Il mio puzzle, i miei pezzi.Di ieri e l'altro ieri.

giovedì 24 gennaio 2013

Un incontro al "Mazzatinti": in programma... un salto nel passato liceale


Il ritorno al Liceo, al mio Liceo "Mazzatinti", ha sempre qualcosa di speciale. Sarà che in queste aule ho trascorso gli anni più belli, vissuto le amicizie più spontanee, gli amori, le delusioni, i capricci, le sfide, le gratificazioni più appaganti.
Sarà che proprio intorno ai 18 anni - compiuti poche settimane prima della maturità scolastica, strappata con un onesto 56 in un sabato estivo del luglio '89 - si polarizzano le emozioni più forti; si ha come la sensazione di camminare sul crinale, si sta border line, tra l'incoscienza di fesserie commesse per l'ingenuità congenita e anagrafica e il senso di responsabilità di chi ti impartisce (e insegna) certe "lezioni" da portarsi dietro poi tutta la vita.

Sarà per tutto questo, ma anche per molto altro, che tornare a parlare con gli studenti del Liceo, del mio Liceo, ha sempre un sapore unico. Non solo per gli interlocutori occasionali (che, per altro, non conosco bene), non per l'occasione in se' ( potrebbe essere una qualsiasi), ma per il semplice fatto di essere lì.

Ecco sabato ce n'e' stata una di occasione di cui mi ha fatto piacere essere parte. Un incontro con gli studenti di quello che ora si chiama Istituto di Istruzione superiore, una di quelle denominazioni post moderne, burocratiche e anonime come lo e'  "dirigente scolastico" - che sembra trasformare la figura mitologica del preside in una sorta di quadro aziendale - o "personale non docente" - termine ipocritamente ritenuto più politically correct che non il piu' comune e paterno "bidello".

Il tavolo degli occasionali relatori, all'aula magna del Liceo
Per la verità l'incontro mi vedeva presente in modo un po' defilato. Nel senso che non ero l'ospite di spicco, lo era - giustamente - l'amico e collega Simone Filippetti, da 10 anni firma del "Sole 24 ore". Per me semplicemente "Pino" il soprannome che sempre ha avuto, fin da ragazzo, come la stragrande maggioranza degli abitanti della mia strana enclave, chiamata Gubbio. Dove se non hai un soprannome, quasi "non sei" , ti ritrovi in una sorta di limbo identitario tipico degli apolidi. Sei come uno dei personaggi di Malvaldi, per definire l'estraneità del quale, la gente diceva "non viene neanche al bar"... E lui, Simone Filippetti - ormai abituato a maneggiare temi scottanti che vanno dai mutui subprime alle scalate finanziarie milanesi - quando torna nel borgo natìo selvaggio e varca il confine delle mura eugubine, torna a chiamarsi "Pino" (valente capo cinque della curva di S.Lorenzo).

In realtà la chiacchierata coi ragazzi è stata fluida e carica di energia, perchè la presentazione e i ricordi personali di Simone - che ha anche raccontato come è riuscito ad approdare sulle scrivanie del quotidiano economico più importante d'Europa - sono andati di pari passo con una passeggiata nel passato del "Mazzatinti".
Di una scuola profondamente diversa e distante dal moderno complesso attuale: nuovo e funzionale non solo sul piano degli spazi - solo pensando all'ingresso che ora fa bella mostra di sè con un'enorme bandiera e un mezzo busto di ottocentesca memoria. La stessa aula magna che oggi ci ospitava, 20 anni fa era ancora una "catapecchia di palestra" dall'improbabile vocazione sportiva. Di quell'impianto ho ancora forte e acre, nelle narici, l'odore del pavimento, nero di colore e aspro nell'olfatto: strofinarlo con le scarpe era micidiale, ne usciva fuori un suono stridulo e fastidioso, e appena aprivi bocca l'eco e il rimbombo finivano per frastornarti. Insomma se avevi qualche chance di diventare un cestista, era quasi matematico un principio di sordità...
Quella era la palestra piccola, perchè quella grande, si fa per dire, era la Palestra che ospitava niente meno che i campionati di basket e volley e che oggi è trasformata in un campo di calcio a cinque. In quel semi parquet gommato color mattone abbiamo consumato centimetri di scarpe nelle partite di calcetto, basket o nelle fughe disperate per evitare qualche rimbrotto del prof. Pelicci (che insegnava all'Itc ma usufruiva dell'impianto) che giustamente non ci soffriva e al quale puntualmente recapitavamo qualche "dispetto" (il peggiore, un'enorme pneumatico di trattore, pieno d'acqua piovana, sbucato fuori non so da dove, e fatto rotolare dentro la palestra...).

L'ospite dell'incontro, Simone Filippetti
Poi, nel corso dell'incontro, son venuti a galla anche gli aneddoti, quelli almeno raccontabili, quelli che la storiografia ufficiale del Liceo può tollerare. Piano piano sono riemersi i file, ancora conservati nitidamente nel desktop della mia mente, anche grazie all'imput lanciato dal conduttore (e docente dei liceali) il collega Massimo Boccucci e allo stesso Simone. Come quando ho rispolverato il boato che aveva accompagnato l'uscita delle materie per la maturità (sbucò a sorpresa storia, al posto di filosofia, e per me fu come vincere al Superenalotto, per la passione che nutrivo per la storia), o la severità di alcuni professori, che con piccole e sane lezioni mi inculcarono insegnamenti fondamentali (tipo il 5 al compito di italiano rifilatomi dal sen. Stirati che però mi fece capire che quando ci si firma non bisogna mai anteporre il cognome al nome). O lo stupore che suscitai nel membro esterno della commissione di Maturità, quando al termine della prova orale, vedendomi fremere mi chiese cosa avessi, e gli risposi che avevo fretta perchè dovevo andare a spedire la pagina del "Corriere dell'Umbria"...
Ho lasciato in disparte altre memorabili gag, come l'epopea della Gino Soccio Jazz band (un fantomatico clan composto da quattro studentelli, tra cui il sottoscritto, che oggi ricoprono, ognuno nel proprio ambito, ruoli per i quali sarebbe sconsigliabile parlare di tutto quanto veniva architettato e messo in atto - rigorosamente in orario scolastico...).

Gocce di memoria, mescolate ad un'altra infinità di ricordi che ho evitato di sbandierare ai ragazzi e mi sono tenuto gelosamente dentro.
Ripenso, ad esempio, al primo giorno di scuola del 1989/90, l'anno scolastico successivo alla maturità: erano passati appena 2 mesi dall'orale ed eravamo ancora mentalmente e fisicamente in vacanza (l'Università sarebbe iniziata solo ad ottobre). Ma quel primo giorno di scuola ci ritrovammo all'ingresso del Liceo in 5-6 ragazzi della ex III A. Non c'eravamo messi d'accordo, ma ci ritrovammo lì, fuori, nel piazzale del Liceo, solo per sentire quella campanella che non sarebbe più stata nostra...
Vedevamo entrare i giovinastri del IV Ginnasio (ancora ignari di quello che li aspettava...), un po' imbranati e un po' timidi. Li distinguevi bene, non solo perchè erano facce nuove, ma soprattutto erano volti "inconsapevoli".
Inconsapevoli che quelli sarebbero stati i migliori anni della loro vita scolastica, della loro giovinezza. Chissà, forse anche della loro vita...


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