Il mio puzzle, i miei pezzi.Di ieri e l'altro ieri.

sabato 15 gennaio 2011

Il referendum, il caso Mirafiori, il senso di un sì... E qualche domanda in più...

Una curiosità. Apro il sito Tgcom e in apertura c'è il caso Mirafiori, il referendum Marchionne, la vittoria del sì. E un'icona parla del cosiddetto decalogo di disposizioni alla base del voto.
Clicco e vado a leggere...

http://www.tgcom.mediaset.it/economia/articoli/articolo500601.shtml

Cosa c'è di scandaloso in queste note? E' la domanda che mi sorge spontanea. Certo, si tratta di una restrizione di alcune delle condizioni che fino a ieri caratterizzavano gli accordi aziendali: ma se lo è, non lo è per chi vede il lavoro come fonte di reddito, in tempi in cui "avere un lavoro" (specie se questo è collegato ad un contratto a tempo indeterminato) è quasi un mezzo privilegio. Lasciamo stare la gratificazione o realizzazione personale. Il lavoro a catena non appassiona nessuno, dai tempi di Charlie Chaplin e del suo "Tempi moderni" (ma allora i diritti mancavano davvero).
Mettetevi nei panni di un giovane, in cerca di un'occupazione che magari precaria, legata ad un co.co.co., senza grandi illusioni per il futuro (ma con l'unica certezza che non ci sarà una pensione ad attenderlo tra una quarantina d'anni) assista a questo scenario.
I sindacati sono divisi: l'ala oltranzista della Fiom non ne vuol sapere di scendere a patti con Marchionne, e punta il dito contro Cisl, Uil (ma anche la Cgil) che sarebbero "asservite al padrone".
Il Governo Berlusconi - che non perde giorno per trovare un motivo in più per gettare fumo intorno a sè - sta alla finestra, e nell'unica uscita del Premier ("Se vince il no, fa bene Marchionne a portare la Fiat altrove") perde l'unica occasione per tacere.
L'opposizione (PD in testa) invita cautamente a votare sì a questo protocollo, ma al tempo stesso critica Marchionne, chi plaude Marchionne e ovviamente condanna Berlusconi e le sue dichiarazioni.
Il quadro, nel suo caos, è piuttosto chiaro: si capisce perché un manager pure facoltoso - e non certo estraneo agli ambienti politici - come il prof. Pierluigi Celli (ex Cda Rai, oggi alla Luiss di Roma) abbia suggerito al figlio di andarsene all'estero. Bene che va si farà una bella esperienza, male che va imparerà a vivere e a lavorare in qualche paese normale. Ma chi non può permettersi la fuga dal suolo patrio?
Ecco, credo che oggi un giovane che si trovi a dover giudicare una vicenda come quella di Mirafiori, se leggesse il link che ho riportato in alto, avrebbe un motivo in più per incazzarsi.
Stavolta non con Marchionne - che non avrà modi garbati e il savouir faire di un maitre del grand hotel - ma con il mondo che gli sta attorno: dalla politica "indecisa a tutto", ai sindacati (ancora blindati a logiche di lotta anni Settanta) allo stesso mondo delle imprese che spesso nelle più piccole e dinamiche espressioni trova esempi di eccellenza, mentre nelle più grandi si ritaglia spesso ormai l'immagine di una vecchia signora ingombrante e assistita.
Illuminante la lucidità espressa nell'intervista dal sindaco di Torino, Chiamparino (PD) giovedì sera ad "Anno Zero": "Il nemico non è Marchionne ma il mondo. C'è un mondo che ci sta facendo diventare sempre più piccoli e noi fatichiamo a capirlo, ragionando con gli schemi di 40 anni fa. E se il 40% degli operai oggi vota il centrodestra, beh la colpa non è di Berlusconi. E' soprattutto di un centro-sinistra che non sa più parlare al suo elettorato naturale".

4 commenti:

  1. Commenti da facebook -

    Mario Ciofi -
    Ciao Giacomo, mi permetto di precisarti che la faccenda non mi sembra che stia così. Fai un giro su you tube per sentire le testimonianze dei pro e dei contro. Se prendi un tg di mediaset non mi sembra che ti stia qualificando. Scusami di q...uesto intervento ma non mi sembra il caso di parlare di diritti sindacali e lavorativi in questi termini. Poi marchionne ha delle stcok option che arrivano a 200 milioni di euro, trend in negativo fiat e uno stipendio di 15.000 euro al giorno. Fare da fanfara a queste persone mi sembra troppo. Ciao un abbraccio.

    Michele Karic Carini -
    Io penso che in un periodo di cirsi, un'azienda investe in Italia, rilancia un settore importante e collegato ad un indotto dove operano migliaia di persone....se anche i lavoratori fanno dei sacrifici non muore nessuno, sacrifici ricompen...sati con un aumento di salario e pertanto potere d'acquisto e soprattutto mantenimento del posto di lavoro....scusate se è poco!!!! Ma quali diritti vengono violati....e poi in risposta al sig.Mario....fino a prova contraria guadagnare dalla propria capacità imprenditoriale non è mica reato!!!!

    Alessandra Urbani -
    Siamo tornati a"metteremo la luce nei campi"

    Mattia Martinelli -
    Se si parlasse di un'azienda normale sarei favorevole alle richieste di Marchionne.
    Il problema è un altro e lo sanno benissimo gli operai di Mirafiori: la Fiat non vende più, perde quote di mercato ogni mese, ha un rapporto qualità/prezzo basso, ha svilito un marchio storico come Lancia, ha intaccato la qualità della Alfa Romeo. Chi è del settore può capirmi.
    La Fiat e gli Agnelli hanno sempre preso e mai dato.

    Stiamo parlando di una società finanziaria che sfrutta gli stati dove è presente, ieri l'Italia, oggi gli States, che fa continue operazioni in borsa, che crea vattelapesca quale bolle finanziarie.......l'unico futuro della FIAT è quello del costruttore di automobili, altrimenti è tutta una buffonata!

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  2. Vedo che la riflessione ha alimentato un bel dibattito. E già questo è importante.

    Anche perché lo spessore della vicenda non è dato tanto dai suoi protagonisti o dal gruppo coinvolto (neanch'io sono un tifoso a priori di Fiat, nè degli Agnelli con cui ho anzi "conti in sospeso" anche in campo calcistico - appartenendo ai cosidetti "bianconeri di Salò"), ma da quello che può scaturire dalla vicenda Mirafiori.
    Nell'autunno 1980 la storica "marcia dei 40.000", con i colletti bianchi Fiat per la prima volta in piazza, ruppe gli equilibri di un sindacalismo che stava ormai "appiattendo" (verso il basso) la stessa dialettica sociale, dividendo il mondo in "buoni e cattivi", e confondendo con estrema disinvoltura il confine tra i diritti e i doveri di un lavoratore.
    Sono passati 30 anni ma il fatto stesso che il mondo sindacale sia profondamente lacerato su battaglie che - stando a quanto si legge e si vede su internet - dovrebbero compattare tutti, è emblematico.
    Premesso che la Fiat non è il modello imprenditoriale cui l'Italia deve rifarsi (anzi, lo sviluppo del nostro tessuto imprenditoriale si deve soprattutto alla piccola e piccolissima impresa), è il modello dei rapporti sociali e sindacali la vera posta in palio di questo referendum.
    Il no, a mio modestissimo avviso, sarebbe stato un "salto all'indietro" molto preoccupante, a prescindere da quello che avrebbe poi deciso di fare Marchionne (che penso non avrebbe mai portato all'estero Fiat, perchè se avesse dovuto e potuto farlo per motivi economici, di bilancio e di mercato, l'avrebbe già fatto da un pezzo). Un passo indietro proprio nella logica di un "ritorno al passato" nei rapporti tra mondo del lavoro e dell'impresa.
    Fermo restando il diritto di ogni lavoratore di difendere ciò in cui crede - ci mancherebbe - penso però che le barricate appartengano ad un'altra era: il nemico - come ho scritto nel pezzo - non è Marchionne ma sta altrove. Non è un modello da imitare (penso alla Cina) ma certamente un riferimento dal quale guardarsi perché tra 30 anni si rischia di essere già diventati dei piccoli satelliti di questa nuova galassia dilagante (figlia di un capitalismo immaturo e rozzo e ancora viziato da un sistema comunista e statalista inossidabile).

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  3. Quanto alle considerazioni su Marchionne, il suo stipendio, le stock option, sono tutte questioni che si rischia sempre di strumentalizzare: i manager hanno sempre guadagnato molto più dei dipendenti delle aziende, le stock option non le ha inventate Marchionne, i modelli Fiat perdono terreno ma a questo manager va dato atto di aver rianimato, quasi con il "bocca a bocca" un colosso che 10 anni fa stava davvero spirando. Che poi sia un bene o un male, decidete voi, ma io lo chiederei anche alle migliaia di aziende dell'indotto e alle decine di migliaia di operatori e imprenditori che con la Fiat hanno una commessa o un rapporto anche indiretto.

    Infine una battuta con il sorriso sulle labbra all'amico Mario: Marchionne non ha bisogno del mio blog per trovare conforto nelle proprie decisioni, quindi l'ultima cosa che sognerei di fargli è da fanfara. Quanto a Tgcom lo ritengo un mezzo di informazione sufficientemente credibile come lo sono tanti altri (dai siti Rai, al Corriere della Sera, a Repubblica, al Giornale) ben conoscendo la linea editoriale. Non credo che nel link del Tgcom ci siano state omissioni volute, nè che leggere Tgcom sia poco qualificante. Perchè se il teorema che vorresti avanzare è che Mediaset fa il tifo per Fiat, allora potremmo dire lo stesso di Telecom (La7), di De Benedetti (Repubblica), di Caltagirone (Messaggero). Insomma ogni testata avrebbe un editore che fa il tifo per Fiat e dunque ogni notizia sarebbe poco credibile.
    Anche nei miei sogni più reconditi c'è quello di vedere un editore puro, ma in giro, in Italia come dalle nostre parti, la realtà è ben diversa. Ed è con quella che bisogna ogni giorno confrontarsi...
    Sta a noi giornalisti, poi, onorare quotidianamente la fiducia che ci viene riposta da lettori, telespettatori e utenti blog. Dicendo semplicemente quello che pensiamo. Anche quando non è molto popolare...

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  4. A beneficio di tutti, un link dal ciclo "La Storia siamo noi", a cura di Giovanni Minoli, dedicato alla marcia dei 40.000 e al clima sindacale di inizio anni Ottanta.
    A conferma che la storia è magistra vitae. Sempre.

    http://www.lastoriasiamonoi.rai.it/puntata.aspx?id=89

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