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martedì 2 novembre 2010

A proposito di Obama: osannato due anni fa, e oggi in piena crisi... (da un articolo su "Gubbio oggi" gennaio 2009)

E' una sensazione strana rileggerlo oggi. Perché riflette le grandi aspettative di quei giorni. Perché ha il sapore della disillusione. Barack Obama, il primo presidente "nero" degli Usa, era il personaggio con il più alto gradimento, su scala internazionale, al momento di essere eletto. Gennaio 2009, ma sembra un'eternità.
Oggi si sta giocando nelle elezioni di medio-termine - quelle che la democrazia americana definisce "referendum" pro o contro il Presidente di turno - la residua credibilità elettorale che man mano si è andata sgretolando in questo biennio.
E allora mi piace riproporre il pezzo che, nel mio piccolo, avevo dedicato al "fenomeno Obama" proprio due anni fa. Parole che riflettono quelle speranze, ma che non escludono anche le difficoltà - purtroppo confermate dai fatti - che avrebbe trovato sul suo cammino il nuovo inquilino della Casa Bianca.
Continuiamo a fare il "tifo per lui". Non per motivi politici, ma perché se la locomotiva Usa riparte, anche i nostri vagoni seguiranno la scia... Altrimenti, meglio non pensarci...

DA "GUBBIO OGGI" - gennaio 2009
L’evento internazionale di questo primo scorcio dell’anno è senza dubbio l’ingresso ufficiale di Barack Hussein Obama alla Casa Bianca. Non solo il ritorno alla guida del paese da parte dei Democratici ma soprattutto il primo presidente di colore, nonché – fattore poco enfatizzato ma non poco importante - un presidente che porta un secondo nome di chiare origini arabe. Ce l’avessero detto 7 anni fa non ci avremmo creduto poi molto.

Per l’opinione pubblica mondiale si tratta di una ventata di indiscussa novità positiva: Obama incarna l’immagine del presidente delle grandi innovazioni, delle riforme sociali di portata storica, del nuovo clima che si respirerà a Washington dopo 8 anni di amministrazione Bush che hanno inevitabilmente lasciato un segno. Otto anni nei quali si è passati dall’attentato alle Twin Towers alla guerra sul doppio scacchiere di Iraq e Afghanistan, dalla luna di miele gradualmente raffreddatasi con Mosca fino alla crisi dei mutui Usa e alla grande recessione mondiale. Otto anni non facili per chiunque, anche se forse il presidente uscente ci ha messo del suo.
Smaltita la “sbornia” post-elettorale per il grande doppio successo (forse più difficile quello interno delle primarie con Hillary Clinton che non quello sul reduce di guerra il repubblicano Mc Cain), l’eredità che si ritrova in mano Obama non è di quelle semplici da sbrogliare: sia sul fronte interno – che a noi potrebbe interessare poco, ma che poi alla lunga si riflette anche sull’economia mondiale – sia sul fronte dei rapporti internazionali, dai quali spesso dipende anche la politica estera di casa nostra.
Dagli Usa ci si attende intanto una risposta chiara contro la crisi economica: un piano fatto di certezze, di punti fermi, di paletti contro l’apoteosi autolesionista di un’economia di carta che ha permesso a migliaia di speculatori di costruire fortune in anni di bolla virtuale e vederle dissolvere in pochi mesi di ritorno con i piedi per terra. A tutto scapito di chi, centinaia di migliaia di risparmiatori, aveva confidato in un buon investimento.
Economie come la nostra hanno patito di meno questa forma di crisi – perché ancorata fortunatamente in modo più solido alla cosiddetta economia del fare – ma è ovvio che le difficoltà della locomotiva a stelle e strisce significa effetto domino su tutto l’occidente. Obama non avrà la bacchetta magica, non potrà intervenire direttamente sull’economia – in un paese in cui il liberismo storico lascia al mercato l’ultima parola - ma dovrà fornire un indirizzo chiaro da parte del governo americano.
Nella politica internazionale, poi, si dovranno sciogliere i nodi dei conflitti lasciati aperti, dei difficilissimi equilibri in Medio Oriente, dei rapporti con Putin (specie su gas e petrolio), della crescente preponderanza di Cina e India in economia, dell’enigma Iran.
Tutte “grane” che assumono le sembianze di altrettanti esami di maturità per un presidente con l’aria del boy scout volonteroso chiamato però ad un’impresa che va ben al di là della “buona azione” alla Baden Powell.
Diciamoci la verità: facciamo tutti il tifo per lui. Sia perché il destino dell’economia occidentale è (fortunatamente) legato da decenni a quello degli States, sia perché se ad Obama non dovesse andare bene qualcosa, non sarebbe solo un problema degli americani. Ma anche nostro.
Per ora però ha fatto più notizia l’eccentrico completo oro della first lady, Michelle, alla cerimonia di giuramento. Ma non sono passate inosservate anche un paio di frasi del neo inquilino della Casa Bianca:
“Non chiedetevi cosa lo Stato debba fare per voi, ma cosa voi potete fare per lo Stato”.
Non è una banalità: forse se a cominciare dal nostro piccolo, iniziassimo tutti a pensarla così – ad esempio su come si considera la propria pubblica in Italia (pubblico=di nessuno quando invece vorrebbe dire=di tutti ovvero anche mio) faremmo già un enorme passo avanti.
Ma un’altra piccola grande lezione di democrazia ci arriva dagli Usa con la cerimonia di insediamento di Obama: quando un giorno (chissà quanto lontano) vedremo il premier italiano uscente accompagnare al giuramento quello neo-eletto (ma lo stesso potrebbe valere per il presidente della Regione o per il Sindaco) forse ci stropicceremo gli occhi e ci chiederemo se siamo davvero in Italia.
Speriamo di farlo al più presto.
GMA

1 commento:

  1. Caio direttore! Come stai? Proprio a questa faccenda pensavo stamattina e concordo pienamente con ciò che dice anche Gramellini su La Stampa: la sconfitta di Obama non significa che gli americani (e tutti noi, in generale) abbiamo smesso di sognare un mondo migliore. Significa piuttosto che, in assenza di un sistema organico di valori di riferimento, la abbiamo delegato a..."singoli ambasciatori", come li chiama Gramellini. Ambasciatori di un'emozione collettiva, caricati di responsabilità immani e di speranze che durano quanto una campagna elettorale. Anche qui da noi nessuno chiede più "Come la pensi su questa faccenda?", ma pittosto "Stai con Berlusconi? Con Fini? Con Vendola?" Nel bailamme delle idee confuse, si cerca un uomo col quale identificarsi per sentirsi migliori. Per poi, come dice Garmellini, ritrovarsi ogni volta delusi, traditi. Aspettando il prossimo....

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