Accompagno mio figlio a Jesi, al Palasport Triccoli. Decisione quasi dell'ultim'ora. Mi risultava ci fosse un raduno tra 3-4 squadrette giovanili locali, una di quelle rassegne un po’ festose e un po’ caotiche che spesso si organizzano tra società (in questo caso, di basket) per far divertire un tantino i rispettivi pargoli.
Solo al Palasport jesino – dopo aver accompagnato Giovanni e tre suoi amici (mettendo a dura prova la poca pazienza di cui dispongo, durante il viaggio, in giornate uggiose come sembrava questa) e dopo aver ritardato qualche minuto (come da tradizione) per le bizze del tom tom e un pizzico di disorganizzazione di partenza – scopro che si tratta del “Family day”, un pomeriggio di festa e sana aggregazione organizzato dalla Fileni Jesi (la società ospitante, che milita in A2 di basket) con la presenza della prima squadra, beatamente immersa nel vociare gioioso di centinaia di ragazzini.
Grandi e piccoli, protagonisti e aspiranti tali, “idoli” e tifosi, insieme, in campo, con il gusto di festeggiare. Non una vittoria, non un traguardo. Ma il piacere di giocare insieme, di vivere e conoscere la pallacanestro.
Un flash, volutamente sfocato, di una delle partitelle sul parquet del "PalaTriccoli" |
Intanto i piccoli atleti indossavano un’unica maglietta comune a tutti: una vistosa t-shirt arancione – colore sociale del sodalizio di casa – che dava l’impronta di un voler accomunare tutti in questa chiassosa kasba sportiva, senza distinzione di età, di sesso (c'erano anche ragazzine) e di appartenenza cittadina. Insomma non c’erano squadre o divisioni di maglia, di bandiera, di provenienza.
I ragazzini erano di Jesi, Ancona, Gubbio, Fermignano, ma, sotto quella magliettina arancio, lo sapevano solo loro.
E poi non c’erano vere e proprie partite. Ma negli spicchi di parquet allestiti a minuscoli campi da gioco (con i canestri opportunamente abbassati) gli istruttori imbastivano semplici esercizi, in cui il gesto tecnico (terzo tempo, tiro a canestro, palleggio) si mescolava al momento squisitamente ludico (passare intorno a dei birilli o sotto un ponte umano composto dalle gambe divaricate dei propri amici).
Insomma zero competizione e tanto divertimento, con un quid in più.
Ad un certo punto è entrata in campo, con la presentazione in passerella in perfetto stile Usa e altoparlante “a palla”, la squadra di Jesi: giganti resi ancora più mastodontici dal confronto con i loro piccolissimi fans.
E la sorpresa più piacevole è stato il sorriso e l’aria divertita con cui questi atleti – che appena 24 ore prima avevano imbucato una brutta sconfitta a Reggio Emilia, pessimo stop lungo la strada di una agognata promozione in A1 - si dilettavano a intrattenersi con i ragazzini, giocando con loro, mettendosi sotto canestro per aiutarli a tirare, indossando dei copricapi curiosi (di quelli realizzati con i palloncini lunghi, abilmente trasformati in qualcosa che somigliasse ad un cappello) e divertendosi con istrionici pagliacci che vagavano per il parquet tra trampoli e gag.
Il capitano dell'Aurora Fileni Jesi, Michele Maggioli |
Un quadro inaspettato, ma per questo ancora più appagante, perché spuntato, inatteso, in una domenica dove lo sport per eccellenza (il calcio) si era imposto lo stop. In un clima dove da tempo è costretto a guardarsi allo specchio, con non poca vergogna, per quello che ogni giorno finisce per vomitare, attraverso dichiarazioni e indiscrezioni sul caso del calcio scommesse.
Che distanza siderale - anni luce direi - tra l’autogol taroccato di un Masiello qualsiasi e l’entusiasmo spontaneo e ingenuo di questi bambini (ma anche dei loro idoli jesini) che hanno trascorso un pomeriggio di una domenica di aprile, giocando e divertendosi sotto un canestro, e sulle note di Jovanotti.
“Il più grande spettacolo dopo il big bang siamo noi”: a vederli dagli spalti, a gustarne il sorriso e l’autentica voglia di stare insieme, pareva quasi che il Cherubini di Cortona l’avesse scritta proprio per loro…
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