A qualcuno sembrerà una "sviolinata" ruffiana e disinvolta. Ma non vuol esserlo.
E' solo una riflessione domenicale, zampillata fuori tra lo sfogliare di un quotidiano e l'osservazione di ciò che mi circonda. E con esso, anche di chi mi circonda.
Le donne hanno un altro passo. Questo lo si dice spesso. Se non lo si dice, lo si pensa (ancora più spesso). Se non lo si pensa, è solo per uno sciovinismo serpeggiante che impedisce persino ai pensieri silenziosi di trovare cittadinanza.
C'ho pensato vedendo le splendide Sara Errani e Roberta Vinci prendersi la coppa degli Australian open di doppio. Un'insalatiera che non è la Davis, ma che è pur sempre uno Slam.
Lo sport, si dice anche, è la metafora del termometro di un Paese. Non tanto e non solo nei successi (talvolta aleatori, il più delle volte effimeri), ma nelle tendenze. Le discipline che ad esempio figurano tra le emergenti (o riemergenti, come il tennis) sono lo specchio di un'evoluzione sociale, o forse anche sociologica. Ogni quadriennio poi ci sono quelle passioni che si rianimano "a gettone", come in un juke box di passioni, che scatta automaticamente con l'apertura delle Olimpiadi (scherma, su tutte).
A parte il solito "balòn" che alle nostre latitudini sopravviverebbe anche all'estinzione umana (immagino un meteorite che piombi a dividere lo stivale, tutti sommersi e alla fine, nel polverone generale, un pallone di cuoio sopravvissuto in mezzo ad un campo verde...).
Quante donne tengono oggi, come in passato, alta la bandiera e la dignità del nostro Paese. Qualche giorno fa se ne è andata Rita Levi Montalcini. Migliaia però sono le donne che nella ricerca, come nella scienza, nella cultura come nell'arte, o molto più semplicemente, nella famiglia, offrono del nostro Paese, del nostro presente, il volto più gradevole. E ricco di speranza.
Quante donne, nell'ombra, rappresentano in realtà il "segreto" del carisma di un uomo? Tante, forse tutte.
Più pragmatiche, meno disposte al compromesso, probabilmente più esigenti ma anche intransigenti, spesso con un semplice consiglio, o un'opinione, riescono a fare la differenza.
E la farebbero, magari, anche nelle stanze che contano, all'interno del Palazzo, dove forse avrebbero potuto e saputo fare meglio dei tanti, troppi "maschietti" che si sono avvicendati. E che in fondo, pur con etichette diverse, hanno propinato al Paese e al suo futuro, le stesse medicine. Amare e poco reattive.
Non è questione di "quote rosa" - che solo al pensiero, fanno sorridere (fossi una donna, mi sentirei offesa ogni volta che questo "principio" viene richiamato). E' questione di cultura. Cultura e sensibilità. All'inizio del secolo scorso l'emancipazione femminile era un concetto assente perfino nel vocabolario di lingua italiana.
Ciò non impediva a Luisa Spagnoli - per restare nelle nostre terre - di essere donna, madre e imprenditrice.
Un'eccezione? Era pur sempre l'inizio del Novecento.
Oggi potremmo dirlo di Maria Grazia Marchetti Lungarotti, che ha raccontato amabilmente la felice parabola del Museo del Vino e dell'Olio di Torgiano, o di Maria Carmela Colaiacovo, che, vedova, con la forza e l'energia di chi si è trovata a dover crescere i propri figli da sola, ha saputo creare e condurre un'impresa importante.
O non impediva, in altri lidi, a Rosa Tiefenthaler, protagonista del libro "Eredità" di Lilli Gruber - che ho avuto piacere di intervistare giovedì scorso per "Link" - donna di fine Ottocento, costretta a vivere sulla propria pelle le durezze della guerra e del trapasso di una terra dall'impero austriaco all'Italia, di raccontare la propria vita in un diario, di scrivere e trasmettere l'amore per la lettura e la scrittura ai suoi figli e nipoti, in un'epoca in cui ancora alle donne veniva sì e no concesso di chiudersi in bagno.
Oggi serve ancora più coraggio. Coraggio di dare spazio, di dare voce, di evitare luoghi comuni o facili etichette. Di discernere, anche, chi della femminilità fa un uso distorto (nel privato ma soprattutto nel Pubblico, come esempi di ogni latitudine e colore politico quotidianamente ci confermano).
Postilla. Alle prossime elezioni politiche non ci sarà una donna candidata premier. Neanche una Bonino, intesa non come "desaparecida" della politica, ma come esponente anche di un piccolo, minuscolo movimento di opinione.
Non è una buona notizia. E non perchè si debba votare una donna solo per il fatto di essere tale (torniamo al discorso dell'inutilità offensiva delle quote rosa). Ma perchè, probabilmente, quel gap, quel retaggio, quello scalino che ancora manca per lasciarsi alle spalle certe ruggini, non è stato del tutto superato.
In Europa due premier, forse, saranno un giorno ricordati per aver cambiato volto al proprio Paese: si chiamano Margaret Thatcher nel Regno Unito, anni 80, e Angela Merkel nella Germania del XXI secolo.
Non dovevano essere simpatiche, e non hanno fatto nulla per diventarlo, ma sono state leader come la stragrande maggioranza dei loro colleghi non ha avuto nemmeno cognizione di poter essere.
Un altro passo, verrebbe da dire. Un'altra storia...
domenica 27 gennaio 2013
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