Il mio puzzle, i miei pezzi.Di ieri e l'altro ieri.

sabato 13 novembre 2010

Berlusconi è al capolinea? Intanto uno straordinario Severgnini ci spiega 20 anni di "regno"... mettendoci allo specchio...

Sappiamo tutto di quanto sta accadendo nel nostro Paese. Lo sappiamo perchè leggiamo e (soprattutto) guardiamo e ascoltiamo i tg. Il Governo Berlusconi, il terzo da quando il Cavaliere è "sceso in campo" nel lontano 1994, ha le ore contate.
La nave del Popolo delle Libertà sta per essere definitivamente abbandonata dai finiani (o futuristi, come con un vezzo di inizio Novecento, si fanno chiamare), ma già da ora assomiglia incredibilmente al Titanic. Partito due anni fa con il massimo consenso che un candidato premier abbia mai ottenuto in Italia, e con 100 parlamentari a corroborare la maggioranza - dopo che nei due anni precedenti il governo Prodi aveva dovuto confidare sui senatori a vita per spuntarla in ogni votazione - ora il transatlantico del PDL sta colando a picco. L'iceberg, contro ogni previsione meteo-politica, era piazzato a Bastia Umbra, da dove Gianfranco Fini ha sancito la rottura definitiva. Ironia della sorte, quella stessa Umbria che - almeno nei propositi - aveva partorito il PDL (con un annuncio dello stesso premier, allora capo dell'opposizione, dalla Scuola di Forza Italia di scena a Gubbio), quella stessa Umbria che ha battezzato anche il PD (ricordate il discorso di programma lanciato da Veltroni con Spello di sfondo), oggi ha fatto scattare il conto alla rovescia sull'implosione del centrodestra made in Italy.
Cosa accadrà lo vedremo nelle prossime ore - non sono esclusi, visti i protagonisti, colpi di scena. Ma stavolta sembra davvero fatta per Berlusconi.

E allora - al di là delle analisi di rito (ognuno con la propria ottica, magari accennerò anche un po' alla mia) - mi piace proporvi la lettura di un pezzo semplicemente straordinario, a firma di Giuseppe Severgnini, firma autorevole del Corriere della Sera, il più british dei giornalisti di casa nostra, capace di ironia, sagacia e lucidità d'analisi, davvero rare. "Il Cavaliere spiegato ai posteri" è il pezzo che propongo, per un confronto a tutto campo su Berlusconi, ma soprattutto su di noi. Perchè, come disse Gaber, "non ho paura di Berlusconi in sè, ma del Berlusconi in me".
L'ispirazione mi arriva dalla tv: ieri sera, Severgnini, era ospite a "L'ultima parola", il talk show di Rai2 di Pierluigi Paragone (altro giornalista senza peli sulla lingua, che stimo molto), e ha accennato a questa sua teoria per spiegare il successo del "Berlusconismo".
Tutti abbiamo qualcosa di questo personaggio e ne abbiamo "subìto" direttamente o indirettamente il fascino e il carisma (chi apprezzandolo, chi votandolo, chi odiandolo). Ma forse nessuno, come Severgnini, è stato capace di spiegarci, fin d'ora, i Dieci motivi per 20 anni di «regno», ovvero il segreto della longevità politica del premier e la pancia del Paese.
Cosa pensa la maggioranza degli italiani? «è uno di noi». E chi non lo pensa, lo teme
«Berlusconi, perché?». Racconta Beppe Severgnini che nel suo girovagare per il mondo infinite volte si è sentito rivolgere quella domanda da colleghi giornalisti, amici, scrittori di diverso orientamento politico, animati da curiosità più che da preconcetti. E così, cercando una risposta per loro, ha cominciato a elencare i fattori del successo del Cavaliere. Umanità, astuzia, camaleontica capacità di immedesimarsi negli interlocutori. Virtù (o vizi?) di Berlusconi, ma anche del Paese che ha deciso di farsi rappresentare da lui. Disse una volta Giorgio Gaber: «Non ho paura di Berlusconi in sé. Ho paura di Berlusconi in me». Quella frase fa da epigrafe a «La pancia degli italiani. Berlusconi spiegato ai posteri», il libro di Beppe Severgnini in vendita da oggi, del quale pubblichiamo l’introduzione

Spiegare Silvio Berlusconi agli italiani è una perdita di tempo. Ciascuno di noi ha un’idea, raffinata in anni di indulgenza o idiosincrasia, e non la cambierà. Ogni italiano si ritiene depositario dell’interpretazione autentica: discuterla è inutile. Utile è invece provare a spiegare il personaggio ai posteri e, perché no?, agli stranieri. I primi non ci sono ancora, ma si chiederanno cos’è successo in Italia. I secondi non capiscono, e vorrebbero. Qualcosa del genere, infatti, potrebbe accadere anche a loro. Com’è possibile che Berlusconi – d’ora in poi, per brevità, B. – sia stato votato (1994), rivotato (2001), votato ancora (2008) e rischi di vincere anche le prossime elezioni? Qual è il segreto della sua longevità politica? Perché la maggioranza degli italiani lo ha appoggiato e/o sopportato per tanti anni? Non ne vede gli appetiti, i limiti e i metodi? Risposta: li vede eccome. Se B. ha dominato la vita pubblica italiana per quasi vent’anni, c’è un motivo. Anzi, ce ne sono dieci.
1) Fattore umano
Cosa pensa la maggioranza degli italiani? «Ci somiglia, è uno di noi». E chi non lo pensa, lo teme. B. vuole bene ai figli, parla della mamma, capisce di calcio, sa fare i soldi, ama le case nuove, detesta le regole, racconta le barzellette, dice le parolacce, adora le donne, le feste e la buona compagnia. È un uomo dalla memoria lunga capace di amnesie tattiche. È arrivato lontano alternando autostrade e scorciatoie. È un anticonformista consapevole dell’importanza del conformismo. Loda la Chiesa al mattino, i valori della famiglia al pomeriggio e la sera si porta a casa le ragazze. L’uomo è spettacolare, e riesce a farsi perdonare molto. Tanti italiani non si curano dei conflitti d’interesse (chi non ne ha?), dei guai giudiziari (meglio gli imputati dei magistrati), delle battute inopportune (è così spontaneo!). Promesse mancate, mezze verità, confusione tra ruolo pubblico e faccende private? C’è chi s’arrabbia e chi fa finta di niente. I secondi, apparentemente, sono più dei primi.
2) Fattore divino
B. ha capito che molti italiani applaudono la Chiesa per sentirsi meno colpevoli quando non vanno in chiesa, ignorano regolarmente sette comandamenti su dieci. La coerenza tra dichiarazioni e comportamenti non è una qualità che pretendiamo dai nostri leader. L’indignazione privata davanti all’incoerenza pubblica è il movente del voto in molte democrazie. Non in Italia. B. ha capito con chi ha a che fare: una nazione che, per evitare delusioni, non si fa illusioni. In Vaticano – non nelle parrocchie – si accontentano di una legislazione favorevole, e non si preoccupano dei cattivi esempi. Movimenti di ispirazione religiosa come Comunione e Liberazione preferiscono concentrarsi sui fini – futuri, quindi mutevoli e opinabili – invece che sui metodi utilizzati da amici e alleati. Per B. quest’impostazione escatologica è musica. Significa spostare il discorso dai comportamenti alle intenzioni.
3) Fattore Robinson
Ogni italiano si sente solo contro il mondo. Be’, se non proprio contro il mondo, contro i vicini di casa. La sopravvivenza – personale, familiare, sociale, economica – è motivo di orgoglio e prova d’ingegno. Molto è stato scritto sull’individualismo nazionale, le sue risorse, i suoi limiti e le sue conseguenze. B. è partito da qui: prima ha costruito la sua fortuna, accreditandosi come un uomo che s’è fatto da sé; poi ha costruito sulla sfiducia verso ciò che è condiviso, sull’insofferenza verso le regole, sulla soddisfazione intima nel trovare una soluzione privata a un problema pubblico. In Italia non si chiede – insieme e con forza – un nuovo sistema fiscale, più giusto e più equo. Si aggira quello esistente. Ognuno di noi si sente un Robinson Crusoe, naufrago in una penisola affollata.
4) Fattore Truman
Quanti quotidiani si vendono ogni giorno in Italia, se escludiamo quelli sportivi? Cinque milioni. Quanti italiani entrano regolarmente in libreria? Cinque milioni. Quanti sono i visitatori dei siti d’informazione? Cinque milioni. Quanti seguono Sky Tg24 e Tg La7? Cinque milioni. Quanti guardano i programmi televisivi d’approfondimento in seconda serata? Cinque milioni, di ogni opinione politica. Il sospetto è che siano sempre gli stessi. Chiamiamolo Five Million Club. È importante? Certo, ma non decide le elezioni. La televisione – tutta, non solo i notiziari – resta fondamentale per i personaggi che crea, per i messaggi che lancia, per le suggestioni che lascia, per le cose che dice e soprattutto per quelle che tace. E chi possiede la Tv privata e controlla la Tv pubblica, in Italia? Come nel Truman Show, il capolavoro di Peter Weir, qualcuno ci ha aiutato a pensare.
5) Fattore Hoover
La Hoover, fondata nel 1908 a New Berlin, oggi Canton, Ohio (Usa), è la marca d’aspirapolveri per antonomasia, al punto da essere diventata un nome comune: in inglese, «passare l’aspirapolvere» si dice to hoover. I suoi rappresentanti (door-to-door salesmen) erano leggendari: tenaci, esperti, abili psicologi, collocatori implacabili della propria merce. B. possiede una capacità di seduzione commerciale che ha ereditato dalle precedenti professioni – edilizia, pubblicità, televisione – e ha applicato alla politica. La consapevolezza che il messaggio dev’essere semplice, gradevole e rassicurante. La convinzione che la ripetitività paga. La certezza che l’aspetto esteriore, in un Paese ossessionato dall’estetica, resta fondamentale (tra una bella figura e un buon comportamento, in Italia non c’è partita).
6) Fattore Zelig
Immedesimarsi negli interlocutori: una qualità necessaria a ogni politico. La capacità di trasformarsi in loro è più rara. Il desiderio di essere gradito ha insegnato a B. tecniche degne di Zelig, camaleontico protagonista del film di Woody Allen. Padre di famiglia coi figli (e le due mogli, finché è durata). Donnaiolo con le donne. Giovane tra i giovani. Saggio con gli anziani. Nottambulo tra i nottambuli. Lavoratore tra gli operai. Imprenditore tra gli imprenditori. Tifoso tra i tifosi. Milanista tra i milanisti. Milanese con i milanesi. Lombardo tra i lombardi. Italiano tra i meridionali. Napoletano tra i napoletani (con musica). Andasse a una partita di basket, potrebbe uscirne più alto.
7) Fattore harem
L’ossessione femminile, ben nota in azienda e poi nel mondo politico romano, è diventata di pubblico dominio nel 2009, dopo l’apparizione al compleanno della diciottenne Noemi Letizia e le testimonianze sulle feste a Villa Certosa e a Palazzo Grazioli. B. dapprima ha negato, poi ha abbozzato («Sono fedele? Frequentemente»), alla fine ha accettato la reputazione («Non sono un santo»). Le rivelazioni non l’hanno danneggiato: ha perso la moglie, ma non i voti. Molti italiani preferiscono l’autoindulgenza all’autodisciplina; e non negano che lui, in fondo, fa ciò che loro sognano. Non c’è solo l’aspetto erotico: la gioventù è contagiosa, lo sapevano anche nell’antica Grecia (dove veline e velini, però, ne approfittavano per imparare). Un collaboratore sessantenne, fedele della prima ora, descrive l’insofferenza di B. durante le lunghe riunioni: «È chiaro: teme che gli attacchiamo la vecchiaia».
8) Fattore Medici
La Signoria – insieme al Comune – è l’unica creazione politica originale degli italiani. Tutte le altre – dal feudalesimo alla monarchia, dal totalitarismo al federalismo fino alla democrazia parlamentare – sono importate (dalla Francia, dall’Inghilterra, dalla Germania, dalla Spagna o dagli Stati Uniti). In Italia mostrano sempre qualcosa di artificiale: dalla goffaggine del fascismo alla rassegnazione del Parlamento attuale. La Signoria risveglia, invece, automatismi antichi. L’atteggiamento di tanti italiani di oggi verso B. ricorda quello degli italiani di ieri verso il Signore: sappiamo che pensa alla sua gloria, alla sua famiglia e ai suoi interessi; speriamo pensi un po’ anche a noi. «Dall’essere costretti a condurre vita tanto difficile», scriveva Giuseppe Prezzolini, «i Signori impararono a essere profondi osservatori degli uomini». Si dice che Cosimo de’ Medici, fondatore della dinastia fiorentina, fosse circospetto e riuscisse a leggere il carattere di uno sconosciuto con uno sguardo. Anche B. è considerato un formidabile studioso degli uomini. Ai quali chiede di ammirarlo e non criticarlo; adularlo e non tradirlo; amarlo e non giudicarlo.
9) Fattore T.I.N.A.
T.I.N.A., There Is No Alternative. L’acronimo, coniato da Margaret Thatcher, spiega la condizione di molti elettori. L’alternativa di centrosinistra s’è rivelata poco appetitosa: coalizioni rissose, proposte vaghe, comportamenti ipocriti. L’ascendenza comunista del Partito democratico è indiscutibile, e B. non manca di farla presente. Il doppio, sospetto e simmetrico fallimento di Romano Prodi – eletto nel 1996 e 2006, silurato nel 1998 e 2008 – ha un suo garbo estetico, ma si è rivelato un’eredità pesante. Gli italiani sono realisti. Prima di scegliere ciò che ritengono giusto, prendono quello che sembra utile. Alcune iniziative di B. piacciono (o almeno dispiacciono meno dell’alternativa): abolizione dell’Ici sulla prima casa, contrasto all’immigrazione clandestina, lotta alla criminalità organizzata, riforma del codice della strada. Se queste iniziative si dimostrano un successo, molti media provvedono a ricordarlo. Se si rivelano un fallimento, c’è chi s’incarica di farlo dimenticare. Non solo: il centrodestra unito rassicura, almeno quanto il centrosinistra diviso irrita. Se l’unico modo per tenere insieme un’alleanza politica è possederla, B. ne ha presto calcolato il costo (economico, politico, nervoso). Senza conoscerlo, ha seguito il consiglio del presidente Lyndon B. Johnson il quale, parlando del direttore dell’Fbi J. Edgar Hoover, sbottò: «It’s probably better to have him inside the tent pissing out, than outside the tent pissing in», probabilmente è meglio averlo dentro la tenda che piscia fuori, piuttosto di averlo fuori che piscia dentro. Così si spiega l’espulsione e il disprezzo verso Gianfranco Fini, cofondatore del Popolo della libertà. Nel 2010, dopo sedici anni, l’alleato ha osato uscire dalla tenda: e non è ben chiaro quali intenzioni abbia.
10) Fattore Palio
Conoscete il Palio di Siena? Vincerlo, per una contrada, è una gioia immensa. Ma esiste una gioia altrettanto grande: assistere alla sconfitta della contrada rivale. Funzionano così molte cose, in Italia: dalla geografia all’industria, dalla cultura all’amministrazione, dalle professioni allo sport (i tifosi della Lazio felici di perdere con l’Inter pur di evitare lo scudetto alla Roma). La politica non poteva fare eccezione: il tribalismo non è una tattica, è un istinto. Pur di tener fuori la sinistra, giudicata inaffidabile, molti italiani avrebbero votato il demonio. E B. sa essere diabolico. Ma il diavolo, diciamolo, ha un altro stile.

Beppe Severgnini

1 commento:

  1. Direttore, una precisazione inannzitutto: questo ancora in carica è il quarto Governo Berlusconi "giurato" davanti al Capo dello Stato. Marginale? Non lo sò, ma l'ho detto per chi vorrebe un reincarico o vorrebbe andare a votare in queste condizioni: credetemi, Berlusconi le vincerebbe ancora !!!!appiattendosi su molte posizioni leghiste che stanno sfondando approfittando della disaffezione alla politica degli italiani. Poi intorno a sè, fatta qualche debita eccezione ma con poca capacità di consenso, purtroppo ha una classe dirigente davvero poco all'altezza, tanto che sembrano Statisti molti esponenti della Lega al confronto.
    La cosa più triste in questo contesto è che non sappiamo come uscirne. Allora Governo Tecnico: tutti contro Berlusconi. Per cosa fare? Ancora peggio di ora, tirando a campare (lotta tra sindacato e Confindustria?), senza una politica di vero rilancio che l'Europa ci chiede.
    Ora vengo alla mia personalissima opinione: tanto vale lasciarlo fare cercando di approfittare di un ottimo ministro dell'economia come Tremonti, ma imporgli in Parlamento regole del gioco nuove (questo si Fini dovrebbe fare favorendo un vero confronto Istituzioonale proprio grazie alla sua nuova formazione politica - FLI - ed al Suo ruolo di III Carica dello Stato). Tanto per intenderci regole alla Matteo Renzi che ad esempio propugna un numero di mandati parlamentari non superiore a TRE. Ma quando poi certe cose giuste (a prescindere in senso ontologico)toccano interessi personali la classe politica potrà accettarle confrontandosi seriamente?
    A mio parere sarebbe questa la vera sfida che Fini dovrebbe lanciare all'Italia e non un generico tutti contro Berlusconi.
    Infine una nota di relativo colore relativamente al punto 10) Fattore Palio di Severgnini.
    Io dico magari si potesse esèportate su BASE NAZIONALE. Spiego: a Siena è si vero che si gode più della sconfitta della contrada rivale che della propria vittoria, ma alla fine c'è capacità di sintesi, che la politica nazionale dovrebbe mutuare, per il bene della città.
    A me sembra che a livello nazionale ci sia solo tanta voglia di sopraffazione e non di valorizzazione reciproca degli aspetti e valori positivi che pur ci sono tanto a dx come a sx.
    Un caro saluto.
    Federico

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