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venerdì 20 aprile 2012

Quello che davvero il calcio deve a Morosini...

Il calcio glielo deve. Non è solo il minuto canonico di silenzio, prima del fischio d’inizio, di quelli che spesso passano intensi ma poi non lasciano traccia.

Il calcio deve qualcosa di più a Piermario Morosini, 26 anni non compiuti, centrocampista nato a Bergamo, cresciuto in quell’Università del calcio che si chiama Atalanta, e poi costretto a girovagare per varie piazze, l’ultima, da gennaio, la turbolenta Livorno.
Il calcio deve tanto ad un ragazzo che non ha vinto Champions o scudetti, ma che ha fatto il proprio dovere, da calciatore onesto. E ha visto spegnersi la sua vita sul campo, giocando.
E’ stato come tornare indietro di 34 anni, a quel 30 ottobre 1977, quando allo stadio Pian di Massiano, ancora si chiamava così, un altro centrocampista, un altro di quelli apparentemente anonimi, di nome Renato Curi, moriva durante un piovosissimo Perugia-Juventus.

Quando accadono tragedie come queste – ed è un duro ripetersi – si accendono le polemiche, si paventano cause tra le più inquietanti, insomma si scatena il bailamme. Che poi si quieta, lasciando spazio di nuovo ad ameni dibattiti su un fuorigioco millimetrico o su un gol non gol.
E intanto negli stadi italiani, anche quelli di A o B, per non parlare delle categorie minori, non si sa bene se ci sia un defibrillatore, se ci sia chi sa utilizzarlo, se ci sia una sorta di piano d’azione in caso d’emergenza.

Emblematiche le parole del direttore generale di Lega Pro, l’eugubino Francesco Ghirelli, che ha dichiarato: Non si gioca in uno stadio in cui non sarà assicurata ogni garanzia di immediato soccorso. Ricordate lo scorso anno Sorrento? Con il suo muro di cinta a due metri dal fallo laterale e con l’impianto elettrico a disposizione dei tifosi in curva? Bene, l’Italia è questo: filo del rasoio, indifferenza, almeno finchè non ci scappa il morto.
Ecco, quello che il calcio del Belpaese deve a Piermario Morosini, e alle altre vittime di questo straordinario ma contraddittorio circus: la fine della precarietà, che non è articolo 18 o contratti part time, ma un’organizzazione minimamente efficiente che eviti di avere almeno rimorsi quando di mezzo ci sono questioni di vita o di morte.

Ma c’è qualcos’altro che il nostro calcio deve a Morosini: si chiama chiarezza e onestà. Perché, anche a rischio di sembrare retorici, non si può sottacere che mentre ci sono giocatori che lasciano la vita in mezzo al campo, ce ne sono altri – e continuano a giocare – che in quello stesso tappeto verde hanno barato, si sono venduti per qualche prebenda, hanno scommesso o favorito scommesse sicure. Insomma hanno preso in giro migliaia di tifosi, anche le stesse società (non per forza consenzienti), e tanti colleghi che nel calcio credevano e continuano a credere.

La riflessione, oggi, può apparire gratuita ma in realtà è ancora più doveroso fare chiarezza e giustizia sul calcio scommesse (piaga da decupito del calcio nostrano, che riappare al ritmo di un lustro o al massimo due). Alcuni rumors vorrebbero risolto e seppellito con una specie di condono. Si deve una risposta netta a chi crede ancora, beato lui, in questo calcio. A milioni di tifosi che mettono mezzo stipendio in un abbonamento o anche in una sola trasferta. A dirigenti onesti che firmano fideiussioni vere per pura passione. A piazze che respirano ancora l’aria buona del football di una volta.

Lo si deve, anche questo, a giocatori come Morosini, e a tanti altri semisconosciuti, che hanno fatto di un gioco e di un sogno da bambini, il proprio mestiere, cambiando casacca, o colori sociali: ma non per questo svendendoli a qualsiasi costo.
Lo diciamo da amanti di questo sport. E non solo perché lo tsunami – o quello che dovrebbe essere tale – è partito proprio da qui. Dal coraggio di dire no, e dal coraggio, ancora più grande, di denunciare.
La speranza è di non dover pensare che un giorno si debba, anche solo per un minuto, dubitare, di aver fatto la cosa giusta.



A proposito. Domani c’è anche Sassuolo-Gubbio: che ci resta da dire? Pea, Magnanelli, Marchi, Apolloni, assenze forzate, vittoria a tutti i costi, salvezza appesa a un filo. Sembra tutto banale a confronto di quanto si è detto finora.
E forse a Morosini si deve anche questo. Il silenzio del calcio che fa e non proclama. Quell’ingrediente fondamentale che ha fatto le fortune del Gubbio nell’ultimo biennio. Ma di cui, purtroppo, si è persa traccia negli ultimi mesi…

 
Copertina de "Il Rosso e il Blu" - venerdì 20.4.12
musica di sottofondo: "Show must go on" - Queen (1991)
 

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