via Aquilante, come appare al turista-fotografo |
Via Aquilante, traversa di corso Garibaldi, Gubbio. Puoi giocarci alla Snai, almeno un paio di volte alla settimana si incontra un turista che si ferma, lancia uno sguardo, resta abbagliato, imbraccia una macchina fotografica e scatta un’istantanea.
Mi ci incontro di frequente. Perché via Aquilante è anche il vicolo che scendo per andare in ufficio.
Mi ritengo fortunato. Di andare al lavoro a piedi. Credo che oggi sia una condizione privilegiata (anche se ho imparato ad apprezzarla solo da un paio d’anni, dato che prima, un po’ pigramente, inforcavo lo scooter o prendevo l’auto anche per percorrere questi 500-600 metri di distanza). Ho scoperto a quasi 40 anni che passeggiare non è solo rilassante. Ma rigenerante. Come quelle tariffe telefoniche per cui se ti chiamano ti ricaricano la scheda. Più passi faccio, più energia mi sembra di incamerare. E comunque il bilancio tra uscite ed entrate, di stimoli, dinamismo, operatività, è di sicuro in attivo. Anche nei giorni più grigi. Meglio tardi che mai...
Poi m’accorgo che ciò che vediamo tutti i giorni non ci appare e non ci colpisce con la stessa efficacia di quanto non faccia con un forestiero. Lo noto alla mattina, poco prima delle 7, quando – sempre a piedi – vado da casa in ufficio passando per piazza 40 Martiri, edicola ex Alvaro, per ritirare i quotidiani e prepararmi per la rassegna stampa. C’è una città ancora silenziosa, quieta, che sembra accompagnarti in punta di piedi, ad iniziare la giornata. Non c’è un angolo della strada che non dia una sensazione familiare, protettiva. E girando lo sguardo verso l’acropoli – come amava definirla l’avvocato Gini – mi chiedo: “Ma ci rendiamo davvero conto di tanta grandezza? Ne saremo, in un certo qual modo, degni?”.
Torno a via Aquilante. Sì, perché se non fosse per quei turisti che ciclicamente si fermano ad immortalarla, non l’avrei mai battezzata come uno scorcio caratteristico. Più per abitudine che per altro. E’ come se chiedessi ad un newyorkese che ne pensa del traffico della 5° strada. Mi risponderebbe con uno sguardo più interrogativo della mia domanda.
Ogni giorno questa discesa, con il suo pavimento leggermente irregolare, le traverse asimmetriche, l’aria apparentemente piatta ma in realtà densa di vissuto, è l’itinerario immutabile che conduce alla routine, alla “catena di montaggio delle idee” che il nostro lavoro ci offre e ci impone al tempo stesso.
Qualche volta neanche mi accorgo di percorrerla, alle prese con una o due telefonate, con e-mail sul blackberry, con qualche sms volante. Mi ritrovo, un po’ incoscientemente, già all’altezza della chiesa della Piaggiola – dopo aver attraversato la strada sulle strisce (se non altro, per aver la coscienza pulita dovesse "sdraiarmi" qualcuno…) – e come in un risveglio cosciente mi dico “ah, sei già arrivato…”.
Da qualche giorno, però, via Aquilante è un po' più vuota. C'è un'assenza che pesa e che avevo notato, senza darle importanza. E’ una signora, un’anziana e sorridente signora, che abita in fondo alla discesa. E che quasi ogni giorno, d’estate come di primavera, ma anche d’autunno, faceva capolino dalla finestra, proprio all’altezza del passaggio pedonale, a piano terra. La sua presenza non era invasiva – come spesso appare quello stare alla finestra di molti, che ti guardano e ti scrutano, manco fossi un venditore abusivo o avessi un passamontagna con il piede di porco in mano. La signora Maria, questo è il suo nome, era appoggiata, credo ad un banchetto interno, e più che guardare per capire cosa succedesse fuori, sembrava ammirare quella Gubbio che stava all’esterno della sua casa o della sua finestra. Ho sempre avuto questa sensazione, dal modo discreto, delicato e appagato con cui mi accoglieva con un sorriso, salutandomi. Qualche volta mi sono fermato a parlarle, un po’ di cose sul tempo, su quello che sarebbe andato in onda alla sera. Le dicevo di salutarmi suo nipote – un nostro collaboratore tecnico in tv, a cui era molto affezionata.
La finestra chiusa... |
Da qualche giorno la sua finestra era chiusa. E un paio di volte mi sono chiesto il perché. Poi ho saputo che la signora non c’è più. Un lieve malore, una diagnosi, il tentativo di un intervento chirurgico un po’ rischioso, vista l’età molto avanzata. E un’anestesia da cui non si è più ridestata.
Che dispiacere, che tristezza. Potrebbe consolare sapere che non ha sofferto, che in fondo – se ha senso affiancare l’aggettivo “dolce” al sostantivo “morte” – la sua sia stata proprio questo. Ma quella finestra, che prima, spalancata, esprimeva un raggio di sole anche nelle giornate più anonime, con quel sorriso carico di vita, di sensibilità, di energia, ora, chiusa, mi rattrista e mi incupisce.
E ripensandoci, è proprio la signora Maria, senza saperlo, ad avermi dato una risposta al quesito che avevo dentro di me.
Che avrà di speciale 'sta via Aquilante?
E’ uno spicchio di vita che, per chi viene da lontano, magari da metropoli confuse e assillanti, dove non esiste il concetto del “vicino di casa” – ma al massimo del condòmino, con tutti i suoi contorni di dispute e ripicche – regala un sorso di ossigeno. Estetico, per la particolarità architettonica di questo angolo, ma anche interiore. Perché ancora ci sono persone che si salutano la mattina, si sorridono e si augurano buona giornata. Si incoraggiano, si gratificano, si stimano. A loro modo, si vogliono bene.
La signora mi manca. Quella finestra chiusa cerco di non guardarla, ora, mentre passo. Ma voglio conservarmi dentro quel sorriso. E la piacevolezza di quella presenza, così preziosa e così importante. Che mi lascia un senso: quello di dover apprezzare anche le piccole cose, i dettagli, le sfumature. Anche i "buongiorno" detti con un sorriso. Che sono ciò che davvero distingue la nostra esistenza da una routine insignificante…
Ho letto ora il tuo post su Via Aquilante e credo in effetti che sia una realtà a parte, un piccolo pezzo di centro storico che tenta di resistere al progressivo degrado che interessa ormai, nella rassegnazione generale (e tanto...), molte zone della città.
RispondiEliminaCi abito da una vita con la mia famiglia e non ho alcuna intenzione di andarmene.
I miei vicini di casa sono perlopiù persone molto anziane, donne che preferiscono vivere sole piuttosto che ricoverate da qualche parte o – come loro dicono – impicciare a figli e nipoti. Hanno la loro vita ordinata, i loro riti. Alcune vanno insieme a piedi al cimitero sempre lo stesso giorno prestabilito da anni, anche rischiando di essere travolte dalle auto durante il percorso. Ognuno si pulisce il pezzo di via davanti alla sua casa e vi sono delle regole non scritte, ma che tutti, o quasi, rispettano. Se una famiglia ha un problema le altre intervengono, ma praticamente, senza tante chiacchiere. C’è quindi qualcosa che assomiglia al rispetto ed è per questo che sono contento di viverci.
Mi permetto di mandarti una fotografia che credo ti faccia piacere avere, è la "Maria". C’ero la mattina che si è sentita male e l’ho soccorsa insieme ad altri. E’ stata una morte serena, naturale, in punta di piedi, come dovrebbe essere e come lei avrebbe voluto.
Saluti
Giorgio Bettelli