro 11 la Nocerina faceva quadrato, anche se in una delle rare falle difensive, concedeva ad un Gomez straripante (nonostante la convalescenza) il varco giusto, assist al bacio per Bazzoffia che confermava l'ormai leggendaria idiosincrasia con la porta avversaria: "datemi una palla e rovescerò le più basilari leggi del gol", sembra dire l'attaccante di Assisi facendo il verso ad Archimede. Con un teorema che presuppone l'indubbia capacità di Bazzoffia di trovarsi nel posto giusto al momento giusto: salvo, fare poi, puntualmente, la scelta sbagliata.
E pensare che lo stadio si chiamava San Francesco, il buon Daniele è di Assisi, ma indossa la maglia del Gubbio: è mancato il morso del lupo. Quello che è arrivato 10' dopo a firma Castaldo, sfruttando una scivolata di Briganti, unica disattenzione difensiva di tutta la gara. Morale: la Nocerina ha alzato la Coppa, prendendosi meriti anche al di sopra di quanto visto in campo nei secondi 90'.
Peccato, siamo convinti che un gol - quel gol - non solo avrebbe cambiato l'inerzia della gara ma avrebbe fortemente minato le certezze tattiche della squadra di Auteri. Non è stato così e chissà se ci saranno altre occasioni per iscrivere il nome del Gubbio accanto a squadre come Siena, Grosseto, Rimini, Novara...
Non è più tempo di recriminare. Sono i giorni in cui si decide la sorte della triade: un tassello è assicurato - Giammarioli - sugli altri due resta ancora il punto interrogativo. L'auspicio è che la triade resti intatta (il presidente Fioriti ne è convinto). Noi aggiungiamo un pensiero, senza vena polemica: l'importante è non solo che resti, ma che lo faccia con le motivazioni giuste. Quella "fame" e quella spensierata leggerezza che ha contraddistinto il Gubbio delle ultime due stagioni.
Non vorremmo che troppe sirene creaino un effetto "bulimia". O comunque, finiscano per tradurre la scelta rossoblù... in una sorta di ripiego.
Non sarebbe giusto per la squadra, per la tifoseria, per la città... Per quanto fatto in questi due anni "irripetibili"...
venerdì 27 maggio 2011
"Quel vecchio di 40 anni..."... è qui...
Quando ero piccolo le persone di 40 anni mi sembravano vecchie. "Quel vecchio di 40 anni" dicevamo noi liceali... In genere i quarantenni erano già sposati, avevano qualche capello bianco (gli uomini), la pancetta, leggevano sempre il giornale o guardavano il tg, parlavano solo di politica o di calcio, l'unico sport che potevano ancora sostenere (a parte le carte) era il tennis - mio padre fa eccezione, visto che continua ancora oggi ad oltre 70 anni. Non andavano in discoteca (semmai in qualche balera), non facevano più il corso, era più facile trovarli al supermercato il sabato pomeriggio che a spasso il sabato sera.
Le vedevo insomma attempate, con molte rughe, giacche abbondanti, a quadretti un po' tristi, sigaretta in bocca, un modo di camminare quasi claudicante. E in generale, un andamento di quelli che ti fanno capire, quasi, che la parte migliore della tua vita sia già alle spalle.
A quarant'anni pensavo che la vita di una persona dovesse essere incasellata nella metodica quotidianità. O in un ciclico calendario di appuntamenti - dicembre/Natale, estate/vacanze - che non si schiodano ormai più.
40 anni. A dirla così sembrava un limite, più che una tappa. Una gabbia, più che una data anagrafica. Ma quando pensavo tutto questo, di anni, ne avevo meno della metà.
Finchè non è arrivata Carol Alt, fine anni Ottanta, che recitava i suoi "primi 40 anni", come fosse una teen agers. Quel film, e soprattutto quell'attrice, mi davano qualche speranza...
Oggi? Sono 40 per davvero. A parlarne così dovrebbe sembrare che ti cambi la vita. Che superi una soglia particolare, un traguardo speciale. Magari non lo è.
Forse va a finire che cambia solo la prima cifra della tua età (erano 10 anni che non succedeva), e le quattro lettere finali (i famosi "anta"). Qualche pacca sulla spalla, gli auguri, un brindisi. E tutto torna come prima.
Pieraccioni diceva che i giorni che ti cambiano la vita sono 4-5. Tutto il resto "fa volume". E, aggiungo io, difficilmente quei 4-5 sono dei compleanni.
Una curiosa coincidenza - tutta politica e tutta eugubina - è legata a questa data, 27 maggio: 10 anni fa vinceva le elezioni Orfeo Goracci; oggi si è insediato ufficialmente il suo successore. In tutto questo il mio compleanno ci sta per caso (e io pure) anche se, da questo punto di vista, dieci anni sono stati piuttosto lunghi... e tormentati... Ma di questo magari ne parleremo in un altro post.
L'augurio che mi faccio? E' scontato parlare di salute, benessere, felicità.... Parole.
Finchè non capisci che basta rientrare a casa, vedere tuo figlio che ti corre incontro per abbracciarti, o magari ti sorride dal divano mentre guarda un imperdibile cartone e comincia a raccontarti della sua giornata a scuola o all'asilo: e allora quelle parole - salute, benessere, felicità - cominciano ad avere un senso.
L'augurio - al di là di ciò che è fondamentale - può essere anche più banale. Di continuare questo blog. Giusto per raccontare e raccontarsi un po' più spontaneamente di come il piccolo schermo o le altre faccende mediatiche in cui ti trovi incasinato, ti consentono. Una questione di clichè. O forse di volontà interiore...
L'augurio vero è di continuare ad emozionarmi. Ogni giorno, anche per le cose più semplici. Che spesso (quasi sempre) sono le più vere. Le più "profumate"...
Quelle a cui non pensi quando apri un'agenda, guardi le chiamate perse di un cellulare, sali in macchina con la testa agli impegni della giornata, vai ad un appuntamento, apri la posta elettronica, conduci una trasmissione o sfogli un giornale.
Ecco, ad esempio: una passeggiata al parco del Teatro Romano.
Finisco giusto di scrivere queste stupide righe, per andare là. Stacco tutto.
Mi aspettano Giovi e Vittoria. Ho bisogno di altro?
Non credo... Anzi, penso proprio che i 40 anni siano già fantastici...
Le vedevo insomma attempate, con molte rughe, giacche abbondanti, a quadretti un po' tristi, sigaretta in bocca, un modo di camminare quasi claudicante. E in generale, un andamento di quelli che ti fanno capire, quasi, che la parte migliore della tua vita sia già alle spalle.
A quarant'anni pensavo che la vita di una persona dovesse essere incasellata nella metodica quotidianità. O in un ciclico calendario di appuntamenti - dicembre/Natale, estate/vacanze - che non si schiodano ormai più.
40 anni. A dirla così sembrava un limite, più che una tappa. Una gabbia, più che una data anagrafica. Ma quando pensavo tutto questo, di anni, ne avevo meno della metà.
Finchè non è arrivata Carol Alt, fine anni Ottanta, che recitava i suoi "primi 40 anni", come fosse una teen agers. Quel film, e soprattutto quell'attrice, mi davano qualche speranza...
Oggi? Sono 40 per davvero. A parlarne così dovrebbe sembrare che ti cambi la vita. Che superi una soglia particolare, un traguardo speciale. Magari non lo è.
Forse va a finire che cambia solo la prima cifra della tua età (erano 10 anni che non succedeva), e le quattro lettere finali (i famosi "anta"). Qualche pacca sulla spalla, gli auguri, un brindisi. E tutto torna come prima.
Pieraccioni diceva che i giorni che ti cambiano la vita sono 4-5. Tutto il resto "fa volume". E, aggiungo io, difficilmente quei 4-5 sono dei compleanni.
Una curiosa coincidenza - tutta politica e tutta eugubina - è legata a questa data, 27 maggio: 10 anni fa vinceva le elezioni Orfeo Goracci; oggi si è insediato ufficialmente il suo successore. In tutto questo il mio compleanno ci sta per caso (e io pure) anche se, da questo punto di vista, dieci anni sono stati piuttosto lunghi... e tormentati... Ma di questo magari ne parleremo in un altro post.
L'augurio che mi faccio? E' scontato parlare di salute, benessere, felicità.... Parole.
Finchè non capisci che basta rientrare a casa, vedere tuo figlio che ti corre incontro per abbracciarti, o magari ti sorride dal divano mentre guarda un imperdibile cartone e comincia a raccontarti della sua giornata a scuola o all'asilo: e allora quelle parole - salute, benessere, felicità - cominciano ad avere un senso.
L'augurio - al di là di ciò che è fondamentale - può essere anche più banale. Di continuare questo blog. Giusto per raccontare e raccontarsi un po' più spontaneamente di come il piccolo schermo o le altre faccende mediatiche in cui ti trovi incasinato, ti consentono. Una questione di clichè. O forse di volontà interiore...
L'augurio vero è di continuare ad emozionarmi. Ogni giorno, anche per le cose più semplici. Che spesso (quasi sempre) sono le più vere. Le più "profumate"...
Quelle a cui non pensi quando apri un'agenda, guardi le chiamate perse di un cellulare, sali in macchina con la testa agli impegni della giornata, vai ad un appuntamento, apri la posta elettronica, conduci una trasmissione o sfogli un giornale.
Ecco, ad esempio: una passeggiata al parco del Teatro Romano.
Finisco giusto di scrivere queste stupide righe, per andare là. Stacco tutto.
Mi aspettano Giovi e Vittoria. Ho bisogno di altro?
Non credo... Anzi, penso proprio che i 40 anni siano già fantastici...
giovedì 26 maggio 2011
Al di là di un premio... al di là delle emozioni...
"One lovely blog award". Scritta così sembra uno di quei riconoscimenti, sotto forma di statuette dorate, che ti consegnano in mezzo ad un palco, tra riflettori e paillettes, con una stangona che regge una busta, un attore ingellato e pomatato che la apre, e qualcuno che pronuncia "The winner is...".
E' un regalo, invece, che mi arriva da un'amica speciale. Una di quelle persone che anche se non ci parli, non ti vedi, non la senti, sai che c'è.
E non solo perché magari ti segue e ti legge (e viceversa) in modo virtuale (cioè via pc).
Il premio è per il blog. Anche se non credo di meritarlo. Però mi fa piacere. Già in un'altra circostanza le ho detto grazie. Ribadirlo è pleonastico, perché senza la sua consulenza non avrei saputo nemmeno come si apre blogspot - per non parlare di inserire foto o filmati... L'uomo di Neanderthal della tastiera ha imparato ad accendere il fuoco: non male, per chi era abituato a minestre fredde.
Poi magari t'accorgi che era tutto semplice (per la serie: "Da quando ho imparato che il vocabolario è in ordine alfabetico, me trovo 'n sacco meglio..."). Ci voleva però chi te lo spiegasse...
E - mi ricorda la protagonista del premio che - come tutti i premi che si rispettino, anche questo ha le sue regole! Eccole qua:
"Linkare chi ci ha premiati" (già fatto - La Toni, thanks a lot)
"Premiare e avvisare a nostra volta altri 15 blogger" (dovrò trovare il tempo, ma mi ci impegno - specie ora che ho messo alle spalle il mese più ingolfato degli ultimi 24...)
"Elencare 7 cose che parlano di me".
Se è per questo, ne elenco un vagone. Quelle che preferisco, quelle che - facendo mente locale - mi fanno impazzire: ad esempio?
il pomeriggio di sole di fine primavera (o inizio autunno). Il profumo del gelsomino. Il sabato (non sera). Il vento che ti entra nella camicia sbottonata mentre vai in scooter (l'ho risentito proprio oggi, col primo vero caldo). La lirica (Puccini, Verdi, o come la scorsa settimana, Donizetti). Sciare tra i boschi della Val Gardena. Sdraiarmi sull'erba e dormire di pomeriggio (mi riesce solo pochi giorni ogni decennio). Il calcio (giocato, guardato, o tutte e due quando non ti passano la palla manco a morsi). Andare in bici sulla pista ciclabile tra Alba e Giulianova. La pasta alla chitarra al dente, pomodoro e basilico. I programmi tv di Gianni Minoli. La costiera amalfitana (su tutto il balcone di Ravello). Il contatto epidermico con i giornali (quando sono il primo a leggerli, mattina presto). L'odore della taverna. Lo sguardo (misterioso) di una donna che non conosci. Gli ultimi secondi di sigla prima di andare in diretta (in genere, la luce rossa che si accende sulla telecamere). Il rumore della neve mentre la calpesti. Il crodino. I Ray Ban a goccia. Le 6 meno cinque. La crema di limoncello della sora Sandra. I libri di Fabio Volo. Il materasso di lattice (scoperta recente). Le cravatte a tinta unita. Il profumo di Abercrombie e Fitch. La mortadella a tocchetti.
E - cosa che ho apprezzato negli ultimi 18 mesi - farsi un blog...
Anche perché, tutto ciò che mi emoziona, in fondo parla di me...
A presto...
P.S. Ho volutamente escluso dall'elenco vorticoso e prorompente, la family... Per non confondere il piacere del quotidiano... dall'essenzialità...
E' un regalo, invece, che mi arriva da un'amica speciale. Una di quelle persone che anche se non ci parli, non ti vedi, non la senti, sai che c'è.
E non solo perché magari ti segue e ti legge (e viceversa) in modo virtuale (cioè via pc).
Il premio è per il blog. Anche se non credo di meritarlo. Però mi fa piacere. Già in un'altra circostanza le ho detto grazie. Ribadirlo è pleonastico, perché senza la sua consulenza non avrei saputo nemmeno come si apre blogspot - per non parlare di inserire foto o filmati... L'uomo di Neanderthal della tastiera ha imparato ad accendere il fuoco: non male, per chi era abituato a minestre fredde.
Poi magari t'accorgi che era tutto semplice (per la serie: "Da quando ho imparato che il vocabolario è in ordine alfabetico, me trovo 'n sacco meglio..."). Ci voleva però chi te lo spiegasse...
E - mi ricorda la protagonista del premio che - come tutti i premi che si rispettino, anche questo ha le sue regole! Eccole qua:
"Linkare chi ci ha premiati" (già fatto - La Toni, thanks a lot)
"Premiare e avvisare a nostra volta altri 15 blogger" (dovrò trovare il tempo, ma mi ci impegno - specie ora che ho messo alle spalle il mese più ingolfato degli ultimi 24...)
"Elencare 7 cose che parlano di me".
Se è per questo, ne elenco un vagone. Quelle che preferisco, quelle che - facendo mente locale - mi fanno impazzire: ad esempio?
il pomeriggio di sole di fine primavera (o inizio autunno). Il profumo del gelsomino. Il sabato (non sera). Il vento che ti entra nella camicia sbottonata mentre vai in scooter (l'ho risentito proprio oggi, col primo vero caldo). La lirica (Puccini, Verdi, o come la scorsa settimana, Donizetti). Sciare tra i boschi della Val Gardena. Sdraiarmi sull'erba e dormire di pomeriggio (mi riesce solo pochi giorni ogni decennio). Il calcio (giocato, guardato, o tutte e due quando non ti passano la palla manco a morsi). Andare in bici sulla pista ciclabile tra Alba e Giulianova. La pasta alla chitarra al dente, pomodoro e basilico. I programmi tv di Gianni Minoli. La costiera amalfitana (su tutto il balcone di Ravello). Il contatto epidermico con i giornali (quando sono il primo a leggerli, mattina presto). L'odore della taverna. Lo sguardo (misterioso) di una donna che non conosci. Gli ultimi secondi di sigla prima di andare in diretta (in genere, la luce rossa che si accende sulla telecamere). Il rumore della neve mentre la calpesti. Il crodino. I Ray Ban a goccia. Le 6 meno cinque. La crema di limoncello della sora Sandra. I libri di Fabio Volo. Il materasso di lattice (scoperta recente). Le cravatte a tinta unita. Il profumo di Abercrombie e Fitch. La mortadella a tocchetti.
E - cosa che ho apprezzato negli ultimi 18 mesi - farsi un blog...
Anche perché, tutto ciò che mi emoziona, in fondo parla di me...
A presto...
P.S. Ho volutamente escluso dall'elenco vorticoso e prorompente, la family... Per non confondere il piacere del quotidiano... dall'essenzialità...
sabato 21 maggio 2011
Gubbio-Nocerina: antipasto di B. Un po' indigesto... ma il dolce potrebbe ancora arrivare...
Un antipasto di serie B. Nel giorno, nell'orario e anche nell'avversario. La Nocerina ha impressionato. Una squadra che, come il Gubbio, ha dominato il proprio girone, ha vinto il campionato da 3 settimane - dopo averlo ipotecato già da marzo - e che al "Barbetti" ha sciorinato un gioco dalla fluidità e dall'efficacia degna delle grandi squadre, già pronte al salto di categoria.
Un sabato diverso dal solito, dove le due regine di Legapro hanno onorato l'impegno di Supercoppa con una prestazione che non richiedeva stimoli ma che poteva restare vittima di qualche scoria di fine stagione. Invece no, partita intensa, ritmi sostenuti - anche considerando la temperatura pre-estiva - e occasioni a go go.
Supremazia territoriale tangibile da parte dell'undici di Auteri (quasi il 70% di possesso palla nel primo tempo) ma le statistiche da sole non bastano a far vincere una squadra.
Ed è così che il Gubbio di Torrente - costretto a pagare dazio per le assenze di Caracciolo, Farina e soprattutto Gomez - ha stretto i denti, ha serrato le fila, ha fatto delle proprie virtù (compattezza, distanze corte e grande solidità difensiva) un primo scudo contro gli affondi rossoneri, puntando a colpire quando l'occasione lo consentiva, tra una sfuriata di Bazzoffia e una stoccata di Daud.
Tanto per cambiare è stato ancora una volta "Dado" magico ad estrarre dal cilindro il colpo di teatro, con un fendente che ha piegato le mani a Gori, favorito da un rimpallo del vivace Montefusco (un giocatore che a dispetto dei pochi minuti goduti, ha sempre risposto con grande prontezza).
Ed è così che basta una partita come Gubbio-Nocerina per farci capire la vera essenza della squadra rossoblù: la capacità di stringere i denti, anche di fronte ad avversari apparentemente superiori, lo spessore granitico di una difesa sostenuta da un Lamanna da serie A titolare (altro che portieri portoghesi, caro Preziosi), da un tandem centrale Borghese-Briganti che potrebbe tranquillamente restare intatto anche nella serie cadetta, e da un filtro di centrocampo sempre costante e robusto.
Il Gubbio non ha sopraffatto la Nocerina, ma ha tenuto botta e quando ha potuto ha colpito: quando la lancetta del cronometro girava il terz'ultimo minuto di gara, i rossoblù vincevano 1-0 e avevano nel frattempo legittimato il vantaggio sfiorando il raddoppio. Non un copione casuale, quest'anno è accaduto spesso. Ma non è neanche pura fortuna, è anzi un sintomo di forza vera. Saper tradurre in valore aggiunto anche le situazioni di difficoltà.
La sfortuna, piuttosto, è trovarsi un calcio di punizione dal limite inesistente al 48' della ripresa e un carneade (tale Marsili, con un cognome così familiare da far rabbia) che scaraventa il pallone dove neppure il miglior Lamanna di stagione non può arrivare.
Un pareggio pesante e beffardo. Ma la sfida è fatta di 180'. A Nocera serve un'impresa: forse rientra Gomez ma non ci sarà Sandreani squalificato. A proposito, che senso ha in Supercoppa mantenere validi i gialli di campionato, quando invece si azzerano per play off e play out? Ennesimo inquietante interrogativo degli incomprensibili regolamenti Legapro.
Inutile perfino arrabbiarsi, l'importante è abbandonare al più presto questa categoria e i suoi assurdi regolamenti: l'ultima uscita però potrebbe ancora riservare emozioni.
Saremo idealisti, ma noi crediamo che la squadra rossoblù ha ancora energie e numeri per regalare sorprese. Fino all'ultimo. In fondo sognare non costa nulla. Noi lo facciamo più o meno da dicembre.
E non dite che i sogni, anche più impensabili, non si avverano...
Da copertina "Fuorigioco" del 25.5.2011
"Living on my own" - Freddy Mercury - 1993
Un sabato diverso dal solito, dove le due regine di Legapro hanno onorato l'impegno di Supercoppa con una prestazione che non richiedeva stimoli ma che poteva restare vittima di qualche scoria di fine stagione. Invece no, partita intensa, ritmi sostenuti - anche considerando la temperatura pre-estiva - e occasioni a go go.
Supremazia territoriale tangibile da parte dell'undici di Auteri (quasi il 70% di possesso palla nel primo tempo) ma le statistiche da sole non bastano a far vincere una squadra.
Ed è così che il Gubbio di Torrente - costretto a pagare dazio per le assenze di Caracciolo, Farina e soprattutto Gomez - ha stretto i denti, ha serrato le fila, ha fatto delle proprie virtù (compattezza, distanze corte e grande solidità difensiva) un primo scudo contro gli affondi rossoneri, puntando a colpire quando l'occasione lo consentiva, tra una sfuriata di Bazzoffia e una stoccata di Daud.
Tanto per cambiare è stato ancora una volta "Dado" magico ad estrarre dal cilindro il colpo di teatro, con un fendente che ha piegato le mani a Gori, favorito da un rimpallo del vivace Montefusco (un giocatore che a dispetto dei pochi minuti goduti, ha sempre risposto con grande prontezza).
Ed è così che basta una partita come Gubbio-Nocerina per farci capire la vera essenza della squadra rossoblù: la capacità di stringere i denti, anche di fronte ad avversari apparentemente superiori, lo spessore granitico di una difesa sostenuta da un Lamanna da serie A titolare (altro che portieri portoghesi, caro Preziosi), da un tandem centrale Borghese-Briganti che potrebbe tranquillamente restare intatto anche nella serie cadetta, e da un filtro di centrocampo sempre costante e robusto.
Il Gubbio non ha sopraffatto la Nocerina, ma ha tenuto botta e quando ha potuto ha colpito: quando la lancetta del cronometro girava il terz'ultimo minuto di gara, i rossoblù vincevano 1-0 e avevano nel frattempo legittimato il vantaggio sfiorando il raddoppio. Non un copione casuale, quest'anno è accaduto spesso. Ma non è neanche pura fortuna, è anzi un sintomo di forza vera. Saper tradurre in valore aggiunto anche le situazioni di difficoltà.
La sfortuna, piuttosto, è trovarsi un calcio di punizione dal limite inesistente al 48' della ripresa e un carneade (tale Marsili, con un cognome così familiare da far rabbia) che scaraventa il pallone dove neppure il miglior Lamanna di stagione non può arrivare.
Un pareggio pesante e beffardo. Ma la sfida è fatta di 180'. A Nocera serve un'impresa: forse rientra Gomez ma non ci sarà Sandreani squalificato. A proposito, che senso ha in Supercoppa mantenere validi i gialli di campionato, quando invece si azzerano per play off e play out? Ennesimo inquietante interrogativo degli incomprensibili regolamenti Legapro.
Inutile perfino arrabbiarsi, l'importante è abbandonare al più presto questa categoria e i suoi assurdi regolamenti: l'ultima uscita però potrebbe ancora riservare emozioni.
Saremo idealisti, ma noi crediamo che la squadra rossoblù ha ancora energie e numeri per regalare sorprese. Fino all'ultimo. In fondo sognare non costa nulla. Noi lo facciamo più o meno da dicembre.
E non dite che i sogni, anche più impensabili, non si avverano...
Da copertina "Fuorigioco" del 25.5.2011
"Living on my own" - Freddy Mercury - 1993
giovedì 19 maggio 2011
La scelta di Giammarioli: cuore (rossoblù) ma anche saggezza e umiltà...
Con Eranio al "Barbetti" - foto M.Signoretti |
Parole accorate, spontanee e sincere quelle di Stefano Giammarioli, 45 anni, direttore sportivo del Gubbio, protagonista del doppio salto dei rossoblù dalla C2 alla B in due anni e negli ultimi giorni in odore di "salto di categoria" ulteriore. Nessun mistero sul corteggiamento importante di patron Zamparini che a Palermo avrebbe voluto la triade eugubina capace di un miracolo sportivo sotto gli occhi di tutti (oltre a Giammarioli, il dt Simoni e il trainer Torrente). Morale, il primo tassello della triade resta - almeno per quest'anno - alla casa madre.
"Ringrazio pubblicamente Zamparini per la fiducia che mi ha dimostrato, ma ho fatto una scelta diversa, perché voglio ancora specializzarmi, devo imparare tanto in questo ruolo, la serie B è già un bel salto in avanti per me". Il ruolo cui sarebbe stato destinato in rosanero Giammarioli era di più ampio respiro: "Ho conosciuto un personaggio di un livello altissimo - confida Giammarioli, sempre con riferimento al numero uno del Palermo - Ma la proposta, molto importante, richiedeva esperienza che al momento devo ancora maturare. Sono una persona che fa il passo secondo la gamba. Ora il mio obiettivo è crescere ancora con il Gubbio. Magari insieme alle persone con cui abbiamo vinto tanto in queste due stagioni".
Riferimento neanche tanto nascosto a Simoni e Torrente con cui spera di continuare a lavorare: "Si saprà tutto entro giovedì prossimo" (giorno della gara di ritorno di Supercoppa con la Nocerina). Del resto Giammarioli aveva rinnovato l'accordo con l'As Gubbio 1910 proprio due settimane fa, con l'unica condizione di potersi liberare se fosse giunta una proposta irrinunciabile dai quartieri alti della A. Cosa che puntualmente è avvenuta - appunto da Palermo - ma l'ex attaccante rossoblù, ora manager del Gubbio, ha compiuto una scelta di cuore prima che di carriera (e portafoglio).
La triade rossoblù - foto M.Signoretti |
Lo stesso tecnico Vincenzo Torrente a questo punto sembra essere meno lontano dalla riconferma. Restano valide le offerte da Livorno (in attesa di vedere come andrà il campionato) e Sassuolo, ma l'impressione è che solo una maxi offerta dalla B (e ovviamente dalla A) porterà lontano dallo stadio "Barbetti" il tecnico di Cetara, genovese d'adozione. Che in questi giorni starà forse già pensando al suo personalissimo derby contro la Samp. Da disputare magari alla guida di una squadra tutta rossoblù - per di più con una tifoseria recentemente gemellata proprio con quella genoana.
In attesa di sapere se la triade eugubina resterà intatta, Giammarioli continua a lavorare sul mercato: "Notte e giorno ormai da un mese - conferma il diesse eugubino - da qualche giorno mi sono bloccato per le novità da Palermo, ma ora sono ripartito con più stimoli di prima. Fa piacere constatare che il lavoro fatto è stato apprezzato: ed ora si riparte per una serie B che da sola vale come stimolo straordinario".
Con quali obiettivi? Giammarioli non si nasconde: "Credo che anche quest'anno proveremo a giocarcela sempre e con tutti. E' stato il nostro marchio di fabbrica dall'arrivo di Torrente".
Primi tasselli del puzzle eugubino, le riconferme: "Il presidente Fioriti sa che al momento della firma le condizioni che ho chiesto erano la permanenza di Briganti, Sandreani, Boisfer, Farina e Bartolucci, l'ossatura su cui costruire la squadra, i "vecchietti" fondamentali per il nostro spogliatoio. Ora stiamo lavorando soprattutto sul fronte offensivo. Posso dire solo che ci saranno molti volti nuovi".
Una scelta, quella di Stefano Giammarioli, che da sola basta a raccontare il personaggio. La consapevolezza di aver fatto tanto ma anche l'umiltà di capire che la strada resta lunga: che si impara da ogni interlocutore e da ogni circostanza - specie quelle meno favorevoli.
Il calcio è sì una meteora che spesso aleatoriamente offre occasioni irripetibili. Ma è anche un cammino lungo nel quale competenza e professionalità sono doti che debbono premiare.
Altri treni forse passeranno in futuro per il ds eugubino: ma la sua scelta, la fedeltà alla società rossoblù in un momento storico (e topico) della sua storia, è un sigillo sulle qualità umane e tecniche del personaggio. Che ha già dimostrato. Ma che sa di poter continuare a realizzare nel modo più appassionato: con la sua squadra...
martedì 17 maggio 2011
Un 15 maggio gravido di emozioni, ricordi... e coincidenze beffarde
Sembra già passato un secolo. Eppure sono poco più di 48 ore. La Festa dei Ceri 2011 è alle spalle. Con la sua umidità, il suo consumarsi rapido e impercettibile. Con quel senso dell'immenso - cullato nei giorni precedenti - che in realtà scivola via, col passare delle ore. Come sabbia. E con l'ansia che sembra quasi passare il testimone alla nostalgia, a fasi alterne.
Non indosso orologio, non porto con me cellulare, non ho nulla di tecnologico addosso, il 15 maggio. Per scelta, per volontà. E anche per rispetto di questo giorno. Fuori dal resto dell'anno. Fuori dal banale.
E come ogni 15 maggio, anche il 2011 di banale e di scontato non ha avuto nulla. Soprattutto un aspetto, quasi paradossale, che ha attraversato, sottile, molte vicende - tra loro distanti e differenti - in questa giornata. Un filo beffardo che, pensandoci su e riassaporando alcuni momenti del giorno dei Ceri, accomuna "protagonisti" e "vittime" di un destino travestito da joker. Ma senza fez, fusciacca e fazzoletto...
Il primo aspetto è il meteo. Negli ultimi 15 giorni una sola volta ha piovuto copiosamente e ininterrottamente per quasi 4 ore di fila: dalle 13 alle 18.30 del 15 maggio. Avessimo organizzato una "trappola" con Giove Pluvio, non ci sarebbe riuscita così bene. La pioggia e il maltempo fanno parte della Festa dei Ceri: negli anni '50 e '60 andava in voga un detto: "Se non piove, gli eugubini trovano il modo di far piovere acqua dalle finestre". Poi per 20 anni, dal mitico 1989, il sole ha quasi sempre dominato. E comunque di pioggia copiosa non se n'è vista da queste parti il 15 maggio. Da due anni invece abbiamo dovuto farci i conti.
Cosa cambia? Poco o niente. Se non che ti ritrovi a 40 anni a farti domande che mai ti eri più posto dai tempi in cui ancora "si puzzava di mezzano": che scarpe mettere, una doccia calda prima della corsa del pomeriggio, dov'è il kee way (quello rigorosamente nero, perché di indossare un colore diverso neanche sotto tortura...) e magari un cappello di quelli da pescatore, mai indossati prima. E soprattutto, ce la faremo a stare in piedi?
Quesito quest'ultimo ancora più pressante per chi si trova (o meglio, ha la fortuna di essere) punta davanti sulle birate: Piazza Grande anche quest'anno era una pista di pattinaggio mascherata. Non si trattava solo di reggere il peso del cero, buttare dentro la "muta" (compito della punta esterna) e correre, ma la priorità diventava un'altra: fare tutto questo, restando in piedi. Non mi dimenticherò mai la sensazione di entrare in Piazza, cero in spalla, ad un metro da San Giorgio e sentire dentro che ogni paura covata fino ad un minuto prima, era dissolta. M'è tornata per un istante in mente la frase del "Verro" (Guerrino Mischianti, capodieci di Sant'Ubaldo nel 1996) che nel descrivere la sua Callata mi ha detto: "Non mi sentivo le gambe, poi una volta partito sarei arrivato anche a Mocaiana".
L'ebbrezza della spallata è qualcosa di unico. Provarla poi con ceraioli cresciuti con te, con cui a 40 anni prendi il cero per la prima volta insieme (quest'anno, Chico Farneti) è appagante. Ben oltre le difficoltà oggettive (e beffarde) di una giornata incredibile...
Il secondo tassello beffardo, di questo 15 maggio, è proprio in Piazza Grande: o meglio, all'uscita. A pochi metri dalla celebre caduta "dei Colonnelli" (in quel 1971 che aveva visto capodieci Mario "de Pinzaja") il destino si diverte a disegnare la sua trama maligna: una nuova caduta nell'anno in cui suo figlio, Roberto, rompe la brocca. Allora, di nuovo, c'era proprio la piazza. Stavolta i santi ed i ceri restaurati. E la beffa nella beffa è che in un anno in cui Sant'Antonio non aveva brillato nella corsa fino a quel momento, proprio le "birate" erano state il momento più esaltante: mi resterà sempre impresso il sorriso soddisfatto e quasi stupito di Federico Ragni, capodieci santantoniaro del 1999, mentre i ceri stavano uscendo dalla piazza, che guardandomi, agitava le braccia come per dire "che capolavoro". Peccato che il capolavoro avrebbe resistito pochi altri secondi...
Di Roberto e Mario questa giornata suggella comunque un flash indimenticabile: poco prima dell'alzata il figlio lascia al padre la mazzetta per incavijare il cero alla barella. Un istante che da solo potrebbe "spiegare" la Festa dei Ceri. E per chi non lo trovasse sufficiente, allora non basterebbe un'intera Treccani...
La beffa più atroce, sotto questo profilo, ha come sue vittime sacrificali i ceraioli di San Giorgio. E in particolare il loro capodieci, Vittorio Fiorucci: dopo una corsa che rasenta la perfezione, difficile per la pioggia e la strada viscida, in alcuni tratti anche a rischio per imprevedibili accidentalità (è già celebre l'energumeno a dorso nudo che ha affiancato il cero all'altezza della piazza di S.Antonio ed è stato allontanato e placato con le maniere "risolute e convincenti"), la caduta arriva a pochi metri dalla Basilica, a due passi dal cero di Sant'Ubaldo, e per colpa di un ceraiolo santubaldaro, poi scoperto addirittura vicino di casa del capodieci. L'apoteosi dell'ingiustizia. I maestri della tragedia greca non avrebbero saputo fare meglio.
E in un momento di concitata delusione, mista a rabbia e inquietudine - uno di quei frangenti in cui il sangue bolle come l'acqua in pentola, e l'unico modo per trovare quiete potrebbe essere una sana e sonora "scazzottata" - non dimenticherò l'immagine di Peppe Fiorucci, il fratello del capodieci - visibilmente affranto - che sale in modo veemente sulla barella, lo abbraccia e urla a squarciagola "Viva San Giorgio!".
Una lezione di passione ceraiola, di amore vero, di autenticità allo stato cristallino. Per tutti noi.
L'ultimo elemento che una sorta di "beffa fatale" resterà legato a questa edizione della Festa dei Ceri, riguarda proprio loro: i Ceri. Riportati a nuovo, o meglio ad originario splendore. E poi, dopo neanche metà corsa, ritrovati malconci per evidenti scoloriture dovute, certamente, per l'azione della pioggia e del freddo di una giornata che era tutto fuorché primaverile.
Ero ad attendere il via delle birate. Alle prese con quei magoni che sono patologia tipica e non curabile per ogni ceraiolo nelle sue "sei meno cinque" - ovunque esse siano, e a qualunque ora arrivino. Scorgere, quasi distrattamente, gli ornamenti del prisma ligneo di Sant'Antonio, solcati da una sorta di scolatura giallognola è stata una pugnalata alle spalle. Per un attimo ho pensato al lavoro straordinario, certosino e infaticabile che le restauratrici eugubine avevano effettuato per mesi e mesi su quelle tele. Ho immaginato i commenti "del giorno dopo" - immancabili, e per lo più esternati da non addetti ai lavori, e per sentito dire - ho pensato a quante polemiche avrebbe suscitato tutto questo. Poi, dentro di me, mi sono detto che era il caso di concentrarsi sulla girata. Su quelle camicie azzurre davanti a me (amici, fino a qualche istante prima), su quella piazza insidiosa e viscida, come quella stanga nuova di zecca e ancora rigida e poco vissuta.
Ho guardato "Mascio" (al secolo Luca Mascelli), il mio braccere, ho messo da parte beffe, scolature e pensieri, e gli ho detto: "Sinistro avanti..."...
Non indosso orologio, non porto con me cellulare, non ho nulla di tecnologico addosso, il 15 maggio. Per scelta, per volontà. E anche per rispetto di questo giorno. Fuori dal resto dell'anno. Fuori dal banale.
E come ogni 15 maggio, anche il 2011 di banale e di scontato non ha avuto nulla. Soprattutto un aspetto, quasi paradossale, che ha attraversato, sottile, molte vicende - tra loro distanti e differenti - in questa giornata. Un filo beffardo che, pensandoci su e riassaporando alcuni momenti del giorno dei Ceri, accomuna "protagonisti" e "vittime" di un destino travestito da joker. Ma senza fez, fusciacca e fazzoletto...
Il primo aspetto è il meteo. Negli ultimi 15 giorni una sola volta ha piovuto copiosamente e ininterrottamente per quasi 4 ore di fila: dalle 13 alle 18.30 del 15 maggio. Avessimo organizzato una "trappola" con Giove Pluvio, non ci sarebbe riuscita così bene. La pioggia e il maltempo fanno parte della Festa dei Ceri: negli anni '50 e '60 andava in voga un detto: "Se non piove, gli eugubini trovano il modo di far piovere acqua dalle finestre". Poi per 20 anni, dal mitico 1989, il sole ha quasi sempre dominato. E comunque di pioggia copiosa non se n'è vista da queste parti il 15 maggio. Da due anni invece abbiamo dovuto farci i conti.
Cosa cambia? Poco o niente. Se non che ti ritrovi a 40 anni a farti domande che mai ti eri più posto dai tempi in cui ancora "si puzzava di mezzano": che scarpe mettere, una doccia calda prima della corsa del pomeriggio, dov'è il kee way (quello rigorosamente nero, perché di indossare un colore diverso neanche sotto tortura...) e magari un cappello di quelli da pescatore, mai indossati prima. E soprattutto, ce la faremo a stare in piedi?
Quesito quest'ultimo ancora più pressante per chi si trova (o meglio, ha la fortuna di essere) punta davanti sulle birate: Piazza Grande anche quest'anno era una pista di pattinaggio mascherata. Non si trattava solo di reggere il peso del cero, buttare dentro la "muta" (compito della punta esterna) e correre, ma la priorità diventava un'altra: fare tutto questo, restando in piedi. Non mi dimenticherò mai la sensazione di entrare in Piazza, cero in spalla, ad un metro da San Giorgio e sentire dentro che ogni paura covata fino ad un minuto prima, era dissolta. M'è tornata per un istante in mente la frase del "Verro" (Guerrino Mischianti, capodieci di Sant'Ubaldo nel 1996) che nel descrivere la sua Callata mi ha detto: "Non mi sentivo le gambe, poi una volta partito sarei arrivato anche a Mocaiana".
L'ebbrezza della spallata è qualcosa di unico. Provarla poi con ceraioli cresciuti con te, con cui a 40 anni prendi il cero per la prima volta insieme (quest'anno, Chico Farneti) è appagante. Ben oltre le difficoltà oggettive (e beffarde) di una giornata incredibile...
Il secondo tassello beffardo, di questo 15 maggio, è proprio in Piazza Grande: o meglio, all'uscita. A pochi metri dalla celebre caduta "dei Colonnelli" (in quel 1971 che aveva visto capodieci Mario "de Pinzaja") il destino si diverte a disegnare la sua trama maligna: una nuova caduta nell'anno in cui suo figlio, Roberto, rompe la brocca. Allora, di nuovo, c'era proprio la piazza. Stavolta i santi ed i ceri restaurati. E la beffa nella beffa è che in un anno in cui Sant'Antonio non aveva brillato nella corsa fino a quel momento, proprio le "birate" erano state il momento più esaltante: mi resterà sempre impresso il sorriso soddisfatto e quasi stupito di Federico Ragni, capodieci santantoniaro del 1999, mentre i ceri stavano uscendo dalla piazza, che guardandomi, agitava le braccia come per dire "che capolavoro". Peccato che il capolavoro avrebbe resistito pochi altri secondi...
Di Roberto e Mario questa giornata suggella comunque un flash indimenticabile: poco prima dell'alzata il figlio lascia al padre la mazzetta per incavijare il cero alla barella. Un istante che da solo potrebbe "spiegare" la Festa dei Ceri. E per chi non lo trovasse sufficiente, allora non basterebbe un'intera Treccani...
La beffa più atroce, sotto questo profilo, ha come sue vittime sacrificali i ceraioli di San Giorgio. E in particolare il loro capodieci, Vittorio Fiorucci: dopo una corsa che rasenta la perfezione, difficile per la pioggia e la strada viscida, in alcuni tratti anche a rischio per imprevedibili accidentalità (è già celebre l'energumeno a dorso nudo che ha affiancato il cero all'altezza della piazza di S.Antonio ed è stato allontanato e placato con le maniere "risolute e convincenti"), la caduta arriva a pochi metri dalla Basilica, a due passi dal cero di Sant'Ubaldo, e per colpa di un ceraiolo santubaldaro, poi scoperto addirittura vicino di casa del capodieci. L'apoteosi dell'ingiustizia. I maestri della tragedia greca non avrebbero saputo fare meglio.
E in un momento di concitata delusione, mista a rabbia e inquietudine - uno di quei frangenti in cui il sangue bolle come l'acqua in pentola, e l'unico modo per trovare quiete potrebbe essere una sana e sonora "scazzottata" - non dimenticherò l'immagine di Peppe Fiorucci, il fratello del capodieci - visibilmente affranto - che sale in modo veemente sulla barella, lo abbraccia e urla a squarciagola "Viva San Giorgio!".
Una lezione di passione ceraiola, di amore vero, di autenticità allo stato cristallino. Per tutti noi.
L'ultimo elemento che una sorta di "beffa fatale" resterà legato a questa edizione della Festa dei Ceri, riguarda proprio loro: i Ceri. Riportati a nuovo, o meglio ad originario splendore. E poi, dopo neanche metà corsa, ritrovati malconci per evidenti scoloriture dovute, certamente, per l'azione della pioggia e del freddo di una giornata che era tutto fuorché primaverile.
Ero ad attendere il via delle birate. Alle prese con quei magoni che sono patologia tipica e non curabile per ogni ceraiolo nelle sue "sei meno cinque" - ovunque esse siano, e a qualunque ora arrivino. Scorgere, quasi distrattamente, gli ornamenti del prisma ligneo di Sant'Antonio, solcati da una sorta di scolatura giallognola è stata una pugnalata alle spalle. Per un attimo ho pensato al lavoro straordinario, certosino e infaticabile che le restauratrici eugubine avevano effettuato per mesi e mesi su quelle tele. Ho immaginato i commenti "del giorno dopo" - immancabili, e per lo più esternati da non addetti ai lavori, e per sentito dire - ho pensato a quante polemiche avrebbe suscitato tutto questo. Poi, dentro di me, mi sono detto che era il caso di concentrarsi sulla girata. Su quelle camicie azzurre davanti a me (amici, fino a qualche istante prima), su quella piazza insidiosa e viscida, come quella stanga nuova di zecca e ancora rigida e poco vissuta.
Ho guardato "Mascio" (al secolo Luca Mascelli), il mio braccere, ho messo da parte beffe, scolature e pensieri, e gli ho detto: "Sinistro avanti..."...
sabato 14 maggio 2011
La Vigilia del 15 maggio... immagini, suoni e profumi dell'attesa...
Il 14 maggio. Ovvero, la vigilia della Festa. Immagini, suoni, profumi segnano una giornata che per eccellenza è affidata all’emozione più intensa per un ceraiolo: l’attesa.
Una giornata in cui si ripercorre passo a passo, anche nella routine quotidiana, quello che accadrà il giorno dopo. Che poi routine quotidiana non è, neppure quella del 14: perché tutto ruota intorno all’attesa, intorno al giorno seguente, intorno ai preparativi. Non si parla più di mute o di percorso – questioni ormai definite da giorni. E’ il carosello di sensazioni, brividi e sospiri che si mescola attraverso lo sguardo di piccoli particolari. Che presi per sé, sembrerebbero insignificanti. Ma quel giorno, tra ricordi, aspettative e un po’ d’ansia, ti proiettano inevitabilmente alla Festa
Camminando per strada, lungo il Corso, compaiono le prime scalette: oggetti anonimi negli altri giorni dell’anno, che il 14 maggio troviamo incatenati, con tanto di lucchetto, a inferriate o segnali stradali. Quasi a disegnare, come nella fiaba di Pollicino, un cammino, un ritorno al giorno prediletto. Non stanno lì per caso. E neanche per molto.
Su quelle scalette – salite e discese magari per riporre le valigie dopo una vacanza, per cambiare una lampadina fulminata o per il fatidico cambio di stagione negli armadi di casa – il giorno dopo saranno due, tre o forse perfino quattro le persone che, magari imbracciando una macchina fotografica o una camera, aspetteranno la corsa. E il momento del passaggio dei Ceri.
Non stanno lì per caso, e soprattutto non staranno più di 24 ore.
Vederle è tutt’uno col pensare a quanto poco tempo quelli “aggeggi” metallici sosteranno incorporati e quasi “fusi” al percorso dei Ceri. Quasi ne fossero ormai parte integrante. Quasi a ricordarci – come se ce ne fosse bisogno - quanto poco disti il 15 maggio.
Ad una scaletta come tante, è legato un aneddoto indimenticabile, qualche anno fa: durante la mattina avevo notato una di queste “presenze” insolitamente assicurata al pennone di Piazza Grande. Era ancora la sfilata dei santi, dunque mancavano un paio d’ore al grande momento, e la piazza era semivuota. Per un attimo mi sono chiesto se chi avesse legato quella scaletta proprio lì, fosse cosciente del rischio cui andava incontro.
Due ore dopo, uscendo dalla piazza dopo l’alzata, ho rivisto quella scala: completamente attorcigliata al pennone, quasi fosse pongo o creta, modellata per abbracciare alla base il gigantesco gonfalone della città. La folla straboccante e asfissiante ne aveva perfino deformato le fattezze. Non ne rimaneva che un groviglio di ferro, improbabile da riutilizzare ed estraibile, forse, solo con l’ausilio dei vigili del fuoco.
Non sono mai salito, per fortuna, in una di queste scalette: ancora la “vita vissuta” di ceraiolo mi porta ad essere partecipe diretto della corsa. Ma non credo che mai ci salirò. Chi ha preso il cero, non salirà mai su una scaletta per “vedere meglio la corsa”. Continuerà, finchè le gambe lo consentiranno, a viverla per strada. Aspetterà vicino alla muta, accanto ai ceraioli, magari nello stesso punto dove qualche anno prima si sospirava, nel pallore del viso, nella pesantezza delle palpebre, tra sbadigli di agitazione e abbracci d’incoraggiamento, con le mani, ridotte a temperatura glaciale, che si stringono e si sfregano, neanche fossimo in un freezer. E i battiti cardiaci, che in un qualsiasi altro giorno dell’anno, consiglierebbero un day hospital.
Non sono mai salito, non vi salirò mai. Ma l’immagine di queste scalette è così tanto abituale, che non potrei farne a meno.
Passeggiando tra strade familiari e vicoli più desueti, si avverte poi, forte e nitido, il profumo dei preparativi: intorno alle Sale degli Arconi è il tradizionale baccalà alla ceraiola a dominare la scena. Un aroma inconfondibile, che sembra preannunciare l’arrivo della Festa. L’assaggio è tradizione, ma lo è forse di più assaporare quel profumo che, misto agli odori dei fondaci e alle muffe di quelle mura – impregnate di storia, vissuto e passione – regala ad una semplice passeggiata un gusto sensazionale. E che riconosceresti anche disperso in una casba magrebina.
Spiccano le teglie capienti, ancora lucide e pronte ad ospitare la succulenta pietanza; le mani ruvide ma paterne di sapienti muratori, che per pochi giorni all’anno vestono i panni di improbabili chef, trasformando la cazzuola (non a caso chiamata “cucchiara” da queste parti) in cucchiaio; le tavole imbandite e ancora vuote, il cui silenzio durerà per poco e sarà travolto dal massificante culto dell’assaggio.
La taverne delle famiglie ceraiole, come le tante tavernette private disseminate tra i vicoli, emettono a loro volta umori che esalano il senso dell’attesa: “crescia” e insaccati di ogni specie, fave e formaggio, ma anche alicette o magro. E ovviamente un vino superbo a corollario di tutto.
In fondo la giornata di vigilia serve anche a questo: gustare un piatto fedele ad una tradizione consolidata. Seduti e in attesa. Il giorno dopo, sapori e condimenti si mescoleranno con incoerenze inimmaginabili nel resto dell’anno: dolce e salato si alterneranno dalle prime luci dell’alba, con la sveglia e i primi buffet dei capodieci, dalla colazione negli arconi, fino all’itinerante mostra dove ogni tappa, ogni omaggio, ogni applauso, si confonde con un salume diverso, con dolci e vini di ogni colore e qualità, accenni di arrosto e mani unte, brindisi fugaci e urla. Quasi a dover riempire, in modo refrattario, il tempo e soprattutto lo stomaco, che di lì a poco finirà per chiudersi.
Da solo. Anche lui in attesa. Che la corsa, e la voragine di emozioni connesse, si consumino.
Il suono della vigilia è invece un brusìo. Leggero e silenzioso. Impercettibile. Ma inconfondibile. Procede lento tra il vociare dei vicoli, le piazzette che si animano, le taverne che si accendono. Riconosci quel brusìo tra migliaia di decibel. Perché sarà quello che ti accompagnerà, dentro, nel momento più difficile e appassionante: quello della spallata. E’ il brusìo che precede il rintocco del Campanone, il “doppio” in Piazza Grande. Che ormai, anche il 14 maggio, vede debordare ogni centimetro della propria fisicità: il suono prodotto da quei giganti in maglia rossa, piccoli, lontani e impavidi, arrampicati sulla torretta, le cui movenze hanno l’eleganza di un etoile della Scala. E poi la voce del Campanone: entra nelle orecchie del forestiero con la potenza della sorpresa. Sfonda il cuore di un eugubino con l’intensità di un abbraccio. Di un ritrovarsi. Dopo un anno. Il Campanone, la sera del 14 maggio, non ha un suono qualsiasi. Lo diceva anche Lorenzo Belardi, indimenticato “Piccione”, per anni maestro dei Campanari.
E non hanno lo stesso fascino neppure le note di “Tazzillari”, che quasi a raccogliere un testimone emozionale, echeggiano di lì a poco in una sfilata confusa e spensierata. Sono note di attesa, anche queste. Un assaggio, anche questo, del giorno che ci aspetta.
E per la strada, in coda alla banda, tra “Giove” e “Fabrizia”, tra abbracci fraterni e ritornelli immortali, riappare una scaletta da un angolo, riaffiora il profumo di pietanze familiari. La vigilia diventa inebriante.
Manca davvero poco…
GMA
Da inserto "Speciale Festa dei Ceri" de "Il Giornale dell'Umbria" - 14.5.2011
Una giornata in cui si ripercorre passo a passo, anche nella routine quotidiana, quello che accadrà il giorno dopo. Che poi routine quotidiana non è, neppure quella del 14: perché tutto ruota intorno all’attesa, intorno al giorno seguente, intorno ai preparativi. Non si parla più di mute o di percorso – questioni ormai definite da giorni. E’ il carosello di sensazioni, brividi e sospiri che si mescola attraverso lo sguardo di piccoli particolari. Che presi per sé, sembrerebbero insignificanti. Ma quel giorno, tra ricordi, aspettative e un po’ d’ansia, ti proiettano inevitabilmente alla Festa
Camminando per strada, lungo il Corso, compaiono le prime scalette: oggetti anonimi negli altri giorni dell’anno, che il 14 maggio troviamo incatenati, con tanto di lucchetto, a inferriate o segnali stradali. Quasi a disegnare, come nella fiaba di Pollicino, un cammino, un ritorno al giorno prediletto. Non stanno lì per caso. E neanche per molto.
Su quelle scalette – salite e discese magari per riporre le valigie dopo una vacanza, per cambiare una lampadina fulminata o per il fatidico cambio di stagione negli armadi di casa – il giorno dopo saranno due, tre o forse perfino quattro le persone che, magari imbracciando una macchina fotografica o una camera, aspetteranno la corsa. E il momento del passaggio dei Ceri.
Non stanno lì per caso, e soprattutto non staranno più di 24 ore.
Vederle è tutt’uno col pensare a quanto poco tempo quelli “aggeggi” metallici sosteranno incorporati e quasi “fusi” al percorso dei Ceri. Quasi ne fossero ormai parte integrante. Quasi a ricordarci – come se ce ne fosse bisogno - quanto poco disti il 15 maggio.
Ad una scaletta come tante, è legato un aneddoto indimenticabile, qualche anno fa: durante la mattina avevo notato una di queste “presenze” insolitamente assicurata al pennone di Piazza Grande. Era ancora la sfilata dei santi, dunque mancavano un paio d’ore al grande momento, e la piazza era semivuota. Per un attimo mi sono chiesto se chi avesse legato quella scaletta proprio lì, fosse cosciente del rischio cui andava incontro.
Due ore dopo, uscendo dalla piazza dopo l’alzata, ho rivisto quella scala: completamente attorcigliata al pennone, quasi fosse pongo o creta, modellata per abbracciare alla base il gigantesco gonfalone della città. La folla straboccante e asfissiante ne aveva perfino deformato le fattezze. Non ne rimaneva che un groviglio di ferro, improbabile da riutilizzare ed estraibile, forse, solo con l’ausilio dei vigili del fuoco.
Non sono mai salito, per fortuna, in una di queste scalette: ancora la “vita vissuta” di ceraiolo mi porta ad essere partecipe diretto della corsa. Ma non credo che mai ci salirò. Chi ha preso il cero, non salirà mai su una scaletta per “vedere meglio la corsa”. Continuerà, finchè le gambe lo consentiranno, a viverla per strada. Aspetterà vicino alla muta, accanto ai ceraioli, magari nello stesso punto dove qualche anno prima si sospirava, nel pallore del viso, nella pesantezza delle palpebre, tra sbadigli di agitazione e abbracci d’incoraggiamento, con le mani, ridotte a temperatura glaciale, che si stringono e si sfregano, neanche fossimo in un freezer. E i battiti cardiaci, che in un qualsiasi altro giorno dell’anno, consiglierebbero un day hospital.
Non sono mai salito, non vi salirò mai. Ma l’immagine di queste scalette è così tanto abituale, che non potrei farne a meno.
Passeggiando tra strade familiari e vicoli più desueti, si avverte poi, forte e nitido, il profumo dei preparativi: intorno alle Sale degli Arconi è il tradizionale baccalà alla ceraiola a dominare la scena. Un aroma inconfondibile, che sembra preannunciare l’arrivo della Festa. L’assaggio è tradizione, ma lo è forse di più assaporare quel profumo che, misto agli odori dei fondaci e alle muffe di quelle mura – impregnate di storia, vissuto e passione – regala ad una semplice passeggiata un gusto sensazionale. E che riconosceresti anche disperso in una casba magrebina.
Spiccano le teglie capienti, ancora lucide e pronte ad ospitare la succulenta pietanza; le mani ruvide ma paterne di sapienti muratori, che per pochi giorni all’anno vestono i panni di improbabili chef, trasformando la cazzuola (non a caso chiamata “cucchiara” da queste parti) in cucchiaio; le tavole imbandite e ancora vuote, il cui silenzio durerà per poco e sarà travolto dal massificante culto dell’assaggio.
La taverne delle famiglie ceraiole, come le tante tavernette private disseminate tra i vicoli, emettono a loro volta umori che esalano il senso dell’attesa: “crescia” e insaccati di ogni specie, fave e formaggio, ma anche alicette o magro. E ovviamente un vino superbo a corollario di tutto.
In fondo la giornata di vigilia serve anche a questo: gustare un piatto fedele ad una tradizione consolidata. Seduti e in attesa. Il giorno dopo, sapori e condimenti si mescoleranno con incoerenze inimmaginabili nel resto dell’anno: dolce e salato si alterneranno dalle prime luci dell’alba, con la sveglia e i primi buffet dei capodieci, dalla colazione negli arconi, fino all’itinerante mostra dove ogni tappa, ogni omaggio, ogni applauso, si confonde con un salume diverso, con dolci e vini di ogni colore e qualità, accenni di arrosto e mani unte, brindisi fugaci e urla. Quasi a dover riempire, in modo refrattario, il tempo e soprattutto lo stomaco, che di lì a poco finirà per chiudersi.
Da solo. Anche lui in attesa. Che la corsa, e la voragine di emozioni connesse, si consumino.
Il suono della vigilia è invece un brusìo. Leggero e silenzioso. Impercettibile. Ma inconfondibile. Procede lento tra il vociare dei vicoli, le piazzette che si animano, le taverne che si accendono. Riconosci quel brusìo tra migliaia di decibel. Perché sarà quello che ti accompagnerà, dentro, nel momento più difficile e appassionante: quello della spallata. E’ il brusìo che precede il rintocco del Campanone, il “doppio” in Piazza Grande. Che ormai, anche il 14 maggio, vede debordare ogni centimetro della propria fisicità: il suono prodotto da quei giganti in maglia rossa, piccoli, lontani e impavidi, arrampicati sulla torretta, le cui movenze hanno l’eleganza di un etoile della Scala. E poi la voce del Campanone: entra nelle orecchie del forestiero con la potenza della sorpresa. Sfonda il cuore di un eugubino con l’intensità di un abbraccio. Di un ritrovarsi. Dopo un anno. Il Campanone, la sera del 14 maggio, non ha un suono qualsiasi. Lo diceva anche Lorenzo Belardi, indimenticato “Piccione”, per anni maestro dei Campanari.
E non hanno lo stesso fascino neppure le note di “Tazzillari”, che quasi a raccogliere un testimone emozionale, echeggiano di lì a poco in una sfilata confusa e spensierata. Sono note di attesa, anche queste. Un assaggio, anche questo, del giorno che ci aspetta.
E per la strada, in coda alla banda, tra “Giove” e “Fabrizia”, tra abbracci fraterni e ritornelli immortali, riappare una scaletta da un angolo, riaffiora il profumo di pietanze familiari. La vigilia diventa inebriante.
Manca davvero poco…
GMA
Da inserto "Speciale Festa dei Ceri" de "Il Giornale dell'Umbria" - 14.5.2011
venerdì 13 maggio 2011
Le sei meno cinque... in un video. E l'attimo prima... in una foto
Un video che dice tanto. Forse tutto. Pochi secondi che raccontano la "muta de Barbi".
E soprattutto che spiegano, senza bisogno di parole, quello che è il momento di straordinaria "fuga dalla realtà" che ogni 15 maggio coglie un ceraiolo. Quel momento ha un nome, che sembra una formula artmetica, ma non lo è: le sei meno cinque.
L'attesa - la parte più bella della Festa - è quasi del tutto consumata, e con essa anche l'ansia che di solito ti prende. I giorni prima, a tratti. Poi - dopo che abbiamo messo giù il cero alla mostra verso le 3 - in modo viscerale. Lì, a quel punto, tutto il mondo che ci circonda negli altri 364 giorni, appartiene ad un'altra dimensione: quella del banale quotidiano. Noi, siamo invece completamente assorbiti da un'altra galassia: quella del 15 maggio, della spallata, del momento in cui ci sarà un solo attimo...
Non importa chi siamo, come ci chiamiamo, che lavoro si fa. Non importa neppure chi siamo stati fino a quel momento, sul piano ceraiolo, cosa abbiamo fatto, come è andata negli anni precedenti. Tutto si azzera.
C'è solo quell'attimo da vivere. Da conoscere, da affrontare... e da vincere.
Quell'attimo è grazia assoluta. Il nirvana del 15 maggio.
Il resto non conta.
Il video di Giampaolo Pauselli è stupendo: non solo perché lo raffigura negli sguardi, nella tensione leggibile anche da ogni singolo muscolo del volto, dai baci, dalle pacche sulle spalle che sembrano quasi voler rompere un brusìo fastidioso: quello che ti circonda e che è per lo più animato da gente che non sa, non capisce, non comprende (parlo dei passanti, ovviamente) quello che ti ribolle dentro.
Ma le immagini sono struggenti anche perché a tratti affiora il profilo di Lucio: la sua concentrazione, la sua voglia di cero, il suo orgoglio di essere lì, pronto a onorare ancora una volta il suo essere santantoniaro. Il suo esserlo insieme a noi, alla "muta de Barbi".
E' il 2001 - ma conta poco, potrebbe essere anche un altro anno. L'ho capito da alcuni particolari: c'è Saverio con noi (ha preso il cero fino al 2003); dalle immagini della "spallata" riconosco il mio braccere (Piero Franceschetti), che mi ha affiancato solo dopo il 2001; non potendo essere il 2002 (venne giù a punta Marco Cancellotti), nè il 2003 (Daniele "Boccino" era capocetta di Marco Caioli, dunque con la camicia rossa), l'anno è certamente il 2001. Ma conta poco, solo per la curiosità.
Conta tanto, conta tutto l'esserci stati. L'aver vissuto quei momenti. Che mi mancano incredibilmente - anche se ancora sono lì a "friggere" da braccere, accanto ad Ale "Caramellone".
Muta di Barbi 2006 - L'attimo prima... |
L'ho chiamata "L'attimo prima...".
E' l'unica foto che io abbia (e penso di essere praticamente l'unico) che ritrae il passo prima della spallata.
E' l'anno dopo la scomparsa di Lucio, il 2006. Un anno strano, in cui il "senso di vuoto" si percepiva chiaro in tutta la muta.
C'era ancora più silenzio degli altri anni. Un silenzio rotto dal brusio, dal lento avvicinarsi dell'"O lume della fede" - con quel tam tam, lento e interminabile, che in quei momenti assomiglia ad un rullo da plotone di esecuzione - Anche senza parlare, ne eravamo tutti convinti.
Lucio era più "presente" degli altri anni, era come se fosse lì. Al nostro fianco. Dalla finestra una mia amica sta vedendo, per la prima volta, la Festa dei Ceri. Non sa nulla di tutto questo. E' una giornalista di Umbria tv, ma non come i soliti giornalisti che vengono a Gubbio e ti chiedono "chi vince?". E poi quando cerchi di spiegargli, peggio ancora, ti chiedono: "Ma che senso ha che nessuno vince?". Lei ha capito al volo.
Ha capito che tutto quello che riusciva a comprendere l'avrebbe emozionata, tutto il resto doveva capirlo comunque da sola. Quell'anno sapeva che ero lì, mi cercava e ha cercato di fotografarmi, per la verità mi ha confidato che avrebbe voluto farlo quando ero già sotto. Ha anticipato i tempi ma ha colto quell'attimo che è l'ATTIMO per eccellenza.
Quello in cui la testa e l'anima non ti parlano, ti muovono. Non è un neurone a dirti, "Vai Giacomo, è il momento!". E' qualcosa di più profondo, di più intimo. Ecco, lei ha colto quel momento (e approfitto per dirle grazie).
Inconsapevolmente, ha ritratto ciò che neppure immaginava. E il destino ha voluto che in questa foto ci fossimo solo io e mio fratello (lui qualche attimo prima del suo ATTIMO), e in mezzo il cero. Se avessi chiesto ad un fotografo di aspettare lì l'intera giornata e carpire questo istante, forse non ci sarebbe riuscito.
Anche senza questa foto, non riuscirei a cancellare cosa si "vede" e si "sente" in quell'istante. Ma ogni tanto do un'occhiata a questa foto: e rimpiango quel momento, pur ricordandomi che viverlo significava avere crampi allo stomaco, un viso pallido, le mani gelide e probabilmente un battito cardiaco a livelli di ricovero...
Chi ti passava accanto ignorava tutto questo. E arrivavi a chiederti se quella pesantezza interiore non fosse qualcosa di insopportabile, qualcosa che non saresti riuscito a sostenere...
Poi, dopo la spallata, avresti sollevato una montagna, scalato un grattacielo a mani nude, ti saresti buttato in un dirupo. La tensione, la paura - quella autentica che il cero ti incute e che non è figlia del timore, ma del rispetto di ciò che si sta facendo - non faceva più parte di te...
Aver vissuto tutto questo con la "muta di Barbi" - e avere la fortuna di poterlo ancora fare, insieme ad altri giovani ceraioli - è una fortuna, una gioia e un motivo di grande orgoglio... Anche per onorare la memoria di Lucio...
martedì 10 maggio 2011
Due video da brividi... Per immortalare una giornata unica...
Me lo aveva confidato in via Perugina. Domenica 8 maggio 2011, pochi minuti prima delle 20. La città era già una bolgia, piazza 40 Martiri esplodeva nell'attesa dell'arrivo della squadra in pullman. Il rossoblù dominava la cromia di una città già proiettata per il resto nel rito del 15 maggio.
Ci siamo trovati lì, quasi per caso (e grazie all'assist di Roberto Vispi): incrocio il preparatore dei portieri Giovanni Pascolini, una vita in rossoblù, prima da giocatore poi da tecnico. Insieme a lui c'è Bartolucci, al cellulare, che insistentemente chiede dove sia finito il pullman (poi lo rintracceremo al Centro Commerciale "Le Mura" accerchiato dai tifosi).
Pascolini con Torrente in un pre-partita |
Poi siamo arrivati al pullman e le emozioni si sono intercalate nell'euforia generale di un gruppo di ragazzi ancora increduli dell'impresa appena compiuta. Dentro al pullman, come in gita scolastica, ad abbracciarsi, cantare a squarciagola gli inni della curva, darsi il cinque, come se in fondo tutti - anche chi non è sceso in campo - avessero comunque fatto qualcosa per arrivare a scolpire questo 8 maggio.
Il giorno dopo nella posta di facebook mi è arrivato il video: poi ho visto che era su Youtube e allora ho pensato fosse giusto condividerlo con tutti gli amici del blog.
Approfittandone per ringraziare Giovanni Pascolini: pr averci fatto provare quello che i ragazzi di Torrente devono aver "sentito" prima di entrare in campo... L'orgoglio di vestire questa maglia...
Con "Zacca" e Roberto Vispi allo stadio |
In tanti mi hanno già fermato il giorno prima dicendomi che si sono commossi nel sentire da casa soprattutto il finale: l'ho ascoltato. E in effetti un groppo in gola, per chi è eugubino, per chi è cresciuto con questi colori, e soprattutto è stato cresciuto (da nonni o da padri) per la più laica delle fedi, è inevitabile.
Nelle sue parole, nel suo interrompersi improvvisamente - con il microfono a cuffia recuperato al volo dal collega Marco Taccucci - c'è l'emozione e la commozione che anch'io ho provato parlando al microfono con Roberto Filippetti. E ricordando quei tifosi che non sono più con noi, da poco o da molto tempo, ma che in mezzo al campo è come se ci fossero stati, insieme agli altri, a festeggiare: da Peppe Capelaro, a Peppe Bartolini - gli ultimi a lasciarci - a mio nonno Pompeo Pierucci, insieme all'inseparabile Michele Bellini, al maestro "Pacio" - che anche quando non poteva più camminare bene si faceva accompagnare immancabilmente da Riccardo - a Primo Migliarini. Tifosi straordinari, animati da passione unica.
Di quelli che il lunedì, se il Gubbio perdeva, stavano male. Ma male davvero.
Ecco: la serie B è il regalo più bello alla loro memoria... Proprio come le lacrime di Simone...
lunedì 9 maggio 2011
8.5.11: ora la favola per i nipotini, l'abbiamo anche noi...
E pronunciamola questa lettera magica: serie B! Il Gubbio vince, e la città è invasa da un’altra folle giornata di festa, a meno di un anno dal tripudio di San Marino.
Il calendario dice 8 maggio 2011, e la data è una di quelle formule chimiche da tatuare a vita nella memoria sportiva di Gubbio e dell’intera regione.
Sì, perché il miracolo compiuto dalla società di patron Fioriti, dalla squadra di Torrente e dal pubblico del Barbetti ha qualcosa di straordinario, che è perfino difficile rintracciare nelle residue categorie superiori, praticamente una, ormai rimaste dopo questa scalata impetuosa durata meno di 24 mesi.
Il Gubbio è in serie B. Continuiamo a ripetercelo da ieri sera, quasi dovessimo convincerci che è tutto vero. Che non è solo un sogno dal quale la sveglia delle 7 rischia prima o poi bruscamente di tramortirci.
Non basta neanche rivedere da cima a fondo la sintesi della partita, riassaporare i colori di uno stadio interamente dipinto di rossoblù, 5.000 tifosi a spingere una squadra, quasi fosse una 500 abarth d’annata, andata in panne a due passi dal semaforo. Scene di quotidiana pazzia, che dalle 16.53 in poi prima il tappeto verde del Barbetti, poi piazza 40 Martiri e infine le sale degli Arconi hanno ospitato come fosse il giorno prediletto dagli eugubini.
Quel giorno che dista in fondo meno di una settimana, ma che nell’intensità e nelle vibrazioni ha avuto un’anteprima mica da niente.
Non basta neppure rivedersi i gol di una stagione, le prodezze di una squadra partita con le grandinate di Grosseto e Cremona, riassestatasi piano piano, e poi da novembre trasformatasi in un carro armato invincibile capace di schiacciare le attese protagoniste, le grandi di un torneo, che contava società e città anche di 20 volte superiori per numero di abitanti.
Vincere 8 partite di fila da novembre a gennaio, vincere a Verona, Como, Reggio Emilia, Monza, battere al San Biagio squadre come Salernitana, Sorrento, Cremonese, Alessandria, Spezia. Tutto questo non ha prezzo e forse non l’avrebbe immaginato nemmeno un tifoso liceale abituato a scriversi le formazioni del Gubbio sul diario, al posto dei numeri di telefono delle compagne di classe.
La cavalcata è stata trionfale, e non è mancato neppure il thrilling finale: con i pareggi in serie, il lento recupero del Sorrento, l’urlo strozzato in gol della perla nera di Daud in riva al golfo, prima dell’apoteosi al Barbetti. La prima vera grande vittoria davanti al pubblico amico: dopo il lontanissimo spareggio di Pesaro, datato 1947, dopo la bolgia del Curi di 30 anni dopo, dopo i 3.000 a San Marino, finalmente un trionfo casalingo.
Perché in fondo fatto in casa è pure la regia di questo prodigio: dal presidentissimo Fioriti, alla dirigenza, dagli sponsor Colacem e Barbetti – ormai da 15 anni un tandem eccellente e solido – dal dg Pannacci fino al diesse Giammarioli partorito due anni fa da un’idea di Fioriti, e entrato sul palcoscenico con la garanzia che ad affiancarlo, supportarlo e consigliarlo fosse un grande vecchio – ma solo per la carta d’identità – come Gigi Simoni. La scelta di Torrente è stata il tassello che ha suggellato il patto decisivo: quindi le scelte sui giocatori, le scommesse vinte, le sorprese e le conferme, le garanzie incarnate su tutto dall’immagine di un capitano come Sandreani, che in B ha rinunciato per anni a salire, e che alla fine c’è arrivato ma con l’unica maglia che aveva scelto coraggiosamente di vestire e onorare.
E il pubblico: quel pubblico che già a San Marino aveva affascinato, i tifosi di sempre mescolati a quelli dell’ultim’ora, richiamati da qualcosa che non è più neanche blasfemo definire storico.
Per chi ancora si scandalizza su questo aggettivo, consigliamo di andare a chiedere lumi a piazze, umbre e non, che la serie B se la sognano a occhi aperti e ancora non si capacitano che i piccoli, sperduti e improbabili eugubini abbiano realizzato tutto questo.
Invece è tutto vero. E soprattutto, è tutto meritato: una squadra che non solo è stata in vetta 5 mesi di fila, arrivando anche a +10, non solo ha vinto 21 partite su 33, non solo ha il secondo miglior attacco e per un solo gol la seconda miglior difesa. Ma ha soprattutto il più alto minutaggio giovani di tutta la Lega Pro.
Una lezione di come si vince anche senza fare pazzie economiche. Perché da queste parti, le uniche follie sono quelle emozionali. Quei brividi, freschi di 11 mesi, che l’8 maggio 2011 ci ha ancora rinnovato, con qualcosa in più. Una lettera dell’alfabeto che era assurdo immaginare solo qualche mese fa.
Una giornata da raccontare ai nipoti: con quella stessa favola che i nonni ci narravano dello spareggio di Pesaro di 64 anni fa, di una trasferta polverosa su camion improvvisati, e una B conquistata con i denti.
Ora la favola (da raccontare ai nipoti) ce l’abbiamo anche noi…
E la lettera torna ad essere quella: la B!
Da copertina "A gioco fermo" di "Fuorigioco" del 9.5.2011
musica di sottofondo: "Volare" - Gipsy King - 1989
Il calendario dice 8 maggio 2011, e la data è una di quelle formule chimiche da tatuare a vita nella memoria sportiva di Gubbio e dell’intera regione.
Sì, perché il miracolo compiuto dalla società di patron Fioriti, dalla squadra di Torrente e dal pubblico del Barbetti ha qualcosa di straordinario, che è perfino difficile rintracciare nelle residue categorie superiori, praticamente una, ormai rimaste dopo questa scalata impetuosa durata meno di 24 mesi.
Il Gubbio è in serie B. Continuiamo a ripetercelo da ieri sera, quasi dovessimo convincerci che è tutto vero. Che non è solo un sogno dal quale la sveglia delle 7 rischia prima o poi bruscamente di tramortirci.
Non basta neanche rivedere da cima a fondo la sintesi della partita, riassaporare i colori di uno stadio interamente dipinto di rossoblù, 5.000 tifosi a spingere una squadra, quasi fosse una 500 abarth d’annata, andata in panne a due passi dal semaforo. Scene di quotidiana pazzia, che dalle 16.53 in poi prima il tappeto verde del Barbetti, poi piazza 40 Martiri e infine le sale degli Arconi hanno ospitato come fosse il giorno prediletto dagli eugubini.
Quel giorno che dista in fondo meno di una settimana, ma che nell’intensità e nelle vibrazioni ha avuto un’anteprima mica da niente.
Non basta neppure rivedersi i gol di una stagione, le prodezze di una squadra partita con le grandinate di Grosseto e Cremona, riassestatasi piano piano, e poi da novembre trasformatasi in un carro armato invincibile capace di schiacciare le attese protagoniste, le grandi di un torneo, che contava società e città anche di 20 volte superiori per numero di abitanti.
Vincere 8 partite di fila da novembre a gennaio, vincere a Verona, Como, Reggio Emilia, Monza, battere al San Biagio squadre come Salernitana, Sorrento, Cremonese, Alessandria, Spezia. Tutto questo non ha prezzo e forse non l’avrebbe immaginato nemmeno un tifoso liceale abituato a scriversi le formazioni del Gubbio sul diario, al posto dei numeri di telefono delle compagne di classe.
La cavalcata è stata trionfale, e non è mancato neppure il thrilling finale: con i pareggi in serie, il lento recupero del Sorrento, l’urlo strozzato in gol della perla nera di Daud in riva al golfo, prima dell’apoteosi al Barbetti. La prima vera grande vittoria davanti al pubblico amico: dopo il lontanissimo spareggio di Pesaro, datato 1947, dopo la bolgia del Curi di 30 anni dopo, dopo i 3.000 a San Marino, finalmente un trionfo casalingo.
Perché in fondo fatto in casa è pure la regia di questo prodigio: dal presidentissimo Fioriti, alla dirigenza, dagli sponsor Colacem e Barbetti – ormai da 15 anni un tandem eccellente e solido – dal dg Pannacci fino al diesse Giammarioli partorito due anni fa da un’idea di Fioriti, e entrato sul palcoscenico con la garanzia che ad affiancarlo, supportarlo e consigliarlo fosse un grande vecchio – ma solo per la carta d’identità – come Gigi Simoni. La scelta di Torrente è stata il tassello che ha suggellato il patto decisivo: quindi le scelte sui giocatori, le scommesse vinte, le sorprese e le conferme, le garanzie incarnate su tutto dall’immagine di un capitano come Sandreani, che in B ha rinunciato per anni a salire, e che alla fine c’è arrivato ma con l’unica maglia che aveva scelto coraggiosamente di vestire e onorare.
E il pubblico: quel pubblico che già a San Marino aveva affascinato, i tifosi di sempre mescolati a quelli dell’ultim’ora, richiamati da qualcosa che non è più neanche blasfemo definire storico.
Per chi ancora si scandalizza su questo aggettivo, consigliamo di andare a chiedere lumi a piazze, umbre e non, che la serie B se la sognano a occhi aperti e ancora non si capacitano che i piccoli, sperduti e improbabili eugubini abbiano realizzato tutto questo.
Invece è tutto vero. E soprattutto, è tutto meritato: una squadra che non solo è stata in vetta 5 mesi di fila, arrivando anche a +10, non solo ha vinto 21 partite su 33, non solo ha il secondo miglior attacco e per un solo gol la seconda miglior difesa. Ma ha soprattutto il più alto minutaggio giovani di tutta la Lega Pro.
Una lezione di come si vince anche senza fare pazzie economiche. Perché da queste parti, le uniche follie sono quelle emozionali. Quei brividi, freschi di 11 mesi, che l’8 maggio 2011 ci ha ancora rinnovato, con qualcosa in più. Una lettera dell’alfabeto che era assurdo immaginare solo qualche mese fa.
Una giornata da raccontare ai nipoti: con quella stessa favola che i nonni ci narravano dello spareggio di Pesaro di 64 anni fa, di una trasferta polverosa su camion improvvisati, e una B conquistata con i denti.
Ora la favola (da raccontare ai nipoti) ce l’abbiamo anche noi…
E la lettera torna ad essere quella: la B!
Da copertina "A gioco fermo" di "Fuorigioco" del 9.5.2011
musica di sottofondo: "Volare" - Gipsy King - 1989
domenica 8 maggio 2011
8 maggio 2011: il Gubbio vola in serie B. Il miracolo è servito...
Una città nel pallone. Il Gubbio batte la Paganese e vola in serie B. Esplode la festa dei tifosi rossoblù che in quasi 5.000 spingono la squadra di Vincenzo Torrente al successo decisivo per l'allungo sul Sorrento, battuto a La Spezia dal gol di un eugubino, Giacomo Casoli. Al "Barbetti" il sigillo è invece quello del cannoniere rossoblù, l'argentino Juanito Gomez, che dopo il vantaggio di Boisfer, raddoppia in azione solitaria e nel finale di gara timbra la 17ma rete personale dagli undici metri.
Una sceneggiatura che sembra uscita dalla penna di un maestro del thrilling, dopo una settimana nella quale gli umbri hanno dovuto digerire la sconfitta di Sorrento contro la diretta concorrente, figlia soprattutto di episodi sfavorevoli. Torrente ripropone il 4-3-3 canonico, con Galano che torna di punta dal 1', a fianco di Gomez e Daud, mentre in difesa Caracciolo rientra dalla squalifica e va a sostituire l'appiedato Borghese. Tra i campani molte assenze, tra le quali gli squalificati Gatti e Vicedomini.
Si parte davanti a 5.000 tifosi: lo stadio è stracolmo già da un'ora prima dell'inizio, e i 700 biglietti del settore ospiti (tenuti in frigo in attesa di eventuali acquisti in prevendita da Pagani) vengono "polverizzati" in mezz'ora dopo la notizia che nessuno salirà in Umbria. E' una muraglia rossoblù quella che accoglie le squadre in campo: il Gubbio parte subito in quarta con giocate palla a terra e triangolazioni efficaci, con la Paganese che si chiude dai primi minuti nei suoi 20 metri difensivi. Daud trova un primo spiraglio al 10' ma calcia a lato. La squadra di Torrente colleziona corner ma non sfonda. Alla mezz'ora la svolta: da una triangolazione Gomez-Sandreani, palla arretrata all'accorrente Boisfer che di destro piazza nell'angolino basso: 1-0 e prima boato del "Barbetti". La festa non si è ancora placata che arriva il raddoppio (34'): stavolta è Gomez a fare tutto da solo, serpentina tra tre avversari e a tu per tu con Ginestra scaraventa la sfera sotto la traversa. Il raddoppio scatena gli spalti, già ravvivati da qualche minuto dalla notizia del vantaggio spezzino sul Sorrento.
Nella ripresa i rossoblù potrebbero dilagare in apertura, ma il palo nega il tris a capitan Sandreani, in combinazione con Daud. Nel finale una duplice valutazione generosa dell'arbitro Barbeno di Brescia regala altri due gol: prima al 34' punisce con un rigore per la Paganese un contatto veniale Briganti-Ferraro. Lo stesso ex attaccante rossoblù (aveva vestito la maglia del Gubbio in C2 nella stagione 2000-2001) infila Lamanna. A tempo scaduto, il neoentrato Bazzoffia - dopo aver sfiorato il gol al 35' su azione combinata con Gomez - cade a a terra in contrasto con Fusco: l'arbitro concede il penalty ed espelle il difensore per doppio giallo, anche se l'intervento non sembra falloso. Dal dischetto Gomez chiude la gara, mette la parola fine al campionato a balza a quota 17 nella classifica cannonieri.
Al triplice fischio esplode la festa dei tifosi, tutti in campo per brindare ad una serie B assolutamente inattesa all'inizio di stagione: l'emozione del 13 giugno 2010 (con la vittoria nella finale play off sul San Marino) sembrava l'apice dei trionfi del trio Simoni (DT) - Giammarioli (Ds) - Torrente (allenatore): ma il prodigio più sorprendente sarebbe arrivato poco meno di un anno dopo. Con un budget risicato (poco più di 1,5 milioni di euro), una squadra zeppa di giovani e un gioco frizzante e concreto, il Gubbio del presidente Marco Fioriti conquista una promozione diretta in B contro ogni pronostico, che appare meritata, sia per la permanenza in testa al campionato (dall'8 dicembre scorso, vittoria sul Sorrento), sia per la qualità di gioco mostrata, sia per quello che la piazza ha saputo esprimere anche in termini di sostegno, tifoseria ed entusiasmo.
Un capolavoro che riporta il football umbro in serie B dopo 6 anni, e il Gubbio alla ribalta del panorama calcistico nazionale come vera e propria squadra-miracolo.
Una sceneggiatura che sembra uscita dalla penna di un maestro del thrilling, dopo una settimana nella quale gli umbri hanno dovuto digerire la sconfitta di Sorrento contro la diretta concorrente, figlia soprattutto di episodi sfavorevoli. Torrente ripropone il 4-3-3 canonico, con Galano che torna di punta dal 1', a fianco di Gomez e Daud, mentre in difesa Caracciolo rientra dalla squalifica e va a sostituire l'appiedato Borghese. Tra i campani molte assenze, tra le quali gli squalificati Gatti e Vicedomini.
Si parte davanti a 5.000 tifosi: lo stadio è stracolmo già da un'ora prima dell'inizio, e i 700 biglietti del settore ospiti (tenuti in frigo in attesa di eventuali acquisti in prevendita da Pagani) vengono "polverizzati" in mezz'ora dopo la notizia che nessuno salirà in Umbria. E' una muraglia rossoblù quella che accoglie le squadre in campo: il Gubbio parte subito in quarta con giocate palla a terra e triangolazioni efficaci, con la Paganese che si chiude dai primi minuti nei suoi 20 metri difensivi. Daud trova un primo spiraglio al 10' ma calcia a lato. La squadra di Torrente colleziona corner ma non sfonda. Alla mezz'ora la svolta: da una triangolazione Gomez-Sandreani, palla arretrata all'accorrente Boisfer che di destro piazza nell'angolino basso: 1-0 e prima boato del "Barbetti". La festa non si è ancora placata che arriva il raddoppio (34'): stavolta è Gomez a fare tutto da solo, serpentina tra tre avversari e a tu per tu con Ginestra scaraventa la sfera sotto la traversa. Il raddoppio scatena gli spalti, già ravvivati da qualche minuto dalla notizia del vantaggio spezzino sul Sorrento.
Nella ripresa i rossoblù potrebbero dilagare in apertura, ma il palo nega il tris a capitan Sandreani, in combinazione con Daud. Nel finale una duplice valutazione generosa dell'arbitro Barbeno di Brescia regala altri due gol: prima al 34' punisce con un rigore per la Paganese un contatto veniale Briganti-Ferraro. Lo stesso ex attaccante rossoblù (aveva vestito la maglia del Gubbio in C2 nella stagione 2000-2001) infila Lamanna. A tempo scaduto, il neoentrato Bazzoffia - dopo aver sfiorato il gol al 35' su azione combinata con Gomez - cade a a terra in contrasto con Fusco: l'arbitro concede il penalty ed espelle il difensore per doppio giallo, anche se l'intervento non sembra falloso. Dal dischetto Gomez chiude la gara, mette la parola fine al campionato a balza a quota 17 nella classifica cannonieri.
Al triplice fischio esplode la festa dei tifosi, tutti in campo per brindare ad una serie B assolutamente inattesa all'inizio di stagione: l'emozione del 13 giugno 2010 (con la vittoria nella finale play off sul San Marino) sembrava l'apice dei trionfi del trio Simoni (DT) - Giammarioli (Ds) - Torrente (allenatore): ma il prodigio più sorprendente sarebbe arrivato poco meno di un anno dopo. Con un budget risicato (poco più di 1,5 milioni di euro), una squadra zeppa di giovani e un gioco frizzante e concreto, il Gubbio del presidente Marco Fioriti conquista una promozione diretta in B contro ogni pronostico, che appare meritata, sia per la permanenza in testa al campionato (dall'8 dicembre scorso, vittoria sul Sorrento), sia per la qualità di gioco mostrata, sia per quello che la piazza ha saputo esprimere anche in termini di sostegno, tifoseria ed entusiasmo.
Un capolavoro che riporta il football umbro in serie B dopo 6 anni, e il Gubbio alla ribalta del panorama calcistico nazionale come vera e propria squadra-miracolo.
giovedì 5 maggio 2011
La parodia di "Affari tuoi": perchè la vita non è una scommessa... soprattutto al volante...
In gioco la vita: talvolta per un bicchiere di troppo. Un rischio quasi inconsapevole che migliaia di ragazzi si trovano sulla propria strada ogni fine settimana.
Come nel popolare show “Affari tuoi”: l’apoteosi della banalità assurta ad abilità, dove sogni, speranze e futuro sono racchiusi in una scatola blu sigillata. E dove lo “scavicchi ma non apra” – coniato in una delle prime edizioni da Bonolis – è quasi la formula magica per cambiare senso alla propria vita. Salvo disperarsi chissà per quanto tempo, in caso di errore…
Sulla metafora, efficace e brillante, collegata alla fin troppo popolare trasmissione di Raiuno poggia il video vincitore del concorso “Guida la vita – Il senso della vita e la sicurezza stradale” promosso per il terzo anno consecutivo dall’associazione “El.Ba.” – intitolata ad Elisabetta Barbetti, una giovane eugubina scomparsa proprio in un incidente stradale 10 anni fa. Una meritoria iniziativa che vede il patrocinio degli enti locali e la collaborazione preziosa dell’associazione Carabinieri e della Polizia di Stato, oltre che dell’Ufficio scolastico regionale.
Per una volta, scuola, istituzioni e privati (non mancano gli sponsor, tra i quali anche l’autodromo di Misano) fanno quadrato per prevenire quello che purtroppo è un fenomeno cui non si fa più neanche caso sfogliando i quotidiani del lunedì. Finché non se ne è colpiti più o meno direttamente.
Il concorso non è solo un momento di confronto tra gli studenti delle IV classi superiori eugubine (i ragazzi per intenderci, in procinto di svolgere l’iter istruttivo per la patente) sul tema della sicurezza stradale: prima di questo, l’El.Ba. promuove nel corso dell’anno un ciclo di incontri formativi e informativi coordinati da Cinzia Rogo (psicoterapeuta) e con la presenza di addetti ai lavori (tra questi anche l’ex pilota di F1, Sigfried Store, sul tema della guida sicura e dei parametri spesso sconosciuti, legati alla stessa).
Da tre anni mi onoro di far parte della commissione giudicante i video e gli elaborati dei ragazzi che partecipano (quest’anno 13, tra gruppi e singoli), grazie all’invito di Luigi Digitale e della presidente Elisabetta Bedini. Anche i lavori di questa edizione hanno segnalato grande sensibilità da parte degli studenti: non il “fare tanto per fare” – atteggiamento che purtroppo condisce molte attività scolastiche – ma il “fare per costruire qualcosa”. Il gusto del fare, per lanciare un messaggio, un segnale, per dimostrare che ci sei.
Ho percepito questo in tanti elaborati (non solo video, ma anche grafici e scritti) che abbiamo avuto modo di esaminare con la commissione di cui fanno parte anche docenti, dirigenti scolastici, dirigenti di Polizia, oltre agli stessi responsabili El.Ba.
Dal video vincitore – che ha colpito tutti per la formidabile capacità comunicativa – ad altri video originali e profondi nel messaggio, ai racconti fino alle slide dell’elaborato che si è aggiudicato il primo premio della categoria singoli: una bara che a tutta velocità solca l’autostrada con lo slogan “La vita a 200 all’ora”. Un pugno nello stomaco di un’efficacia straordinaria: la capacità di tradurre e sintetizzare in un semplice flash milioni di pensieri, parole e considerazioni.
La vincitrice, in questo caso – Caterina Venerucci (qui a fianco nella foto di Paolo Tosti) – non a caso è “figlia d’arte”: suo padre, l’amico Federico, è mente brillante e sapiente grafico, il cui dna evidentemente ha prodotto fantasia eccellente.
Un discorso a parte, comunque, merita il video che ha meritato il primo premio: nelle precedenti edizioni c’erano stati punti di vista differenti tra le varie produzioni, alcuni particolarmente originali, altri crudi e anche cruenti, altri ancora toccanti perché reali, vissuti ed emozionali. Ricordo lo scorso anno un video costruito con i Lego, attraverso una sorta di filastrocca, con la musica di “Tik Tok”, in cui si inscenava lo sballo prima, e il dramma poi, con il messaggio finale che “La vita non è un gioco”; oppure l’intervista ai genitori di un ragazzo eugubino che ha perso la vita, suo malgrado, in un incidente causato da un altro giovane trovato sotto l’effetto di stupefacenti.
Quest’anno però non ci sono stati dubbi: appena visionato, il video poi vincitore è parso unanimemente il migliore.
Tanto da farmi sorgere più di un dubbio che fosse davvero tutta “farina di giovane sacco”: coinvolgente la sceneggiatura, prorompente il ritmo, straordinaria la fotografia. Così come la scelta di alcune inquadrature, i movimenti della camera, il susseguirsi di situazioni. Difficile non pensare ad una “longa manus” esperta e di qualità che abbia, quanto meno ispirato, i giovani studenti liceali autori del prodotto.
Ad ogni modo, chapeau, a chiunque l’abbia ideato, costruito e poi realizzato (nessuna delle tre azioni è sufficiente, necessaria, e scontata, senza le altre).
E un consiglio: fatelo girare, fatelo vedere a tanti, tantissimi giovani: salvare anche una sola vita, con la suggestione di un breve ma intenso racconto, sotto forma di clip, non ha prezzo. E rivaluta, di un milione di motivi, le potenzialità del piccolo schermo – troppo spesso male utilizzato da chi dovrebbe farne un “mestiere” in senso nobile – e ci conferma come quando si parla di giovani, si dovrebbe prima di tutti ascoltarli e metterli alla prova: prima di pretendere di averli capiti e identificati.
Complimenti a tutti i ragazzi che hanno partecipato: un video ha vinto (e per chi avesse piacere, può cliccare qui sotto), ma tutti coloro che hanno prodotto anche 1 solo minuto in questa iniziativa, hanno lasciato comunque un segno… Per sè e per gli altri...
Come nel popolare show “Affari tuoi”: l’apoteosi della banalità assurta ad abilità, dove sogni, speranze e futuro sono racchiusi in una scatola blu sigillata. E dove lo “scavicchi ma non apra” – coniato in una delle prime edizioni da Bonolis – è quasi la formula magica per cambiare senso alla propria vita. Salvo disperarsi chissà per quanto tempo, in caso di errore…
Sulla metafora, efficace e brillante, collegata alla fin troppo popolare trasmissione di Raiuno poggia il video vincitore del concorso “Guida la vita – Il senso della vita e la sicurezza stradale” promosso per il terzo anno consecutivo dall’associazione “El.Ba.” – intitolata ad Elisabetta Barbetti, una giovane eugubina scomparsa proprio in un incidente stradale 10 anni fa. Una meritoria iniziativa che vede il patrocinio degli enti locali e la collaborazione preziosa dell’associazione Carabinieri e della Polizia di Stato, oltre che dell’Ufficio scolastico regionale.
Per una volta, scuola, istituzioni e privati (non mancano gli sponsor, tra i quali anche l’autodromo di Misano) fanno quadrato per prevenire quello che purtroppo è un fenomeno cui non si fa più neanche caso sfogliando i quotidiani del lunedì. Finché non se ne è colpiti più o meno direttamente.
Il concorso non è solo un momento di confronto tra gli studenti delle IV classi superiori eugubine (i ragazzi per intenderci, in procinto di svolgere l’iter istruttivo per la patente) sul tema della sicurezza stradale: prima di questo, l’El.Ba. promuove nel corso dell’anno un ciclo di incontri formativi e informativi coordinati da Cinzia Rogo (psicoterapeuta) e con la presenza di addetti ai lavori (tra questi anche l’ex pilota di F1, Sigfried Store, sul tema della guida sicura e dei parametri spesso sconosciuti, legati alla stessa).
Da tre anni mi onoro di far parte della commissione giudicante i video e gli elaborati dei ragazzi che partecipano (quest’anno 13, tra gruppi e singoli), grazie all’invito di Luigi Digitale e della presidente Elisabetta Bedini. Anche i lavori di questa edizione hanno segnalato grande sensibilità da parte degli studenti: non il “fare tanto per fare” – atteggiamento che purtroppo condisce molte attività scolastiche – ma il “fare per costruire qualcosa”. Il gusto del fare, per lanciare un messaggio, un segnale, per dimostrare che ci sei.
Ho percepito questo in tanti elaborati (non solo video, ma anche grafici e scritti) che abbiamo avuto modo di esaminare con la commissione di cui fanno parte anche docenti, dirigenti scolastici, dirigenti di Polizia, oltre agli stessi responsabili El.Ba.
Dal video vincitore – che ha colpito tutti per la formidabile capacità comunicativa – ad altri video originali e profondi nel messaggio, ai racconti fino alle slide dell’elaborato che si è aggiudicato il primo premio della categoria singoli: una bara che a tutta velocità solca l’autostrada con lo slogan “La vita a 200 all’ora”. Un pugno nello stomaco di un’efficacia straordinaria: la capacità di tradurre e sintetizzare in un semplice flash milioni di pensieri, parole e considerazioni.
La vincitrice, in questo caso – Caterina Venerucci (qui a fianco nella foto di Paolo Tosti) – non a caso è “figlia d’arte”: suo padre, l’amico Federico, è mente brillante e sapiente grafico, il cui dna evidentemente ha prodotto fantasia eccellente.
Un discorso a parte, comunque, merita il video che ha meritato il primo premio: nelle precedenti edizioni c’erano stati punti di vista differenti tra le varie produzioni, alcuni particolarmente originali, altri crudi e anche cruenti, altri ancora toccanti perché reali, vissuti ed emozionali. Ricordo lo scorso anno un video costruito con i Lego, attraverso una sorta di filastrocca, con la musica di “Tik Tok”, in cui si inscenava lo sballo prima, e il dramma poi, con il messaggio finale che “La vita non è un gioco”; oppure l’intervista ai genitori di un ragazzo eugubino che ha perso la vita, suo malgrado, in un incidente causato da un altro giovane trovato sotto l’effetto di stupefacenti.
Quest’anno però non ci sono stati dubbi: appena visionato, il video poi vincitore è parso unanimemente il migliore.
Tanto da farmi sorgere più di un dubbio che fosse davvero tutta “farina di giovane sacco”: coinvolgente la sceneggiatura, prorompente il ritmo, straordinaria la fotografia. Così come la scelta di alcune inquadrature, i movimenti della camera, il susseguirsi di situazioni. Difficile non pensare ad una “longa manus” esperta e di qualità che abbia, quanto meno ispirato, i giovani studenti liceali autori del prodotto.
I ragazzi del IV B Liceo "Mazzatinti" vincitori del concorso |
E un consiglio: fatelo girare, fatelo vedere a tanti, tantissimi giovani: salvare anche una sola vita, con la suggestione di un breve ma intenso racconto, sotto forma di clip, non ha prezzo. E rivaluta, di un milione di motivi, le potenzialità del piccolo schermo – troppo spesso male utilizzato da chi dovrebbe farne un “mestiere” in senso nobile – e ci conferma come quando si parla di giovani, si dovrebbe prima di tutti ascoltarli e metterli alla prova: prima di pretendere di averli capiti e identificati.
Complimenti a tutti i ragazzi che hanno partecipato: un video ha vinto (e per chi avesse piacere, può cliccare qui sotto), ma tutti coloro che hanno prodotto anche 1 solo minuto in questa iniziativa, hanno lasciato comunque un segno… Per sè e per gli altri...
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Campagna sensibilizzazione
martedì 3 maggio 2011
Una domenica diversa... dagli ultimi 40 anni...
Non è stato facile. Alzarsi al suono del Campanone – che a maggio ha sempre un chè di speciale. Rinunciare ad annodarsi il fazzoletto, quello rosso un po’ sbiadito, con le rifiniture bianche e l’immagine stilizzata del cero di Sant’Antonio (stilemi degli anni ’70 quando la Famiglia lanciava le sue prime novità anche coreografiche). Quello che puoi mettere con qualsiasi camicia o polo, tanto si capisce di che cero sei.
Scendere le scale e non imboccare, come ogni prima domenica di maggio, la salita di via Fabiani, ciotolosa e maltenuta, ma deviare per San Pietro.
Facendo finta che fosse una domenica qualsiasi. Speravo di non incontrare nessuno. Ma non per non essere visto. Piuttosto, per non vedere.
Non è stato così (non poteva esserlo, alle 7 di mattina): e così, loro malgrado e a loro insaputa, Messiè prima, da un vicolo di San Pietro, e Luigino poi, risalendo dalla Piaggiola in scooter, è come se mi avessero ammonito, con la loro sola presenza. Con la fatalità di quel “ciao”.
La decisione però era presa da qualche giorno. E non c’erano alternative.
Dopo quasi 70 anni il Gubbio si giocava la promozione in serie B a 500 km da qui, sulle rive del golfo di Sorrento: affidare il racconto, la cronaca, le interviste di una giornata come questa ad un anonimo corrispondente napoletano – dopo che hai seguito la squadra per quasi 25 anni tra radiocronache, telecronache e servizi vari – non era pensabile.
Nel piazzale della Vittorina ho poi incontrato altri eugubini in partenza: alcuni di loro ceraioli ben noti. La visione mi ha rincuorato, almeno un poco.
Partivamo nell’incertezza di vivere una giornata straordinaria, lasciando alle spalle la certezza di una domenica di vera passione ceraiola. Una specie di roulette sentimentale dove giochi o il rosso o il nero. E sul piatto c’è tanto.
E’ andata come è andata. Ma prima di archiviare questa domenica comunque divertente e originale (anche con qualche foto ricordo dei tanti eugubini incontrati a Sorrento – e sorpassati per strada dall’incontenibile ritmo della Massimino Airlines) cui è mancato solo il finale vittorioso, non mi va di nascondere come tutto questo sarebbe stato semplice da evitare, evitando di dover scegliere.
Centinaia di eugubini sono stati costretti a scegliere: e comunque sia, hanno dovuto rinunciare a qualcosa. Quelli a Sorrento – tantissimi dei quali ceraioli, anzi ho parlato di Sant’Antonio anche a due passi dalla centralissima piazza Tasso – hanno rinunciato alla prima domenica di maggio; quelli rimasti a Gubbio hanno rinunciato ad una trasferta che avrebbe potuto trasformarsi in una domenica indimenticabile: solo al fischio finale chi è rimasto a Gubbio forse ha pensato di aver fatto la scelta più fortunata. Ma sul gol di Daud quanti in Piazza Grande avrebbero desiderato di essere lì a due passi dalla squadra?
Tutto questo si poteva evitare senza intaccare la Festa dei Ceri – che si celebra il 15 maggio e solo quel giorno – e magari preservando meglio anche il lavoro di restauro sui ceri stessi, riportati in fretta e furia in Basilica il 29 aprile alle 5 di mattina per restare lì la bellezza di 52 ore. Prima di tornare in città.
Se tutto questo fosse stato fatto una settimana dopo non si sarebbe fatto torto alla Festa dei Ceri – che non è una rievocazione storica e dunque non deve obbedire a schemi irremovibili nel suo contorno, di cui fa parte anche la discesa a Gubbio. E non si sarebbe fatto torto alla sensibilità di centinaia di eugubini (cosa non incoerente con la festa stessa che è da sempre “festa popolare”).
Forse i tempi non sono maturi per riflessioni del genere – che magari potrebbero apparire quasi “blasfeme” agli occhi di qualche irremovibile tradizionalista. Per fortuna la storia vera dei Ceri – ovvero il suo evolversi - ci insegna che nei secoli tanti eugubini hanno avuto maggiore elasticità di chi oggi si proclama depositario, apportando modifiche, adattamenti e novità che fanno del 15 maggio odierno una giornata straordinaria.
Appunto, il 15 maggio…
Scendere le scale e non imboccare, come ogni prima domenica di maggio, la salita di via Fabiani, ciotolosa e maltenuta, ma deviare per San Pietro.
Facendo finta che fosse una domenica qualsiasi. Speravo di non incontrare nessuno. Ma non per non essere visto. Piuttosto, per non vedere.
Non è stato così (non poteva esserlo, alle 7 di mattina): e così, loro malgrado e a loro insaputa, Messiè prima, da un vicolo di San Pietro, e Luigino poi, risalendo dalla Piaggiola in scooter, è come se mi avessero ammonito, con la loro sola presenza. Con la fatalità di quel “ciao”.
La decisione però era presa da qualche giorno. E non c’erano alternative.
Dopo quasi 70 anni il Gubbio si giocava la promozione in serie B a 500 km da qui, sulle rive del golfo di Sorrento: affidare il racconto, la cronaca, le interviste di una giornata come questa ad un anonimo corrispondente napoletano – dopo che hai seguito la squadra per quasi 25 anni tra radiocronache, telecronache e servizi vari – non era pensabile.
Nel piazzale della Vittorina ho poi incontrato altri eugubini in partenza: alcuni di loro ceraioli ben noti. La visione mi ha rincuorato, almeno un poco.
Partivamo nell’incertezza di vivere una giornata straordinaria, lasciando alle spalle la certezza di una domenica di vera passione ceraiola. Una specie di roulette sentimentale dove giochi o il rosso o il nero. E sul piatto c’è tanto.
E’ andata come è andata. Ma prima di archiviare questa domenica comunque divertente e originale (anche con qualche foto ricordo dei tanti eugubini incontrati a Sorrento – e sorpassati per strada dall’incontenibile ritmo della Massimino Airlines) cui è mancato solo il finale vittorioso, non mi va di nascondere come tutto questo sarebbe stato semplice da evitare, evitando di dover scegliere.
Centinaia di eugubini sono stati costretti a scegliere: e comunque sia, hanno dovuto rinunciare a qualcosa. Quelli a Sorrento – tantissimi dei quali ceraioli, anzi ho parlato di Sant’Antonio anche a due passi dalla centralissima piazza Tasso – hanno rinunciato alla prima domenica di maggio; quelli rimasti a Gubbio hanno rinunciato ad una trasferta che avrebbe potuto trasformarsi in una domenica indimenticabile: solo al fischio finale chi è rimasto a Gubbio forse ha pensato di aver fatto la scelta più fortunata. Ma sul gol di Daud quanti in Piazza Grande avrebbero desiderato di essere lì a due passi dalla squadra?
Tutto questo si poteva evitare senza intaccare la Festa dei Ceri – che si celebra il 15 maggio e solo quel giorno – e magari preservando meglio anche il lavoro di restauro sui ceri stessi, riportati in fretta e furia in Basilica il 29 aprile alle 5 di mattina per restare lì la bellezza di 52 ore. Prima di tornare in città.
Se tutto questo fosse stato fatto una settimana dopo non si sarebbe fatto torto alla Festa dei Ceri – che non è una rievocazione storica e dunque non deve obbedire a schemi irremovibili nel suo contorno, di cui fa parte anche la discesa a Gubbio. E non si sarebbe fatto torto alla sensibilità di centinaia di eugubini (cosa non incoerente con la festa stessa che è da sempre “festa popolare”).
Forse i tempi non sono maturi per riflessioni del genere – che magari potrebbero apparire quasi “blasfeme” agli occhi di qualche irremovibile tradizionalista. Per fortuna la storia vera dei Ceri – ovvero il suo evolversi - ci insegna che nei secoli tanti eugubini hanno avuto maggiore elasticità di chi oggi si proclama depositario, apportando modifiche, adattamenti e novità che fanno del 15 maggio odierno una giornata straordinaria.
Appunto, il 15 maggio…
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