Se ne va non solo il decano, non solo un maestro, un prezioso riferimento professionale e umano, per tutti noi. Con Giampiero se ne va davvero una parte di tutti Noi. Della famiglia di Radio Gubbio, di TRG. Della compagine giornalistica di questa città, di cui era il rappresentante più autorevole e non solo sul piano anagrafico.
Del nostro essere narratori delle vicende di questa città. Del nostro essere eugubini di frontiera: la frontiera tra chi vive in queste mura, e respira quest'atmosfera unica e qualche volta un po' asfissiante, e chi ascolta il nostro raccontare la Gubbio che amiamo. E che vorremmo rappresentare sempre più bella, attrattiva, unica. Narratori appassionati, disposti a tutto pur di valorizzare queste pietre, il tempo imprigionato dentro di esse, qualche volta magari anche poco obiettivi e un po' campanilisti.
Perchè come ci siamo detti qualche volta con Giampiero, Gubbio ci ha sempre "fregato". Gira e rigira abbiamo sempre fatto quasi tutto per lei, dedicato molto più tempo a lei, che magari agli affetti più cari. E' come un virus. Ci si contagia, non ce se ne accorge, e si finisce per esserne contaminati, ognuno nel proprio ambito. E Giampiero era un ambasciatore unico e poliedrico di questa proiezione orgogliosa della città all'esterno: come direttore dell'azienda turismo prima, come giornalista e comunicatore poi.
Qualche volta persino mescolando i due ruoli, tanto che si finiva per non avere percezione di dove fosse il confine. Quanti radiogiornali ha composto dalla sedia degli uffici di piazza Oderisi, tra una riunione e l'altra; e quante faccende dell'APT sbrigava dall'ufficio di via Ansidei o corso Garibaldi, magari aspettando l'inizio di una trasmissione.
Giampiero era innamorato follemente di questa città, di questa comunità, e la gran parte delle sue energie sono state vocate a riflettere verso gli altri l'immagine più bella di questo gioiello. Ricordo come raccontasse con orgoglio le manifestazioni che aveva realizzato e sostenuto con l'Azienda turismo, la Stagione estiva di prosa al Teatro Romano, la Biennale dell'arte, la promozione delle manifestazioni folcloristiche, le tante trasmissioni televisive che ciclicamente approdavano a Gubbio, le manifestazioni grandi o piccole, ognuna un tassello prezioso per animare la città e amplificarne la sua fama.
E poi Radio Gubbio. Quando è nata, quando è cresciuta e ancora oggi, pur avendo una diversa definizione, come continuano in tanti a chiamarla così, cosa è diventata. Ero un ragazzino quando l'ho conosciuto negli uffici di via Ansidei, intrisi del fumo delle Lido del prof. Chiocci, che sopportavamo da buoni fumatore passivi. Su una macchina da scrivere si componevano i notiziari, ritagliando poi le notizie e incollandole in altri fogli secondo l'ordine di importanza. Aspettando però che pochi minuti prima di andare in onda, dall'Azienda turismo arrivassero le ultimissime, quelle brevi che Giampiero riservava al notiziario radio e all'altra sua compagna di vita – seconda per importanza alla sua Rita – ovvero La Nazione ("è con l'amante", diceva la signora Rita quando lo cercavamo al telefono e lui stava scrivendo un pezzo per La Nazione). Spesso quelle che arrivavano da lui erano le notizie più succulente, più curiose, più preziose. Perchè non amava scrivere semplicemente ciò che accadeva, preferiva trovare un risvolto speciale nelle storie che si raccontavano, soprattutto darle un volto umano, un messaggio, una morale, una speranza.
Giampiero era ironico, a tratti perfino umorista come forse pochi lo hanno potuto apprezzare. Dalla battuta sottile, dall'aneddoto o la barzelletta divertente sempre in canna. E sarcastico al momento giusto, come quando, al telefono con uno di questi enti locali destinati all'ennesima rottamazione amministrativa, dopo aver atteso una mezz'ora per parlare con un addetto con la segreteria telefonica ancora a rutilare la sua inutile litania, sbottò riattaccando la cornetta e concludendo: “Fanno bene a chiudeve”.
Fuori però Giampiero era l'uomo della moderazione, dell'equilibrio. Negli anni è diventato una specie di benchmark, un'asticella, un riferimento di come ci potesse districare tra le situazioni più contorte. Spesso, anche negli ultimi anni, da direttore, se avevo un problema da superare raccontando una notizia scomoda, complicata o prendendo una posizione forte, sbilanciata anche rischiosa – e ce ne sono state, perchè non c'è lavoro più difficile del nostro, quando ti trovi a farlo nella tua città parlando dei tuoi concittadini – ebbene gli chiedevo sempre un consiglio. Sapevo che se quell'aggettivo che mi sembrava a tratti eccessivo, irriverente o inopportuno, a Giampiero non suonava storto, allora si poteva anche usare. E osare. Spesso è stato il suo buon senso, il mio orizzonte.
Ma c'erano su tutte due passioni che condividevamo, forti, irrinunciabili. La Festa dei Ceri e il Gubbiaccio.
Allo stadio non potevi confonderti: prima sedia a destra della prima tribuna stampa, che si incrocia a salire dai gradoni del San Biagio. La sua chioma bianca, con gli anni. Il berretto nelle domeniche più fredde. Una presenza immancabile, fedele, sempre cordiale, sorridente, anche quando il risultato non lo suggeriva. Composta ma sempre infinitamente appassionata. Lo ricordo sempre a fianco di alcuni suoi grandi amici, eugubini doc come il Pittino o eugubini acquisiti come Gigi Simoni, con cui amava consumare lunghe chiacchierate di ricordi e aneddoti, tanto da sembrare come fratelli. Di quel calcio antico e saggio. Che apparteneva a questi signori di altri tempi.
Giampiero era il decano dei giornalisti sportivi eugubini, ma per tanti anni è stata una presenza immancabile allo stadio: finchè non arrivava, e spesso arrivava tardi, con qualche allenatore non si cominciava la conferenza stampa. Quanti ragazzi sono passati ascoltando qualche suo consiglio. Quante vittorie l'amico Fula ha raccontato accanto a lui in telecronaca, mescolando la sua enfasi incontenibile nei gol del Gubbio, alla compostezza garbata di Giampiero, che riusciva a tenersi morigerato nei toni e nei termini anche di fronte ad una rovesciata sotto l'incrocio al 90'.
E poi la Festa dei Ceri: che ha saputo raccontare con la sua penna e la sua voce. Da speaker a piazza Grande durante l'alzata, ruolo al quale teneva fortemente e che ha portato avanti finchè l'ultima corda vocale gliel'ha concesso. E poi nella telecronaca pomeridiana in diretta su TRG: una maratona, credetemi, difficile da immaginare per un eugubino che ha sacrificato tanti 15 maggio senza poterli vivere in mezzo alla gente, come magari avrebbe preferito, rendendosi sempre disponibile all'ingrato compito di starsene in via del Molino, dalle 5 alle 8. Orgoglioso però di fornire con la tv quel servizio ai tanti che per tanti motivi quella giornata non potevano vivere in strada. Giampiero è stato sempre generoso e credo abbia vissuto questo ruolo il 15 maggio come un dono da offrire al prossimo, in senso professionale ma anche in senso cristiano. Cercando di raccontare quella giornata unica in tutte le sue emozioni, cercando di cogliere aspetti particolari, preziosi, come la suorina, suor Diana, affacciata dalla finestra del convento di S.Antonio ad applaudire i ceri che salivano per il primo buchetto, oppure a edulcorare tutto ciò che poteva non apparire consono all'immagine della città. Le risse diventavano "piccoli parapiglia", le scazzottate nel chiostro un "momento di vivacità". E la definizione più iconica della Festa dei Ceri la dobbiamo a lui. Perchè in fondo, un po' come nella nostra vita, non si cade: si ha una "leggera incertezza". L'importante è rialzarsi e ripartire. Più forti di prima.
Dobbiamo tanto a Giampiero. Un grazie speciale. Una grande eredità. Morale. Professionale. Soprattutto umana, quella che ci lascia. Di cui andare fieri, per averlo conosciuto cosi bene e cosi a lungo, ma anche di cui essere custodi responsabili, per poterla trasmettere negli anni a venire...
Non solo alla ricerca spasmodica della notizia – che è importante – ma anche alla cura della notizia, Giampiero custodiva e accarezzava le notizie che poi divulgava sul giornale o in tv. Dando sempre loro, anche di quelle che non lo meritavano, una veste che fosse costruttiva, positiva, buona. Come lui.