Cacciari intervistato alla Sala Trecentesca (sett. 2010) foto M. Signoretti |
Così Massimo Cacciari, filosofo ed ex sindaco di Venezia, tra i più lucidi e disinteressati analisti dell’agone politico nazionale, in uno dei tanti talk show di commento alle Regionali siciliane più sconvolgenti della storia repubblicana. Parlare di Vespri – intesi come i moti rivoluzionari di fine '200 che segnarono la rivolta dell’isola contro i francesci invasori - pare ancora prematuro e un po’ esagerato.
Cosa accadrà però da qui ad aprile, quando si tornerà a votare – sempre che qualcuno non stacchi la spina al governo Monti per farlo prima – è altrettanto enigmatico.
Perché il blob, la massa indistinta di materia melmosa che costituisce in questo momento lo stato d’animo di milioni di elettori italiani, potrebbe esplodere ed espandersi verso qualsiasi direzione.
Al di là dei proclami e dei commenti, il dato indiscutibile è che il primo partito in Sicilia – e forse anche in Italia – al momento è il partito dell’Astensione. Più che di qualunquismo, inteso in senso guareschiano, si tratta di disgusto, insofferenza, voglia di cambiare non solo pagina, non solo libro, ma “modo di leggere”.
Sentimento che poi si manifesta in più modi: non andando a votare, scarabocchiando in modo più o meno colorito la scheda (che diventa nulla) o votando per il movimento di Beppe Grillo: 5 stelle che ancora non hanno svelato a pieno il proprio dna politico – sempre che ci sia – e che non possono anche per questo garantire il minimo equilibrio in chiave futura. Solo se citiamo il fattore euro (Grillo vorrebbe disfarsene come si fa con le cianfrusaglie della nonna) e il debito pubblico (“non lo paghiamo” dice con una battuta che lì per lì fa sorridere ma che farebbe saltare in aria il sistema economico del Paese) si capisce che le 5 stelle sembrano più appropriate ad uno spot pubblicitario su un noto salume che non ad un programma politico credibile.
Grillo – che continuo a veder meglio come comico che come politico (con una nostalgia atavica per i vari "Te lo do io il Brasile" o "Te la do io l'America" di metà anni '80 - sa bene che le sue parole arrivano dritte alla pancia degli elettori, proprio come la sua comicità.
http://www.youtube.com/watch?v=gSAhx-zmdpI
Il momento è critico perché l’humus nel quale si giocheranno le prossime elezioni politiche somiglia maledettamente a quelli che in Italia – ma anche in altri Paesi – hanno fatto da presupposto a siderali cambiamenti. Che poi il cambiamento fosse stato miglioramento è non solo questione di punti di vista, ma anche e soprattutto storico e valutabile a posteriori.
Non era meno insoddisfatta e satura della vecchia politica tardo ottocentesca l’Italia che nei primi anni Venti abbracciò la novità del movimento mussoliniano. E non era meno stanca e insofferente della classe politica novecentesca l’Italia che fece grandinare monetine su Craxi e mandò al macero giudiziario il resto del Caf (Forlani-Andreotti), figure di statisti di cui oggi si sente perfino la mancanza ma che allora sembravano poco più che Rsu della politica.
http://www.youtube.com/watch?v=R5NHI289Ukk
Chi li giudicò – per poi sostituirli (Di Pietro e il giustizialismo ancora serpeggiante, o Fiorito che era tra i lanciatori di monete di fronte all'hotel Raphael) – non ha avuto grande gloria né politica né istituzionale (chi ricorda di cosa è stato ministro l’ex pm della procura di Milano?) visto anche quanto accaduto proprio in Sicilia domenica scorsa (Italia dei Valori scomparsa insieme al SEL) dove invece sarebbe stato lecito attendersi un exploit. E come nel caso di Beppe Grillo, è decisamente preferibile nella sua veste originaria.
Non stanno meglio gli altri partiti che pur sono entrati nel prossimo Parlamento siciliano – speriamo l’ultimo, perché è inammissibile che ancora una regione del nostro Paese abbia un sistema pre-ordinato a generare costi come quello isolano.
L’ingresso è tutt’altro che trionfale, se si pensa che il PD (che grida vittoria per aver visto l’elezione di Crocetta) è al 13% e il PDL sullo stesso scarno livello (dopo aver avuto il 47% nelle ultime consultazioni).
Intanto una riflessione ironica: quando la Sicilia votava PDL per qualcuno era una regione dove politica e mafia erano chiaramente colluse, ora chissà se gli stessi si sogneranno di affermare che la mafia ha deciso di votare Grillo? Questo per dire che troppo spesso valutazioni e commenti della politica lasciano molto il tempo che trovano, a seconda degli interessi e delle convenienze. E il tipico atteggiamento di chi tende a considerare i voti propri onesti e guadagnati, quelli degli altri comprati o frutto dell’insipienza della gente.
Il PD ha in mano le redini del gioco da qui ad aprile, ma bisognerà capire a chi saranno intanto affidate: Bersani e Renzi sarà una sfida all’ultimo voto, a fine novembre, e forse è il vero derby dal quale potrebbe uscire il nome del prossimo premier. Per Bersani – che ha definito “storico” il risultato siciliano, forse un po’ frettolosamente visti i numeri del suo partito e l’impossibilità oggettiva di governare del neo presidente della regione – c’è da capire cosa fare delle alleanze in nuce con Vendola e Casini: i due sono incompatibili e cercare una "fusione a freddo" giusto per vincere le elezioni sarebbe come sperare di tenere in piedi un castello di carte con l’aiuto del vento.
Vendola e Casini stanno esattamente a Fini e Bossi del primo governo Berlusconi 1994: non a caso durò 3 mesi. E l’Italia non ha bisogno di rinnovare il teatrino. Renzi è un’incognita, anche se meno enigmatica di Grillo. Qualche idea chiara sul sistema Paese c’è, ma paradossalmente di lui si fidano più gli elettori avversari (centrodestra) che non il PD bersaniano (per il quale il sindaco di Firenze è come una streghetta di Halloween).
Il PDL somiglia invece ad un drappello di scialuppe dopo il naufragio del Titanic. E gli ultimi proclami di Berlusconi sanno di canto del cigno – mai come in questa fase il silenzio sarebbe d’oro ma l’ex premier non riesce a fare a meno della scena.
Chi sia il suo successore è alquanto misterioso anche perché si saprà dopo le prime (e chissà se ultime) primarie nel centrodestra. Lo stesso Alfano, virtualmente incoronato successore dal sovrano uscente, si è distinto e smarcato dal suo leader dopo le ultime uscite rispetto a nodi cruciali come il sostegno al governo Monti.
Vincerà chi saprà occupare lo spazio di "vuoto pneumatico" creatosi dopo l’uscita di scena di Berlusconi (che non a caso 18 anni fa aveva avuto l’intuizione di saperselo prendere, dopo la scomparsa della Dc).
In partenza chi ha più chance di spuntarla è il PD, ma quel vuoto da conquistare non è fatto di elettori che andrebbero a sinistra. Piuttosto vedrebbero meglio un centro-sinistra riformista europeo.
L’asse Bersani-Casini potrebbe interpretarlo, ma avrebbe bisogno di un processo di continuità con Monti (e potrebbe anche non bastare). La sorpresa “berlusconiana” (nel senso dell’imprevedibilità) potrebbe essere invece Renzi. Il tempo e la situazione di incertezza generale, la voglia di novità e di cambio generazionale sono dalla sua parte (e anche la distanza da certe scelte del governo Monti lo favoriscono).
Vedremo come finirà. La speranza è che la rivoluzione partita dalla Sicilia non si risolva come uno dei più celebri romanzi della storia siciliana: il Gattopardo. Dove Tomasi di Lampedusa cristallizzò il concetto del "cambiar tutto purchè nulla cambi".
Di quell’Italia, così ancora attuale e visibile, non si ha più alcuna nostalgia…
http://www.youtube.com/watch?v=zR9ARSHJAZw