Esso e' alla base della vera arte e della vera scienza.
Chi non sa cos'e' o non sa più sognare o meravigliarsi,
e' come morto e il suo sguardo e' spento".
La frase è di Albert Einstein. Ed è la riflessione conclusiva, con applauso scrosciante, che Gian Mario Bilei offre ai suoi auditori al termine di un'interessantissima relazione sulle straordinarie scoperte effettuate dall'equipe scientifica del CERN di Ginevra. Di cui Bilei fa parte. E di cui si sentirà ancora parlare a lungo, grazie soprattutto al "bosone di Higgs".
Ho avuto la fortuna di incontrarlo, conoscerlo (e intervistarlo) venerdì scorso, nel primo appuntamento promosso dal Rotary club Gubbio dedicato agli "acchiappatalenti", un'intuizione brillante del neo presidente Massimo Bastiani - che non a caso ha da tempo abbandonato la politica (mi verrebbe da dire, con fare qualunquista...). Quasi due ore di conferenza, che in realtà si è rivelata un piacevole cammino nei meandri della fisica e della scienza più sofistica e avveniristica.
Gian Mario Bilei |
Veduta aerea dell'area coperta dal CERN a Ginevra |
L'acceleratore di particelle (LHC) |
Gian Mario Bilei, nato a Fabriano, di madre eugubina, è oggi uno degli scienziati fautori di questa straordinaria scoperta, destinata forse già nel 2013 ad essere insignita del Nobel per la Fisica. Eppure, parlando insieme a lui, si ha l'impressione di avere di fronte non solo un uomo di sapere, ma soprattutto un uomo che ha voglia di trasmettere il proprio amore per il sapere. Trasmettere per condividerlo, non per ostentarlo. Per renderne partecipi coloro che hanno la fortuna di ascoltarlo, non certo per esibirsi. L'energia e l'entusiasmo con cui descrive il cammino compiuto, la sua storia personale, i ricordi di ragazzino - "quando sognavo di fare l'ispettore poliziesco per il gusto di svelare i misteri, risolvere i gialli" - l'incertezza nelle scelte di studio ("ero indeciso tra lo psicologo e il fisico, poi ho obbedito alla mia primitiva passione"), la costanza nel lavoro quotidiano, silenzioso ed oscuro, capace di protrarsi per anni ("il nostro esperimento è iniziato 17 anni fa") senza avere la certezza di giungere ad un risultato ("sappiamo da dove partire, ma non dove arriveremo"); tutto questo ha la capacità di trasmettere un fascino e un magnetismo che ho potuto leggere anche nei tanti presenti in sala e non solo in me stesso. Andando a cogliere nel segno l'obiettivo degli incontri voluti dal presidente Bastiani: appassionare i più giovani (ma posso assicurare che l'effetto è lo stesso anche per i meno...).
Bruno Checcucci |
Un fil rouge unisce le tre testimonianze, con una spontaneità e una schiettezza che ti fanno sentire quasi come un vicino di casa, e non certo un semplice auditore. "Il nostro lavoro non ha senso se non riusciamo a comunicarlo, se non riusciamo a trasferire, trasmettere, diffondere l'emozione e la passione per la scienza. Per questo sono tornato in Umbria, per questo sono tornato nella mia terra d'origine. Per lasciare qualcosa, un seme, una traccia, per far sì che uno, dieci, tanti giovani possano appassionarsi a questa straordinaria disciplina".
Parole dette all'unisono. Che mi hanno contagiato. E che in fondo riportano alle radici dell'umanità. Ogni scoperta, ogni talento, ogni passo avanti non ha significato se non viene condiviso.
A cominciare da quella linfa sconosciuta che muove la nostra voglia di sapere: la curiosità. E in fondo, proprio quel mistero, celebrato, non a caso, dal maestro per eccellenza degli "dei della scienza", Albert Einstein...
Nessun commento:
Posta un commento