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domenica 16 settembre 2012

"Io sono il libanese". E De Cataldo ammette di aver "inventato" un nuovo mito...

De Cataldo alla Sperelliana (foto Marco Signoretti)
Non è detto che la letteratura noir non sia in fondo più etica della realtà stessa”.
E’ uno dei passaggi più significativi dell’incontro pubblico di presentazione del libro “Io sono il libanese”, svoltosi alla Biblioteca Sperelliana di Gubbio con l’autore, Giancarlo De Cataldo, scrittore, autore e magistrato.
Un libro che rappresenta il pre-quel del fortunato “Romanzo criminale”, la storia ispirata ai fatti e ai personaggi della banda della Magliana che ha dato poi il tema all’omonimo film, firmato da Michele Placido e alla serie televisiva in onda su Sky diretta da Stefano Sollima. Il “Libanese” è il leader del gruppo criminale, una figura quella di Pietro Proietti, che viene dipinta con un contorno carismatico tale da generare il sogno di un gruppo di sbandati di impadronirsi del territorio della Capitale nei suoi principali traffici malavitosi. Un intreccio di storie, di intrighi e di soprusi nei quali la figura del "Libanese" si staglia, come quella del capo: colui che in ogni circostanza raccoglie energie e volontà finalizzate ad un sogno: "Piàmose Roma!" sarà una delle sue frasi più emblematiche, rivolta di fronte ad un tavolo da biliardo ai suoi amici.


Nel corso della conversazione (foto Marco Signoretti)
De Cataldo, stimolato nella conversazione pubblica, oltre che dal sottoscritto, anche dal collega Alvaro Fiorucci (caporedattore Tg3 regione) e dall’avv. Giuseppe Caforio, ha parlato dei suoi libri, dell’enfasi che “Romanzo criminale” ha generato soprattutto tra i più giovani, ma ha anche ribadito che non c’è il rischio di creare eroi negativi: “I miei personaggi muoiono o finiscono per marcire in carcere. Nella realtà ex leader della banda della Magliana hanno avuto un futuro ben più roseo che quello dietro le sbarre”.
Prima della presentazione, organizzata dalla libreria Fotolibri e introdotta dalla curatrice di eventi letterari, Anna Maria Romano, Giancarlo De Cataldo ha ricevuto la patente da matto dall’associazione “Maggio Eugubino”: un riconoscimento, ha dichiarato lui stesso, di cui andrò orgoglioso certamente in futuro. E almeno saprò come giustificare qualche mio libro incomprensibile. In fondo un po' matto mi ci sono sempre sentito...".

Un magistrato - per la precisione della Corte d'Assise d'Appello di Roma - cui non piace sentirsi definito così. L'ho incontrato ai "Cappuccini" prima della conferenza per un'intervista approfondita - che andrà in onda nella nuova serie di trasmissioni "Link" in onda da ottobre. "Quando parlo di libri mi piace essere solo Giancarlo De Cataldo, e non un magistrato. Non perchè siamo due persone diverse, ma perchè la lettura che do delle mie storie è quella di un semplice narratore. Non presento giudizi nè emetto sentenze. Lo stesso con "Romanzo Criminale": non giudico i miei protagonisti, ne racconto la vita, i sogni, le malefatte, anche i sentimenti. Ma non do spazio a nessuna forma di moralismo nè di pregiudizio. E non perchè voglia attenuare la gravità delle loro azioni. Ma perchè il magistrato lo faccio in Tribunale. E poi, se andiamo a vedere, il destino cui sono lasciati i protagonisti di "Romanzo Criminale" è tutt'altro che felice. La bella vita che sognano di guadagnarsi in eterno si scioglie di fronte alle diatribe interne, alle faide personali, a omicidi e uccisioni che finiscono per estinguere la banda. Non è un giudizio ma è anche un messaggio. La realtà purtroppo ci dice invece che alcuni di loro, in un modo o nell'altro, se la sono cavata...".

Il "Libanese" a capo della sua banda - dalla serie Sky

E' attratto molto più dai terroristi di destra che di sinistra ("troppo noiosi, scrivono pile di teorie e poi sparano alle spalle di un disgraziato"), ma soprattutto De Cataldo crede che in fondo la storia della criminalità sia anche un po' la storia del nostro Paese: "C'è un processo di identificazione, nei personaggi come nelle storie. Gli anni Settanta e il noir degli anni Settanta è accattivante proprio perchè ancora nasconde misteri, perchè quell'epoca fu di pesante contrasto tra mondi diversi, perchè le ideologie convivevano con istinti molto più prosaici, come il prendersi la rete di traffici di droga della Capitale. E comunque il nero tira sempre. Sarà che il nero sfina...".

Un dialogo gustoso, piacevole e mai banale. Che mi rivela un personaggio poliedrico, la cui brillantezza non farebbe pensare ad un professionista delle aule di Tribunale (che per quel poco che ho frequentato da misero praticante forense, mi son parse tutto fuorchè ambienti che ispirassero un pizzico di fantasia e buonumore).
Per l'intervista integrale l'appuntamento è ad ottobre su TRG. Di sicuro - dopo "Romanzo Criminale" e "Io sono il libanese" - non mancherò al suo prossimo libro. Che sia su Dandi, Bufalo o il Freddo?
"Spero di no - mi confida sorridendo - ma non posso escludere che la logica felicemente perversa di "Romanzo Criminale", da cui speravo di essermi affrancato da tempo, torni a prevalere...".
Mai dire mai...

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