Un mio amico mi ha scritto. Via e-mail. Forse viene più naturale, scriversi. Ma in fondo anch’io preferisco così.
Mi ha detto: “Giacomo, non pensi di esagerare con questo Gubbio? Il tuo blog ultimamente è un po’ troppo filo calcistico. Mi piacerebbe che come in passato ti occupassi anche di altri temi”.
Ho apprezzato. La franchezza e il tono. Ma soprattutto lo spirito. Perché chi mi ha scritto così intanto mi stima (un valore che, quando è autentico, brilla come i lingotti d’oro che di questi tempi sono l’unico vero bene rifugio). E poi ha a cuore molte questioni della nostra città.
Tanto da dire che spesso, anche le parole di queste blog, magari, sono servite a qualche riflessione. Che magari non ha portato a niente. Ma almeno ha aiutato a rifletterci, ad aprire un dibattito. Ad animare una conversazione sul Corso, come un confronto in certi tavoli. Chissà.
Non era comunque il mio obiettivo.
Un blog è questo. E l’essere se stessi, anche nell’umorale e mutevole evolversi di gusti, scelte e tendenze. Ci sono giorni in cui scriveresti per ore e ore. E giorni in cui il polpastrello non riesce ad avvicinarsi alla tastiera, quasi per una forma di repellenza epidermica. Ma che in realtà è solo riserva mentale.
Effettivamente è vero. In questo periodo la serie B sta catalizzando l’attenzione di molti. E il sottoscritto – anche per passioni calcistiche innate, e al di sopra di ogni sospetto come diversi fanatismi dell’ultim’ora sparsi qua e là – non ne è uscito indenne.
In fondo questi due anni e mezzo, comunque vada a concludersi la parabola, saranno qualcosa che ricorderemo. Che racconteremo a qualcuno che non ha avuto la fortuna e l’anagrafe dalla sua per viverli. E forse gli diremo pure che eravamo tutti (o quasi) “partiti di testa” per questa serie B.
Tanto da dimenticare, o mettere in secondo piano, problemini decisamente più importanti che non la Nocerina o il Crotone.
Una sorta di effetto narcotico. Muratti rosse o blu? No, semplicemente rossoblù.
Anche questo sarebbe un fenomeno – quasi sociologico – da analizzare. E non solo in città.
Qualche giorno fa mi chiama un collega (ed amico) del “Sole 24 Ore”, per un pezzo sull’impatto economico-emotivo della vincita dei 65 milioni di euro a Gubbio. Parlandone con una sua collega – che firmerà il pezzo, in uscita tra qualche giorno, chissà magari perfino citandomi come una sorta di osservatore privilegiato del pianeta Marte – ne esce fuori un quadretto che agli occhi di chi Gubbio non la vive tutti i giorni, sa di favola da casetta del Mulino Bianco.
Il 2011 è stato l’anno della "svolta politica" – dopo un decennio che comunque la si pensi e la si veda, era stato monotematico; è stato l’anno della mostra-evento Dinosauri aperta da Piero Angela (mai si era vista la fila in Piazza Grande, fuori dal museo dei Palazzo dei Consoli); è stato l’anno della Gubbio calcio promossa in serie B (anche i nemici del dio Eupalla converranno che è pur sempre un avvenimento che mancava da 64 anni); è stato l’anno della vincita record al Supernalotto (notizia che meriterebbe niente più che la pagina di curiosità, se non fosse che arriveranno da queste parti qualcosa come 130 miliardi delle vecchie lire, con il vantaggio di non passare per le mani della politica e del Palazzo).
Insomma una sorta di congiuntura astrale che farà di questo 2011 l'annus mirabilis sotto tanti punti di vista.
E se per qualche scaramantico il 13 è un numero che porta bene, è da 13 anni che nella nostra città sta girando la troupe di “Don Matteo” – giunto all’ottava edizione, ma talmente in forma da potersi permettere di puntare già alla nona: una routine ormai, per gli eugubini; per qualcuno forse anche una scocciatura, che però in 13 anni ha fatto lievitare sensibilmente i numeri dei flussi turistici e soprattutto l’immagine e il brand della nostra città (vedi il mio post sulla tesina dedicata agli effetti economico-turistici di "Don Matteo" - su questo blog datata febbraio 2007).
Oggi, dopo questo 2011, Gubbio non è più la cittadina di pietra in Provincia di Perugia. E’ Gubbio.
Da questo semplice e banale assunto – che in realtà è una conquista non commensurabile materialmente sul piano economico – chi ci governa dovrebbe muovere, ad esempio, immaginando il futuro della nostra città.
Chiamarsi Gubbio, oggi, non è più come esserlo un ventennio fa.
Un po’ come la marca di un jeans che va di moda o forse è meglio dire, il marchio di un gioiello. Insomma Gubbio è un brand.
Sta a noi, alle nostre idee, alle nostre iniziative, al nostro spirito di appartenenza – e perché no, anche a qualche post di uno sperduto blog nell’oceano di internet – fare in modo che il gioiello non finisca per impolverarsi in qualche inutile bacheca.
Ma risplenda nel pieno del proprio fascino: pronto ad essere goduto e fruito da chiunque ne sappia apprezzare il valore.
Questo è quello che mi è venuto da pensare stasera. Grazie anche a quella e-mail. Grazie ad un amico importante. Che, più che il mio blog, ha a cuore Gubbio…
mercoledì 12 ottobre 2011
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