Il mio puzzle, i miei pezzi.Di ieri e l'altro ieri.

giovedì 18 marzo 2010

Da "La ricerca della felicità" di Muccino alcune riflessioni... sull'Italia di oggi

Chissà se Gabriele Muccino avrebbe pensato che a distanza di soli 3 anni e mezzo il suo film sarebbe stato così stringente e “diffusamente” sentito.

Parlo de “La ricerca della felicità”, il capolavoro cinematografico del regista romano che nel 2006 incantò gli States con la storia di Chris Gardner interpretata da uno straordinario Willy Smith.
Una storia che racconta l’America delle infinite opportunità, dell’”uno su mille” che ce la può fare, dei sogni che diventano realtà. Ma anche della stridente contraddizione tra una decapottabile sport con a bordo la sorridente famiglia americana, quella del barbecue all’aperto e della partita dei 49ers nel fine settimana, con la fila interminabile di senza tetto che attendono pazientemente per ore di entrare nei dormitori popolari.
Un film che ci racconta come in quella fila possa starci tranquillamente una persona che fino ad un paio di ore prima lavorava con o per il conducente di quell’auto.
Un paradosso – sarà sembrato in quel lontano 2006 – almeno agli occhi del cosiddetto italiano medio.
Una realtà neanche troppo improbabile: è la sensazione che ho avvertito invece ieri sera, ad appena 3 anni e mezzo dall’uscita del film. Pensando all’Italia di oggi.

Ieri sera ho rivisto alcune parti della pellicola. Forse per la quinta o sesta volta: mi capita con i film che adoro (non moltissimi, ma memorabili). E quello di Muccino è un film che non può non colpire, toccare, emozionare, appassionare. Per il legame tra padre e figlio – così raro nelle trame hollywodiane – per l’assenza voluta e sintomatica di una figura femminile (nel film come nella vicenda familiare del suo protagonista), per le peripezie tragicomiche cui i protagonisti vanno incontro, in un susseguirsi di rocambolesche disavventure che sembrano quasi indicare un destino cinicamente concentrato nel far ricadere ogni avversità su chi già versa in situazioni precarie. Sempre e comunque contro le stesse persone. Un destino contro cui sbattere quotidianamente la faccia, facendosi anche del male, pur di non perderla di fronte a quel “mondo professionale” nel quale il clichè, l’apparenza, lo status symbol – fatto di giacche e cravatte, di cellulari, belle auto, golf club e centri fitness – prende il sopravvento diventando un “abito da lavoro” prima ancora che una necessità o un elemento di puro entertaiment.

Quanti Willy Smith camminano oggi per strada, magari al nostro fianco?
Non intendo l’attore, ovviamente.

Mi riferisco al personaggio: all’infaticabile ma “sfigato” imprenditore di se stesso, che crede nel sogno di poter costruirsi un avvenire nella commercializzazione di un prodotto avveniristico, che però scopre dopo poco tempo non essere più funzionale per il mercato (già, il mercato).

Mi riferisco al precario che investe 6 mesi (gratuiti) della propria vita nell’eventualità (con tutti i punti interrogativi del caso) di essere assunto se riuscirà a procurarsi e procacciare il maggior numero di clienti alla propria società.

Mi riferisco al premuroso padre costretto a fare in 4 ore il lavoro che i colleghi facevano in 6, per poter poi andare a prendere il figlio all’asilo cinese, non perdere un paio di coincidenze con tram e metro, e recarsi a fare la fila per un alloggio popolare di fortuna.
Quanta realtà, quanta verità, quanto dramma, quanto senso di speranza in questa storia. Che ha sì un lieto fine, ma insito pure un messaggio: crederci è importante; andare anche contro quello che sembra un destino irreversibile, si deve; senza mollare neanche di fronte alle condizioni più difficili, precarie e insostenibili.

Ma quanti Willy Smith ce l’hanno fatta? Quanti hanno avuto la fortuna di trovare sulla propria strada dirigenti o talent scout che sapessero coglierne qualità, attitudini, potenzialità?

Quanti sono ancora in fila? Non nell’America delle infinite opportunità. Ma nell’Italia del “lei non sa chi sono io”, della lettera “raccomandata” (senza bisogno di ricevuta di ritorno), della telefonata cordiale e di sollecito, dell’eterna spintarella, della ricerca non della felicità… Ma della scorciatoia per la felicità…

Chissà se Muccino aveva pensato già da allora, a tutto questo…

GMA

1 commento:

  1. Da fb
    Cesare Becchetti -
    La prima volta che l'ho visto , quasi per caso in un passaggio Tv sono rimasto molto colpito, emozionato. Seppure con le dovute differenze (gli States sono senza dubbio terrificanti se stai con il culo per terra..) la trasposizione della storia (magnifica) nell'Italia di oggi è spaventosamente reale e concreta. Una sola cosa distingue le due ... Mostra tuttosituazioni in maniera netta: negli States , checchè ne dicano i detrattori nostrani, c'è ancora la speranza di riscatto e promozione per talento e tenacia (due concetti a me cari!), mentre l'Italietta nostra di oggi , se stai con il culo per terra, di passa una coperta per scaldarti le chiappe. Alla faccia di talento e tenacia.

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