Mai come in questi giorni la tv è lo specchio del Paese. Di un Paese in decadenza, soffocato da un virus chiamato spread, capace di cancellare in pochi giorni le certezze che un potenza economica - la settima al mondo - potrebbe legittimamente custodire.
Il piccolo schermo diventa il paradigma di un clima di totale incertezza, di una situazione di precarietà assoluta, dove i più elementari punti cardinali vengono messi in discussione. Dove perfino le più radicate teorie tolemaiche del tubo catodico vengono sovvertite. Due o tre storie per fare qualche esempio...
Comiciamo dal capitolo digitale terrestre: in Umbria il fatidico switch off, cioè il passaggio dal sistema analogico al digitale terrestre, avverrà tra una settimana (nell'area Lago) e si completerà tra due settimane (il 23 e il 24 novembre, coinvolti tutti gli altri territori, Eugubino compreso). Nonostante l'estrema vicinanza di queste date, il Ministero per lo Sviluppo Economico non ha ancora assegnato le frequenze alle televisioni locali e regionali.
Un silenzio che diventa ancora più preoccupante alla luce di quanto sta accadendo in seno al Governo ormai appeso ad un filo. La procedura ormai avviata per lo spegnimento del segnale analogico e l'attivazione del digitale, però, prescinde dalle sorti dell'esecutivo: il problema è che le tv locali (TRG tra queste) non conoscono ancora se avranno una concessione regionale, non sanno quali saranno le frequenze di appartenenza nè il proprio LCN (posizionamento nel telecomando).
A due settimane dallo switch off, non avere queste informazioni, è praticamente come sapere di dover andare a curarsi ma non conoscere quale sarà il dottore nè la terapia che si dovrà affrontare.
Una situazione di incertezza paradossale, che torna ad essere denunciata anche dall'assessore regionale alle infrastrutture tecnologiche, Stefano Vinti, le cui sollecitazioni al Ministero sono rimaste per ora lettera morta. L'aspetto più assurdo è che le emittenti locali presenti in Umbria non sapendo quali frequenze avranno, non hanno avuto la possibilità di procedere agli adeguamenti tecnici indispensabili per l’avvio del nuovo sistema. Se non si assegnano le frequenze tutto è bloccato. E le tv locali non avranno neanche la possibilità di verificare con congruo anticipo la copertura del segnale nel territorio e quindi far fronte ad eventuali inconvenienti. Il tutto in barba ai telespettatori, che dal 24 novembre avranno solo la certezza di vedere (indovinate un po'?) solo Rai e Mediaset... Insomma il marasma, tanto più grave in quanto si sapeva da tempo che lo switch off sarebbe stato a fine novembre.
Pensare che dietro questo silenzio e dietro i ritardi ci sia anche una strategia di "repulisti", per far morire darwinianamente le emittenti più piccole, comincia a non essere più un semplice pensiero malevolo...
Secondo capitolo. "Mamma Rai" è allo sbando. La tv di Stato perde telespettatori, perde credibilità (il caso Tg1 su tutti) e ora perde anche i colpi sul piano giornalistico. L'alluvione di Genova è una tragedia, e l'ultimo dei problemi è sapere chi l'abbia raccontata meglio.
Ma non può essere indifferente - per un addetto ai lavori - constatare che la Rai (nonostante disponga di redazioni locali "affollate" di giornalisti e tecnici, i cui tetti salariali sono distanti in modo siderale da quelli delle tv private) abbia clamorosamente "bucato" in occasione del disastro nel capoluogo ligure.
A stigmatizzare questa clamorosa defaillance - che è cartina tornasole di uno stato di crisi "comatoso" delle redazioni regionali del Tg3 - anche il critico televisivo del Corriere della Sera, Aldo Grasso, che nel punto-editoriale di Corriere tv (vedi link in basso) sentenzia: "La Rai non è più servizio pubblico".
Anche se questo significa indirettamente regalare uno spot a Santoro - per il quale non nutro grande simpatia, come giornalista prim'ancora che come esponente politico quale lui ama essere - è difficile dargli torto...
http://video.corriere.it/alluvione-tv-rai-assente/22135724-0ad0-11e1-8371-eb51678ca784
Terzo e ultimo capitolo: ancora "mamma Rai", ma stavolta quella dietro l'angolo. Ovvero Raitre regione. Di queste ore l'annuncio del probabile taglio di un'edizione del tg regionale (quella serale delle 22.30). Apriti cielo. Tutta la politica e il mondo sindacale in sommovimento a difesa dei giornalisti Rai di Perugia. "Rischio di impoverimento informativo, rischio per il pluralismo, rischio per l'informazione".
E così via, interventi della presidente della Regione, di esponenti politici (ovviamente di sinistra), di ogni sigla sindacale esistente.
Certamente un'edizione in meno del tg regionale non è una buona notizia per il telespettatore, ma prima di stracciarsi le vesti, i protagonisti delle urla di queste ore (che domani, magari, leggerete in tutti i quotidiani locali) dovrebbero farsi un'altra domanda:
come mai certe manifestazioni di solidarietà e difesa del posto di lavoro (condivisibili, come principio, è ovvio) non avvengono, o se avvengono, non godono di questi toni, di queste amplificazioni, di queste ridondanze, quando il problema riguarda magari una piccola tv locale e i suoi dipendenti?
Le condizioni contrattuali di chi opera nel privato, si sa, non rispecchiano i "privilegi" di chi lavora nel pubblico. E questo vale, e come se vale, anche per i giornalisti.
Sorprende, dunque, da addetto ai lavori, che quando il problema riguarda la Rai, si alzi subito la voce della protesta. Quando i problemi riguardano i giornalisti o i tecnici di un'emittente privata, se non siamo al "chissenefrega", poco ci manca...
Di RTE ci si è accorti quando aveva già chiuso i battenti e i 15 dipendenti erano già per strada (cos'ha fatto la Regione per loro?).
Del ritardo atavico sul digitale terrestre, di cui sopra, l'unico a saperne qualcosa è l'assessore Vinti. Per il resto nè presidente di Regione, nè esponenti politici, nè sindacati sanno o dicono nulla. Ma il 24 novembre si oscurerà anche la loro di televisione...
E in gioco non ci sono solo le frequenze, ma anche i posti di lavoro di parecchi professionisti umbri... Ne vogliamo parlare?
Siamo sicuri che lo scandalo sia davvero che Raitre regione chiuda un'edizione di seconda serata?
Spiace, da telespettatori e da colleghi dei diretti interessati... ma qualcuno se ne farà una ragione. In fondo in tutta Italia e non solo in Umbria, il Tg3 ha introdotto un'edizione mattutina delle 7.30 (utilissima, Buongiorno Regione) soltanto da un paio d'anni. C'erano tv locali (Trg dalle 7.30, Tef dalle 8.30) che, con molti meno dipendenti, meno risorse, meno mezzi tecnici a disposizione, facevano rassegna stampa alla stessa ora dal 2005... E domattina, nonostante la crisi, lo spread alle stelle, il governo naufragato, l'incertezza sul futuro, la rassegna stampa ci sarà ancora.
Per fortuna non proprio tutta la tv è lo specchio fedele del Paese...
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