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venerdì 21 ottobre 2011

Gigi Simoni come "bene rifugio", per ritrovare la bussola... anche contro avversari titanici


Gigi Simoni, di nuovo in panca - foto Signoretti
 In tempo di crisi, ci si butta nei cosiddetti beni rifugio. Da sempre il mattone, ultimamente anche l’oro.
Nel calcio, il bene rifugio è senz’altro l’esperienza. Le ore di volo maturate in anni e anni di sudore e olio di canfora, il pelo sullo stomaco forgiato da vittorie agognate, conquiste inaspettate e anche profonde amarezze e delusioni inconsolabili.
Centinaia di queste pagine le ha vissute e le potrebbe raccontare per ore, Gigi Simoni.
Ma adesso non è tempo di sedersi davanti al camino, sfogliare l’album dei ricordi e snocciolare le tante pagine assaporate.

Lui ha detto sì. Torna in panchina, dopo "appena" 915 presenze, dopo due anni e mezzo da quel Giacomense-Gubbio, ultima volta di Simoni trainer a tutto tondo.
Era un altro Gubbio, era un altro mondo, la C2.
Oggi i rossoblù sono in serie B: un pianeta che Simoni conosce a menadito, dove ha vinto allori a iosa, in ogni piazza, con presidenti vulcanici e mansueti, indifferentemente; con squadre esperte o giovani, con talenti navigati o baby rampanti. Potrebbe scriverci una Treccani sulla serie cadetta, Gigi Simoni.

Ma è tutto rinviato, perché ancora l’enciclopedia attende un nuovo capitolo. Il titolo ancora non sappiamo darglielo, ma i motivi e gli stimoli che ne stanno alla base sono chiari. Trovare la bussola. Perché disorientato è forse l’aggettivo più azzeccato per descrivere lo stato d’animo del Gubbio di ritorno da Crotone. Doveva essere la partita della consacrazione – dopo la prima vittoria – è stata la doccia fredda che ha azzerato tutto. E’ stato il canto del cigno, per Fabio Pecchia.

Con un gruppo che ha palesato troppa difficoltà ancora a trovare il nord. E da lì, a capire dove fosse tutto il resto. La serie B. In questi casi, la soluzione migliore non è mai urlata. Non è mai un elettroshock, un gesto impulsivo, non è una spranga da black bloc o un detonatore.
Meglio affidarsi all’esperienza, al vissuto, alla sobrietà – che non vuol dire apatìa, ma semplicemente capacità di leggere il presente con le sue difficoltà ma anche con i suoi punti forti. Meglio affidarsi a Gigi Simoni, forte di uno staff affiatato e consolidato come quello composto da Pascolini, Mengoni e Barilari.
E allora ecco la ricetta fatta di semplicità: ripartire da ciò che funziona per capire dove si può arrivare. E’ questo il primo passo (mentale prima ancora che tattico) che un personaggio come Simoni ha voluto compiere, l’imprinting di una sfida, anche personale: perché quando a 72 anni e 10 mesi, dopo 12 promozioni, decidi di rimetterti in gioco, decidi di alzare un’asticella che pensavi di aver riposto definitivamente, sai che dentro c’è un po’ di tutto: senso di responsabilità e appartenenza, ma anche un pizzico di follia e voglia di stupirsi, fiducia e stima di un gruppo di giocatori che – parole del saggio Gigi – possono salvarsi. E in un ambiente che può aiutare a compiere il miracolo. Purchè ci credano. Tutti, nessuno escluso. Purchè tutti non pensino di essere già predestinati al peggio.

Neanche in partite come questa. Neanche di fronte al Torino. Dove tutto sembra fatto per sentirsi piccoli, l’avversario, i suoi numeri, il suo blasone, il pronostico. E persino qualche tifoso di casa col cuore diviso a metà. Ma il calcio, il mondo di Gigi Simoni, il posto che in fondo più di tutti gli piace, è una favola che sa sorprendere, soprattutto di fronte a questi scenari.
Scontati, forse, ma solo fino al fischio d’inizio…




Musica di sottofondo: "Mondo" - Cesare Cremonini - 2010

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