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sabato 3 agosto 2024

Il mio "Diario Olimpico": dalla nonchalance del tiratore turco, alla rissa poco olimpica tra francesi e argentini. Fino al grido d'aiuto della velocista afgana...

Si può diventare speciali - o addirittura, come si dice oggi, "virali" - pur restando assolutamente normali. Anzi, forse proprio per quello. Sarebbe da analizzare, e forse un giorno uno studio ce lo faranno, il "fenomeno Yusuf Dikec", il tiratore turco di 51 anni diventato una sorta di "eroe dei social" dopo aver vinto la medaglia d'argento nella categoria 10 metri a squadre (merito anche della compagna di team Ilayda Tarhan). La medaglia c'entra relativamente con l'improvvisa popolarità di questo "zio di Istambul" che deve la propria fama alla incredibile nonchalance con cui si è presentato alla postazione di tiro, con l'aria di chi deve sbrigare una faccenda di routine, perchè di lì a poco altre impellenze - ben più importanti - sembrano incombere. Circondato da agguerriti avversari "armati" di tutto punto (a parte la pistola, ovviamente) immersi in cuffie robotiche, dispositivi ottici speciali, apparecchiature sofisticate per evitare il riverbero delle luci e isolarsi acusticamente dall'ambiente circostante e in una posa plastica per orientare al meglio il proprio colpo, il buon Yusuf si è presentato "forte" di una indiscussa esperienza (se non altro per anagrafe), con un paio di occhiali di quelli scelti al volo in farmacia, due tappi alle orecchie buoni anche per la notte in albergo se i clacson metropolitani hanno il sopravvento, t-shirt essenziale, mano in tasca forse a maneggiare un accendino in attesa della sigaretta post tiro e colpo in canna per piazzare i punti necessari a salire sul secondo gradino del podio. Risultato storico per la sua Turchia. Ma nulla a confronto di quanto accaduto nel giro di poche ore su social e web di tutto il mondo: l'immagine di Dikec e della sua impassibile (quasi annoiata) esecuzione è diventata uno dei meme più utilizzati, delle foto più postate, delle immagini più commentate di questa prima settimana olimpica. E lui - che pure è sottufficiale della Gendarmeria turca, campione nazionale di tiro e detentore di vari record nella mezzaluna rossa - è stato adottato quasi unanimamente come uno dei simboli iconici (ma anche ironici) di questa Olimpiade. A dimostrazione di come la "normalità" - che non è sufficienza o superficialità, ma il semplice voler essere se stessi - riesca a toccare le corde più profonde del sentire comune. Se un olimpionico (ovvero un vincitore delle Olimpiadi) è giustamente celebrato come fosse un personaggio della mitologia sportiva, Yusuf Dikec sembra quasi voler dimostrare che quell'aura - come oggi va di moda dire - può appartenere davvero a tutti. Almeno nell'immagine che il tiratore turco ha voluto dare di sè. E a chi gli ha chiesto cosa avrebbe fatto dopo aver vinto l'argento, beato e soave ha risposto: "Mi accendo una sigaretta. Perchè sono un turco...".

Chissà che avrebbe pensato monsieur De Coubertin - che nel 1896 ebbe la straordinaria idea di riproporre le Olimpiadi in chiave moderna al motto "l'importante è partecipare" - se ieri sera avesse assistito alla rissa finale di Francia-Argentina, quarto di finale del torneo di calcio. Non è la prima volta che una sfida olimpica si accende eccessivamente ma forse dai padroni di casa e dai campioni del Mondo e del Sudamerica, ci si aspettava un esempio migliore. Vecchie ruggini - finale Mondiali 2022 - i fischi del pubblico transalpino, poco accogliente in ogni gara degli argentini, le inevitabili scaramucce in campo e qualche provocazione finale dopo l'1-0 dei padroni di casa, e l'ematocrito agonistico degli argentini è andato in tilt. Brutta pagina di un torneo che per la verità nel quadro olimpico passa quasi sempre inosservato (alzi la mano chi ricorda le Nazionali vincitrici delle ultime edizioni olimpiche): forse perchè il calcio è l'unica disciplina a squadre che non presenta "le prime squadre". Una peculiarità non voluta da quel De Coubertin (nel 1936 l'Italia vinse il suo unico oro con la Nazionale che 2 anni prima e 2 anni dopo avrebbe vinto i Mondiali), che finisce per svalutare un po' questa stessa medaglia - come avviene con l'enigmatico "rugby a 7". Se l'Olimpo deve celebrare una disciplina, che si apra alle migliori selezioni. Punto. Se Fifa o Uefa non sono d'accordo, qualcuno trovi il coraggio di escludere il calcio dal panorama a cinque cerchi, evitandogli una presenza del tutto anonima. Che fa parlare di sè solo nelle occasioni peggiori. Come in questo epilogo franco-argentino.


Ultima nota di una giornata povera di soddisfazioni azzurre, ad eccezione della "storica" medaglia nei Pesi Leggeri del canottaggio (un argento irripetibile visto che dalla prossima edizione questa gara sulle acque riservata ai canottieri più snelli, sarà abolita). Ci porta in pista dove si sono aperte le gare di Atletica leggera. In attesa che i riflettori si accendano sugli eroi di pista e pedana, c'è una velocista che ha lasciato il segno. Non per i suoi tempi, per la sua prestazione. Ma per un biglietto mostrato a tutto il mondo. Lei si chiama Kimia Yousofi, ed è una dei 6 atleti presenti in tutto a Parigi per la nazionale dell'Afghanistan. Sei atleti di diverse discipline, usciti dal proprio Paese, per competere. Ma nel suo caso, anche per gridare aiuto. Kimia ha corso i suoi 100 metri nella batteria di qualificazione. Ha perso, formalmente, perchè è arrivata ultima. Tagliato il traguardo, però, ha girato il pettorale e mostrato alle telecamere di tutto il mondo le 3 parole scritte a pennarello sul retro del suo numero, poco prima della partenza: "Education, our rights". Istruzione, i nostri diritti. L'unica donna in gara di questo Paese lontano - e dal ritorno dei Talebani nel 2021 ancora più lontano - ha compiuto un gesto che per simbologia, coraggio e impatto mediatico ricorda altri momenti della storia olimpica: il suo ha fatto meno rumore, purtroppo, perchè poco se ne sta parlando. Ma quando si tocca il tema dei diritti di genere (e non sono mancate nelle ultime ore polemiche su questo) dovremmo ricordarci tutti, in primis, di chi di questi diritti è privato del tutto. Kimia ce lo ha ricordato. Sapendo bene che al suo ritorno in Patria non ci saranno giornalisti e tifosi ad accoglierla...


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