Le impronte che lasciavano restavano di solito indelebili. E chi si imbatteva in loro difficilmente riusciva a raccontarlo (neppure a gesti). Succedeva una settantina di milioni di anni fa. Oggi il loro marchio potrebbe diventare qualcosa più di un semplice estemporaneo evento azzeccato.
Sono i dinosauri i protagonisti di oggi. Lo saranno nell’ultima puntata di “Link” (in onda stasera alle 21.15 – replica domani alle 14.30 su TRG): non solo per la mostra-evento di Palazzo dei Consoli che da novembre ad oggi ha visto staccati circa 60.000 biglietti (un’enormità da queste parti) con la prospettiva di arrivare addirittura a 80.000 con il mese di aprile – periodo di gite scolastiche, e dunque di ulteriori file in piazza Grande come non se ne erano mai viste fuori dal periodo ceraiolo.
Soprattutto si parlerà dello “scrigno naturale” che Gubbio si trova a custodire quasi inconsapevolmente: la Gola del Bottaccione. Il libro geologico scoperto da Luis e Walter Alvarez (nella foto a fianco) dentro al quale è nascosta la chiave di lettura dell’estinzione dei dinosauri: l’altissima percentuale di iridio presente nei sedimenti della Gola eugubina ci parla di una “presenza esterna” inspiegabile. Se non con l’ipotesi di un meteorite di enormi dimensioni che 65 milioni di anni – questa la tesi degli Alvarez – provocò una calamità planetaria, causando la scomparsa dei “padroni della terra”. O meglio, di quella terra. I dinosauri, appunto.
La puntata è un ideale percorso tra la mostra di Palazzo dei Consoli – finanziata dalla Fondazione Cassa di Risparmio di Perugia e voluta fortemente a Gubbio dal suo presidente, proprio per la presenza della Gola del Bottaccione – e il Laboratorio museale e multimediale di San Benedetto, a pochi passi dalla Gola stessa, realizzato su iniziativa della prof.ssa Fernanda Faramelli anche in memoria di suo marito (Dino Clementi) che per primo approfondì gli studi sulle preziose presenze geologiche a Gubbio grazie ad un libro di 30 anni fa scritto da Piero Angela.
E il destino ha voluto che fosse proprio l’ideatore di “Quark” a battezzare la mostra dei Dinosauri a Palazzo dei Consoli lo scorso 26 novembre, nelle vesti di curatore del ciclo di mostre tra Gubbio, Assisi e Perugia dal titolo “Il pianeta che cambia”. Un ricorso ciclico casuale ma forse neanche troppo, se è vero che fu proprio Piero Angela – poi ospite graditissimo in una delle puntate di “Link” più interessanti – a definire la Gola del Bottaccione niente meno che la “Pompei dei dinosauri”.
Il quesito che è serpeggiato lungo l’intera puntata – e che ho caldeggiato con tutti gli interlocutori – è semplice ma nodale per una città ad alta vocazione (o aspirazione) turistica come Gubbio. Come tradurre l’esaltante successo della mostra-evento dei Dinosauri – che chiuderà i battenti il 25 aprile – con un progetto di più ampio e duraturo respiro? Come fare in modo che l’eco di questa operazione mastodontica – non solo per le dimensioni dei suoi “attori” – non si spenga con i riflettori delle scenografie della Sala dell’Arengo?
Ho coinvolto nel dibattito i rappresentanti della Fondazione Cassa di Risparmio di Perugia – dal presidente Carlo Colaiacovo al segretario Giuliano Masciarri – eminenti studiosi geologi come il prof. Alessandro Montanari – braccio destro di Walter Alvarez che ho incontrato al GeoLab di San Benedetto – ed altri geologi locali – Marco Menichetti e Stefano Tosti.
La convinzione unanime è che l’impronta lasciata dalla mostra di Palazzo dei Consoli è di dimensioni notevoli. E forse anche inaspettate. Ma va messo un calco sull’impronta perché non se ne disperdano gli effetti benefici.
Ad esempio, lavorando proprio sulla valorizzazione del complesso di San Benedetto – destinato ad ampliamenti e integrazioni interessanti grazie a nuovi contributi della Fondazione.
Lo sforzo ulteriore però va fatto in chiave promozionale: “Il Bottaccione contiene la linea di confine tra Cretaceo e Terziario – ha spiegato limpidamente il prof. Montanari – il cosiddetto limite K/T, quel passaggio traumatico tra un’era e l’altra segnato da un evento dirompente e calamitoso come si crede sia stata una pioggia di meteoriti di dimensioni notevolissime”. Le rocce della Gola sono una sorta di archivio geologico della terra. E così Gubbio scopre di possedere una preziosa “biblioteca geologica” quasi unica al mondo. Ma per ora non ha saputo che farsene. “In Cina in una zona sperduta e sconosciuta fino a qualche decennio fa, un sito del genere ha visto la nascita di un centro di attrazione turistica straordinario” ha raccontato il prof. Montanari.
E a rafforzare l’auspicio che l’onda lunga dei dinosauri non si spenga anche la prof.ssa Faramelli: “Mi auguro che le istituzioni lavorino concretamente per far crescere il Laboratorio della Gola del Bottaccione: non per me, ma per la nostra città. E per il tesoro che custodisce quasi senza saperlo, la Gola del Bottaccione”.
Spesso le idee ci sono ma mancano le risorse: in questo caso sembra che il problema sia esattamente opposto. Non mancano i finanziamenti (la Fondazione ha garantito 600 mila euro per l’ingrandimento del Laboratorio ad un’altra ala del suggestivo ex convento di San Benedetto, un gioiello architettonico dei tanti che Gubbio conserva), ma manca un’idea precisa di come muoversi su questo ambito.
Pur sapendo che è un filone che “tira” – e caso mai ci fosse qualche dubbio, la mostra di questi mesi lo ha del tutto dissipato.
Spesso la parola dinosauri ha un’accezione negativa – di antitetico al moderno. Per una volta, almeno da queste parti, potrebbe invece segnare il senso di una svolta nella promozione turistica della città e del territorio: ma va trovata un’altra chiave (“come fare”). E stavolta non tocca ai geologi, come per il K/T.
Tocca alle istituzioni.
Ci perdonerete se l’ottimismo, proprio per questo, non ci assale… Ma almeno nel nostro piccolo (visto che di pietre si parla) il sasso nello stagno, ci va di lanciarlo.
giovedì 31 marzo 2011
martedì 29 marzo 2011
Primarie e voto: ricordando un post del 14 settembre e piombando di colpo sull'attualità...
Ogni tanto mi capita di rileggere qualche post datato. Non mi capita spesso (e chi ce l'ha il tempo...) ma quando capita mi accorgo che in molti casi si tratta di post sempre attuali.
Attualissimo quello del 14 settembre 2010: di cosa ha bisogno Gubbio? Beh, siamo in piena campagna elettorale, tra pochi giorni si vota (o meglio, gli elettori di centrosinistra sono chiamati a farlo, ma sono convinto che non saranno gli unici) per le primarie.
C'è chi dice che chi uscirà vincitore domenica sera dal derby delle urne eugubine, sarà il prossimo sindaco. Per la verità la storia, anche recente, insegna che non va dato nulla per scontato.
Piuttosto preme sottolineare che in effetti in queste settimane si è parlato molto di nomi e candidati, poco o nulla di programmi. Ad una settimana dal voto si comincia a percepire qualcosa, stasera iniziamo anche con le trasmissioni politiche su TRG ("Al Voto", ogni martedì dalle 21.15, replica mercoledì 14.30) e da domani, mercoledì 30 marzo, anche in radio su RGM hit radio (ore 12 e ore 18.30).
E allora perché non utilizzare questo blog per aprire una finestra proprio agli elettori eugubini, ai cittadini, per evidenziare e sottolineare quello che si chiede - almeno come priorità - ai candidati sindaco, a cominciare dalla triade (nessuno s'offenda per la definizione) che si confronta domenica prossima, Casoli-Guerrini-Ercoli (in rigoroso ordine di scheda)?
Questo blog è a vostra disposizione - già dal post del 14 settembre emersero spunti molto interessanti di cui prometto farò tesoro nelle trasmissioni tv e radio. In fondo la tecnologia ci permette questo filo diretto, perché non utilizzarlo e condividerlo?
Ora la parola passa a voi...
Attualissimo quello del 14 settembre 2010: di cosa ha bisogno Gubbio? Beh, siamo in piena campagna elettorale, tra pochi giorni si vota (o meglio, gli elettori di centrosinistra sono chiamati a farlo, ma sono convinto che non saranno gli unici) per le primarie.
C'è chi dice che chi uscirà vincitore domenica sera dal derby delle urne eugubine, sarà il prossimo sindaco. Per la verità la storia, anche recente, insegna che non va dato nulla per scontato.
Piuttosto preme sottolineare che in effetti in queste settimane si è parlato molto di nomi e candidati, poco o nulla di programmi. Ad una settimana dal voto si comincia a percepire qualcosa, stasera iniziamo anche con le trasmissioni politiche su TRG ("Al Voto", ogni martedì dalle 21.15, replica mercoledì 14.30) e da domani, mercoledì 30 marzo, anche in radio su RGM hit radio (ore 12 e ore 18.30).
E allora perché non utilizzare questo blog per aprire una finestra proprio agli elettori eugubini, ai cittadini, per evidenziare e sottolineare quello che si chiede - almeno come priorità - ai candidati sindaco, a cominciare dalla triade (nessuno s'offenda per la definizione) che si confronta domenica prossima, Casoli-Guerrini-Ercoli (in rigoroso ordine di scheda)?
Questo blog è a vostra disposizione - già dal post del 14 settembre emersero spunti molto interessanti di cui prometto farò tesoro nelle trasmissioni tv e radio. In fondo la tecnologia ci permette questo filo diretto, perché non utilizzarlo e condividerlo?
Ora la parola passa a voi...
lunedì 28 marzo 2011
Gubbio, un altro passetto avanti contro una "bestia nera"... E ora che sono finite, è il caso di esorcizzarle
Evidentemente l’astinenza ha creato appetito.
E così dopo 23 partite con un solo pareggio, il Gubbio va al riposo – l’ultimo, prima del rush finale decisivo di questa appassionante stagione – con il terzo X nelle ultime 4 gare.
Ogni partita ha storia a sé e anche questo pari non assomiglia se non nei numeri (1-1) a quelli casalinghi con Como e Spal.
Intanto è il primo pareggio in assoluto conquistato dai rossoblù in trasferta. Per la terza volta è un pareggio in rimonta, fattore importante e significativo, come lo è il ritorno al gol (il 15mo) di Juanito Gomez – uno che non la buttava dentro da inizio febbraio contro gli ex veronesi – ed è un ritorno al gol su azione dalla lontana vittoria di Monza (con i break letali firmati Borghese), dopo la quale il Gubbio aveva centrato il bersaglio o su punizione (Daud) o su corner (Bartolucci) o dagli undici metri (Donnarumma e Galano).
Per la verità sul dischetto la squadra di Torrente poteva tornarci anche ieri – un paio di volte Borghese e una volta Bazzoffia sono stati affondati in area - ma a differenza di quanto visto al Barbetti con Spezia e Spal, il mediocre Peretti di Verona non se l’è sentita di incidere sul risultato.
Il passetto avanti è comunque positivo: i rossoblù approdano a quota 57, è trascorso un mese dall’ultima sosta, quando il Gubbio era a 8 punti dal Sorrento. Altra terzina di gare in cascina e distanza che resta quella, distanza di guardia verrebbe da dire, rispetto allo squadrone campano.
Senza contare poi, che nelle ultime gare il Gubbio ha dovuto rinunciare, tra squalifiche e infortuni a più riprese, a Sandreani, Gomez, Borghese, Galano, Donnarumma, Daud, gente che non è semplice regalare domenicalmente all’avversario senza alcuna ripercussione.
Ora un’ultima domenica di riposo, tutt’altro che inopportuna: Torrente conta di recuperare il capitano per il match del 10 aprile al "Barbetti" contro il Bassano.
Una sorta di sfida doppia, ad un avversario in odore di play off che ieri ha fermato il Verona, e ad una strana cabala che negli ultimi anni ha visto i veneti sempre vincenti al "Barbetti" – così come perdenti in casa.
Le bestie nere dovrebbero essere finite: il Pergocrema è l’unica formazione con Ravenna e Spal ad aver tolto 4 punti alla squadra di Torrente che d'ora in poi giocherà solo con avversarie già sconfitte all’andata (i famosi 8 successi di fila, ricordate?).
Quest’anno di record e di tabù sfatati, i ragazzi in rossoblù ne hanno fatto incetta: ma è opportuno non perdere il vizio proprio sul più bello.
E allora il modo migliore per esorcizzare la cabala è proprio ricordarla, a parole, e ignorarla poi in campo. Con quella relativa serenità che è stata una delle armi in più della cavalcata poderosa del Gubbio.
Da copertina "A gioco fermo" di "Fuorigioco" di lunedì 28.3.2011
Musica di sottofondo: "El Diablo" - Litfiba - 1990
Il Gubbio saluta i tifosi a Crema, a fine gara (da http://www.gubbiofans.it/) |
E così dopo 23 partite con un solo pareggio, il Gubbio va al riposo – l’ultimo, prima del rush finale decisivo di questa appassionante stagione – con il terzo X nelle ultime 4 gare.
Ogni partita ha storia a sé e anche questo pari non assomiglia se non nei numeri (1-1) a quelli casalinghi con Como e Spal.
Intanto è il primo pareggio in assoluto conquistato dai rossoblù in trasferta. Per la terza volta è un pareggio in rimonta, fattore importante e significativo, come lo è il ritorno al gol (il 15mo) di Juanito Gomez – uno che non la buttava dentro da inizio febbraio contro gli ex veronesi – ed è un ritorno al gol su azione dalla lontana vittoria di Monza (con i break letali firmati Borghese), dopo la quale il Gubbio aveva centrato il bersaglio o su punizione (Daud) o su corner (Bartolucci) o dagli undici metri (Donnarumma e Galano).
Per la verità sul dischetto la squadra di Torrente poteva tornarci anche ieri – un paio di volte Borghese e una volta Bazzoffia sono stati affondati in area - ma a differenza di quanto visto al Barbetti con Spezia e Spal, il mediocre Peretti di Verona non se l’è sentita di incidere sul risultato.
Il passetto avanti è comunque positivo: i rossoblù approdano a quota 57, è trascorso un mese dall’ultima sosta, quando il Gubbio era a 8 punti dal Sorrento. Altra terzina di gare in cascina e distanza che resta quella, distanza di guardia verrebbe da dire, rispetto allo squadrone campano.
Senza contare poi, che nelle ultime gare il Gubbio ha dovuto rinunciare, tra squalifiche e infortuni a più riprese, a Sandreani, Gomez, Borghese, Galano, Donnarumma, Daud, gente che non è semplice regalare domenicalmente all’avversario senza alcuna ripercussione.
Vincenzo Torrente - foto M.Signoretti |
Una sorta di sfida doppia, ad un avversario in odore di play off che ieri ha fermato il Verona, e ad una strana cabala che negli ultimi anni ha visto i veneti sempre vincenti al "Barbetti" – così come perdenti in casa.
Le bestie nere dovrebbero essere finite: il Pergocrema è l’unica formazione con Ravenna e Spal ad aver tolto 4 punti alla squadra di Torrente che d'ora in poi giocherà solo con avversarie già sconfitte all’andata (i famosi 8 successi di fila, ricordate?).
Quest’anno di record e di tabù sfatati, i ragazzi in rossoblù ne hanno fatto incetta: ma è opportuno non perdere il vizio proprio sul più bello.
E allora il modo migliore per esorcizzare la cabala è proprio ricordarla, a parole, e ignorarla poi in campo. Con quella relativa serenità che è stata una delle armi in più della cavalcata poderosa del Gubbio.
Da copertina "A gioco fermo" di "Fuorigioco" di lunedì 28.3.2011
Musica di sottofondo: "El Diablo" - Litfiba - 1990
sabato 26 marzo 2011
Primarie di centrosinistra: e se la differenza la facesse il... quarto incomodo?
Tutto o quasi in pochi giorni. Forse, e sottolineo forse, in due tempi.
La corsa a Palazzo Pretorio non è una partita di calcio. E non è neanche una di quelle kermesse dove l’importante è partecipare. Ne sanno qualcosa i tre sfidanti nelle primarie del centrosinistra.
Ognuno arrivato con un proprio percorso, figlio delle decisioni (o indecisioni) del rispettivo partito o gruppo di appartenenza. Che per primi, in ordine di tempo, saranno sottoposti al giudizio degli elettori.
Ma la metafora vale anche per gli altri contendenti in pista: quelli che oggi assistono più o meno disinteressatamente al pre-voto del 3 aprile, in attesa di conoscere chi sarà il loro definitivo avversario di centrosinistra il 15 maggio (o se il Ministero avrà buon senso e lungimiranza, il 29).
Non sappiamo come andrà a finire – anche se una mezza idea ci brulica in testa – ma di certo le elezioni comunali 2011 saranno ricordate per il cammino caotico e lo stanco susseguirsi di “colpi di scena” tra attori e comprimari, protagonisti annunciati e figuranti proclamati, registi dietro le quinte e strateghi dal copione variabile.
E resteranno certamente come le prime contrassegnate da questo prologo, di statunitense radice: le primarie. Descritte come il più democratico dei sistemi di selezione delle candidature, hanno però, come ogni medicina, le loro controindicazioni. E nel foglietto all’interno della confezione, accanto alla scritta “leggere attentamente le avvertenze”, viene spiegato che è preferibile consumare il prodotto lontano dai pasti (ovvero dalle elezioni vere e proprie). Per evitare fratture o addirittura veri e propri attacchi di ulcera.
Vedremo. E non ci sorprenderebbe sapere che il 3 aprile alle urne sono andati in tanti, ma proprio in tanti, per i più svariati motivi. Sostenere uno dei candidati (come è giusto che sia), o favorire quello che è preferibile avere come avversario nel mese di maggio (come è inevitabile che sia, non potendo impedire a nessuno di esprimersi).
Non c’è da scandalizzarsi: è accaduto anche in altri lidi (senza andare lontano, chiedere ai cittadini gualdesi), è tipico di una cultura come la nostra che non è quella americana. E che forse è poco adatta – a prescindere – ad applicarne in toto i suoi riti.
Dunque, che siano primarie. Chi è in corsa, del resto, non ha fatto granché per giocarsele in tempi non sospetti ed ora deve accettare anche il rischio connesso alla loro estrema vicinanza al voto ufficiale.
Con tanto di variabile “imprevedibile”: quella degli elettori di centrodestra che potrebbero andare al voto già il 3 aprile (turandosi il naso, per usare un’espressione cara a Indro Montanelli) per incidere sul risultato finale di questa prima manche. Che non tutt’altro che indifferente rispetto alla seconda.
GMA
Da "L'editoriale" di "Gubbio oggi" - marzo 2011
La corsa a Palazzo Pretorio non è una partita di calcio. E non è neanche una di quelle kermesse dove l’importante è partecipare. Ne sanno qualcosa i tre sfidanti nelle primarie del centrosinistra.
Ognuno arrivato con un proprio percorso, figlio delle decisioni (o indecisioni) del rispettivo partito o gruppo di appartenenza. Che per primi, in ordine di tempo, saranno sottoposti al giudizio degli elettori.
Ma la metafora vale anche per gli altri contendenti in pista: quelli che oggi assistono più o meno disinteressatamente al pre-voto del 3 aprile, in attesa di conoscere chi sarà il loro definitivo avversario di centrosinistra il 15 maggio (o se il Ministero avrà buon senso e lungimiranza, il 29).
Non sappiamo come andrà a finire – anche se una mezza idea ci brulica in testa – ma di certo le elezioni comunali 2011 saranno ricordate per il cammino caotico e lo stanco susseguirsi di “colpi di scena” tra attori e comprimari, protagonisti annunciati e figuranti proclamati, registi dietro le quinte e strateghi dal copione variabile.
E resteranno certamente come le prime contrassegnate da questo prologo, di statunitense radice: le primarie. Descritte come il più democratico dei sistemi di selezione delle candidature, hanno però, come ogni medicina, le loro controindicazioni. E nel foglietto all’interno della confezione, accanto alla scritta “leggere attentamente le avvertenze”, viene spiegato che è preferibile consumare il prodotto lontano dai pasti (ovvero dalle elezioni vere e proprie). Per evitare fratture o addirittura veri e propri attacchi di ulcera.
Vedremo. E non ci sorprenderebbe sapere che il 3 aprile alle urne sono andati in tanti, ma proprio in tanti, per i più svariati motivi. Sostenere uno dei candidati (come è giusto che sia), o favorire quello che è preferibile avere come avversario nel mese di maggio (come è inevitabile che sia, non potendo impedire a nessuno di esprimersi).
Non c’è da scandalizzarsi: è accaduto anche in altri lidi (senza andare lontano, chiedere ai cittadini gualdesi), è tipico di una cultura come la nostra che non è quella americana. E che forse è poco adatta – a prescindere – ad applicarne in toto i suoi riti.
Dunque, che siano primarie. Chi è in corsa, del resto, non ha fatto granché per giocarsele in tempi non sospetti ed ora deve accettare anche il rischio connesso alla loro estrema vicinanza al voto ufficiale.
Con tanto di variabile “imprevedibile”: quella degli elettori di centrodestra che potrebbero andare al voto già il 3 aprile (turandosi il naso, per usare un’espressione cara a Indro Montanelli) per incidere sul risultato finale di questa prima manche. Che non tutt’altro che indifferente rispetto alla seconda.
GMA
Da "L'editoriale" di "Gubbio oggi" - marzo 2011
martedì 22 marzo 2011
Perugia-Ancona in alto mare, variante ferroviaria "incagliata" tra gli scogli... E si scopre che in due anni non è cambiato nulla...
Usciamo da un fine settimana che non ha fatto registrare grandi novità per la viabilità del comprensorio. Non che fossero attese. Ma qualche pertugio o spiraglio si auspicava.
In primis dal convegno sulla "variante ferroviaria" di scena a Biagetto, organizzato strategicamente in comune di Gualdo, dal comitato promotore "Ultimo treno" - quello che per intenderci va promuovendo da alcuni anni l'idea di una tratta alternativa alla Orte-Falconara capace di toccare un bacino di 400 mila abitanti (Fossato-Branca-S.Egidio-Assisi-Foligno) con le stesse risorse che richiederebbe il cosiddetto "raddoppio" della tradizionale direttrice Ancona-Roma in terra umbra (Fossato-Gualdo-Nocera-Valtopina-Foligno).
In secondo luogo, brutte nuove sono arrivate ancora una volta dalla Perugia-Ancona i cui cantieri umbri restano fermi per la crisi finanziaria della ditta appaltatrice BTP e per una "bega giudiziaria", con relativo stop del Tar. L'unica novità è il gruppo di facebook ("Vorremmo la Perugia-Ancona entro la fine del secolo") che da settimane sta animando quanto meno un positivo confronto (ben più fertile di quello politico) sulla necessità di lanciare qualche mobilitazione (stile Pian d'Assino). Credo che i tempi e le necessità siano maturi.
Nulla di nuovo sotto il sole, dunque Ma non è un semplice modo di dire. Mi sono riletto, quasi per caso, l'editoriale di "Gubbio oggi" del marzo 2009, esattamente due anni fa. A parte l'inaugurazione del tratto di Flaminia tra Gualdo e Nocera (fatto alla vigilia delle elezioni Regionali), l'articolo sembra scritto in questi giorni: e non per le mie doti di preveggente (che non ho). Ma purtroppo perché da allora null'altro si è mosso... Nonostante qualche promessa (ci sono state le campagne elettorali delle Provinciali 2009, delle Regionali 2010 e sono già iniziate quelle delle Comunali 2011) e tante aspettative. Puntualmente deluse...
Rileggere per credere...
Da "Gubbio oggi" - marzo 2009 - Editoriale
Sarà che di vicende da prima pagina non ne sono uscite granché nelle ultime settimane.
Sarà che c’è stata comunque occasione di parlare d’altro. Fatto sta che molto – se non tutto – tace, stranamente, intorno ai temi della viabilità nel nostro comprensorio.
Siamo sempre in attesa (ormai messianica) di vedere in azione le celebri ruspe per il tratto Madonna del Ponte-Mocaiana: è tutto fatto, è tutto pronto, tutti sono sufficientemente tranquilli, ma per ora siamo ancora in stand by. Qualcuno dirà pure che siamo i soliti disfattisti, ma intanto noi (e con noi, anche tutti gli eugubini) continuiamo ad aspettare.
Il mese di aprile porterà una novità tutto sommato lieta: sarà inaugurato il tratto di superstrada della Flaminia che va da Cerqueto a Nocera. Non parliamo di Gubbio, è vero, ma ormai bisogna ragionare in ottica comprensoriale anche quando si assiste alle inaugurazioni altrui. In fondo andare verso Foligno sarà meno disagevole.
Il mese di aprile, poi, dovrebbe portare (ma continuiamo a usare il condizionale) anche l’apertura del segmento della Perugia-Ancona che da Branca porta ad Osteria del Gatto: da mesi, ufficialmente, mancano solo le segnaletiche orizzontali. L’avessimo saputo subito, di dover aspettare così tanto, ci saremmo andati direttamente noi con uno o due valenti imbianchini nostrani.
Per il resto nebbia fitta in Val Padana, verrebbe da dire. La Perugia-Ancona – che non riscuote tra le istituzioni locali lo stesso appeal della Pian d’Assino – continua a restare congelata sull’amletica galleria di Casacastalda: l’assessore regionale Mascio assicura che per il 2013 sarà tutto pronto, ma se i bookmakers quotassero questa scadenza, forse, visti i precedenti, parecchi si giocherebbero il “semaforo rosso”. Di Contessa invece non se ne parla proprio più, se non quando fa capolino una nevicata più o meno intensa, e immancabilmente su tg e giornali torna la notizia di qualche autotreno intraversato. E del traffico bloccato per qualche ora.
Sui binari corre ancora più silenzio che sulla strada: il progetto della “bretella” alternativa alla Orte-Falconara, quel tratto di ferrovia che da Fossato attraverserebbe Branca, S.Egidio e si ricongiungerebbe con Foligno, è destinato ad approdare in consiglio comunale con un’iniziativa degli esponenti del PDL ma tarda ancora a diventare un tema di dibattito cittadino. Anche il comitato territoriale n.1 se ne è fatto portavoce, ma sembra mancare unità di intenti (o se preferite, di manovra) con gli altri comitati comunali.
A Perugia la questione potrebbe diventare argomento di campagna elettorale (a giugno si vota per il successore di Locchi), se il metro di paragone è questo, da noi se ne parlerà intensamente solo tra due anni.
Per allora, speriamo che la Pian d’Assino non sia ancora sull’elenco delle “attese” e che di Perugia-Ancona se ne veda qualche pezzetto in più. Voi ci scommettereste?
GMA
In primis dal convegno sulla "variante ferroviaria" di scena a Biagetto, organizzato strategicamente in comune di Gualdo, dal comitato promotore "Ultimo treno" - quello che per intenderci va promuovendo da alcuni anni l'idea di una tratta alternativa alla Orte-Falconara capace di toccare un bacino di 400 mila abitanti (Fossato-Branca-S.Egidio-Assisi-Foligno) con le stesse risorse che richiederebbe il cosiddetto "raddoppio" della tradizionale direttrice Ancona-Roma in terra umbra (Fossato-Gualdo-Nocera-Valtopina-Foligno).
In secondo luogo, brutte nuove sono arrivate ancora una volta dalla Perugia-Ancona i cui cantieri umbri restano fermi per la crisi finanziaria della ditta appaltatrice BTP e per una "bega giudiziaria", con relativo stop del Tar. L'unica novità è il gruppo di facebook ("Vorremmo la Perugia-Ancona entro la fine del secolo") che da settimane sta animando quanto meno un positivo confronto (ben più fertile di quello politico) sulla necessità di lanciare qualche mobilitazione (stile Pian d'Assino). Credo che i tempi e le necessità siano maturi.
Nulla di nuovo sotto il sole, dunque Ma non è un semplice modo di dire. Mi sono riletto, quasi per caso, l'editoriale di "Gubbio oggi" del marzo 2009, esattamente due anni fa. A parte l'inaugurazione del tratto di Flaminia tra Gualdo e Nocera (fatto alla vigilia delle elezioni Regionali), l'articolo sembra scritto in questi giorni: e non per le mie doti di preveggente (che non ho). Ma purtroppo perché da allora null'altro si è mosso... Nonostante qualche promessa (ci sono state le campagne elettorali delle Provinciali 2009, delle Regionali 2010 e sono già iniziate quelle delle Comunali 2011) e tante aspettative. Puntualmente deluse...
Rileggere per credere...
Da "Gubbio oggi" - marzo 2009 - Editoriale
Sarà che di vicende da prima pagina non ne sono uscite granché nelle ultime settimane.
Sarà che c’è stata comunque occasione di parlare d’altro. Fatto sta che molto – se non tutto – tace, stranamente, intorno ai temi della viabilità nel nostro comprensorio.
Siamo sempre in attesa (ormai messianica) di vedere in azione le celebri ruspe per il tratto Madonna del Ponte-Mocaiana: è tutto fatto, è tutto pronto, tutti sono sufficientemente tranquilli, ma per ora siamo ancora in stand by. Qualcuno dirà pure che siamo i soliti disfattisti, ma intanto noi (e con noi, anche tutti gli eugubini) continuiamo ad aspettare.
Il mese di aprile porterà una novità tutto sommato lieta: sarà inaugurato il tratto di superstrada della Flaminia che va da Cerqueto a Nocera. Non parliamo di Gubbio, è vero, ma ormai bisogna ragionare in ottica comprensoriale anche quando si assiste alle inaugurazioni altrui. In fondo andare verso Foligno sarà meno disagevole.
Il mese di aprile, poi, dovrebbe portare (ma continuiamo a usare il condizionale) anche l’apertura del segmento della Perugia-Ancona che da Branca porta ad Osteria del Gatto: da mesi, ufficialmente, mancano solo le segnaletiche orizzontali. L’avessimo saputo subito, di dover aspettare così tanto, ci saremmo andati direttamente noi con uno o due valenti imbianchini nostrani.
Per il resto nebbia fitta in Val Padana, verrebbe da dire. La Perugia-Ancona – che non riscuote tra le istituzioni locali lo stesso appeal della Pian d’Assino – continua a restare congelata sull’amletica galleria di Casacastalda: l’assessore regionale Mascio assicura che per il 2013 sarà tutto pronto, ma se i bookmakers quotassero questa scadenza, forse, visti i precedenti, parecchi si giocherebbero il “semaforo rosso”. Di Contessa invece non se ne parla proprio più, se non quando fa capolino una nevicata più o meno intensa, e immancabilmente su tg e giornali torna la notizia di qualche autotreno intraversato. E del traffico bloccato per qualche ora.
Sui binari corre ancora più silenzio che sulla strada: il progetto della “bretella” alternativa alla Orte-Falconara, quel tratto di ferrovia che da Fossato attraverserebbe Branca, S.Egidio e si ricongiungerebbe con Foligno, è destinato ad approdare in consiglio comunale con un’iniziativa degli esponenti del PDL ma tarda ancora a diventare un tema di dibattito cittadino. Anche il comitato territoriale n.1 se ne è fatto portavoce, ma sembra mancare unità di intenti (o se preferite, di manovra) con gli altri comitati comunali.
A Perugia la questione potrebbe diventare argomento di campagna elettorale (a giugno si vota per il successore di Locchi), se il metro di paragone è questo, da noi se ne parlerà intensamente solo tra due anni.
Per allora, speriamo che la Pian d’Assino non sia ancora sull’elenco delle “attese” e che di Perugia-Ancona se ne veda qualche pezzetto in più. Voi ci scommettereste?
GMA
lunedì 21 marzo 2011
Quando la X non è un'incognita... ma un altro passo verso il trionfo...
Ci sono rigori e rigori. Ci sono pareggi e pareggi. E non sempre il segno X, come dettano i principi algebrici, è sinonimo di incognita. E così, in questa stagione a tinte rossoblù fosforescenti, scopriamo che qualche volta, nel calcio, la X equivale ad una vittoria, o forse anche qualcosa in più.
Prendete Gubbio-Spal. Una partita che in altri tempi, in altri campionati, ben lontani dal viaggio nei sogni alla ricerca dell’isola che non c’è, avremmo definito bruttina. Anzi, quasi deludente.
E invece. Tutto va giudicato nel contesto di una stagione trascendentale, dove il vertiginoso +10 che separa Gubbio e Sorrento – costruito grazie ad un cammino a dir poco entusiasmante dalla truppa di Torrente – quando mancano appena quattro gare alla sfida diretta e al sette dallo striscione del traguardo, è la linea di galleggiamento su cui parametrare ogni giudizio.
E’ così che il pari col Como sapeva di beffa, solo perché il Sorrento aveva uccellato in zona Cesarini l’Alessandria dopo essere stato sotto 3-1.
Ed è così che il pari con la Spal sembra una vittoria al Mundial, vistoche gli amalfitani non hanno scalfito la porta della Paganese, visto che con una gara in meno le distanze appaiono sempre più siderali.
E se per i buongustai del bel calcio non si sente più profumo di champagne, poco male. Perché è da qualche domenica che sosteniamo come i fronzoli, l’estetica, trucco, parrucco e bollicine non siano più necessarie nel curriculum di questa squadra. Che ha già dimostrato, nei mesi scorsi, di poter offrire il calcio migliore, contro le più blasonate e finanziate formazioni del girone.
Ora il Gubbio deve dimostrare di essere anche un buon ragioniere contabile: non solo nei numeri che tengono in piedi la società, ma anche in quelli che mancano per assicurarsi la matematica promozione, magari anche con congruo anticipo.
Il pari con la Spal va sottolineato, con l’uniposca giallo, come uno di quei "risultatoni" che fanno massa nel muro del successo. Primo perché conquistato in una gara nata male – con l’infortunio del sabato a Donnarumma – proseguita male – con lo stop a Sandreani e la traversa galeotta sulla voleè di Daud – e avviata nella ripresa ancora peggio, con la stoccata di Melara che sembrava dover gelare i rossoblù.
Ma il cuore di questa squadra, la sua capacità di non mollare anche senza capitano e mezzo reparto offensivo, la spinta di una tifoseria sempre più calda e numerosa – ieri al Barbetti erano in 3.000 a colorare lo stadio di rossoblù - hanno ancora una volta segnato una tacca indelebile qualche centimetro più su delle precedenti imprese:
“Liberate la bestia”, recitava quasi profeticamente uno striscione, nella domenica in cui il cantore della fantasia degli spalti, Militello, si aggirava per la gradinata. La Bestia, ovvero Martino Borghese – che per noi resta un cigno rispetto al brutto anatroccolo delle prime giornate – si è liberata davvero, e trasformatosi in attaccante aggiunto, ha procurato di forza e mestiere il secondo penalty decisivo, dopo quello con lo Spezia (che va aggiunto ai 6 gol messi a segno).
In fondo non c’è niente di male – sempre per i puristi del calcio: se la Nazionale ha vinto un Mondiale con Materazzi, il Gubbio può permettersi di vantare il suo numero 5 come uno degli elementi cardine del successo.
Alla fine è proprio lui a dare l’ok ai tifosi, all’uscita dal campo: è un pareggio ma non chiamatelo X.
Perché la meta finale è sempre meno un’incognita. E assomiglia sempre più alla seconda lettera dell’alfabeto…
Dalla copertina "A gioco fermo" di "Fuorigioco" - 21.3.2011
Musica di sottofondo: "Vivo, morto o X" - Ligabue - 2007
Galano infila il penalty all'89' - foto M.Signoretti |
Ci sono rigori e rigori. Ci sono pareggi e pareggi. E non sempre il segno X, come dettano i principi algebrici, è sinonimo di incognita. E così, in questa stagione a tinte rossoblù fosforescenti, scopriamo che qualche volta, nel calcio, la X equivale ad una vittoria, o forse anche qualcosa in più.
Prendete Gubbio-Spal. Una partita che in altri tempi, in altri campionati, ben lontani dal viaggio nei sogni alla ricerca dell’isola che non c’è, avremmo definito bruttina. Anzi, quasi deludente.
E invece. Tutto va giudicato nel contesto di una stagione trascendentale, dove il vertiginoso +10 che separa Gubbio e Sorrento – costruito grazie ad un cammino a dir poco entusiasmante dalla truppa di Torrente – quando mancano appena quattro gare alla sfida diretta e al sette dallo striscione del traguardo, è la linea di galleggiamento su cui parametrare ogni giudizio.
E’ così che il pari col Como sapeva di beffa, solo perché il Sorrento aveva uccellato in zona Cesarini l’Alessandria dopo essere stato sotto 3-1.
Ed è così che il pari con la Spal sembra una vittoria al Mundial, vistoche gli amalfitani non hanno scalfito la porta della Paganese, visto che con una gara in meno le distanze appaiono sempre più siderali.
E se per i buongustai del bel calcio non si sente più profumo di champagne, poco male. Perché è da qualche domenica che sosteniamo come i fronzoli, l’estetica, trucco, parrucco e bollicine non siano più necessarie nel curriculum di questa squadra. Che ha già dimostrato, nei mesi scorsi, di poter offrire il calcio migliore, contro le più blasonate e finanziate formazioni del girone.
Ora il Gubbio deve dimostrare di essere anche un buon ragioniere contabile: non solo nei numeri che tengono in piedi la società, ma anche in quelli che mancano per assicurarsi la matematica promozione, magari anche con congruo anticipo.
Il pari con la Spal va sottolineato, con l’uniposca giallo, come uno di quei "risultatoni" che fanno massa nel muro del successo. Primo perché conquistato in una gara nata male – con l’infortunio del sabato a Donnarumma – proseguita male – con lo stop a Sandreani e la traversa galeotta sulla voleè di Daud – e avviata nella ripresa ancora peggio, con la stoccata di Melara che sembrava dover gelare i rossoblù.
Ma il cuore di questa squadra, la sua capacità di non mollare anche senza capitano e mezzo reparto offensivo, la spinta di una tifoseria sempre più calda e numerosa – ieri al Barbetti erano in 3.000 a colorare lo stadio di rossoblù - hanno ancora una volta segnato una tacca indelebile qualche centimetro più su delle precedenti imprese:
“Liberate la bestia”, recitava quasi profeticamente uno striscione, nella domenica in cui il cantore della fantasia degli spalti, Militello, si aggirava per la gradinata. La Bestia, ovvero Martino Borghese – che per noi resta un cigno rispetto al brutto anatroccolo delle prime giornate – si è liberata davvero, e trasformatosi in attaccante aggiunto, ha procurato di forza e mestiere il secondo penalty decisivo, dopo quello con lo Spezia (che va aggiunto ai 6 gol messi a segno).
In fondo non c’è niente di male – sempre per i puristi del calcio: se la Nazionale ha vinto un Mondiale con Materazzi, il Gubbio può permettersi di vantare il suo numero 5 come uno degli elementi cardine del successo.
Alla fine è proprio lui a dare l’ok ai tifosi, all’uscita dal campo: è un pareggio ma non chiamatelo X.
Perché la meta finale è sempre meno un’incognita. E assomiglia sempre più alla seconda lettera dell’alfabeto…
Dalla copertina "A gioco fermo" di "Fuorigioco" - 21.3.2011
Musica di sottofondo: "Vivo, morto o X" - Ligabue - 2007
sabato 19 marzo 2011
Sentenza sul crocifisso nelle scuole: una volta tanto non ha vinto Barabba...
L'ultima volta che si era trovato davanti ad un giudice questi se ne era lavato le mani. E Barabba si era ritrovato libero. Stavolta gli è andata meglio. Ma ci sono voluti più di 2000 anni.
La boutade può sembrare esagerata, ma da Gerusalemme a Strasburgo la strada è stata lunga. E tortuosa.
Ha fatto rumore la decisione della Grande Camera della Corte europea per i diritti dell'uomo che ha assolto il nostro Paese dall'accusa di violazione dei diritti umani.
Qualcuno penserà agli sbarchi di Lampedusa o a qualche maltrattamento nelle carceri italiane sempre più sovraffollate (e con qualche morto di troppo ancora da spiegare).
Niente di tutto questo. Il j'accuse all'Italia riguardava l'esposizione del crocefisso nelle aule scolastiche.
La decisione della Corte è stata approvata con 15 voti favorevoli e due contrari. I giudici hanno accettato la tesi in base alla quale "non sussistono elementi che provino l'eventuale influenza sugli alunni dell'esposizione del crocefisso nella aule scolastiche".
Ad avanzare l'istanza una cittadina italiana di orgine finlandese che contestava la presenza del crocefisso nella scuola pubblica frequentata dal figlio ad Abano Terme, affermando che è "un attentato alla libertà di coscienza e al diritto di ognuno a ricevere un'istruzione conforme alle proprie convinzioni".
Convinzione che non appartiene però alla maggioranza degli italiani: l'84% degli intervistati in un sondaggio di qualche giorno fa, si diceva favorevole alla presenza del crocefisso nelle scuole.
Ma la questione non è da risolversi con la "classica conta". E' normale che la maggior parte dei cittadini di un Paese che resta profondamente radicato sulla cultura cattolica si esprima in questi numeri (anche se personalmente avrei scommesso per qualche punto in meno...).
Credo piuttosto che la vicenda corra sul filo del ridicolo, quando non addirittura del grottesco.
Per un motivo semplice: considerare il crocifisso un "attentato alla libertà di coscienza" è illazione che fa quasi rabbrividire. E se non si trattasse di qualcosa di sacro - o sentito come tale - farebbe solo sorridere.
Da studente liceale di fine anni Ottanta, ricordo fin d'allora qualche compagna di classe che molto liberamente aveva scelto di non frequentare l'ora di religione.
Allora qualche mosca bianca, oggi immagino che la tendenza sia in crescendo.
Uno Stato (e una scuola) che dia questa facoltà non mi sembra che obblighi nessuno a farsi il segno della croce.
Cosa ci sia da temere poi dietro quella croce, è interpretazione tutta da capire. Fino a prova contraria, chi ci è stato inchiodato non ha imposto nulla, non ha obbligato chi lo seguiva a farlo, e tanto meno chi lo ha condannato a recedere. Quella croce fa parte integrante - a mio avviso - della storia culturale e religiosa del nostro Paese, pur nel rispetto di differenti credo e sentori.
Diverso il discorso riferito alla Chiesa: in questi 2000 anni - dopo l'"errore giudiziario" che consentì a Barabba di tornare in libertà, senza neanche aspettare la decorrenza dei termini di carcerazione o la prescrizione, e senza neppure un Mastella che inventasse l'indulto - chi ha rappresentato quella croce non ha sempre brillato per coerenza con il messaggio di amore, tolleranza e fraternità che avrebbe dovuto incarnare. Anzi, quella croce è stata presa a simbolo - discrezionalmente - per lanciare guerre, per prevaricare, per creare uno stato temporale.
La storia ha già emesso la sua sentenza, su tutto questo, ben prima che venisse coinvolta la Corte di Strasburgo dalla solerte signora di Abano Terme - che evidentemente non dovrebbe avere molte altre faccende a cui pensare, o a cui destinare i denari che le saranno costati questa causa.
Giovanni Paolo II - tra i più degni successori di chi in quella croce è stato innalzato, tra sberleffi e scherni - ha chiesto scusa a tutto quel mondo che dalla storia della Chiesa, nei secoli, è stato offeso.
Quel che infastidisce di questa storia - detto da uno che non sopporta granchè le ostentate professioni di fede neppure dai suoi parenti più stretti - è l'accanirsi laicista e un po' modaiolo contro i simboli di una fede che oggi si vede costretta a lottare più contro "nemici interni" che non contro minacce esterne.
La parola "guerra santa" non viene coniata più neppure in quegli ambienti che si sono cibati di "jihad" (appunto, guerra santa) per lunghi anni.
Oggi il rischio - non della Chiesa in sè, ma della nostra società - è la perdita di quel patrimonio di valori che dietro quella croce vanno ancora ricercati. Non per essere imposti a qualcuno, ma per essere vissuti lungo le tracce di un insegnamento che fa parte del nostro retroterra culturale.
Lasciando libero che non ne sente la necessità, di tralasciarli. Senza però che quest'ultimo voglia imporre una "falsa libertà", perché per primo non riconosce la legittimità di una presenza - il crocifisso - che è sempre stata sinonimo di identità comune. E non certo di prevaricazione o sopruso.
Quando nel 2004 inaugurammo la niova sede di TRG, mia madre mi regalò un crocifisso da appendere nel mio ufficio. Per mesi (anzi, forse per qualche anno) l'ho lasciato nel cassetto. Più per inerzia che per volontà vera e propria. Poi l'ho ritrovato. E all'indomani di questa causa - che voleva porre al bando il crocifisso dalle scuole - ho deciso di issarlo anche sopra la porta del mio ufficio. Con silenzioso proposito di protesta.
Non credo che le centinaia di persone che sono entrate per i più disparati motivi, si siano sentite private della benchè minima libertà di pensiero o parola, da allora...
La boutade può sembrare esagerata, ma da Gerusalemme a Strasburgo la strada è stata lunga. E tortuosa.
Ha fatto rumore la decisione della Grande Camera della Corte europea per i diritti dell'uomo che ha assolto il nostro Paese dall'accusa di violazione dei diritti umani.
Qualcuno penserà agli sbarchi di Lampedusa o a qualche maltrattamento nelle carceri italiane sempre più sovraffollate (e con qualche morto di troppo ancora da spiegare).
Niente di tutto questo. Il j'accuse all'Italia riguardava l'esposizione del crocefisso nelle aule scolastiche.
La decisione della Corte è stata approvata con 15 voti favorevoli e due contrari. I giudici hanno accettato la tesi in base alla quale "non sussistono elementi che provino l'eventuale influenza sugli alunni dell'esposizione del crocefisso nella aule scolastiche".
Ad avanzare l'istanza una cittadina italiana di orgine finlandese che contestava la presenza del crocefisso nella scuola pubblica frequentata dal figlio ad Abano Terme, affermando che è "un attentato alla libertà di coscienza e al diritto di ognuno a ricevere un'istruzione conforme alle proprie convinzioni".
Convinzione che non appartiene però alla maggioranza degli italiani: l'84% degli intervistati in un sondaggio di qualche giorno fa, si diceva favorevole alla presenza del crocefisso nelle scuole.
Ma la questione non è da risolversi con la "classica conta". E' normale che la maggior parte dei cittadini di un Paese che resta profondamente radicato sulla cultura cattolica si esprima in questi numeri (anche se personalmente avrei scommesso per qualche punto in meno...).
Credo piuttosto che la vicenda corra sul filo del ridicolo, quando non addirittura del grottesco.
Per un motivo semplice: considerare il crocifisso un "attentato alla libertà di coscienza" è illazione che fa quasi rabbrividire. E se non si trattasse di qualcosa di sacro - o sentito come tale - farebbe solo sorridere.
Da studente liceale di fine anni Ottanta, ricordo fin d'allora qualche compagna di classe che molto liberamente aveva scelto di non frequentare l'ora di religione.
Allora qualche mosca bianca, oggi immagino che la tendenza sia in crescendo.
Uno Stato (e una scuola) che dia questa facoltà non mi sembra che obblighi nessuno a farsi il segno della croce.
Cosa ci sia da temere poi dietro quella croce, è interpretazione tutta da capire. Fino a prova contraria, chi ci è stato inchiodato non ha imposto nulla, non ha obbligato chi lo seguiva a farlo, e tanto meno chi lo ha condannato a recedere. Quella croce fa parte integrante - a mio avviso - della storia culturale e religiosa del nostro Paese, pur nel rispetto di differenti credo e sentori.
Diverso il discorso riferito alla Chiesa: in questi 2000 anni - dopo l'"errore giudiziario" che consentì a Barabba di tornare in libertà, senza neanche aspettare la decorrenza dei termini di carcerazione o la prescrizione, e senza neppure un Mastella che inventasse l'indulto - chi ha rappresentato quella croce non ha sempre brillato per coerenza con il messaggio di amore, tolleranza e fraternità che avrebbe dovuto incarnare. Anzi, quella croce è stata presa a simbolo - discrezionalmente - per lanciare guerre, per prevaricare, per creare uno stato temporale.
La storia ha già emesso la sua sentenza, su tutto questo, ben prima che venisse coinvolta la Corte di Strasburgo dalla solerte signora di Abano Terme - che evidentemente non dovrebbe avere molte altre faccende a cui pensare, o a cui destinare i denari che le saranno costati questa causa.
Giovanni Paolo II - tra i più degni successori di chi in quella croce è stato innalzato, tra sberleffi e scherni - ha chiesto scusa a tutto quel mondo che dalla storia della Chiesa, nei secoli, è stato offeso.
Quel che infastidisce di questa storia - detto da uno che non sopporta granchè le ostentate professioni di fede neppure dai suoi parenti più stretti - è l'accanirsi laicista e un po' modaiolo contro i simboli di una fede che oggi si vede costretta a lottare più contro "nemici interni" che non contro minacce esterne.
La parola "guerra santa" non viene coniata più neppure in quegli ambienti che si sono cibati di "jihad" (appunto, guerra santa) per lunghi anni.
Oggi il rischio - non della Chiesa in sè, ma della nostra società - è la perdita di quel patrimonio di valori che dietro quella croce vanno ancora ricercati. Non per essere imposti a qualcuno, ma per essere vissuti lungo le tracce di un insegnamento che fa parte del nostro retroterra culturale.
Lasciando libero che non ne sente la necessità, di tralasciarli. Senza però che quest'ultimo voglia imporre una "falsa libertà", perché per primo non riconosce la legittimità di una presenza - il crocifisso - che è sempre stata sinonimo di identità comune. E non certo di prevaricazione o sopruso.
Quando nel 2004 inaugurammo la niova sede di TRG, mia madre mi regalò un crocifisso da appendere nel mio ufficio. Per mesi (anzi, forse per qualche anno) l'ho lasciato nel cassetto. Più per inerzia che per volontà vera e propria. Poi l'ho ritrovato. E all'indomani di questa causa - che voleva porre al bando il crocifisso dalle scuole - ho deciso di issarlo anche sopra la porta del mio ufficio. Con silenzioso proposito di protesta.
Non credo che le centinaia di persone che sono entrate per i più disparati motivi, si siano sentite private della benchè minima libertà di pensiero o parola, da allora...
giovedì 17 marzo 2011
Un 17 marzo memorabile: perché lo "spirito" del passato ispiri anche le nuove generazioni... contro i nuovi "nemici"...
Oggi ne sono ancora più convinto. E’ stato giusto fermarsi un giorno per festeggiare. Questo 17 marzo 2011, in fondo, ce lo ricorderemo.
Magari anche per il clima uggioso, per un cielo gravido di inutile pioggerella inglese. Quella che sembra non esserci, sporgendosi dalle finestre, che non basta neppure a lavarti l’auto. Ma se esci ti lascia addosso l’umidità fastidiosa e usurante di un pomeriggio trascorso ad attendere che il sole faccia capolino.
Anche con questo clima, è stato giusto festeggiare. Perché in fondo si sarà pure perso un giorno di lavoro, qualche centesimo di punto di Pil (se ne buttano al vento tanti per motivi ben più futili) ma forse per il nostro bistrattato Paese – costretto a rifugiarsi in qualche vittoria sportiva per cercare di risollevare il morale di una “truppa” fin troppo demotivata – c’era bisogno di una sana iniezione di autostima. Oltre che rispolverare un capitolo nevralgico della nostra storia.
Conoscere e conoscersi per capire il presente e costruire il futuro. Questa è anche la storia. Questa in fondo è la nostra storia.
Lo capisci anche senza risalire all’epopea generale, ma approfondendo da vicino alcune vicende locali. Personaggi, aneddoti, episodi che in fondo fanno parte di quella più grande e generale scenografia che corre lungo il binario di tre-quattro nomi (Garibaldi, Mazzini, Cavour, Vittorio Emanuele) ma che senza l’apporto di intelligenze e soldati di ogni angolo del Paese non sarebbe riuscita a coronare il sogno unitario.
E in fondo non bastano i libri di storia – condizione necessaria ma non sufficiente – per entrare nel vivo della stessa. Per addentarne la polpa, assaporandone il fascino inconfondibile di qualcosa di vissuto, lontano dai palcoscenici mediatici, ma verace, spontaneo, esplosivo. Come era nelle menti e nell’anima dei giovani dell’800.
“Ricordiamoci che i giovani hanno fatto l’Italia”: lo ha ripetuto più volte lo storico e studioso eugubino, Fabrizio Cece, con il quale ho registrato la puntata speciale di “Link” – dedicata a questa ricorrenza – all’interno del suggestivo Museo del Risorgimento di Palazzo dei Consoli, a Gubbio. L’unico allestito in forma permanente in Umbria – inaugurato nel dicembre 2007 nel bicentenario della nascita di Garibaldi. “I giovani che 19enni o poco più che 20enni non esitarono a imbracciare le armi e sacrificare la propria vita per un ideale vissuto come priorità assoluta: la libertà e in essa l’indipendenza nazionale”.
Un nome su tanti: Goffredo Mameli, che compose quello che oggi è l’inno d’Italia, morendo a 21 anni nella difesa della Repubblica Romana del 1849, i 150 giorni di interregno mazziniano nella Capitale, squarciati dalla restaurazione dello Stato della Chiesa. Un bagliore, rispetto al cammino vorticoso della storia, che generò i semi di una cultura giuridica poi travasata nell’attuale Costituzione italiana: “Mentre fuori Garibaldi se la vedeva con i francesi, Mazzini e i suoi alleati componevano lo Statuto della Repubblica Romana che conteneva per la prima volta principi poi divenuti irrinunciabili nelle carte costituzionali successive” ha ricordato l’avv. Marco Marchetti, nel corso della trasmissione, evidenziando anche preziosi cimeli di quel periodo – come un titolo di credito fruttifero emesso in quel breve periodo, sulla scia della confisca dei beni ecclesiastici. Un patrimonio di cimeli e di ricordi che oggi consente di “toccare” con i due sensi più efficaci per memorizzare la storia – il tatto e la vista – il vissuto del Risorgimento a Gubbio ed in Umbria. Grazie al “tesoro” conservato gelosamente dall’allora Podestà di Gubbio, Lamberto, che già nel 1936 – anche sull’afflato di una volontà del regime di valorizzare le imprese risorgimentali – allestì una preziosa collezione di memorie dell’Ottocento. Felicemente conservate dai suoi discendenti e rispolverate in modo lungimirante da alcuni anni grazie all’intuizione dell’a.d. di “Gubbio cultura e multiservizi”, Enrico Viola.
Quanti Mameli anche nelle nostre terre? Non hanno avuto la stessa fama, non hanno composto le stesse note immortali: si chiamano Angelico Fabbri, Domeniconi, Toschi Mosca – nomi ricorrenti nella quotidianità perché si rifanno a delle vie, ma che ancora troppi eugubini ignorano nel loro reale contributo storico. E accanto a loro, ancora più anonimi, ma non del tutto dimenticati grazie anche a questa rassegna espositiva, i Cesare Migliarini, i Filippo Marchetti, i Nazareno Agostinucci, i Porcello di Carbonana, e il primo sindaco dell’Italia unita, Luigi Barbi. Nomi, personaggi, esempi che per la comunità eugubina non poteva restare nell’oblio. Seppur legati ad alterne fortune. E anche a pensieri e filosofie diverse – dai mazziniani che riluttavano anche la monarchia ai più pragmatici patrioti legati ai Savoia.
L’Ottocento italico, in fondo, è questo puzzle. Un percorso tortuoso di tentativi arditi, di sogni illusori, di straordinarie imprese, mescolate a cocenti delusioni, sanguinose sconfitte militari, imbarazzanti dietrofront diplomatici.
E in fondo, in questo bailamme, in questo saliscendi di emozioni e realizzazioni, in questa “precarietà” politica e geografica che ha contraddistinto la storia dello stivale di quasi nove secoli, c’è anche la radice dello spirito bizzarro italico. Mescolatosi nel tempo alle influenze e ai miscugli etnici più disparati. Mosso però da una spinta interiore formidabile, animata proprio un secolo e mezzo fa dagli intellettuali, ma sostenuta dai ventenni. Quelli che qualche decennio dopo, troveranno degni eredi nei “ragazzi del ‘99” – la gioventù che contribuì alla Vittoria in senso stretto, il successo nella Prima Guerra Mondiale, da taluni identificata come la quarta e ultima guerra d’indipendenza.
E in questa giornata che di grigio ha solo il cielo, ma è costellata allegramente dai tricolori che, diffusi, sventolano dalle finestre e dai balconi – che, vivaddio, richiamano un po’ di storia e non solo qualche estemporanea gloria calcistica – mi piace pensare che tanti ragazzi, anche più giovani di quei ventenni che un secolo e mezzo fa abbracciarono l’ideale della Patria e imbracciarono i moschetti per conquistare la libertà, possano dedicare qualche minuto della propria quotidianità a queste vicende. Anche con una semplice passeggiata tra i quadri, i cimeli, e i pannelli illustrativi di una mostra come quella del Risorgimento, a Palazzo dei Consoli.
Pochi spiccioli strappati ad una playstation o ad una “vasca sul corso” per calarsi solo qualche istante in quella realtà. Con un ideale viaggio nel tempo, assaggiare quello spirito che animò gli allora coetanei. In un mondo diverso, lontano e distante, dai costumi e dai parametri educativi inimmaginabili oggi, ma i cui valori, il cui animus, ancora oggi dovrebbe in fondo, condurci come una bussola. Non più per armeggiare contro qualcuno – sperando che non ce ne sia mai bisogno – ma per combattere una battaglia forse ancora più insidiosa: quella per difendere una civiltà dell’identità, della memoria, del proprio tessuto culturale, che sinuosamente e in modo subdolo è minata, ogni giorno, da un dilagante lassismo. Di idee, di motivazioni, di futuro.
La nuova "Patria" si chiama cultura, studio, principi, meritocrazia: quasi un'utopia per un giovane che oggi si affaccia nella giungla del cosiddetto "mercato del lavoro". E i nuovi nemici sono la "scorciatoia" - in qualunque foggia possa prefigurarsi - la conoscenza trasversale, il mezzuccio, la mazzetta.
Non che la classe dirigente, di oggi, possa rappresentare un modello edificante – come lo erano gli “eroi” di quel tempo.
Ma per questo l’impresa che attende la nuova generazione è ancora più ardua, che vincere una guerra. Perché il nemico non ce l'hai di fronte. E' nascosto e le sue armi sono ciò che di più meschino i modelli attuali sappiano esprimere. E allora la sfida è semplice: aprirsi la strada del futuro, prendendo il poco di buono che il presente mette sul piatto, conservando i “tesori” che il passato ci ha saputo tramandare, e immaginare, sognare, ma anche realizzare un futuro degno di quel passato. Non nostalgico. Ma carico della dignità di chi di quel passato può andare giustamente orgoglioso.
Ecco. Festeggiare oggi è anche ricordare tutto questo. E trovare il tempo per quella breve passeggiata nella storia: boccata d’ossigeno rigenerante di un presente che un giorno difficilmente qualcuno riuscirà a mettere in bacheca.
Magari anche per il clima uggioso, per un cielo gravido di inutile pioggerella inglese. Quella che sembra non esserci, sporgendosi dalle finestre, che non basta neppure a lavarti l’auto. Ma se esci ti lascia addosso l’umidità fastidiosa e usurante di un pomeriggio trascorso ad attendere che il sole faccia capolino.
Anche con questo clima, è stato giusto festeggiare. Perché in fondo si sarà pure perso un giorno di lavoro, qualche centesimo di punto di Pil (se ne buttano al vento tanti per motivi ben più futili) ma forse per il nostro bistrattato Paese – costretto a rifugiarsi in qualche vittoria sportiva per cercare di risollevare il morale di una “truppa” fin troppo demotivata – c’era bisogno di una sana iniezione di autostima. Oltre che rispolverare un capitolo nevralgico della nostra storia.
Conoscere e conoscersi per capire il presente e costruire il futuro. Questa è anche la storia. Questa in fondo è la nostra storia.
Lo capisci anche senza risalire all’epopea generale, ma approfondendo da vicino alcune vicende locali. Personaggi, aneddoti, episodi che in fondo fanno parte di quella più grande e generale scenografia che corre lungo il binario di tre-quattro nomi (Garibaldi, Mazzini, Cavour, Vittorio Emanuele) ma che senza l’apporto di intelligenze e soldati di ogni angolo del Paese non sarebbe riuscita a coronare il sogno unitario.
E in fondo non bastano i libri di storia – condizione necessaria ma non sufficiente – per entrare nel vivo della stessa. Per addentarne la polpa, assaporandone il fascino inconfondibile di qualcosa di vissuto, lontano dai palcoscenici mediatici, ma verace, spontaneo, esplosivo. Come era nelle menti e nell’anima dei giovani dell’800.
“Ricordiamoci che i giovani hanno fatto l’Italia”: lo ha ripetuto più volte lo storico e studioso eugubino, Fabrizio Cece, con il quale ho registrato la puntata speciale di “Link” – dedicata a questa ricorrenza – all’interno del suggestivo Museo del Risorgimento di Palazzo dei Consoli, a Gubbio. L’unico allestito in forma permanente in Umbria – inaugurato nel dicembre 2007 nel bicentenario della nascita di Garibaldi. “I giovani che 19enni o poco più che 20enni non esitarono a imbracciare le armi e sacrificare la propria vita per un ideale vissuto come priorità assoluta: la libertà e in essa l’indipendenza nazionale”.
Un nome su tanti: Goffredo Mameli, che compose quello che oggi è l’inno d’Italia, morendo a 21 anni nella difesa della Repubblica Romana del 1849, i 150 giorni di interregno mazziniano nella Capitale, squarciati dalla restaurazione dello Stato della Chiesa. Un bagliore, rispetto al cammino vorticoso della storia, che generò i semi di una cultura giuridica poi travasata nell’attuale Costituzione italiana: “Mentre fuori Garibaldi se la vedeva con i francesi, Mazzini e i suoi alleati componevano lo Statuto della Repubblica Romana che conteneva per la prima volta principi poi divenuti irrinunciabili nelle carte costituzionali successive” ha ricordato l’avv. Marco Marchetti, nel corso della trasmissione, evidenziando anche preziosi cimeli di quel periodo – come un titolo di credito fruttifero emesso in quel breve periodo, sulla scia della confisca dei beni ecclesiastici. Un patrimonio di cimeli e di ricordi che oggi consente di “toccare” con i due sensi più efficaci per memorizzare la storia – il tatto e la vista – il vissuto del Risorgimento a Gubbio ed in Umbria. Grazie al “tesoro” conservato gelosamente dall’allora Podestà di Gubbio, Lamberto, che già nel 1936 – anche sull’afflato di una volontà del regime di valorizzare le imprese risorgimentali – allestì una preziosa collezione di memorie dell’Ottocento. Felicemente conservate dai suoi discendenti e rispolverate in modo lungimirante da alcuni anni grazie all’intuizione dell’a.d. di “Gubbio cultura e multiservizi”, Enrico Viola.
Quanti Mameli anche nelle nostre terre? Non hanno avuto la stessa fama, non hanno composto le stesse note immortali: si chiamano Angelico Fabbri, Domeniconi, Toschi Mosca – nomi ricorrenti nella quotidianità perché si rifanno a delle vie, ma che ancora troppi eugubini ignorano nel loro reale contributo storico. E accanto a loro, ancora più anonimi, ma non del tutto dimenticati grazie anche a questa rassegna espositiva, i Cesare Migliarini, i Filippo Marchetti, i Nazareno Agostinucci, i Porcello di Carbonana, e il primo sindaco dell’Italia unita, Luigi Barbi. Nomi, personaggi, esempi che per la comunità eugubina non poteva restare nell’oblio. Seppur legati ad alterne fortune. E anche a pensieri e filosofie diverse – dai mazziniani che riluttavano anche la monarchia ai più pragmatici patrioti legati ai Savoia.
L’Ottocento italico, in fondo, è questo puzzle. Un percorso tortuoso di tentativi arditi, di sogni illusori, di straordinarie imprese, mescolate a cocenti delusioni, sanguinose sconfitte militari, imbarazzanti dietrofront diplomatici.
E in fondo, in questo bailamme, in questo saliscendi di emozioni e realizzazioni, in questa “precarietà” politica e geografica che ha contraddistinto la storia dello stivale di quasi nove secoli, c’è anche la radice dello spirito bizzarro italico. Mescolatosi nel tempo alle influenze e ai miscugli etnici più disparati. Mosso però da una spinta interiore formidabile, animata proprio un secolo e mezzo fa dagli intellettuali, ma sostenuta dai ventenni. Quelli che qualche decennio dopo, troveranno degni eredi nei “ragazzi del ‘99” – la gioventù che contribuì alla Vittoria in senso stretto, il successo nella Prima Guerra Mondiale, da taluni identificata come la quarta e ultima guerra d’indipendenza.
E in questa giornata che di grigio ha solo il cielo, ma è costellata allegramente dai tricolori che, diffusi, sventolano dalle finestre e dai balconi – che, vivaddio, richiamano un po’ di storia e non solo qualche estemporanea gloria calcistica – mi piace pensare che tanti ragazzi, anche più giovani di quei ventenni che un secolo e mezzo fa abbracciarono l’ideale della Patria e imbracciarono i moschetti per conquistare la libertà, possano dedicare qualche minuto della propria quotidianità a queste vicende. Anche con una semplice passeggiata tra i quadri, i cimeli, e i pannelli illustrativi di una mostra come quella del Risorgimento, a Palazzo dei Consoli.
Pochi spiccioli strappati ad una playstation o ad una “vasca sul corso” per calarsi solo qualche istante in quella realtà. Con un ideale viaggio nel tempo, assaggiare quello spirito che animò gli allora coetanei. In un mondo diverso, lontano e distante, dai costumi e dai parametri educativi inimmaginabili oggi, ma i cui valori, il cui animus, ancora oggi dovrebbe in fondo, condurci come una bussola. Non più per armeggiare contro qualcuno – sperando che non ce ne sia mai bisogno – ma per combattere una battaglia forse ancora più insidiosa: quella per difendere una civiltà dell’identità, della memoria, del proprio tessuto culturale, che sinuosamente e in modo subdolo è minata, ogni giorno, da un dilagante lassismo. Di idee, di motivazioni, di futuro.
La nuova "Patria" si chiama cultura, studio, principi, meritocrazia: quasi un'utopia per un giovane che oggi si affaccia nella giungla del cosiddetto "mercato del lavoro". E i nuovi nemici sono la "scorciatoia" - in qualunque foggia possa prefigurarsi - la conoscenza trasversale, il mezzuccio, la mazzetta.
Non che la classe dirigente, di oggi, possa rappresentare un modello edificante – come lo erano gli “eroi” di quel tempo.
Ma per questo l’impresa che attende la nuova generazione è ancora più ardua, che vincere una guerra. Perché il nemico non ce l'hai di fronte. E' nascosto e le sue armi sono ciò che di più meschino i modelli attuali sappiano esprimere. E allora la sfida è semplice: aprirsi la strada del futuro, prendendo il poco di buono che il presente mette sul piatto, conservando i “tesori” che il passato ci ha saputo tramandare, e immaginare, sognare, ma anche realizzare un futuro degno di quel passato. Non nostalgico. Ma carico della dignità di chi di quel passato può andare giustamente orgoglioso.
Ecco. Festeggiare oggi è anche ricordare tutto questo. E trovare il tempo per quella breve passeggiata nella storia: boccata d’ossigeno rigenerante di un presente che un giorno difficilmente qualcuno riuscirà a mettere in bacheca.
martedì 15 marzo 2011
Il perché di una rubrica sul blog... che oggi arriva anche sul "Messaggero". E qualche consiglio sui "falsi allergici"...
Perché una rubrica su "salute e alimentazione"? Me lo ha chiesto un amico, via facebook. Un aficionado di questo blog, che è rimasto un po' sorpreso (devo dire, comunque, piacevolmente) dalla novità introdotta da qualche giorno. Un nuovo capitolo, un nuovo tema di riflessione e, perchè no, anche confronto. La risposta è semplice: la salute è la cosa più importante che ci resta (e dovremmo sempre tenerlo presente, senza aspettare calamità come quella giapponese a ricordarcelo).
Il problema è che il nostro "stile di vita moderno" - tutto casa (poltrona tv) e scrivania (di lavoro con pc incorporato), magari ravvivata da qualche sigaretta - non è il massimo. Se poi ad un certo punto, colesterolo e pressione bussano alla porta, non chiediamoci il perchè.
Onder, conduttore di "TG2 Salute" |
Da qui la sollecitazione, che faccio mia da tempo, rinunciando a prendere l'auto per andare in ufficio, cercando di percorrere quotidianamente quei 2-3 km a piedi sufficienti, con l'utilizzo frequente delle scale, a "bruciare" la dose quotidiana di calorie consigliata. Il resto si "gioca" a tavola - dove le tentazioni sono sempre forti e in parte irresistibili (non saprei francamente desinare senza condimenti, parmigiano ed essenze varie, rinunciando invece volentieri a ketch up e maionese) - e in un'attenta prevenzione fatta di alimentazione sana (frutta e verdura a volontà, ma attenti che siano fresche e di provenienza locale).
Piccoli accorgimenti basilari. Che diventano sempre più oggetto di comunicazione giornalistica: quante rubriche televisive sulla salute? Luciano Onder è stato un precursone, ma oggi i suoi discepoli fioccano come i cristiani ai tempi di Costantino (da non confondere con quello di Maria De Filippi). La novità di oggi, su questo fronte, arriva dal "Messaggero" che lancia un nuovo inserto: "Noi Salute", perchè - scrive Andrea Sermonti - la salute è nostra e, ascoltando le parole degli esperti e rifuggendo da santoni e sciamani delle diete o delle terapie magiche, siamo noi i primi a dovercene occupare.
Il capitolo di oggi è dedicato alle allergie. Un tema che interessa davvero tanti ma che nasconde anche diverse insidie.
E' infatti vero e proprio boom di falsi allergici in Italia. I test per valutare se il pericolo si nasconde nel piatto sono diventati un business: costosi, in molti casi non validati ed eseguiti in centri non specializzati, danno un'alta percentuale di falsi positivi. Con la conseguenza che alimenti importanti come il latte, si eliminano dalla dieta anche senza esserne davvero allergici. A lanciare l'allarme è Massimo Triggiani, presidente eletto della Società italiana di allergologia e immunologia clinica (Siaic), dal Congresso europeo sulle allergie alimentari (Faam), in corso a Venezia. Secondo i risultati preliminari di un gruppo della Siaic che sta studiando il fenomeno, su un 20% di pazienti convinti di avere un'allergia a un qualche cibo, solo l'1-2% ne è realmente colpito. Si stanno diffondendo sempre più "test non scientificamente validati e costosi, non effettuati in Centri allergologici - spiega Triggiani - Si può spendere dai 40, 50 euro fino a 500 euro, ma in molti casi si ottengono falsi positivi". Risultati 'sballati' che portano a un boom di falsi allergici a tavola e alimentano la confusione fra allergie e intolleranze alimentari. Le prime attivano il sistema immunitario scatenando una reazione che può anche essere fatale, le seconde coinvolgono il metabolismo. Invece, convinti di non poter mangiare latticini piuttosto che uova o prodotti a base di cereali, si eliminano questi alimenti dalla dieta, anche dei bambini. Con il rischio di andare incontro a carenze alimentari anche gravi. Attraverso questionari a persone che si ritenevano allergiche, il gruppo di studio della Siaic ha identificato un 20% di pazienti convinti di avere problemi con alcuni alimenti. La maggior parte non mangiava più i cibi ritenuti 'incriminati', anche se indispensabili, come il latte, soprattutto se si tratta di bimbi. Ebbene, utilizzando esami diagnostici validati, gli esperti hanno scoperto che solo l'1-2% era realmente allergico. I dati completi dell"indagine saranno diffusi a maggio.
Intanto, Triggiani invita a “non fare autodiagnosi e a rivolgersi a Centri allergologici. E soprattutto, non eliminare gli alimenti dalla dieta" prima di una diagnosi 'vera'.
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Salute e alimentazione
lunedì 14 marzo 2011
Il termometro di Reggio Emilia segna +10... ma la febbre per l'impresa è molto più alta...
Reggio Emilia non inganna: Gubbio a +10 (foto Sergio Rossi) |
Il Gubbio vince la sua 18ma gara stagionale, su 26 incontri, l’ottava fuori dalle mura casalinghe. E riporta a 10 i punti di vantaggio sul Sorrento, quando mancano 5 gare allo scontro diretto e 8 al sipario.
Se il 2010 si era chiuso trionfalmente con 7 successi di fila, il 2011 sta correndo sugli stessi binari: Druso, Bentegodi, Brianteo e ora Giglio, non sono eroi risorgimentali ma i nomi degli stadi dove il Gubbio di Vincenzo Torrente – che di un condottiero dell’epopea garibaldina comincia ad assumere le sembianze – ha trovato gloria.
Ma la vittoria del “Giglio” assume un sapore e un’importanza speciali. In uno stadio straordinariamente affascinante e funzionale, con il profumo di categoria superiore che emana ogni pertugio e un angolo dei ricordi che è l’unico sorriso dei tifosi granata di questi tempi, il Gubbio gioca da capolista: non ci sono tre pedine pesanti tra difesa ed attacco, ma Torrente non si scompone, disegna il fidato 4-3-3, affida a Bazzoffia le chiavi dell’attacco e a Caracciolo il lucchetto da condividere con Briganti in difesa. Per il resto, una squadra che ormai gioca a memoria, cambiano i nomi ma non la musica e lo spartito che assomiglia a quell’inno nazionale eseguito prima della gara – tanto più suggestivo in quanto intonato in quella che è la capitale del tricolore.
E il rigore di Alfredo Donnarumma (a lato la foto tratta da http://www.gubbiofans.it/) – procurato dall’ex catanese e battuto con la freddezza dei giocatori più esperti – è una nuova mazzata sulle speranze degli inseguitori, a cominciare da quel Sorrento che sulla carta avrebbe dovuto approfittare della giornata – giocando contro una Spal decimata – e che invece si ritrova di nuovo a vogare a distanza siderale.
Non sorprende più, ma non può essere per questo sottaciuta, la personalità con cui i rossoblù ormai affrontano e superano ogni avversario, in ogni campo e in ogni scenario, in ogni condizione psicologica. Chi arriva da vittorie in sequenza, o da sconfitte che aspettano di essere cancellate, poco importa: una sicurezza non ostentata quella dei rossoblù ma tangibile, esaltata dalla facilità con cui la difesa è imperniata sull’inossidabile Briganti e su un Lamanna provvidenziale nei momenti top, dalla costanza con cui il centrocampo del trio Boisfer-Raggio-Sandreani macina chilometri come una catena di montaggio, e dalla versatilità di un attacco che, anche orfano di centimetri ed elevazione, trova in un inarrestabile Bazzoffia la zanzara pungente e fastidiosa capace di tenere in scacco un intero reparto difensivo.
Anche la Reggiana, tra le primedonne attese di questa stagione, getta la spugna: l’unico a divertirsi è un bambino che insegue un pallone tra gli spalti desolati di uno stadio, simbolo della gloria che fu.
Un tempio nel quale a reggere i decibel del tifo sano e inesauribile sono ancora una volta i tifosi rossoblù. L’amaro digerito dopo il pari col Como sembra un pallido ricordo, perché non sappiamo quante piazze da 30 mila abitanti portino in giro per l’Italia 800 tifosi. Che imbevuti d’acqua, e forse non solo quella, spingono la squadra eugubina oltre colonne d’Ercole inimmaginabili fino ad un paio di anni fa.
Il feeling con la squadra è di quelli da immortalare: le braccia alzate del capitano, la scivolata allegra e sbarazzina di Caracciolo, e Farina che chiede agli spalti il risultato del Sorrento. Attimi di ebbrezza rubati al saluto finale.
Che non sarà un commiato definitivo al campionato. E non vuol essere uno scherno agli avversari. Ma solo un arrivederci alla prossima impresa. In una stagione dove la palpitante straordinarietà si trasforma in spensierata e sorridente normalità…
Dalla copertina "A gioco fermo" della trasmissione "Fuorigioco" di lunedì 14-3-2011
Musica di sottofondo: "Hello" - Martin Solveig - 2011
sabato 12 marzo 2011
Prima riunione sul tema dello "scavijamento": alcune note, alcune eco, alcune riflessioni...
Il "ghiaccio" è stato rotto. Ma ancora la strada resta lunga.
Si anima il dibattito intorno alla proposta - avanzata con una raccolta firme e alcuni manifesti pubblici - di dare un significato "reale e profondo" all'epilogo della Festa dei Ceri. Un epilogo corale, comune, coerente con il messaggio e l'esempio di S.Ubaldo.
Un'iniziativa lanciata dal ceraiolo sangiorgiaro, Francesco Pascolini (per tutti "Picchio"), che ha trovato un primo momento di valutazione. Definirlo di "condivisione" è eccessivo, anche perché la stessa atmosfera della riunione, indetta dall'Università Muratori presso la propria sede - presenti rappresentanti delle Famiglie ceraiole, il Vescovo Ceccobelli e alcuni ceraioli - non è stata quello che si dice proprio "collaborativa".
Tant'è. L'importante - come si dice in gergo - è che se ne parli.
Cosa è stato detto? Lascio il racconto alle parole dello stesso "Picchio" che via e-mail mi ha informato sulla riunione - a cui mi sarebbe piaciuto per altro partecipare, ma non ne ero a conoscenza, e venutone a sapere mezz'ora prima, francamente non sapevo se aperta o meno al pubblico.
Ma ecco come racconta - con estrema sintesi e franchezza - l'incontro, Francesco Pascolini, che dopo un'esposizione iniziale della proposta ha preferito (molto educatamente) "defilarsi" per non condizionare i presenti:
PRESSO LA SEDE DELL’UNIVERSITA’ DEI MURATORI HA AVUTO LUOGO IL PRIMO INCONTRO UFFICIALE RELATIVO ALLA QUESTIONE “SCAVIJAMENTO SANT’UBALDO”.
L’INCONTRO E’ STATO ORGANIZZATO CELERMENTE (E CON VELATA POLEMICA: VEDI CONTENUTO DELL’INVITO) DALLA STESSA UNIVERSITA’ DEI MURATORI ANCHE E SOPRATTUTTO PERCHE’ S’E’ SENTITA "SCAVALCATA", TAGLIATA FUORI DALL’INIZIATIVA E CON QUEST’INVITO HA VOLUTO RIBADIRE IL SUO RUOLO. PRENDERE IN MANO L’INIZIATIVA (COSA OVVIAMENTE POSITIVA).
DEGLI INVITATI UFFICIALI ERANO PRESENTI:
• MOLTI ESPONENTI DEL CONSIGLIO DELL’UNIVERSITA’
• IL VESCOVO MARIO CECCOBELLI ACCOMPAGNATO DA DON MIRKO ORSINI
• IN RAPPRESENTANZA DEL COMUNE DI GUBBIO (ED IN VECE DEL SINDACO) L’ASSESSORE LUCIO PANFILI
• I PRESIDENTI DELLE FAMIGLIE CERAIOLE
ASSENTE, PUR SE INVITATO, IL MAGGIO EUGUBINO
PRESENTI NON UFFICIALMENTE INVITATI:
• CAPODIECI DEL CERO DI SANT’UBALDO MASSIMO MORELLI
• CAPODIECI DEL CERO DI SANT’ANTONIO ROBERTO FOFI
• MARINO ROSSI (FORSE IN RAPPRESENTANZA DEL GRUPPO DEGLI ULTIMI SEI CAPODIECI DEL CERO DI SAN GIORGIO)
• ALCUNI RAPPRESENTANTI DEL SENATO DEL CERO DI SANT’ANTONIO
• ALCUNI CURIOSI
• IL SOTTOSCRITTO (INFORMATO, DALL’INVITO, SOLO PER CONOSCENZA)
ASSENTI, PUR SE NON UFFICIALMENTE INVITATI, I CAPITANI DI QUEST’ANNO ED IL CAPODIECI DI SAN GIORGIO (QUEST’ULTIMO PROBABILMENTE PER SCELTA)
LA SALA ERA PIENA E QUESTO E’ GIA’ DA CONSIDERARSI UN SUCCESSO. S’E’ PERCEPITA LA VOGLIA DI ESSERCI.
HO CHIESTO DI PRENDERE PRELIMINARMENTE LA PAROLA PER:
• PRESENTARE L’ARCHIVIO DELLE FIRME RACCOLTE (E FAR INTENDERE CHE NON SI TRATTA DI FANTASIE)
• FARE UNA PRECISAZIONE: PER MEZZO DELL’INIZIATIVA VIENE CHIESTO AI SANTUBALDARI CHE ATTENDANO GLI ALTRI CERI PRIMA DI SMONTARE IL PROPRIO E NULL’ALTRO
• SPIEGARE PASSIONALMENTE I MOTIVI CHE M’HANNO SPINTO AD ATTIVARE L’INIZIATIVA
• INOLTRARE UNA RICHIESTA CHIARA
RELATIVAMENTE A QUEST’ULTIMO PUNTO E’ BENE APPROFONDIRE: HO CHIESTO, BASANDOMI SU UN MANIFESTO CONDIVISO DA MOLTI, CHE LE ISTITUZIONI PRESENTI O COMUNQUE COINVOLTE DECIDANO CHIARAMENTE IN MERITO ALL’ARGOMENTO E CHE SI ASSUMANO LE RESPONSABILITA’ CONSEGUENTI A QUESTA DECISIONE. NON SARA’ ACCETTATO IL NON DECIDERE FRUTTO DI CONFUSIONE, CATTIVA INTERPRETAZIONE, FONDAMENTALMENTE CAOS. PERICOLOSO CAOS (VEDI CERI PICCOLI 2010 CON RISSE E PIANTI, VEDI VOCI SANGIORGIARE CHE PROPONGONO UN RITORNO AL PASSATO CON L’ALZATA DI OGNI CERO A SE STANTE AFFRONTANDO IN MANIERA SPECULARE L’INGIUSTIZIA PROPINATA DAI SANTUBALDARI ALLA FINE DELLA GIORNATA).
CHE LE ISTITUZIONI PREPOSTE ALL’ORGANIZZAZIONE DELLA FESTA SCELGANO PURE LIBERAMENTE LE LE MODALITA’ DI CONFRONTO E DI DISCUSSIONE MA LA PRETESA E’ CHE DECIDANO.
A QUEL PUNTO HO FATTO UN PASSO INDIETRO, HO RACCOLTO IL BLOCCO DELLE FIRME E ME NE SONO ANDATO.
NON HO VOLUTO CHE LA MIA PRESENZA INFLUENZASSE IL DIBATTITO.
QUELLO CHE L’INIZIATIVA S’ERA PREPOSTA E’ STATO OTTENUTO.
IL DIBATTITO E’ INIZIATO.
ORA TOCCA AD ALTRI.
RESTO VIGILE ED ATTENTO OSSERVATORE DELL’EVOLUZIONE DEGLI EVENTI.
SE LE ISTITUZIONI NON DECIDERANNO, MI FARO’ DI NUOVO AVANTI.
COMUNQUE AL DI LA’ DI TUTTO DA ORA IN POI CONTANO I FATTI. LE PAROLE NON SUPPORTATE DAI FATTI DIVENGONO ASSAI POCO INTERESSANTI.
RESTO FIDUCIOSO IN UNA POSITIVA EVOLUZIONE.
Francesco Pascolini "Picchio"
Fin qui la nota di "Picchio", sulla riunione di lunedì. Riunione che si è chiusa con le parti che hanno rinviato il dibattito nelle rispettive sedi (l'Università al suo interno, così come le compagini ceraiole).
Personalmente, non avendo potuto prendere parte all'incontro - al quale per altro avrei dato il mio contributo, semplicemente ribadendo quello che non solo affermo da tempo, ma ho anche scritto nei precedenti post sull'argomento) - ho cercato informazioni chiedendo lumi ad altri partecipanti.
Ecco alcune considerazioni emerse nella riunioni (condivisibili o meno) di cui sono venuto a conoscenza:
Il presidente della Famiglia dei Santubaldari, Ubaldo Minelli, paventa che una assemblea generale su questo tema - come richiesto da Pascolini con oltre 760 firme raccolte - crei un precedente pericoloso, che potrebbe dare adito in futuro a degenerazioni (raccolta firme per stravolgere la Festa o la Corsa) – timore che a mio avviso appare esagerato. Il rischio per il futuro è perpetuare la situazione attuale solo per l’inerzia di non avere il coraggio di prendere in mano il problema.
Il capodieci di Sant’Ubaldo, Massimo Morelli, si è dichiarato disponibile a valutare la cosa solo se rientra in un pacchetto di interventi che comprendano altre situazioni, a suo giudizio, incompatibili con l’attuale momento della festa (es: quarta girata di Sant’Antonio in Piazza Grande). Personalmente credo che su tutto sia lecito discutere, anche se vanno fatti i dovuti distinguo: ad es: la quarta girata in piazza grande di Sant’Antonio è un’invenzione posticcia, recente e senza grande fondatezza, e potrebbe tranquillamente essere abolita. Discorso diverso merito la giratella in piazza Oderisi (oggi piazza S.Antonio) dove sorgeva un antico convento che dava il nome anche al corso stesso.
In ogni caso, la Festa dei Ceri ha un solo soggetto inamovibile: il Patrono S.Ubaldo. Tutto il resto - anche se lo chiamiamo tradizione - fa da contorno. Ed è assurdo che spesso si dia più importanza al contorno che non all'omaggio al Patrono (tanto per tornare al tema dello "scavijamento" congiunto).
Il Vescovo Ceccobelli, pur riconoscendo la sua non appartenenza alla comunità eugubina che rende doveroso il mantenimento di una posizione super partes – ha usato parole di condivisione per l’iniziativa di Pascolini nella quale “non si ravvisa malizia ma la volontà di interpretare il messaggio di Ubaldo”.
Forse è mancata una presa di posizione netta che la Diocesi avrebbe l'autorità e il dovere di assumere, parlandosi di un gesto rivolto al Patrono. Più diretta la posizione di don Giuliano Salciarini, che ha confidato la positività dell’esperienza avuta nel 2000 e nel 2001 anche agli occhi di chi (come lui) propendeva fino a quel momento per l’epilogo tramandato negli ultimi decenni.
Infine il capodieci di Sant’Antonio, Roberto Fofi, unitamente a al componente del Senato, Raffaele Pellegrini, hanno spiegato che alla base del problema vi è lo storico fraintendimento per il quale si ignora che il cero di Sant’Ubaldo altro non rappresenta che il protettore dell’arte dei Muratori – da distinguere chiaramente dalla figura di S.Ubaldo Patrono di tutti gli eugubini e quindi di tutti i ceraioli. Espressioni o gesti che lascino anche lontanamente intendere che la Basilica di S.Ubaldo sia il luogo solo di qualcuno e non di qualun’altro, sono contrarie alla tradizione e al significato della Festa oltre che, principalmente, al significato del messaggio di Ubaldo (volto alla riconciliazione e non certo alla definizione di una gerarchia).
Messaggio quest’ultimo che va ribadito in ogni forma e in ogni circostanza per evitare che le future generazioni abbiano – questo sì – come pericoloso precedente il non specificare ciò che è alla base di questa Festa e che la distingue da qualsiasi altra manifestazione.
La corsa è corsa - con le sue specificità (ad es: non ci si supera): ma alla fine l'unico vincitore è il Patrono. Verso il quale si è rinnovato il plurisecolare omaggio.
Si anima il dibattito intorno alla proposta - avanzata con una raccolta firme e alcuni manifesti pubblici - di dare un significato "reale e profondo" all'epilogo della Festa dei Ceri. Un epilogo corale, comune, coerente con il messaggio e l'esempio di S.Ubaldo.
Un'iniziativa lanciata dal ceraiolo sangiorgiaro, Francesco Pascolini (per tutti "Picchio"), che ha trovato un primo momento di valutazione. Definirlo di "condivisione" è eccessivo, anche perché la stessa atmosfera della riunione, indetta dall'Università Muratori presso la propria sede - presenti rappresentanti delle Famiglie ceraiole, il Vescovo Ceccobelli e alcuni ceraioli - non è stata quello che si dice proprio "collaborativa".
Tant'è. L'importante - come si dice in gergo - è che se ne parli.
Cosa è stato detto? Lascio il racconto alle parole dello stesso "Picchio" che via e-mail mi ha informato sulla riunione - a cui mi sarebbe piaciuto per altro partecipare, ma non ne ero a conoscenza, e venutone a sapere mezz'ora prima, francamente non sapevo se aperta o meno al pubblico.
Ma ecco come racconta - con estrema sintesi e franchezza - l'incontro, Francesco Pascolini, che dopo un'esposizione iniziale della proposta ha preferito (molto educatamente) "defilarsi" per non condizionare i presenti:
PRESSO LA SEDE DELL’UNIVERSITA’ DEI MURATORI HA AVUTO LUOGO IL PRIMO INCONTRO UFFICIALE RELATIVO ALLA QUESTIONE “SCAVIJAMENTO SANT’UBALDO”.
L’INCONTRO E’ STATO ORGANIZZATO CELERMENTE (E CON VELATA POLEMICA: VEDI CONTENUTO DELL’INVITO) DALLA STESSA UNIVERSITA’ DEI MURATORI ANCHE E SOPRATTUTTO PERCHE’ S’E’ SENTITA "SCAVALCATA", TAGLIATA FUORI DALL’INIZIATIVA E CON QUEST’INVITO HA VOLUTO RIBADIRE IL SUO RUOLO. PRENDERE IN MANO L’INIZIATIVA (COSA OVVIAMENTE POSITIVA).
DEGLI INVITATI UFFICIALI ERANO PRESENTI:
• MOLTI ESPONENTI DEL CONSIGLIO DELL’UNIVERSITA’
• IL VESCOVO MARIO CECCOBELLI ACCOMPAGNATO DA DON MIRKO ORSINI
• IN RAPPRESENTANZA DEL COMUNE DI GUBBIO (ED IN VECE DEL SINDACO) L’ASSESSORE LUCIO PANFILI
• I PRESIDENTI DELLE FAMIGLIE CERAIOLE
ASSENTE, PUR SE INVITATO, IL MAGGIO EUGUBINO
PRESENTI NON UFFICIALMENTE INVITATI:
• CAPODIECI DEL CERO DI SANT’UBALDO MASSIMO MORELLI
• CAPODIECI DEL CERO DI SANT’ANTONIO ROBERTO FOFI
• MARINO ROSSI (FORSE IN RAPPRESENTANZA DEL GRUPPO DEGLI ULTIMI SEI CAPODIECI DEL CERO DI SAN GIORGIO)
• ALCUNI RAPPRESENTANTI DEL SENATO DEL CERO DI SANT’ANTONIO
• ALCUNI CURIOSI
• IL SOTTOSCRITTO (INFORMATO, DALL’INVITO, SOLO PER CONOSCENZA)
ASSENTI, PUR SE NON UFFICIALMENTE INVITATI, I CAPITANI DI QUEST’ANNO ED IL CAPODIECI DI SAN GIORGIO (QUEST’ULTIMO PROBABILMENTE PER SCELTA)
LA SALA ERA PIENA E QUESTO E’ GIA’ DA CONSIDERARSI UN SUCCESSO. S’E’ PERCEPITA LA VOGLIA DI ESSERCI.
HO CHIESTO DI PRENDERE PRELIMINARMENTE LA PAROLA PER:
• PRESENTARE L’ARCHIVIO DELLE FIRME RACCOLTE (E FAR INTENDERE CHE NON SI TRATTA DI FANTASIE)
• FARE UNA PRECISAZIONE: PER MEZZO DELL’INIZIATIVA VIENE CHIESTO AI SANTUBALDARI CHE ATTENDANO GLI ALTRI CERI PRIMA DI SMONTARE IL PROPRIO E NULL’ALTRO
• SPIEGARE PASSIONALMENTE I MOTIVI CHE M’HANNO SPINTO AD ATTIVARE L’INIZIATIVA
• INOLTRARE UNA RICHIESTA CHIARA
RELATIVAMENTE A QUEST’ULTIMO PUNTO E’ BENE APPROFONDIRE: HO CHIESTO, BASANDOMI SU UN MANIFESTO CONDIVISO DA MOLTI, CHE LE ISTITUZIONI PRESENTI O COMUNQUE COINVOLTE DECIDANO CHIARAMENTE IN MERITO ALL’ARGOMENTO E CHE SI ASSUMANO LE RESPONSABILITA’ CONSEGUENTI A QUESTA DECISIONE. NON SARA’ ACCETTATO IL NON DECIDERE FRUTTO DI CONFUSIONE, CATTIVA INTERPRETAZIONE, FONDAMENTALMENTE CAOS. PERICOLOSO CAOS (VEDI CERI PICCOLI 2010 CON RISSE E PIANTI, VEDI VOCI SANGIORGIARE CHE PROPONGONO UN RITORNO AL PASSATO CON L’ALZATA DI OGNI CERO A SE STANTE AFFRONTANDO IN MANIERA SPECULARE L’INGIUSTIZIA PROPINATA DAI SANTUBALDARI ALLA FINE DELLA GIORNATA).
CHE LE ISTITUZIONI PREPOSTE ALL’ORGANIZZAZIONE DELLA FESTA SCELGANO PURE LIBERAMENTE LE LE MODALITA’ DI CONFRONTO E DI DISCUSSIONE MA LA PRETESA E’ CHE DECIDANO.
A QUEL PUNTO HO FATTO UN PASSO INDIETRO, HO RACCOLTO IL BLOCCO DELLE FIRME E ME NE SONO ANDATO.
NON HO VOLUTO CHE LA MIA PRESENZA INFLUENZASSE IL DIBATTITO.
QUELLO CHE L’INIZIATIVA S’ERA PREPOSTA E’ STATO OTTENUTO.
IL DIBATTITO E’ INIZIATO.
ORA TOCCA AD ALTRI.
RESTO VIGILE ED ATTENTO OSSERVATORE DELL’EVOLUZIONE DEGLI EVENTI.
SE LE ISTITUZIONI NON DECIDERANNO, MI FARO’ DI NUOVO AVANTI.
COMUNQUE AL DI LA’ DI TUTTO DA ORA IN POI CONTANO I FATTI. LE PAROLE NON SUPPORTATE DAI FATTI DIVENGONO ASSAI POCO INTERESSANTI.
RESTO FIDUCIOSO IN UNA POSITIVA EVOLUZIONE.
Francesco Pascolini "Picchio"
Fin qui la nota di "Picchio", sulla riunione di lunedì. Riunione che si è chiusa con le parti che hanno rinviato il dibattito nelle rispettive sedi (l'Università al suo interno, così come le compagini ceraiole).
Personalmente, non avendo potuto prendere parte all'incontro - al quale per altro avrei dato il mio contributo, semplicemente ribadendo quello che non solo affermo da tempo, ma ho anche scritto nei precedenti post sull'argomento) - ho cercato informazioni chiedendo lumi ad altri partecipanti.
Ecco alcune considerazioni emerse nella riunioni (condivisibili o meno) di cui sono venuto a conoscenza:
Il presidente della Famiglia dei Santubaldari, Ubaldo Minelli, paventa che una assemblea generale su questo tema - come richiesto da Pascolini con oltre 760 firme raccolte - crei un precedente pericoloso, che potrebbe dare adito in futuro a degenerazioni (raccolta firme per stravolgere la Festa o la Corsa) – timore che a mio avviso appare esagerato. Il rischio per il futuro è perpetuare la situazione attuale solo per l’inerzia di non avere il coraggio di prendere in mano il problema.
Il capodieci di Sant’Ubaldo, Massimo Morelli, si è dichiarato disponibile a valutare la cosa solo se rientra in un pacchetto di interventi che comprendano altre situazioni, a suo giudizio, incompatibili con l’attuale momento della festa (es: quarta girata di Sant’Antonio in Piazza Grande). Personalmente credo che su tutto sia lecito discutere, anche se vanno fatti i dovuti distinguo: ad es: la quarta girata in piazza grande di Sant’Antonio è un’invenzione posticcia, recente e senza grande fondatezza, e potrebbe tranquillamente essere abolita. Discorso diverso merito la giratella in piazza Oderisi (oggi piazza S.Antonio) dove sorgeva un antico convento che dava il nome anche al corso stesso.
In ogni caso, la Festa dei Ceri ha un solo soggetto inamovibile: il Patrono S.Ubaldo. Tutto il resto - anche se lo chiamiamo tradizione - fa da contorno. Ed è assurdo che spesso si dia più importanza al contorno che non all'omaggio al Patrono (tanto per tornare al tema dello "scavijamento" congiunto).
Il Vescovo Ceccobelli, pur riconoscendo la sua non appartenenza alla comunità eugubina che rende doveroso il mantenimento di una posizione super partes – ha usato parole di condivisione per l’iniziativa di Pascolini nella quale “non si ravvisa malizia ma la volontà di interpretare il messaggio di Ubaldo”.
Forse è mancata una presa di posizione netta che la Diocesi avrebbe l'autorità e il dovere di assumere, parlandosi di un gesto rivolto al Patrono. Più diretta la posizione di don Giuliano Salciarini, che ha confidato la positività dell’esperienza avuta nel 2000 e nel 2001 anche agli occhi di chi (come lui) propendeva fino a quel momento per l’epilogo tramandato negli ultimi decenni.
Infine il capodieci di Sant’Antonio, Roberto Fofi, unitamente a al componente del Senato, Raffaele Pellegrini, hanno spiegato che alla base del problema vi è lo storico fraintendimento per il quale si ignora che il cero di Sant’Ubaldo altro non rappresenta che il protettore dell’arte dei Muratori – da distinguere chiaramente dalla figura di S.Ubaldo Patrono di tutti gli eugubini e quindi di tutti i ceraioli. Espressioni o gesti che lascino anche lontanamente intendere che la Basilica di S.Ubaldo sia il luogo solo di qualcuno e non di qualun’altro, sono contrarie alla tradizione e al significato della Festa oltre che, principalmente, al significato del messaggio di Ubaldo (volto alla riconciliazione e non certo alla definizione di una gerarchia).
Messaggio quest’ultimo che va ribadito in ogni forma e in ogni circostanza per evitare che le future generazioni abbiano – questo sì – come pericoloso precedente il non specificare ciò che è alla base di questa Festa e che la distingue da qualsiasi altra manifestazione.
La corsa è corsa - con le sue specificità (ad es: non ci si supera): ma alla fine l'unico vincitore è il Patrono. Verso il quale si è rinnovato il plurisecolare omaggio.
giovedì 10 marzo 2011
Qualunquista o opportunista? Un'intervista di Cacciari accende una luce sul "ruolo del sindaco"...
L'uscita è di quelle che fanno rumore.
“I sindaci? Poverini, sono gli unici a cui non getto la croce addosso.
La società civile? Ti invade ogni mattina che ti alzi, con problemi senza senso.
I cittadini? Un esercito di infanti incapaci di arrangiarsi”.
Lo sfogo è di Massimo Cacciari che stamattina, intervenendo a “24 Mattino” su Radio 24, si è tolto qualche sassolino dalla scarpa riguardo alla sua esperienza da sindaco di Venezia.
Nella puntata della trasmissione radiofonica, per la verità, si parlava dell’eventualità di imporre sanzioni per chi chiede l’elemosina. Un tema che spesso corre lungo il ciglio (pericoloso) della retorica tendenza ad assistere chiunque versi in condizioni indigenti (comprensibile sul piano umano, ma con i suoi limiti per chi governa) a cavallo con l'istintivo rifiuto di scene che sconfinano nello sfruttamento di disagiati, quando non addirittura di minori.
Il dibattito potrebbe suggerire un approfondimento degno dell'acutezza dell'interlocutore - considero Cacciari tra le più lucide e profonde intelligenze culturali del Paese - e invece l'ex sindaco del capoluogo lagunare "non bada a spese" e ci dipinge un quadro del "ruolo di sindaco" quasi fantozziano.
Un affresco che - alla vigilia di elezioni ammistrative in tutta Italia, ma in particolare nella nostra Umbria - sa quasi di beffa agli occhi dei cittadini, che dopo 5 anni di attesa, sono chiamati a votare praticamente per chi (nel segreto delle stanze dei bottoni) a mala pena li sopporta.
Cacciari non è tipo da usare parole non sufficientemente soppesate e ponderate. Anche se spesso ama essere dissacrante quanto sincero (vedi foto in alto di Marco Signoretti - realizzata a Gubbio nel corso del convegno che a settembre lo ha visto ospite per l'inaugurazione della mostra di Oscar Piattella - nel corso della quale ha parlato delle origini del "ditus impudicus", già usato nell'antica Roma, a simboleggiare il pene in erezione).
Dunque, rilegette bene il virgolettato, e date un vostro giudizio:
"Guardi - esordisce nel suo sfogo l’ex sindaco filosofo - dopo aver fatto 15 anni il sindaco, a tutti getto la croce addosso fuorché ai poverini che si trovano nella situazione in cui mi sono trovato io. Non si ha la più pallida idea di cosa voglia dire, ogni mattina che ti alzi, avere la cosiddetta nostra società civile che ti invade perché ha la prostituta in un viale o il casino del bar sotto casa, o perché c’è il mendicante o la strada dissestata. Capisce? A un esercito di infanti incapaci di arrangiarsi su qualsiasi vicenda umana, terrena a un certo momento gli dici ‘vabbé ti faccio un'ordinanza, ma smettila di rompermi le palle', cioè non è mica possibile. Non si ha mica idea - ha proseguito Cacciari - di cosa significhi fare questo mestiere”.
E all’obiezione del conduttore che gli fa notare che non è stato obbligato a presentarsi, candidarsi e fare il sindaco, Cacciari replica: “Eh ma sa, magari uno pensa posso fare delle cose importanti per la sua città, poi metà del tuo tempo lo passi a trattare queste cose".
Difficile esprimere un giudizio, su due piedi. Certo è che le parole di Cacciari fanno riflettere. Il "mestiere" di Sindaco certamente non è facile: le responsabilità sono enormi, intricati i gangli nei quali doversi muovere - una Giunta da guidare, una maggioranza da "tenere a bada", una miriade di richiesta quotidiane delle più disparate, la stampa che quotidianamente può diventare cecchino anche di questioni impensabili.
Però, come sinteticamente e saggiamente detto dal conduttore di Radio 24, non è obbligatorio "darsi alla politica", e soprattutto farlo con lo spirito di chi ha una soglia di sopportazione non eccezionale.
Non era forse la politica "la più bella mission di una persona se mossa da reale passione e motivazione?".
Tante volte si sente ripetere questa frase, ma tante altre volte si scopre che le aspirazioni così nobili e battagliere, in tutte le latitudine e in qualsiasi livello della Pubblica Amministrazione, alla fine nascondono anche altri interessi. Diciamo, secondi fini, che magari non stanno neppure alla base di una candidatura, ma affiorano col tempo.
Qualunquismo? Forse. Rischiamo di scivolare nel viscido terreno del "gergo da bar".
Ma chissà che non sia a maggior ragione qualunquista anche la dichiarazione dell'ex sindaco di Venezia riferita ai suoi amministrati?
Temo purtroppo che la maggior parte dei sindaci, presidente di Regione, parlamentari, la pensi proprio come Cacciari. Ma non abbia l'onestà intellettuale (nè l'onesta nuda e cruda) per ammetterlo.
E questo si chiama opportunismo.
Cacciari almeno lo ha fatto (ben sapendo gli strali che probabilmente si attirerà addosso, soprattutto da colleghi di partito e non). In modo quasi dissacrante. Ma tutto sommato, franco.
Non sarà edificante, saperlo, da parte dei veneziani.
Ma cosa dovrebbero pensare i cittadini di tanti altri sindaci che la pensano come lui, ma non lo dicono?
Piuttosto, siamo forse noi, dall'altra sponda, a dover capire, ogni volta, chi abbiamo davvero di fronte...
P.S. Quel "ditus impudicus" di Cacciari, nella Sala Trecentesca di Palazzo Pretorio, sembra oggi diventato tristemente profetico, visto il bailamme generale al quale si sta assistendo in questi giorni nella politica eugubina.
Il "ditus impudicus" di Cacciari |
“I sindaci? Poverini, sono gli unici a cui non getto la croce addosso.
La società civile? Ti invade ogni mattina che ti alzi, con problemi senza senso.
I cittadini? Un esercito di infanti incapaci di arrangiarsi”.
Lo sfogo è di Massimo Cacciari che stamattina, intervenendo a “24 Mattino” su Radio 24, si è tolto qualche sassolino dalla scarpa riguardo alla sua esperienza da sindaco di Venezia.
Nella puntata della trasmissione radiofonica, per la verità, si parlava dell’eventualità di imporre sanzioni per chi chiede l’elemosina. Un tema che spesso corre lungo il ciglio (pericoloso) della retorica tendenza ad assistere chiunque versi in condizioni indigenti (comprensibile sul piano umano, ma con i suoi limiti per chi governa) a cavallo con l'istintivo rifiuto di scene che sconfinano nello sfruttamento di disagiati, quando non addirittura di minori.
Il dibattito potrebbe suggerire un approfondimento degno dell'acutezza dell'interlocutore - considero Cacciari tra le più lucide e profonde intelligenze culturali del Paese - e invece l'ex sindaco del capoluogo lagunare "non bada a spese" e ci dipinge un quadro del "ruolo di sindaco" quasi fantozziano.
Un affresco che - alla vigilia di elezioni ammistrative in tutta Italia, ma in particolare nella nostra Umbria - sa quasi di beffa agli occhi dei cittadini, che dopo 5 anni di attesa, sono chiamati a votare praticamente per chi (nel segreto delle stanze dei bottoni) a mala pena li sopporta.
Cacciari non è tipo da usare parole non sufficientemente soppesate e ponderate. Anche se spesso ama essere dissacrante quanto sincero (vedi foto in alto di Marco Signoretti - realizzata a Gubbio nel corso del convegno che a settembre lo ha visto ospite per l'inaugurazione della mostra di Oscar Piattella - nel corso della quale ha parlato delle origini del "ditus impudicus", già usato nell'antica Roma, a simboleggiare il pene in erezione).
Dunque, rilegette bene il virgolettato, e date un vostro giudizio:
"Guardi - esordisce nel suo sfogo l’ex sindaco filosofo - dopo aver fatto 15 anni il sindaco, a tutti getto la croce addosso fuorché ai poverini che si trovano nella situazione in cui mi sono trovato io. Non si ha la più pallida idea di cosa voglia dire, ogni mattina che ti alzi, avere la cosiddetta nostra società civile che ti invade perché ha la prostituta in un viale o il casino del bar sotto casa, o perché c’è il mendicante o la strada dissestata. Capisce? A un esercito di infanti incapaci di arrangiarsi su qualsiasi vicenda umana, terrena a un certo momento gli dici ‘vabbé ti faccio un'ordinanza, ma smettila di rompermi le palle', cioè non è mica possibile. Non si ha mica idea - ha proseguito Cacciari - di cosa significhi fare questo mestiere”.
E all’obiezione del conduttore che gli fa notare che non è stato obbligato a presentarsi, candidarsi e fare il sindaco, Cacciari replica: “Eh ma sa, magari uno pensa posso fare delle cose importanti per la sua città, poi metà del tuo tempo lo passi a trattare queste cose".
Intervista a Cacciari - foto Marco Signoretti |
Però, come sinteticamente e saggiamente detto dal conduttore di Radio 24, non è obbligatorio "darsi alla politica", e soprattutto farlo con lo spirito di chi ha una soglia di sopportazione non eccezionale.
Non era forse la politica "la più bella mission di una persona se mossa da reale passione e motivazione?".
Tante volte si sente ripetere questa frase, ma tante altre volte si scopre che le aspirazioni così nobili e battagliere, in tutte le latitudine e in qualsiasi livello della Pubblica Amministrazione, alla fine nascondono anche altri interessi. Diciamo, secondi fini, che magari non stanno neppure alla base di una candidatura, ma affiorano col tempo.
Qualunquismo? Forse. Rischiamo di scivolare nel viscido terreno del "gergo da bar".
Ma chissà che non sia a maggior ragione qualunquista anche la dichiarazione dell'ex sindaco di Venezia riferita ai suoi amministrati?
Temo purtroppo che la maggior parte dei sindaci, presidente di Regione, parlamentari, la pensi proprio come Cacciari. Ma non abbia l'onestà intellettuale (nè l'onesta nuda e cruda) per ammetterlo.
E questo si chiama opportunismo.
Cacciari almeno lo ha fatto (ben sapendo gli strali che probabilmente si attirerà addosso, soprattutto da colleghi di partito e non). In modo quasi dissacrante. Ma tutto sommato, franco.
Non sarà edificante, saperlo, da parte dei veneziani.
Ma cosa dovrebbero pensare i cittadini di tanti altri sindaci che la pensano come lui, ma non lo dicono?
Piuttosto, siamo forse noi, dall'altra sponda, a dover capire, ogni volta, chi abbiamo davvero di fronte...
P.S. Quel "ditus impudicus" di Cacciari, nella Sala Trecentesca di Palazzo Pretorio, sembra oggi diventato tristemente profetico, visto il bailamme generale al quale si sta assistendo in questi giorni nella politica eugubina.
mercoledì 9 marzo 2011
Per i 150 anni dell'Unità nazionale ricordiamoci dell'unica leadership vera e incontrastata: quella a tavola...
Se il Belpaese accusa battute d'arresto un po' in tutti i campi (dalla crescita del PIL, alla tutela dei Beni Culturali fino al più faceto ambito sportivo), resiste ancora una leadership incontrastata. E forse ancora un po' troppo sconosciuta. Quella della tavola.
Non solo per i sapori - devo ancora trovare un essere vivente che mi dimostri che esista un angolo del mondo dove si mangia meglio che da noi - ma anche e soprattutto per il fattore "salute".
Non solo per i sapori - devo ancora trovare un essere vivente che mi dimostri che esista un angolo del mondo dove si mangia meglio che da noi - ma anche e soprattutto per il fattore "salute".
Parlo di "dieta mediterranea" - una sorta di ricetta magica di cui spesso si sente parlare ma di cui poco o nulla in realtà di conosce. Se che recentemente è stata innalzata a "patrimonio immateriale dell'Unesco".
Il luogo comune ci fa pensare ad un bel piatto di pasta, pomodoro-basilico-parmigiano (che volete di meglio?), ma non è tutto qui. Ciò che si sottovaluta della dieta mediterranea è l'enorme potenzialità in fatto di prevenzione.
L'ultima scoperta scientifica parla chiaro.
Il mangiare italiano è un potente ed economico 'scudo' contro questa sindrome e anche contro le sue cause principali, come il grasso addominale, il colesterolo Hdl e i trigliceridi alti e l'ipertensione. L'indagine porta la firma di esperti greci, Demosthenes Panagiotakos e Christina-Maria Kastorini della Harokopio University di Atene, che si sono guadagnati le pagine della testata scientifica aggiungendo alle già consistenti evidenze sui benefici della dieta mediterranea, montagne di dati che ne confermano l'effetto positivo sulla sindrome metabolica, considerato uno dei principali problemi di salute pubblica.
Alto consumo di acidi grassi insaturi grazie all'olio extra vergine d'oliva, frutta, verdura, cereali integrali e lattici freschi, pesce, pollame, legumi, poca carne e vino solo ai pasti.
Questi gli alimenti preferiti nella dieta mediterranea: "Il nostro studio - assicurano i ricercatori ellenici - è il primo che ha sistematicamente studiato il ruolo della dieta mediterranea nei confronti della sindrome metabolica e sulle sue cause, dimostrandone l'effetto protettivo. Considerando le scarse risorse economiche su cui gli Stati possono contare oggi, mangiare meglio sembra essere la soluzione migliore per prevenire le malattie cardiovascolari e la dieta mediterranea è anche composta di cibi facilmente reperibili in ogni Paese".
Morale: mentre il nostro Paese si prepara a celebrare i suoi 150 anni di vita - sbandierando in senso non solo letterale, le proprie virtù con aria più nostalgica che non di consapevole senso di appartenenza - sarebbe il caso di ricordare non solo che quando ci si mette a tavola (attività non proprio sporadica, visto che avviene nella migliore delle ipotesi, almeno 3 volte al giorno) si è "detentori" di un'eccellenza difficilmente contrastabile, ma che questa "eccellenza" è anche il miglior passpartout per godere del bene più prezioso che ancora oggi - tra frenesia, stress e rincorsa contro il tempo il tempo - resiste: la salute.
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Salute e alimentazione
lunedì 7 marzo 2011
Il Gubbio? Come al cancelletto di partenza di una seconda manche...
Pronti per la seconda manche?
La situazione del Gubbio è più o meno questa. La squadra di Torrente è idealmente al cancelletto di partenza. Otto decimi sugli immediati inseguitori, 9 porte da superare prima del traguardo.
Le difficoltà non mancano, ma anche il vantaggio è di quelli consistenti. E se nello slalom basta un errore per finire fuori, nel calcio – e in particolare, in questa stagione di Lega Pro – il Gubbio potrebbe paradossalmente permettersene qualcuno.
Ma è meglio non scherzare col destino.
Piuttosto il dilemma è un altro: a quel cancelletto di partenza – leggi le prossime gare di Reggio Emilia, con la Spal al Barbetti e poi a Pergocrema – meglio controllare la situazione, non esagerare con i rischi, amministrare il vantaggio, oppure far finta di niente, affrontare le porte con la stessa grinta e determinazione messe in campo finora?
La risposta appare scontata, perché comunque i rischi ci sono in entrambe le situazioni: se amministri rischi di finire con braccino corto e, nel caso del Gubbio, di snaturalizzare una squadra che ha nel Dna l’attacco, la proposizione della partita, la ricerca del gioco offensivo e del gol.
Lampante quanto accade a giugno nella finale di andata con il San Marino: il Gubbio aveva di fronte una signora squadra, che sfiorò a più riprese la rete, ma tatticamente i rossoblù non si scomposero. In vantaggio su punizione, rischiarono il pari ma nella ripresa ricominciarono come niente fosse, arrivò il raddoppio e quasi il tris. Alla fine ci pensò l’uomo ragno dei penalty a mettere l’ipoteca sulla promozione.
Non sappiamo se sia l’atteggiamento, di sicuro è il più adatto alle caratteristiche della squadra e anche alla mentalità del suo allenatore: Torrente è così, prendere o lasciare. A Monza chiede alla squadra di cercare la vittoria fino all’ultimo tuffo – e arrivano 3 punti che potrebbero alla fine risultare decisivi. Con il Como, preferisce lasciare il centrocampo con due giocatori di ruolo pur di non smantellare il tridente. E per poco non riesce il colpaccio.
Forse la risposta al dilemma è proprio questa. Magari la brillantezza atletica e l’impatto estetico non sono più quelli di dicembre. Ma giunti a questo punto i fronzoli vanno messi da parte. Lo stile dello slalom non deve per forza piacere, è il traguardo finale che conta.
Il Gubbio – anche in queste ultime 9 gare, nelle 9 porte finali - deve continuare a fare il Gubbio, dimenticandosi del vantaggio ma ricordandosi di come questo vantaggio, in 3 mesi e mezzo, è stato costruito. Perché paradossalmente e per fortuna giocare da Gubbio è la cosa migliore che questa squadra, straordinaria, sappia fare.
Da copertina "A gioco fermo" di "Fuorigioco" - 7.3.2011
Musica sottofondo: "Il mio secondo tempo" - Max Pezzali - 2011
La situazione del Gubbio è più o meno questa. La squadra di Torrente è idealmente al cancelletto di partenza. Otto decimi sugli immediati inseguitori, 9 porte da superare prima del traguardo.
Le difficoltà non mancano, ma anche il vantaggio è di quelli consistenti. E se nello slalom basta un errore per finire fuori, nel calcio – e in particolare, in questa stagione di Lega Pro – il Gubbio potrebbe paradossalmente permettersene qualcuno.
Ma è meglio non scherzare col destino.
Piuttosto il dilemma è un altro: a quel cancelletto di partenza – leggi le prossime gare di Reggio Emilia, con la Spal al Barbetti e poi a Pergocrema – meglio controllare la situazione, non esagerare con i rischi, amministrare il vantaggio, oppure far finta di niente, affrontare le porte con la stessa grinta e determinazione messe in campo finora?
La risposta appare scontata, perché comunque i rischi ci sono in entrambe le situazioni: se amministri rischi di finire con braccino corto e, nel caso del Gubbio, di snaturalizzare una squadra che ha nel Dna l’attacco, la proposizione della partita, la ricerca del gioco offensivo e del gol.
Lampante quanto accade a giugno nella finale di andata con il San Marino: il Gubbio aveva di fronte una signora squadra, che sfiorò a più riprese la rete, ma tatticamente i rossoblù non si scomposero. In vantaggio su punizione, rischiarono il pari ma nella ripresa ricominciarono come niente fosse, arrivò il raddoppio e quasi il tris. Alla fine ci pensò l’uomo ragno dei penalty a mettere l’ipoteca sulla promozione.
Non sappiamo se sia l’atteggiamento, di sicuro è il più adatto alle caratteristiche della squadra e anche alla mentalità del suo allenatore: Torrente è così, prendere o lasciare. A Monza chiede alla squadra di cercare la vittoria fino all’ultimo tuffo – e arrivano 3 punti che potrebbero alla fine risultare decisivi. Con il Como, preferisce lasciare il centrocampo con due giocatori di ruolo pur di non smantellare il tridente. E per poco non riesce il colpaccio.
Forse la risposta al dilemma è proprio questa. Magari la brillantezza atletica e l’impatto estetico non sono più quelli di dicembre. Ma giunti a questo punto i fronzoli vanno messi da parte. Lo stile dello slalom non deve per forza piacere, è il traguardo finale che conta.
Il Gubbio – anche in queste ultime 9 gare, nelle 9 porte finali - deve continuare a fare il Gubbio, dimenticandosi del vantaggio ma ricordandosi di come questo vantaggio, in 3 mesi e mezzo, è stato costruito. Perché paradossalmente e per fortuna giocare da Gubbio è la cosa migliore che questa squadra, straordinaria, sappia fare.
Da copertina "A gioco fermo" di "Fuorigioco" - 7.3.2011
Musica sottofondo: "Il mio secondo tempo" - Max Pezzali - 2011
sabato 5 marzo 2011
B MOVIE - Gubbio-Como. Un punto fa comunque cassa: specie se arriva con una delle migliori del momento
Sarà un'altra domenica di digiuno per i tifosi del Gubbio. Pazienza. Meglio questo, di digiuno, che quello che è stato necessario digerire qualche domenica fa (a Ravenna).
Ma a proposito: dove eravamo rimasti? Ah, il Como. Il Como di Maah, un francese il cui nome assomiglia ad una esclamazione dubitativa - fatta quasi apposta per commentare il secondo pareggino stagionale. Profetico il manifesto che annunciava la partita nel quale, accanto ad un "Forza lupi", era l'azzurro (colore dei lariani) a predominare su una singola bandiera rossoblù. Fatalisti?
Tanto di cappello comunque a Maah e alla sua squadra, che ha dimostrato di essere tra le più in forma del momento.
La sosta sicuramente permetterà ai ragazzi di Torrente di riprendere ossigeno, recuperare energie (soprattutto mentali) e prepararsi a dovere ad una nuova "battaglia", quella del "Giglio" di Reggio Emilia. Tra 8 giorni. Dove una cosa è certa: la cornice di pubblico rossoblù non mancherà...
E allora riviviamo insieme, nel clichè del "B movie", i motivi salienti dell'1-1 casalingo con il Como. Negli scatti fotografici, come sempre di intuizione e immediatezza, curati da Marco Signoretti.
E per rivivere le sequenze di questa domenica, un motivo in crescendo: "I belong to you" - Eros Ramazzotti e Anastacia - 2006
Ma a proposito: dove eravamo rimasti? Ah, il Como. Il Como di Maah, un francese il cui nome assomiglia ad una esclamazione dubitativa - fatta quasi apposta per commentare il secondo pareggino stagionale. Profetico il manifesto che annunciava la partita nel quale, accanto ad un "Forza lupi", era l'azzurro (colore dei lariani) a predominare su una singola bandiera rossoblù. Fatalisti?
Tanto di cappello comunque a Maah e alla sua squadra, che ha dimostrato di essere tra le più in forma del momento.
La sosta sicuramente permetterà ai ragazzi di Torrente di riprendere ossigeno, recuperare energie (soprattutto mentali) e prepararsi a dovere ad una nuova "battaglia", quella del "Giglio" di Reggio Emilia. Tra 8 giorni. Dove una cosa è certa: la cornice di pubblico rossoblù non mancherà...
E allora riviviamo insieme, nel clichè del "B movie", i motivi salienti dell'1-1 casalingo con il Como. Negli scatti fotografici, come sempre di intuizione e immediatezza, curati da Marco Signoretti.
Pre gara: normale esercizio ginnico o un incoraggiamento speciale? Tra Farabbi e Lamanna un passaggio di consegne tra chi parò il rigore dell'andata e chi lo farà... di lì a pochi minuti |
Juanito ha invece firmato i primi tre punti esterni stagionali al "Sinigaglia". Ma stavolta l'unica sua firma importante resterà questa... |
In settimana multa al Como per mancanza di palloni nel match col Sorrento: "Pozzo" non vuole correre rischi... |
Squadre in campo: Bartolucci è una spanna sopra gli altri... presentimento? |
Stretta di mano tra i capitani: Franco sembra dire: "Tranquilli, ci penso io..." |
Primi minuti, il Como è subito cliente scorbutico: Borghese perde già la pazienza... |
Maah è imprendibile, Bartolucci lo tiene d'occhio: sarà l'inedita coppia nel tabellino marcatori |
Gegè si ritrova un figuro dagli 11 metri: ci risiamo... concentrazione al top e... |
"Stavolta vado a destra..." - pensa all'improvviso l'ex di turno. E la palla lo segue... Parata! |
La gara riparte, più dura di prima: è un corner o una touche? |
Franco non ha digerito il penalty fallito. E alza il gomito... ma i bicchieri non c'entrano. Rosso diretto... |
Donnarumma si massaggia: e Suciu s'informa: "Ma il Sorrento perde davvero?" |
Il Sorrento è sotto. Ma non c'è tempo di esultare: Maah castiga i rossoblù, e Farina si dispera... |
Gomez perde la testa... addosso a Magli. Altro rosso, parità numerica. Ma solo di uomini... |
Gli ultrà invece perdono un cancello... Ci vorranno i pompieri per freddare "bollenti spiriti"... |
Ripresa: il Capitano indica la via. Ci vuole la grinta dei giorni migliori... altrimenti non si passa |
Torrente prova la carta-Daud: ma per 20' non esce il jolly... E c'è solo il tempo di imprecare... |
Poi dal corner di Daud, spunta la voleè di Bartolucci. Inattesa quanto provvidenziale... |
...e Borghese gioca a wii con Maah... La sua sembra un'impennata... |
Bartolucci raccoglie l'abbraccio ideale della gradinata... "L'abbiamo raddrizzata!" |
Bazzoffia ha la palla della vittoria... ma va lunga. I lariani però li lascerà in nove... |
Eppure il Como non demorde. E Borghese pensa: "Ma sto Maah non si ferma mai?" |
Sandreani salomonico con Filipe: "Per oggi finiamola in pic nic..." |
Bartolucci vuol conservare il ricordo: "Misà che mi riporto a casa il pallone..." |
Fischio finale. E' il secondo X della stagione: ma il pubblico apprezza lo stesso... |
"Gigi, ma cos'è st'aria da funerale in sala stampa?" "Lascia stare Vincenzo. Oggi è un passo avanti... da Reggio Emilia si riparte!" |
E il capitano rassicura quelli di casa: "Qui tutto bene, un altro punto verso il sogno... Il Sorrento? Per oggi sorridano loro... Noi ci teniamo stretto il +8"... |
E per rivivere le sequenze di questa domenica, un motivo in crescendo: "I belong to you" - Eros Ramazzotti e Anastacia - 2006
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