Ho voglia di fare gli auguri. Non è Natale (anche se negli ultimi 2 giorni ho dovuto riaccendere il camino a pellets), non è tempo di regali (che anche fuori stagione, però, darebbero più calore delle offerte risparmio figlie della liberalizzazione del gas). Ma qualcosa devo pur scrivere, anche se forse a qualcuno non piacerà…
Auguri agli Eugubini. Gli Eugubini in senso lato. Da Natale ad oggi, poco più di tre mesi, è successo di tutto. Arresti, manette, domiciliari, Trust, gossip, raccolta firme, carcere preventivo. Tutte parole chiave di una storia che appena poche settimane fa poteva sembrare appartenere ad altre latitudini. Ed invece abbiamo dovuto imparare a conviverci. A guadagnarci sicuramente qualche studio legale. A perderci, nell’immagine, la città tutta.
Che, tanto per cambiare, non ha perso l’occasione per tornare a dividersi. Colpevolisti e innocentisti, raccolta firme all’insegna di Voltaire – chissà perché mai evocato nel decennio precedente quando chi la pensava in modo diverso dal Palazzo rischiava, nella migliore delle ipotesi, l’”emarginazione sociale” – o neo-giacobinismo raffinato, alimentato per lo più da chi, in tempi non sospetti, quelle stesse persone magari elogiava o blandiva non proprio disinteressatamente.
Auguri agli Eugubini, ma stavolta non a tutti. In particolare a quei 3.600 che negli ultimi anni hanno goduto di qualche oggettivo vantaggio: come ad esempio, costruire un immobile abusivo senza che nulla accadesse, magari con il bene placito del Palazzo – che in particolare dopo il 2007, ed il varo del Piano Regolatore – ha ammiccato rassicurando sul fatto che nessuno avrebbe rotto le uova nel paniere. Salvo fare poi dietrofront, quando un mezzo aereo – non proprio un Savoia Marchetti come quello narrato dal primo tragico “Fantozzi” – ha sorvolato le colline eugubine fotografando un territorio stranamente pustolato di chiazze non previste dalle carte urbanistiche, costruzioni e abitazioni dove – per dirla alla Celentano – un giorno : una sorta di “varicella” comunale che ora l’Agenzia del Territorio farà pagare a caro prezzo tra Ici arretrata, Imu e per qualcuno, addirittura, ordinanza di demolizione.
Auguri anche agli altri Umbri (anche se gli Umbri veri restano quelli delle sette Tavole Eugubine, quindi di nuovo gli eugubini…). Ma sono un po’ tutti gli abitanti dell’Umbria a doversi preoccupare. Parlo di cronaca, parlo di sangue, parlo di agguati, rapine, criminalità, sicurezza precaria, forze dell’ordine inadeguatamente organizzate (sul piano numerico) rispetto allo spessore di un fenomeno che non è più l’”eccezione che conferma la regola”. Ormai è diventato la negazione della regola.
Ramazzano è solo la punta cruenta e tragica di un iceberg che abbiamo dentro casa nostra da tempo, pur facendo finta di non vederlo. Un iceberg molto più ingombrante e insidioso di quello che 100 anni fa esatti affondò il Titanic.
Perugia ha smarrito quasi interamente il fascino retrò della cittadina di provincia: magari guardandola al tramonto, da un balcone, ancora un briciolo, un retaggio dell'antica suggestione rimane. Ma con il catorcio alla porta ben chiuso, meglio ancora con un allarme da inserire in caso di passeggiatina serale… Da evitare ovviamente vicoli e ancora di più la periferia. Se architettonicamente continua ad essere una città affascinante, il nostro capoluogo di regione, sul piano della vivibilità, sembra la proiezione, in scala, di un sobborgo metropolitano.
Quando ad Ischia confidai a Mattia Feltri – inviato politico de “La Stampa” (e figlio d'arte di papà Vittorio) – che se c’era un posto dove si sarebbe verificato qualcosa di clamoroso per la cronaca, poteva essere benissimo Perugia (io veramente pensavo ad Al Qaeda, mentre 3 mesi dopo ci sarebbe stato l’omicidio di Meredith), mi richiamò dicendomi che c’avevo visto lungo. Gli risposi che avevo semplicemente interpretato l’odore di una città che ormai emette esalazioni nauseabonde, rischiando di contagiare anche l’hinterland.
Anche i due morti di Cenerente – un giorno lo chiameranno “il giallo di Pasqua” – vanno ad allungare la fila di storie macchiate di sangue ma soprattutto di violenza e scarsa percezione del fattore sicurezza.
Ma non c’è bisogno di spargimento di sangue per scorgere nell’elenco di fatti di cronaca furti in pieno giorno a volto scoperto e in pieno centro: ormai avvengono indistintamente a Roma, Milano, Perugia e anche a Gubbio.
Auguri ai tifosi del Gubbio: che nelle ultime due Pasque (intese come partite del sabato santo) avevano festeggiato vittorie probabilmente se non certamente decisive. Due anni fa con la Carrarese (in rimonta, dopo la sconfitta di Fano, con Gomez e Marotta), l’anno scorso addirittura con il Lumezzane, nella gara che diede la certezza che il sogno della B sarebbe arrivato, grazie al guizzo di Daud, ispirato da un sontuoso Gomez. La Pasqua, quest’anno, ha il sapore del “ritorno sulla terra”. Non intesa come pianeta. Ma come polvere. Che ti sporca, ti imbratta. Ma forse ti fa sentire un po’ più normale. Ti mette davanti allo specchio e ti aiuta a capire i tuoi veri difetti. E a non crederti invincibile (come forse qualcuno – dalla società allo staff tecnico – ha in qualche modo pensato). Pasqua quest’anno è sinonimo di umiltà. Quel bagno necessario dopo ogni felice “sbornia euforica”, che prima o poi tocca a tutti. Ha le sembianze di un ceffone. Che prima o poi si arriva a prendere, quando si perde il contatto con la realtà. Nello sport come nella vita di tutti i giorni. E non è detto che non sia salutare.
Auguri a chi vorrà trascorrere questa giornata – e anche quella dopo – in famiglia. La Pasqua (e ancor più la Pasquetta), per la verità, è sempre un giorno “buco”. A Natale e per Santo Stefano – in quei pomeriggi che sembrano interminabili, come la sequela di sms che pian piano sgranano sul display del cellulare - puoi sempre rifugiarti in un “sette e mezzo” tra amici o familiari. A Pasquetta non è così. Se splende la primavera è un conto. Altrimenti sembra un giorno “perso”. Da qui forse il detto che è meglio stare “con chi vuoi”. Ma è solo un proverbio. Un antico adagio. Che sa di saggezza ma anche di rima. Perché in realtà, alla fine, la scelta migliore è quella di stare con i tuoi. Intesi come famiglia. Come quelle persone che la quotidianità, talvolta, rischia di anestetizzare, di rendere monocolori, di farti sentire presenti come un quadro o un mobile. Ci passi davanti, magari gli dai uno sguardo, ma non ne apprezzi mai abbastanza il valore (affettivo prim’ancora che economico). Un po’ come i tesori architettonici che ci circondano: e che riusciamo a conoscere e a capire solo quando ci ritroviamo da soli, con una passeggiata, silenziosa e meditante.
Buona Pasqua, infine, ai frequentatori di questo blog. A chi passa, perché ormai è un’abitudine. A chi lascia scritto il suo pensiero. A chi si tiene tutto per sé. A chi mi manda una frase via e-mail, chi mi dà consigli, chi un saluto, un apprezzamento e anche una critica. Perché è un po’ come ritrovarsi, ogni giorno, o quasi, in una piazzetta o in un bar. Non c’è l’aperitivo, ma quattro chiacchiere, alla fine, anche se virtuali, si scambiano lo stesso. E non fanno mai male.
Sarebbe meglio dal vivo? Perché no… Ma, in fondo, quando c'è sincerità è un po' come parlarsi negli occhi. E' proprio come parlarsi dal vivo...
Auguri anche a Te Giacomo :-)
RispondiEliminaauguri!
RispondiElimina