Il mio puzzle, i miei pezzi.Di ieri e l'altro ieri.

domenica 30 settembre 2012

Il caso Tortora. Rispolverato in tv un macigno per le nostre coscienze. Anche questa è storia...



« Dunque, dove eravamo rimasti? Potrei dire moltissime cose e ne dirò poche. Una me la consentirete: molta gente ha vissuto con me, ha sofferto con me questi terribili anni. Molta gente mi ha offerto quello che poteva, per esempio ha pregato per me, e io questo non lo dimenticherò mai. E questo "grazie" a questa cara, buona gente, dovete consentirmi di dirlo. L'ho detto, e un'altra cosa aggiungo: io sono qui anche per parlare per conto di quelli che parlare non possono, e sono molti, e sono troppi. Sarò qui, resterò qui, anche per loro. Ed ora cominciamo, come facevamo esattamente una volta ».

E' l'autunno del 1987. Ricordo benissimo di aver visto questa puntata di "Portobello". La prima, dopo che Enzo Tortora era uscito dal carcere e soprattutto la prima, dopo che era stato prosciolto dall'accusa di essere colluso con le cosche camorristiche e di essere immischiato nello spaccio di stupefacenti.
Diventato nel frattempo parlamentare europeo con i Radicali, iniziò una battaglia per la garanzia dei carcerati, per tutelare quelle persone che aveva conosciuto, suo malgrado, ma grazie alle quali "non era crollato". Non fece in tempo a realizzare molto di quanto si era prefisso, perchè un cancro lo vinse appena un anno dopo il suo ritorno in Rai, nel 1988. Per molti quel male era solo la fisiologica conseguenza di quanto subìto ingiustamente in quei 5 terribili anni.
Credo che tra qualche secolo Enzo Tortora sarà sui libri di storia: se non sarà così, ci vorrà qualcuno che ne ricordi la storia, le vicissitudini, il paradosso, che oggi sembra così inverosimile. Non a caso il suo nome è ormai considerato l'icona della malagiustizia, dell'arroganza delle toghe, dell'approssimazione delle indagini, dell'apoteosi dell'ipocrisia giornalistica. Una sorta di asticella, un limite alla decenza - per altro già ampiamente superato in quella circostanza - oltre la quale nessuno credo osi più addentrarsi.
Era la fine degli anni Ottanta, ma l'attualità di quella vicenda costringe il nostro Paese a guardarsi allo specchio: non per contarsi le rughe, ma per solcarle pensando a quanti errori siano stati commessi nel cammino di questi ultimi decenni... senza che poi ne sia valsa la pena.
A rispolverare il caso-Tortora ci ha pensato la fiction, come spesso avviene. Come è anche logico avvenga per un caso mediatico come quello del presentatore genovese. Due puntate per la regia e l'interpretazione di Ricky Tognazzi, che fotografa mirabilmente l'assurdità di un arresto dovuto ad un nome trovato per caso in un'agenda: un nome importante, un nome che avrebbe fatto rumore. Enzo Tortora, ovvero uno degli anchor man più amati e popolari in Rai e dunque nel piccolo schermo (nell'83 era agli albori l'epopea Fininvest con il sole Mike Bongiorno a scommettere sul fenomeno televisivo di matrice berlusconiana, ancora in nuce).

Tortora si ritrovò in una mattina di giugno dell'83 dietro le sbarre, senza sapere perchè. Le parole di un pentito - che avrebbe ottenuto una significativa riduzione di pena - e un appunto su un'agenda sequestrata ad un pregiudicato (poi scoperta di proprietà della sua amante) bastarono a rovinare più che la carriera, la vita stessa di un uomo. Poi si scoprì che quell'appunto era sbagliato (il nome era Enzo Tortona), che i pentiti che avevano colto "la palla al balzo" si erano inventati tutto... ma era troppo tardi. Erano trascorsi 8 mesi di carcere (preventivo) e Tortora si sarebbe candidato all'Europarlamento (con i Radicali), rinunciando per altro all'immunità parlamentare. Un esempio limpido di coerenza e di correttezza di fronte al quale l'attuale classe politica non potrebbe che impallidire. E con lei, anche buona parte della classe giudiziaria. Perchè quei giudici che ne decretarono l'arresto, non hanno dovuto rispondere delle proprie negligenze (scoprire dopo quasi un anno che un'agenda che rappresentava una prova determinante, conteneva un errore e non apparteneva ad un pregiudicato, è quasi comico...), avendo addirittura fatto carriera nel CSM o essendo ancora in attività presso una delle tante Procure generali del nostro Paese.

Ricordo di aver conosciuto e intervistato l'avvocato Raffaele Della Valle, il legale di Enzo Tortora. Erano gli inizi degli anni Novanta e campeggiava il dibattito sul ruolo della Magistratura, nei primi tempi di Tangentopoli. A Gubbio fu ospite del Rotary club in un convegno dal titolo emblematico: "Diritto di cronaca o delitto di cronaca?". Pochi come Della Valle - che poi nel 1994 fu tra i fondatori di Forza Italia e deputato, per uscire di scena ben presto, già dal '96 - avrebbero saputo spiegare quell'interrogativo, vissuto sulla propria pelle. E il tema non poteva che avvincermi, io studente di giurisprudenza (poi pentito, ma senza riduzione della pena) e aspirante giornalista (ancora in tempo per pentirmi).
Il caso Tortora ha fatto giurisprudenza anche nell'informazione e nella carta stampata: da quel caso nacque un dibattito sull'opportunità di mostrare ad esempio persone in manette (oggi è vietata la pubblicazione di foto come quella che destò maggiore impressione il giorno del suo arresto), da quella vicenda ci si interrogò sulla necessità di misurare diversamente la cifra dell'aggressività di media e stampa rispetto a casi eclatanti: in quest'ultimo caso i risultati sono stati più modesti e la quotidianità ce lo conferma puntualmente.
Ma ricordo una frase di Della Valle (ripromettendomi di cercare quell'intervista nell'archivio di Trg - anche se temo avendo una ventina d'anni, che sarà inutile farlo).
Mi disse: "Ogni volta che si scrive un articolo su una persona, almeno per un attimo, chi scrive, dovrebbe immedesimarsi nella sua figura. Capire che si sta parlando di un uomo, non di un numero. E soprattutto, a prescindere se la persona sia nota o sconosciuta, comprendere le conseguenze di ciò che si scrive. Chi è noto patirà per la propria immagine, ma avrà strumenti più importanti per difendersi. Chi è sconosciuto, resterà inascoltato. E rischierà di annegare nel silenzio e nell'indifferenza generale". 
Parole che andrebbero incise e fatte riascoltare, periodicamente, nelle facoltà di Legge delle università italiane. E nella nostra memoria...

Non posso immaginare cosa abbia passato in quei tre anni, Enzo Tortora. Mi auguro di non doverlo mai provare. Posso ipotizzare però cos'abbia provato davanti alla telecamera, a quella lucina rossa accesa, nell'autunno 1987, quando tornò a condurre il "suo" Portobello.
Una rivincita, una gratificazione, una liberazione, accompagnata dall'applauso di un pubblico, che raffigurava l'opinione pubblica italiana. Tutto in piedi...


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