No gol no party. Un personaggio che non lascia spazio a compromessi: o lo ami o lo detesti, Zdenek Zeman, allenatore di un Pescara grande protagonista in serie B, al suo rientro dopo anni nel calcio che conta. Zeman, ovvero la fantasia applicata al calcio, la filosofia offensiva a prescindere, l’attacco e la ricerca quasi ossessiva del gol come verbo unico ed esclusivo da coniugare con il tappeto verde.
Al tempo stesso, tatticismi e ostruzionismi al bando, applicazione difensiva quasi da cancellare, linee di retroguardia capaci di dare spettacolo, in senso negativo, almeno quanto le avanguardie sanno fare davanti la porta avversaria.
E’ così che Zdenek Zeman, "apostolo" di un nuovo modo di intendere il football, fa la sua comparsa nel calcio italiano alla guida di una provinciale, il Foggia: con lui alla fine degli anni Ottanta, un gruppo di sconosciuti sbarazzini della pelota, in maglia rossonera, mette a ferro e fuoco il campionato di serie B. E’ la stagione 90-91 quando la truppa di satanelli guidati dal misconosciuto tecnico boemo (famoso per essere nipote di Vickpalek) vince il campionato cadetto a suon di gol, 64, ma con ben 36 reti subite, quante la Salernitana che ad esempio quello stesso anno retrocede.
Due cifre che da sole aiutano a capire, in breve, il personaggio. In quella squadra diventeranno celebri nel trio d’attacco Beppe Signori, Roberto Rambaudi e Ciccio Baiano, ma anche i centrocampisti Manicone e Seno, e perfino il pirotecnico portiere, Mancini. Alcuni di loro Zeman li porterà con sé nelle avventure capitoline degli anni Novanta, prima a guidare la Lazio di patron Cragnotti, con un gioco spumeggiante che portò alla denominazione di Zemanlandia la squadra biancoceleste.
E poi sull’altra sponda del Tevere, alla Roma di Sensi, negli anni che sfociarono nelle furiose polemiche con la Juventus di Lippi, le dichiarazioni infuocate di Zeman contro "i troppi giocatori in farmacia" e l’ombra ventilata del "doping" (poi smentita dalla realtà) su atleti simbolo del calcio italiano come Vialli e Del Piero.
La storia del calcio ha poi oscurato la stella del trainer giallorosso, che in pochi anni, tra qualche avventura negativa e molte delusioni umane, è finito nel dimenticatoio.
Non ha mai amato le mezze misure, Zeman: né in campo né fuori. E paradossalmente ha sempre avuto un rapporto quasi fideistico dai suoi giocatori. Forse per il suo modo di parlare, quasi sottovoce. Forse perché le sue parole, spesso, sono state più taglianti dei cross dalla fascia, più dirompenti di un tridente d’attacco.
Resterà sempre aperto il dilemma se il tecnico boemo sia più un teorico o un utopista del calcio. Di sicuro i tifosi che lo hanno avuto non si sono annoiati. Spesso anche gli avversari...
E a Pescara, in pochi mesi, è già diventato un idolo. Che poi alla fine dell’anno la squadra adriatica finirà per vincere e andare in serie A è tutto da vedere.
Ma in fondo Zeman, a suo modo, è unico anche in questo…
giovedì 17 novembre 2011
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