Il mio puzzle, i miei pezzi.Di ieri e l'altro ieri.

sabato 31 agosto 2024

Il mio ricordo personale di Giampiero Bedini...

Se ne va non solo il decano, non solo un maestro, un prezioso riferimento professionale e umano, per tutti noi. Con Giampiero se ne va davvero una parte di tutti Noi. Della famiglia di Radio Gubbio, di TRG. Della compagine giornalistica di questa città, di cui era il rappresentante più autorevole e non solo sul piano anagrafico.

Del nostro essere narratori delle vicende di questa città. Del nostro essere eugubini di frontiera: la frontiera tra chi vive in queste mura, e respira quest'atmosfera unica e qualche volta un po' asfissiante, e chi ascolta il nostro raccontare la Gubbio che amiamo. E che vorremmo rappresentare sempre più bella, attrattiva, unica. Narratori appassionati, disposti a tutto pur di valorizzare queste pietre, il tempo imprigionato dentro di esse, qualche volta magari anche poco obiettivi e un po' campanilisti. 

Perchè come ci siamo detti qualche volta con Giampiero, Gubbio ci ha sempre "fregato". Gira e rigira abbiamo sempre fatto quasi tutto per lei, dedicato molto più tempo a lei, che magari agli affetti più cari. E' come un virus. Ci si contagia, non ce se ne accorge, e si finisce per esserne contaminati, ognuno nel proprio ambito. E Giampiero era un ambasciatore unico e poliedrico di questa proiezione orgogliosa della città all'esterno: come direttore dell'azienda turismo prima, come giornalista e comunicatore poi.

Qualche volta persino mescolando i due ruoli, tanto che si finiva per non avere percezione di dove fosse il confine. Quanti radiogiornali ha composto dalla sedia degli uffici di piazza Oderisi, tra una riunione e l'altra; e quante faccende dell'APT sbrigava dall'ufficio di via Ansidei o corso Garibaldi, magari aspettando l'inizio di una trasmissione.

Giampiero era innamorato follemente di questa città, di questa comunità, e la gran parte delle sue energie sono state vocate a riflettere verso gli altri l'immagine più bella di questo gioiello. Ricordo come raccontasse con orgoglio le manifestazioni che aveva realizzato e sostenuto con l'Azienda turismo, la Stagione estiva di prosa al Teatro Romano, la Biennale dell'arte, la promozione delle manifestazioni folcloristiche, le tante trasmissioni televisive che ciclicamente approdavano a Gubbio, le manifestazioni grandi o piccole, ognuna un tassello prezioso per animare la città e amplificarne la sua fama.

E poi Radio Gubbio. Quando è nata, quando è cresciuta e ancora oggi, pur avendo una diversa definizione, come continuano in tanti a chiamarla così, cosa è diventata. Ero un ragazzino quando l'ho conosciuto negli uffici di via Ansidei, intrisi del fumo delle Lido del prof. Chiocci, che sopportavamo da buoni fumatore passivi. Su una macchina da scrivere si componevano i notiziari, ritagliando poi le notizie e incollandole in altri fogli secondo l'ordine di importanza. Aspettando però che pochi minuti prima di andare in onda, dall'Azienda turismo arrivassero le ultimissime, quelle brevi che Giampiero riservava al notiziario radio e all'altra sua compagna di vita – seconda per importanza alla sua Rita – ovvero La Nazione ("è con l'amante", diceva la signora Rita quando lo cercavamo al telefono e lui stava scrivendo un pezzo per La Nazione). Spesso quelle che arrivavano da lui erano le notizie più succulente, più curiose, più preziose. Perchè non amava scrivere semplicemente ciò che accadeva, preferiva trovare un risvolto speciale nelle storie che si raccontavano, soprattutto darle un volto umano, un messaggio, una morale, una speranza.


Giampiero era ironico, a tratti perfino umorista come forse pochi lo hanno potuto apprezzare. Dalla battuta sottile, dall'aneddoto o la barzelletta divertente sempre in canna. E sarcastico al momento giusto, come quando, al telefono con uno di questi enti locali destinati all'ennesima rottamazione amministrativa, dopo aver atteso una mezz'ora per parlare con un addetto con la segreteria telefonica ancora a rutilare la sua inutile litania, sbottò riattaccando la cornetta e concludendo: “Fanno bene a chiudeve”.

Fuori però Giampiero era l'uomo della moderazione, dell'equilibrio. Negli anni è diventato una specie di benchmark, un'asticella, un riferimento di come ci potesse districare tra le situazioni più contorte. Spesso, anche negli ultimi anni, da direttore, se avevo un problema da superare raccontando una notizia scomoda, complicata o prendendo una posizione forte, sbilanciata anche rischiosa – e ce ne sono state, perchè non c'è lavoro più difficile del nostro, quando ti trovi a farlo nella tua città parlando dei tuoi concittadini – ebbene gli chiedevo sempre un consiglio. Sapevo che se quell'aggettivo che mi sembrava a tratti eccessivo, irriverente o inopportuno, a Giampiero non suonava storto, allora si poteva anche usare. E osare. Spesso è stato il suo buon senso, il mio orizzonte.

Ma c'erano su tutte due passioni che condividevamo, forti, irrinunciabili. La Festa dei Ceri e il Gubbiaccio.

Allo stadio non potevi confonderti: prima sedia a destra della prima tribuna stampa, che si incrocia a salire dai gradoni del San Biagio. La sua chioma bianca, con gli anni. Il berretto nelle domeniche più fredde. Una presenza immancabile, fedele, sempre cordiale, sorridente, anche quando il risultato non lo suggeriva. Composta ma sempre infinitamente appassionata. Lo ricordo sempre a fianco di alcuni suoi grandi amici, eugubini doc come il Pittino o eugubini acquisiti come Gigi Simoni, con cui amava consumare lunghe chiacchierate di ricordi e aneddoti, tanto da sembrare come fratelli. Di quel calcio antico e saggio. Che apparteneva a questi signori di altri tempi. 


Giampiero era il decano dei giornalisti sportivi eugubini, ma per tanti anni è stata una presenza immancabile allo stadio: finchè non arrivava, e spesso arrivava tardi, con qualche allenatore non si cominciava la conferenza stampa. Quanti ragazzi sono passati ascoltando qualche suo consiglio. Quante vittorie l'amico Fula ha raccontato accanto a lui in telecronaca, mescolando la sua enfasi incontenibile nei gol del Gubbio, alla compostezza garbata di Giampiero, che riusciva a tenersi morigerato nei toni e nei termini anche di fronte ad una rovesciata sotto l'incrocio al 90'.


E poi la Festa dei Ceri: che ha saputo raccontare con la sua penna e la sua voce. Da speaker a piazza Grande durante l'alzata, ruolo al quale teneva fortemente e che ha portato avanti finchè l'ultima corda vocale gliel'ha concesso. E poi nella telecronaca pomeridiana in diretta su TRG: una maratona, credetemi, difficile da immaginare per un eugubino che ha sacrificato tanti 15 maggio senza poterli vivere in mezzo alla gente, come magari avrebbe preferito, rendendosi sempre disponibile all'ingrato compito di starsene in via del Molino, dalle 5 alle 8. Orgoglioso però di fornire con la tv quel servizio ai tanti che per tanti motivi quella giornata non potevano vivere in strada. Giampiero è stato sempre generoso e credo abbia vissuto questo ruolo il 15 maggio come un dono da offrire al prossimo, in senso professionale ma anche in senso cristiano. Cercando di raccontare quella giornata unica in tutte le sue emozioni, cercando di cogliere aspetti particolari, preziosi, come la suorina, suor Diana, affacciata dalla finestra del convento di S.Antonio ad applaudire i ceri che salivano per il primo buchetto, oppure a edulcorare tutto ciò che poteva non apparire consono all'immagine della città. Le risse diventavano "piccoli parapiglia", le scazzottate nel chiostro un "momento di vivacità". E la definizione più iconica della Festa dei Ceri la dobbiamo a lui. Perchè in fondo, un po' come nella nostra vita, non si cade: si ha una "leggera incertezza". L'importante è rialzarsi e ripartire. Più forti di prima.


Dobbiamo tanto a Giampiero. Un grazie speciale. Una grande eredità. Morale. Professionale. Soprattutto umana, quella che ci lascia. Di cui andare fieri, per averlo conosciuto cosi bene e cosi a lungo, ma anche di cui essere custodi responsabili, per poterla trasmettere negli anni a venire...

Non solo alla ricerca spasmodica della notizia – che è importante – ma anche alla cura della notizia, Giampiero custodiva e accarezzava le notizie che poi divulgava sul giornale o in tv. Dando sempre loro, anche di quelle che non lo meritavano, una veste che fosse costruttiva, positiva, buona. Come lui.


Per tutti noi della “Umbria Televisioni” una perdita enorme. Il suo ultimo saluto alla cena natalizia quando, pur costipato, non volle mancare, portando i suoi auguri, i complimenti per il lavoro svolto e gli auspici di un futuro di grandi soddisfazioni. Un cammino che continuerà a poggiare sulle impronte di chi, come Giampiero, ha sempre rappresentato una bussola, un amico caro, un collega prezioso, un maestro. Per tutti coloro che hanno avuto la fortuna di conoscerlo. E, come amava dire sempre lui, “la bontà di seguirlo”.

martedì 27 agosto 2024

Il mio "Diario Bianconero": la fatal Verona rivela un Thiago Motta taumaturgo. Sarà pure presto per esaltarsi... ma che Juve!


C'era una volta la "fatal Verona", denominazione coniata a metà anni Settanta quando il Milan di Rivera con lo scudetto in tasca riuscì a farsi travolgere al Bentegodi 5-3 perdendo il primato al fotofinish. Una Verona fatale spesso anche alla Juventus, anche alle migliori Juventus, se si pensa che negli ultimi 10 anni i bianconeri avevano vinto solo 2 volte in casa scaligera, spesso rimontati - come nel 2014 con l'incornata dell'amico Juanito Gomez in piena zona Cesarini alle spalle di Gigi Buffon.


Stavolta l'impressione è che Verona sia fatale al contrario. A rivelare cioè un volto nuovo della Juventus di Thiago Motta, che diventa taumaturgo. Che in attesa di avere a disposizione i nuovi innesti e quelli che potrebbero arrivare last minute da qui al 30 agosto, si coccola i baby emergenti della Next Gen, frutti preziosi di un'intuizione voluta da Andrea Agnelli e forgiata da Federico Cherubini. Dopo Mbangula, tocca a Nicolò Savona esordire dal 1' e andare in gol (per la verità 2 volte, la prima in evidente offside), ma soprattutto tocca a ragazzi la cui inesperienza dovrebbe far coppia con timidezza e incostanza, diventare altresì indiscussi protagonisti in un meccanismo di gioco già sufficientemente rodato, seppur con margini di crescita ancora importanti. La Juve sbanca Verona 3-0, chiudendo la gara già dopo 55 minuti, e bissa risultato e autorevolezza visti nei primi 90' contro il Como. 6 punti, in due gare, 6 gol fatti e 0 subiti. Poteva andare peggio...


E' vero, sono solo 2 giornate, sono avversari non proprio temibili. Ma il "buongiorno" e il mattino che si profilano sono decisamente benauguranti. Non solo perchè proprio contro queste "piccole" la Juventus della scorsa stagione si era sciolta nella rincorsa all'Inter (Empoli, Udinese, la stessa Verona, erano state fatali a marcare il distacco coi nerazzurri tra febbraio e marzo), ma anche perchè i bianconeri non vincevano fuori casa da gennaio (Lecce), non erano primi in classifica da soli praticamente dall'ultima giornata dell'ultimo scudetto (1 agosto 2020 con Sarri in panca) e da tempo immemore non si ricordavano prestazioni così di limpida superiorità nei numeri e nel gioco.


E' vero, è ancora presto. Sono solo 2 partite e il cammino di questa stagione - con 5 obiettivi sul campo e quasi un anno intero solare da giocare - è lunghissimo. Però il piacere di pregustare quello che potrebbe essere, è forse maggiore dell'essere stesso. Come non apprezzare la solidità di una squadra che non ha subito gol (e praticamente neanche tiri in porta) in queste due partite. Come non accorgersi della metamorfosi di giocatori appannati ed incerti per intere stagioni, ed ora autorevoli e carismatici in mezzo al campo: Locatelli, su tutti, elemento ritrovato nella qualità, nella posizione, nella versatilità tra possesso e recupero palla. A tratti sembra giganteggiare, lui che fino a qualche settimana fa veniva fischiato pure nelle amichevoli in famiglia (da un gruppo minoritario di fessi, è bene dirlo). Ottima notizia anche per Spalletti che tra due settimane già si gioca la Nation League.


I giovani quasi non fanno più notizia. Mbangula sarà difficile toglierlo dall'undici di partenza una volta che i vari Gonzales, Conceicao  e chissà se pure Sancho vestiranno bianconero. Anche al Bentegodi, assist e rigore procurato, con un continuo movimento a tutta fascia. Cosa vuoi di più da un giovanotto la cui prospettiva quest'anno era quella di giocare a Messina e Monopoli? E poi Savona, l'altra scoperta tra i giovani, bella falcata, granitico nel difendere, poderoso nell'offendere e falicemente incosciente in zona gol. Chiellineggia, verrebbe da dire. Al loro cospetto i Fagioli o i Cambiaso, che restano giovani, sembrano quasi veterani. La morale è che per la seconda gara di fila l'acquisto più costoso Douglas Luiz resta ancora seduto, il capitano Danilo riacquisisce la fascia solo all'80' per rilevare il nuovo capitano Fede Gatti (anche lui trasformato nell'esuberanza contenuta). E davanti Dusan finalmente fa pace con il gol e ne mette 2 (e mezzo) rifacendosi della jella e del Var dei primi 90' e risbloccandosi anche dagli 11 metri.


Ultimo dato, statistico ma non solo: è la Juventus più giovane di sempre, 23,6 anni l'età media. La taumaturgia tattico-psicologica di Thiago Motta si vede anche in questi dettagli. Non si guarda in faccia nè al pedigree nè alla carta d'identità. Chi merita gioca. E se i risultati sono questi, c'è poco da disquisire...

lunedì 19 agosto 2024

Il mio "Diario Bianconero" - Juve-Como 3-0. Buona la prima, tante luci e qualche ombra fuori dal campo...

Un altro 3-0. Ma forse con qualche spunto diverso dagli altri. Già, perchè per il terzo anno di fila la Juventus apre le "danze" in campionato con una vittoria sonante. 3-0 al Sassuolo due stagioni fa (con cameo finale di Di Maria), 3-0 ad Udine la scorsa stagione (con un ritmo champagne che ben presto avrebbe lasciato spazio all'irritante giro palla difensivo) e 3-0 stavolta al neopromosso Como. Che di tiri in porta praticamente non ne ha fatti e di gol ne avrebbe potuti prendere almeno altri due (finiti sul palo), oltre a quello annullato chirurgicamente per un fuorigioco talmente anticipato che il giocatore in off side nel frattempo poteva tranquillamente finire sul mercato. Per fortuna stavolta non è stato decisivo. Ma di queste "perle" da Var ricordiamoci quando episodi simili, con squadre diverse, avranno trattamento diverso. 

Comun denominatore dei pali e del gol annullato, l'autore dei tiri in porta. Quel Dusan Vlahovic tra i più attesi in stagione: primo perchè su di lui anche Thiago Motta poggia l'attacco bianconero, secondo perchè i 12 milioni netti di stipendio alzano sensibilmente l'asticella delle aspettative, terzo perchè le ambizioni di vittoria di questa Juventus (che non può fare anno di transizione giocando su 5 fronti) non può prescindere dal suo attaccante di riferimento. Lui sa bene che sarà questione di numeri, ma non solo, la valutazione di questa stagione. E anche se alla prima uscita è rimasto a secco, il lato buono della storia è essersi trovato molte volte in posizione da gol. Che come dicono i bravi allenatori, è la cosa più importante: fatto questo, la palla prima o poi, va in buca.

Note positive: esordio a sorpresa e gol per Mbangula, sconosciuto ai più fino all'annuncio dello speaker e invece estratto dal cilindro da un Thiago Motta che seppur con organico ridotto, dimostra di avere coraggio da vendere, dando fiducia all'ennesimo baby partorito dalla Next Gen (oggi più che mai grazie ad Andrea Agnelli e Federico Cherubini). A sedere l'acquisto più costoso, Douglas Luiz, per piazzare un inedito Yldiz a fare da "10 vecchia maniera". Un brillante Weah e il carneade belga sulle fasce e un Locatelli bello stile in mezzo al campo con Thuram fisicamente debordante. Il Como ha capito presto che sarebbe stata serataccia e Pepe Reina ha rivisto le streghe di quando da queste parti capitava in maglia Napoli e veniva tambureggiato da Pirlo e Pogba. Altri tempi. Per noi. Per lui invece nulla di nuovo.

Tre le note liete anche la fascia di capitano a Federico Gatti. Con esclusione un po' a sorpresa di Danilo dagli 11 di partenza. Per l'ex Frosinone, un altro scalino da sogno nell'ascesa poderosa di questi ultimi 5 anni, dalla Promozione regionale alla fascia della Juve allo Stadium. E c'è chi ancora lo contesta...

A proposito di promozione sul campo: la 10 a Yldiz poteva pesare. Invece il turco ha sciorinato una prova sontuosa non solo per tecnica ma anche per personalità, capacità di coprire il campo e in qualche modo di prendere per mano la squadra. E' ancora una partita ma il buongiorno, nel suo caso, forse si vede perfino dall'alba.

Ultime note, quelle un po' stonate. Tanto entusiasmo ma anche qualche proclama di troppo nel post partita. Calma - direbbe un tizio di cui non si è sentita, almeno oggi, la mancanza. La strada è lunghissima. E finora la Juve ha fatto nè più nè meno quel che aveva fatto negli ultimi 3 campionati. L'altra nota stonata viene dal mercato. Non per quel che sarà ma per quello che non è stato: Koopmeiners arriverà e forse con lui anche Nico Gonzales. Bei colpi (specie il primo) ma in quali tempi, e soprattutto a quale prezzo? Chiudere queste operazioni con un paio di settimane di anticipo sarebbe stato fondamentale in termini di amalgama e condizioni fisica. L'impressione è che la Juve debba fare mercato sempre più all'estero, senza rischiare di farsi paralizzare dalle sabbie mobili degli umori di presidenti o dirigenti vanagloriosi - per dirla con Dante. Che vendono i pezzi pregiati ma fanno vedere alla propria piazza di "tenere per il collo" l'odiata Juve: facendole pagare caro lo scalpo desiderato. Ai tempi di Lucianone, sarebbe accaduto il contrario...

Ultima ombra fuori dal campo, ancora lei: la famigerata VAR. Annullare il gol di Vlahovic per un soffio di vento millimetrico di 5 minuti prima (12 passaggi per l'esattezza) è esercizio tassonomico e nozionistico di quel macchinario che invece dovrebbe servire per evitare le topiche colossali (come ha rischiato l'arbitro in Milan-Torino). Con Marcenaro è destino che la VAR debba sempre sorprenderci (in peggio). Era lui l'arbitro di Juve-Salernitana con il fantomatico gol annullato a Milik al 95' per l'unico fuorigioco della storia del calcio, rilevato con un difendente sulla bandierina (Candreva) a tenere in gioco tutti. In quel caso tanta solerzia non solo fu applicata. Ma addirittura ribaltata. 


sabato 17 agosto 2024

Quel giorno di 10 anni fa... a casa di Piero Angela


A due anni dalla sua scomparsa mi piace rispolverare un post di Facebook che lo stesso algoritmo di Zuckemberg mi ha fortunatamente propinato tra i ricordi di giornata. Ho voluto cristallizzarlo qui, accanto ai flash un po' sbiaditi e controluce di quella mattinata inedita e sorprendente.

A casa di Piero Angela...

Conservo un ricordo solare e profondo di una mattinata unica trascorsa in un appartamento di via Cortina d'Ampezzo a Roma (zona Camilluccia).

Era il febbraio 2014 e lo avevo già avuto ospite negli studi di TRG poco meno di 4 anni prima per la Mostra evento sui Dinosauri di cui era coordinatore.
Stavolta però era diverso. Ero riuscito a concordare con Catia Monacelli, direttore del Polo Museale di Gualdo Tadino, un'intervista a casa sua.
A casa di Piero Angela.



Era testimonial da anni del concorso "Memorie migranti" organizzato dal Museo regionale dell'Emigrazione "Pietro Conti" di cui per alcuni anni ho curato la presentazione.
E francamente finché non siamo arrivati stentavo a crederlo...
Di quella amabile chiacchierata potrei raccontare ogni passaggio, ogni riflessione, ogni approfondimento, mai scontato, sempre stimolante. Saremo stati 1 ora forse 2. Il tempo è volato.
Ma non è solo e tanto l'infinito bagaglio culturale che colpiva di questo straordinario personaggio.
A tu per tu, l'aspetto più sorprendente era la semplicità, il garbo e l'affabile cortesia con cui si poneva prima all'ascolto e poi alla disponibilità su qualsiasi argomento. Illustrando alcuni ambienti della sua abitazione quasi si scuso' rivelando una sorprendente indole a suo dire "disordinata" (almeno dentro le mura domestiche), accennando a qualche aneddoto sugli innumerevoli souvenir che le pareti mostravano, provenienti da ogni angolo del pianeta.
Parlammo di emigrazione, di giovani, di fuga di cervelli come anche di meritocrazia, di politica, di musica e ovviamente di viaggi. La scienza, la storia o la tecnologia erano rimaste sullo sfondo, quasi non fossero il "pane quotidiano" di questo gigante del giornalismo, della tv e della divulgazione.



Quando ce ne andammo insieme a Catia Monacelli e Sandro Cusarelli (che curo' le riprese) si ebbe quasi la sensazione di salutare uno zio, un parente o un vicino di casa. Tanta era stata la confidenza e la complicità con cui si era dialogato.
E magari si sperava all'indomani che ci si sarebbe rivisti dal giornalaio, a fare la spesa o semplicemente a metter fuori dall'uscio la differenziata...
Fu un'emozione indelebile e soprattutto un autentico privilegio...

mercoledì 14 agosto 2024

Il mio "Diario Olimpico" - L'ipocrisia del "buonismo": se stai con Sinner, stai anche con la Di Francisca...

Le jeux sont fait. Le Olimpiadi sono alle spalle e l'eco di tante imprese sportive, oltre che di un medagliere record (40 presenze sul podio, come a Tokyo ma con 2 ori in più), resterà acceso ancora per poche ore.

L'altra faccia del medagliere azzurro è tutta mediatica: perchè gli sportivi che hanno irradiato di entusiasmo e interesse questi 20 giorni e poco più, sono nella stragrande maggioranza destinati a tornare nell'oblìo dell'etere. Loro malgrado. E' l'antica legge degli sport extracalcistici: non appena si avvicina l'inizio delle gare ufficiali sui rettangoli verdi, si spengono fatalmente i riflettori su taraflex, piscine, tatami e campi di gara di varie tipologie, taglie e dimensioni. Perchè? si domandano i più ingenui. Perchè in Italia - e non solo - il calcio fagocita milioni di tifosi, mangia e produce milioni di euro, sostiene indirettamente altre discipline (in era Totocalcio, praticamente tutto lo scibile sportivo) e un'ora e mezzo di una partita mediocre continua ad avere più telespettatori di una finale olimpica di scherma. Lo so che non è giusto, e lo condivido. Ma purtroppo è così. E la dura legge dell'audience e dei diritti sportivi tv non fa prigionieri.


La novità di questa edizione record, piuttosto, sta nel numero esorbitante di piazzamenti messi in fila dalle maglie azzurre, in particolare i famosi "quarti posti", plasticamente rappresentati da quella che viene chiamata "medaglia di legno". Ben 25 quarti posti - con l'Italia nettamente in testa in questo medagliere di consolazione - a cui aggiungerne altri 34 tra quinti (18) e sesti posti (16). Intendiamoci, non sono tutte "medaglie" della delusione, perchè c'è disciplina e disciplina - come dicevo in altro post di qualche giorno fa. 

Anzi, questo speciale medagliere (con la Cina addirittura decima) è emblematico di come l'Italia sia ormai saldamente un Paese leader in numerose discipline, anche poco popolari, perfino poco strutturate (nel senso della presenza di impianti sportivi idonei a far crescere il movimento). Un quarto posto dell'Italvolley maschile è la conferma della leadership mondiale - per dirla alla Velasco - e non va drammatizzato, ma certamente parla di una disciplina che gode di un volume di atleti, di impianti e attenzione mediatica, lontana anni luce da judo, vela o tuffi. I cui quarti posti vanno salutati come un elemento di crescita importante.


Poi ci sono le storie personali: il quinto posto di Jacobs è un riscatto, nel tempo fatto segnare e nel ritorno alla grandezza che fu; il quarto posto della 4x100 (sempre con Jacobs, ma senza Usa e Giamaica per loro demeriti) fa masticare amaro per l'occasione persa. Il quarto posto nel fioretto femminile è deludente (8 anni fa quel podio parlava solo italiano con tre nelle prime tre), il quarto posto della Battocletti sui 5000 è stato straordinario (per qualche minuto si era trasformato in bronzo, poi rinnegato). Ma almeno lei ci ha poi sorpresi con una delle medaglie più emozionanti sui 10.000. Meno sorridente abbiamo visto Simona Quadarella quarta negli 800 e nei 1.500 stile libero. E che dire di Dell'Aquila che nel taekwondo non ha potuto neppure giocarselo il bronzo, per infortunio?


C'è un quarto posto che ha fatto discutere più di tutti: quello di Benedetta Pilato, giovanissima nuotatrice, finita a 1 centesimo dal podio e dichiaratasi entusiasta di quel risultato (a 19 anni). Salvo essere poi bacchettata in diretta dalla medaglia d'oro di scherma Elisa Di Francisca che, nelle vesti di commentatrice Rai, si è detta perplessa di questa euforia. Il dilemma non è da poco. E investe un aspetto sportivo e uno psicologico: quello sportivo riguarda le discipline nelle quali va inquadrato un risultato (come detto sopra). La Di Francesca proviene da un mondo che per tradizione vede l'Italia da decenni al top. E infatti il quarto posto della Volpi nel fioretto donne non va annoverato in un grande risultato. Poi c'è il fattore mentalità. Accontentarsi per un vincente, non è un traguardo di transizione: se poi quel quarto posto dovrebbe invece proiettarti a risultati maggiori. E la ridda di polemiche scatenatasi intorno alla Di Francisca ha denotato anche un pizzico di ipocrisia da "buonismo" da parte di molti suoi detrattori. Vero è che se la Pilato è felice per quel quarto posto a 19 anni alla sua prima Olimpiade è giusto che lo gridi al mondo intero, lacrime comprese. Ma non è detto che questa sana e spontanea emozione non nasconda un latente appagamento anziché uno stimolo negli anni a venire a migliorarsi.


Lo dico perchè pochi mesi fa molti degli stessi detrattori della Di Francisca, si esaltavano di fronte le gesta di Jannik Sinner - che ha "solo" 4 anni più della Pilato, e la cui mentalità teutonicamente proiettata al vertice assoluto, è uno dei segreti del suo successo. "Se perdo il giorno dopo mi alleno. Se vinco il giorno dopo mi alleno". Non si diventa n1 per caso. Sinner non si è mai commosso di fronte ad un quarto posto, se non è certo di poter competere per il vertice preferisce aspettare (vedi Olimpiadi, con qualche critica non immotivata), ma la sua perseveranza verso l'obiettivo ne fa un fuoriclasse non solo tecnico. La Pilato è giusto che non sia come Sinner. Ma vivaddio, non innalziamola a modello per i giovani - ho sentito anche questo - perchè è libera di sentirsi gratificata. Le sue lacrime sono comprensibili. Ma la mentalità vincente è di chi poi, asciugate quelle lacrime, dica subito: "Da domani lavorerò per abbassare quel centesimo in vista dei prossimi impegni". Che poi ci riesca è altra faccenda. Ma che non lo pensi, sarebbe già una sconfitta.


lunedì 12 agosto 2024

Il mio "Diario Olimpico" - Tre medaglie e un pizzico di Umbria anche in altri trionfi...

Dal TG Sport di Umbria TV

C'è anche l'Umbria tra le terre foriere di successi sportivi in questa edizione delle Olimpiadi. Non con città speciali come la bresciana Roncadelle, appena 9.000 abitanti (come la nostra Deruta) e ben 3 medagliati con l'oro. Ma la nostra regione comunque se la cava. E lo fa, forte di un oro nel tiro a volo, con la pievese Diana Bacosi, in una disciplina che ha l'Umbria tra le sue terre elette, sia per gli impianti importanti che per la massima rappresentazione istituzionale internazionale, Luciano Rossi. 

C'è l'argento di Alessio Foconi, con la squadra di fioretto, battuta solo in finale dagli USA con il ternano sfortunato protagonista chiamato a gara in corso sulla pedana ma storico artefice di molteplici successi della scherma azzurra. E c'è il bronzo di Agnese Duranti, eccelsa tra le farfalle azzurre, terze nella competizione a squadra della Ginnastica ritmica, confermando il bronzo di Tokyo, con una performance da applausi e il valore aggiunto della prima medaglia nell'individuale grazie alla fabrianese, e dunque per pochi chilometri mancata umbra, Sofia Raffaeli. 

Ma c'è l'Umbria anche in altri allori olimpici, pensando ad esempio all’Italvolley femminile di Julio Velasco e allo sgtorico oro conquistato ai danni degli Stati Uniti. Nello staff tecnico di Velasco in questa trionfale spedizione azzurra hanno un ruolo importante Massimo Barbolini, per dieci anni allenatore della Sirio Perugia con cui ha trionfato in Italia e in Europa e che ora vive nella nostra regione, e Lorenzo Bernardi ex tecnico della SIR con cui aveva vinto lo scudetto nel 2018. Anche due azzurre sono però legate all’Umbria, Miriam Sylla è fidanzata con il giocatore di pallacanestro spoletino Alessandro Cappelletti, mentre il fidanzato della stella Paola Egonu è l’ex pallavolista Leonardo Puliti di Montecastrilli.


Meno fortunate a livello di risultati le presenze della pugile campana, ma umbra di adozione, Irma Testa, uscita subito al primo turno nella boxe dopo la storica medaglia conquistata a Tokyo. Sfortunata e fuori dal podio anche l'avventura degli spadisti a squadre, nonostante la buona prova del folignate Andrea Santarelli. E quarto posto con la beffarda medaglia di legno per l'altro omonimo folignate Daniele Santarelli che con la sua Turchia è stato battuto in semifinale dall'Italia e ha ceduto anche nella finalina del terzo posto col Brasile. Per lui la consolazione di avere comunque l'oro in casa, grazie alla consorte, la straordinaria libero azzurra, Monica De Gennaro.


Il mio "Diario Olimpico": il capolavoro dell'Italvolley femminile con firma d'autore: Julio Velasco

"Più bella cosa non c'è": mi ha colpito ascoltare un passaggio del celebre brano di Eros Ramazzotti durante un time out di quelli conclusivi, di Italia-Usa, finale di volley femminile alle Olimpiadi di Parigi. Il deejay deve averla caricata apposta sulla time line, immaginando che la Nazionale di Velasco avrebbe dato spettacolo. E la vittoria - quella medaglia d'Oro mai conquistata dalla pallavolo azzurra ad una rassegna a Cinque Cerchi - sarebbe arrivata di lì a poco.


Più bella cosa non c'è. Proprio così. Il capolavoro della Nazionale Italiana femminile si è compiuto con l'ennesimo 3-0 di questa Olimpiade. Un solo set perso, nella gara inaugurale contro la Repubblica Dominicana e poi un percorso netto, con "scalpi" pregevoli come la Serbia ai quarti - forse la gara più dura e complicata (anche perchè psicologicamente gravata dal ricordo di sconfitte storiche - la Turchia sconfitta due volte, la seconda delle quali in semifinale, e gli Usa del mostro sacro Kiraly - che da giocatore aveva bastonato gli Azzurri di Velasco a Barcellona '92.

L'Italia di Velasco è stata la massima espressione pallavolistica femminile che si ricordi: con un sestetto di partenza capace di integrarsi in corsa con il doppio cambio (alzatrice, opposta) vera mossa vincente sul piano tattico, di cui nessuno di fatto si accorgeva se non dalle inquadrature esultanti di Antropova o Cambi (nomen omen) anzichè Egonu e Orro. Prestazione straordinaria del collettivo, ingigantita dalle performance singole di giocatrici sontuose, come la stessa Egonu, come Miriam Sylla o come il libero onnipresente, Monica De Gennaro, 37 anni (gli stessi di Djiokovic e di Sara Errani) di cui non avvertiresti l'ombra vedendola balzare da un angolo all'altro del talaflex. Moglie tuttofare - se non sembrasse definizione "sessista" - considerando che il consorte, il folignate coach della Turchia, Daniele Santarelli, le si è inchinato due volte ed è tornato all'ombra del Torrino senza alcun trofeo.


Ma il vero capolavoro di questa squadra - che ci ha regalato una giornata conclusiva delle Olimpiadi esaltante come lo era stata nel 2004 la maratona dorata di Baldini nella Patria olimpica per eccellenza - è proprio l'essere diventata Squadra. Nel breve volgere di 4 mesi. E l'artefice di questa impresa ha un nome e un cognome: Julio Velasco. Un uomo dal carisma sconfinato, dalla saggezza tangibile, dalle conoscenze sportive ma anche psicologiche non comuni. Capace di affiancarsi due tecnici che da soli avrebbero potuto ambire a quella panchina - i pluridecorati Barbolini e Bernardi - e di instillare nelle ragazze una tranquillità, una sicurezza, una determinazione che mai hanno sfiorato i confini della presunzione o della sicumera ( atteggiamenti che spesso in passato sono costati cari alle magliette azzurre del volley). E' sembrato che Velasco pregustasse questa impresa già dalle parole dei giorni precedenti: "Non pensiamo a quello che non abbiamo, basta con questo piagnisteo tutto italiano. Pensiamo alle tante cose che abbiamo, al fatto che siamo tra i migliori al mondo sia nel maschile che nel femminile". Vincere poi può dipendere da due palloni. Come ad Atlanta (con l'Olanda che nega alla generazione di fenomeni l'Oro olimpico, unico trofeo mancante, con un beffardo 17/15 al tie break).


Con l'azzurro addosso (lui che italiano non è ma di fatto lo è diventato) gli mancava solo l'Oro Olimpico. Vederlo esultare come un ragazzino abbracciando Lorenzo Bernardi (mister Secolo) 28 anni dopo Atlanta, è stato emozionante. Lo sport sa regalare sensazioni uniche. La pallavolo e una squadra di ragazze fantastiche ci regalano un ORO mai avuto in questa disciplina. Guidate da un monumento vivente del volley e autentico mago della mente.

Hic et Nunc (qui e adesso) il suo mantra. A scuola, se avete un'ora "buca", fate studiare Julio Velasco...

domenica 11 agosto 2024

Il mio "Diario Olimpico": dal melodramma Tamberi al bis in pista per la famiglia Consonni. E Tokyo è superata...


Dovevamo capirlo il giorno di apertura dei Giochi Olimpici: quell'anello caduto inavvertitamente nella Senna - lo avevamo temuto - sapeva di cattivo presagio. E lo è stato in effetti, soprattutto per il suo possessore. Perchè è vero che ci sono cose peggiori nella vita, ma preparare per 3 anni le ultime Olimpiadi, vincere l'Europeo due mesi prima con il primato stagionale mondiale (2,37, rimasto intatto) e prendersi una colica renale quando mancano poche ore all'appuntamento non è solo sfortuna. E' un fato che si diverte, cinico e baro, ad infierire con lo spillo sul fantoccio raffugurante l'istrionico saltatore di Pesaro. Gianmarco Gimbo Tamberi non ce l'ha fatta, eppure secondo me ha vinto pure stavolta. Perchè è vero che si è fermato quasi subito a 2,22, trovando nella misura successiva (2,27) un muro invalicabile; è vero che è scoppiato in lacrime come un bambino a cui è arrivato il regalo di Natale sbagliato; è vero che a 32 anni è doppiamente amaro dover rinunciare a giocarsi il sogno del bis olimpionico fino in fondo. Ma è altrettanto vero che non tutti si sarebbero presentati in pedana, dopo aver trascorso anche la mattinata in ospedale, per la recrudescenza di calcoli che, in barba al loro nome, hanno programmato davvero male la propria apparizione sintomatica. 


Può piacere o non piacere, il personaggio Tamberi, con il suo fare eccentrico - anche quando si tratta di raccontare i propri "guai" via social. Ma fa parte del pacchetto Gimbo, "prendere o lasciare". Nel suo caso, la guasconeria, con tutti gli eccessi mediatici connessi, vada vista come una parte della prestazione: accumulare attenzione per incamerare energia. In passato tutto questo gli è valso 4-5 cm a salto. Non sarebbe arrivato dove è arrivato senza essere Gimbo. E doveva esserlo così anche ieri, nella giornata sportivamente più drammatica ma anche emblematica, della sua carriera: perchè anche il solo esserci è stata una vittoria; perchè ad ogni salto ogni telespettatore ha probabilmente seguito in piedi quella performance e accompagnato l'atleta azzurro al salto, quasi spingendolo; e poi perchè la prestazione sontuosa di Stefano Sottile - uno dei quarti posti più esaltanti di tutto il medagliere di legno azzurro - sa molto di "passaggio di consegne".

Gimbo è questo, un melodramma sportivo inimitabile: prendere o lasciare, per dirla con Franco Bragagna - iconica voce dell'Atletica in Rai. Per altri atleti, avremmo mollato senza pensarci. Nel suo caso, e solo nel suo, "prendiamo" tutta la vita...


C'è una storia familiare che si staglia in questo scorcio finale nel medagliere azzurro: arriva dalla pista di ciclismo, e porta in dote un oro e un argento. La specialità è la Madison, o americana, una sofisticata corsa di 50 km in pista fatta di cambi vorticosi tra due ciclisti dello stesso Paese, che si stringono ciclicamente per mano e si lanciano all'assalto di sprint periodici, con punteggi da accumulare. La famiglia è quella di Simone e Chiara Consonni, da Ponte S.Pietro, piccola frazione del Bergamasco, capace di dare i natali a due fuoriclasse della bici. Simone, 30 anni e 7 medaglie vinte su pista, aveva già vinto l'oro nell'Inseguimento a squadre di Tokyo, trascinato dal fenomeno Ganna. E faceva parte del quartetto medaglia di bronzo pochi giorni fa. Chiara, 5 anni più giovane, ha seguito le orme del fratello, vincendo mondiale e medaglie nell'inseguimento a squadre tra 22 e 24, una tappa del Giro e uno dei tanti quarti posti a Parigi nell'inseguimento. Lei in coppia con Vittoria Guazzini, lui in tandem con un fuoriclasse della pista come Elia Viviani. Il loro merito è non solo aver vinto, ma soprattutto aver fatto appassionare migliaia di persone (speriamo anche tanti giovani) che ignoravano le specialità su pista, a questo strano bailamme agonistico giocato sul filo dei secondi, lungo oltre 100 giri, tra sorpassi, sprint improvvisi, cadute sfiorate o capitate (fatale quella dei maschietti, subito recuperata) e raccontate con passione e competenza in radiocronaca dal collega gualdese Manuel Codignoni.


Tokyo è superata. Quando deve ancora disputarsi l'ultima giornata di gare - con l'attesissima finale di volley femminile Italia-Usa e qualche altra possibile sorpresa (specie da quel Pentathlon tornato a tingersi di azzurro grazie al bronzo last minute di Malan) - la quota raggiunta nell'ultima fortunata edizione del 2021 - da dimenticare solo per gli spalti vuoti e le mascherine obbligatorie nelle premiazioni - è stata bissata ma con un oro in più. Ci sarà tempo per fare bilanci. Un dato su tutti: non solo l'Italia si regala il medagliere più ricco di sempre, ma con un "primato" di quarti posti (25) e di piazzamenti che, al di là del rammarico statistico, rappresentano il consolidamento di eccellenze in tante discipline sportive. Poi la palla può girare bene o male, il centesimo può premiare o far imprecare. Ma l'Italia è lì, con il secondo gruppo di migliori. Si può migliorare ma è giusto anche guardare "a quello che abbiamo e non sempre, a quella che ci manca", per dirla con Julio Velasco. E abbiamo davvero tanto...


sabato 10 agosto 2024

Il mio "Diario Olimpico": c'è anche la spoletina Duranti nel bronzo delle splendide Farfalle. Con un piccolo rimorso ma una conferma esaltante...

Una conferma sul podio, una conferma nella medaglia, qualche piccola recriminazione ma la gioia incontenibile di essere ancora sul podio olimpico. E’ un sabato di festa per Agnese Duranti e la sua Spoleto, con tutta l’Umbria sportiva: porta anche la sua firma la medaglia numero 37 dell’Italia alle Olimpiadi di Parigi, con la Nazionale di Ginnastica ritmica, meglio nota come la squadra delle Farfalle, che nella finale a squadre ha conquistato il terzo posto. 

Alessia Maurelli, Martina Centofanti, Daniela Mogurean e Laura Paris, le compagne di squadra della 23enne spoletina, che hanno chiuso al terzo posto dopo aver accarezzato la medaglia d’argento, beffate sul finale da Israele, autore di una grande rimonta. Oro, il primo nella ritmica a squadre, alla Cina. 

Decisivo per le Farfalle un errore al primo esercizio, ai cinque cerchi, salutato con una ovazione del pubblico, ma pagato meno del previsto per la perdita di un cerchio: terzo posto dietro a Cina e Ucraina . Non è bastato neanche il ricorso della direttrice tecnica Emanuela Maccarani per rivedere l’esecuzione e il punteggio, a cui non sarebbe stata riconosciuta una delle difficoltà definita “di corpo”. Nel secondo esercizio, due palle e tre nastri dopo le prove condite da errori, di Ucraina e Bulgaria, campionessa olimpica è toccato alle Farfalle che sulle note di Morricone hanno dato vita ad una prestazione straordinaria, fatta di fascino, leggiadria, tra nastri e palle rosse. Ottengono il punteggio di 32, il totale è di 68.100, dietro alla sola Cina. Sembra fatta per uno storico argento, ma ci mette lo zampino Israele che ottiene un punteggio maggiore e conquista la seconda piazza. Per le Farfalle e la Duranti è comunque podio, la conferma del bronzo da Tokyo 2021 e festa grande  a San Brizio di Spoleto dove la Pro loco aveva organizzato un appuntamento aperto a tutti gli amici di Agnese Duranti e agli appassionati per accompagnare l’atleta nella finalissima. Per Agnese Duranti, cresciuta sportivamente a Spoleto nelle fila della Polisportiva La Fenice, una vera consacrazione con la seconda medaglia olimpica ad appena 23 anni.


Per la Ginnastica Ritmica una splendida conferma di squadra nell'anno in cui sboccia il talento sontuoso individuale della fabrianese Sofia Raffaeli, candidata a raccogliere l'eredità olimpica di Simone Biles. Il tempo è con lei. E pure le nostre piccole grande speranze, proiettate a Los Angeles 2028...


Il mio "Diario Olimpico": il Settebello e la sua "medaglia" dell'orgoglio, con buona pace dell'imbarazzante CONI

Nella giornata dei record di medaglie (6 in tutto, con un crescendo prepotente e inaspettato), mi piace prima di tutto onorare un gesto "ribelle" ma altamente significativo, destinato a scolpire un altro tatuaggio simbolo di questa edizione Olimpica. La plateale, clamorosa e indiscutibile protesta del Settebello, la Nazionale azzurra di pallanuoto, costretto a scendere in vasca nell'inutile semifinale per il quinto posto.

Nessuno se lo aspettava. Ma in fondo qualcuno sperava "succedesse qualcosa". Perchè qui non si tratta di vittimismi, piagnistei e poca cultura sportiva - quella chimica micidiale che spesso infarcisce commenti, deliri social e perfino editoriali teoricamente qualificati, nel nostro giornalismo sportivo (soprattutto calcistico). Quanto accaduto alla Defence Arena nella gara dei quarti di finale Italia-Ungheria è un vulnus difficilmente spiegabile e superabile con una spruzzata di "spirito olimpico" o un'operazione maquillage umorale - passano due giorni e ci si scorda di tutto - come forse avrebbe auspicato il n.1 del Coni italiano. L'obbrobbrio arbitrale perpetrato ai danni della squadra azzurra - un gol invertito con l'annullamento, l'espulsione dell'autore dello stesso e il rigore per gli avversari - con tanto di revisione Var, ricorda da vicino la tragicomica conduzione dei direttori di gara del fioretto maschile piuttosto che l'arbitraggio dei match di judo femminile. Comun denominatore l'assurdità delle decisioni (si può sbagliare, ma il Var esiste proprio per evitare gli abomini) e i destinatari di queste clamorose topiche. C'è chi lo accetta (come il buon Filippo Macchi, defraudato di un oro già conquistato - che però doveva ancora giocarsi una medaglia a squadre ed evidentemente ha preferito tenere toni bassi) e c'è chi non ci sta, se non altro a passare da fesso.

Non lo ha fatto il  CT Campagna , con dichiarazioni inequivocabili, non lo ha fatto lo stesso Condemi (l'azzurro direttamente penalizzato, punito per aver involontariamente colpito un avversario con la sbracciata con cui aveva tirato in porta segnando il gol dell'ipotetico 3-3), non lo ha fatto la Federazione, che ha inoltrato ricorsi al CIO e anche al TAS (una sorta di Cassazione dello sport mondiale), senza molte speranze (visti anche i precedenti e il precedente che sarebbe potuto scaturire) ma almeno con la schiena dritta.

E se c'è una nota ancor più stonata in questa triste storia sportiva sono le parole del Presidente del CONI, Giovanni Malagò , ancora una volta algido nel rappresentare, difendere e tutelare lo sport azzurro - almeno quanto onnipresente  ogniqualvolta si trattava di festeggiare un medagliato e farsi un selfie celebrativo ai piedi del podio. L'ex presidente del Circolo Aniene di Roma ha visto bene di "cicchettare" la Pallanuoto azzurra per aver voltato le spalle alla giuria e agli arbitri durante l'inno dell'inutile semifinale di consolazione, per aver chiesto time out dopo 30 secondi e fatto uscire dalla vasca lo stesso Condemi (graziato dalla squalifica, toppa peggiore del buco) per giocare volutamente con un uomo in meno. 

"Non ci facciamo prendere in giro da questo sistema " ha voluto dire la Pallanuoto azzurra. E tra vari silenzi imbarazzati di Malagò durante questa edizione olimpica - irradiata da tante medaglie ma anche da troppe contestazioni arbitrali per i torti subiti dagli azzurri - nell'unica volta in cui forse tacere sarebbe stato opportuno, se ne è uscito con una frase che da sola offre la cifra della pochezza di questa triste storia sportivavicenda deleteria: " Protesta non condivisibile e coerente con lo spirito olimpico ". Uscita da gnomi.

Al rientro in Italia non guasterebbe un riconoscimento (non consolatorio) a Ciccio Condemi, il pallanotista azzurro penalizzato da questa gaffe senza precedenti e capace di reagire con parole di attaccamento alla Nazionale e alla bandiera, non comuni. Magari dallo stesso Mattarella - che certo premierà i tanti medagliati.  Difficilmente accadrà. Sebbene appaia come gigantesca e inoppugnabile la replica del CT Sandro Campagna: "Abbiamo lasciato un messaggio nell'interesse costruttivo per pulire e migliorare il nostro sport. E' capitato all'Italia ma poteva capitare a chiunque. Gli errori ci stanno, anche arbitrali, ma quanto accaduto mercoledì sera va oltre ogni limite". 

Senza dubbio la medaglia dell'orgoglio e della dignità - con buona pace di Malagò - va proprio a loro.

venerdì 9 agosto 2024

Il mio "Diario Olimpico": Le medaglie fioccano in acqua, il sogno sotto rete e quella favola che arriva da Fabriano...

Gli ultimi giorni di Olimpiade riservano di solito le sorprese più belle. E anche inattese. Non lo è il fatto che l'Italia sappia farsi rispettare quando si compete sul bagnato. Acque ricche di medaglie quelle di un giovedì parigino dove l'oro, l'argento e il bronzo portano il medagliere azzurro totale a quota 30 ma gli ori allo stesso livello di Tokyo (doppia cifra come solo 9 volte è accaduto dal 1896 ad oggi).

La più scontata è quella più preziosa, non solo perchè l'accoppiata Tita-Banti (che detti così sembrerebbero una coppia di guardialinee) era tra i favoriti della specialità (Nacra 17 misto, per capirci il catamarano con un uomo e una donna) ma anche perchè da giorni si aspettava l'ultima regata dove il tandem già d'oro 3 anni fa, arrivava con un margine di sicurezza tale che per perdere l'oro si sarebbe dovuto inabissare. Vincere non è facile ma confermarsi è sempre difficilissimo, in ogni disciplina: e allora tanto di cappello a Caterina Banti e Ruggero Tita il cui merito è quello di aver portato al successo e alla popolarità un'imbarcazione che altrimenti conosceremmo solo per le imprese omeriche di Vittorio Malingri sull'Oceano.

La più sorprendente è l'argento di un'altra coppia, stavolta di soli maschi, l'esperto Tacchini e il giovane Casadei che strappano sul filo del rasoio un impronosticabile argento nei 500 metri della canoa canadese (dove il podio mancava "solo" dalle Olimpiadi di Roma). Inarrivabile la coppia cinese, i due azzurri sono stati artefici di una rimonta così entusiasmante da meritare la telecronaca di Giampiero Galeazzi, conclusa al fotofinish come potrebbe accadere solo sui 100 metri d'atletica.

La più appagante è il bronzo di Ginevra Taddeucci, sulle acque della contestatissima Senna nella prova dei 10 km femminili: lei, fiorentina, l'ha buttata sull'ironico confessando di aspettarsi da un momento all'altro i brontolii intestinali (già toccati agli atleti del triathlon) ma l'impresa è di quelle memorabili. Testimoniata dalle immagini delle braccia graffiate dalla vegetazione del fiume e dai bordi in pietra, ai quali gli atleti si sono dovuti accostare - stronfinando le braccia per centinaia di metri - con l'unico obiettivo di evitare la corrente centrale del fiume. Impresa da medaglia, impresa uscirne indenne anche sul piano gastrointestinale.

Gli ultimi giorni della rassegna parigina sono anche quelli delle finali delle competizioni a squadre. In molte di queste non eravamo neanche ai blocchi di partenza (clamorosa l'assenza del calcio ormai da 20 anni). Nella pallanuoto un assurdo VAR ha tarpato le ali al Settebello (tanto da indurre la Federazione ad un ricorso addirittura al TAS, praticamente la Cassazione dello sport). Rimane la pallavolo che si prepara invece a celebrare un risultato mai raggiunto: comunque vada domenica alle 13, la Nazionale di volley azzurra femminile arriverà dove mai era accaduto, con la maschile che oggi si gioca comunque un bronzo importante. Comun denominatore, l'avversario: gli USA. Quegli americani che bloccarono la corsa della "generazione di fenomeni" a Barcellona 92, con Kiraly in campo (oggi è CT della femminile) e Velasco in panchina (tra gli uomini). I due si ritroveranno e solo uno esulterà come non mai. 

L'ultimo spunto arriva dalla Ginnastica artistica. In attesa di vedere all'opera le ormai celebri Farfalle, nella gara a squadre - con una talentuosa umbra, Agnese Duranti da Spoleto - già la competizione individuale fa sognare momenti di gloria per i colori azzurri: il merito è di una giovanissima fabrianese, Sofia Raffaeli, classe 2004, autentica mattatrice delle qualificazioni: eleganza, classe e bellezza che hanno stregato la giuria ed entusiasmato il pubblico del Porte de la Chappelle Arena. Incrociamo le dita.