Il mio puzzle, i miei pezzi.Di ieri e l'altro ieri.

domenica 13 novembre 2011

Dalla lezione dell'Europa... ai gesti virtuosi nel nostro piccolo


Christine Lagarde, direttore generale
del Fondo Monetario Internazionale
  Sarà servita la lezione? Lo scopriremo nelle prossime settimane. Certo è che camminare a piedi nudi sul cornicione del quinto piano non è esperienza piacevole. Ed è un po’ quello che si è trovato a fare il nostro Paese nelle ultime settimane. Miti, ma solo sul termometro.

Perché poi se al posto dei gradi centigradi, l’unità di misura diventa lo spread – il differenziale tra i rendimenti dei Btp di casa nostra e i bond tedeschi – allora il clima cambia radicalmente.

La lezione dell’Europa – di un’Europa per altro un po’ accademica, pronta a bacchettare il vizio tutto italiano di promettere e non mantenere, salvo tenere qualche scheletro economico-finanziario negli armadi (le banche franco-tedesche messe molto peggio delle nostre) – il rischio default, pur non avendo fondamentali economici disastrosi (debito pubblico a parte), il timore di un crollo totale, devono essere comunque un monito per tutti.

Anche per noi, anche per chi nel proprio piccolo sente la crisi, ma in fondo ne parla come fosse uno slogan ormai recepito in tv e ripetuto mnemonicamente nel pour parler quotidiano.
Sento dire spesso “di tutto, di più”. Inconsciamente si adotta uno spot Rai anni Novanta, come perifrasi, come modo di parlare.
Ecco, anche la parola crisi è diventata un po’ questo. “C’è la crisi”. E’ vero. Ma qualche volta è anche una sorta di alibi-spot col quale si giustifica tutto, anche quello che si potrebbe fare pur in tempo di crisi – soprattutto se la frase consente dilazioni di pagamento a chi ha soldi in tasca o mancati pagamenti a chi li deve, quando non addirittura il no di una banca, magari ad una buona idea.

Perché se davvero la crisi morde, allora certe abitudini – tipiche di tempi andati – dovrebbero scomparire. Ma permangono. Certi piccoli grandi lussi non dovrebbero essere esibiti. Certe usanze, certi vizi, certe tolleranze, certe “liturgie” da furbetti di quartiere, dovrebbero restare negli album dei ricordi.

Spiegare come stia accadendo tutto questo, come stia cambiando il giudizio nei confronti di un Paese che ha sempre dimostrato "di saperci fare", non è semplice. Perché non è semplice parlare di economia in termini accessibili. Ma in parole povere, l’Europa non si fida più di noi. Non si fida di chi imbastisce, come Penelope, la tela della riforma delle pensioni da 20 anni, e il gomitolo è sempre lì. Non si fida di chi annuncia di tagliare Province e accorpare i piccoli comuni, e poi non se ne fa nulla (salvo dar vita puntualmente a battaglie di campanile tra chi pretende rigore ma vuol restarne fuori). Di chi grida al taglio dei privilegi, dei vitalizi, delle guarentigie. E poi vota di soppiatto qualche indennità in più.

E l’Italia – rispetto al’Europa - è come quella famiglia che pur non potendoselo più permettere, va in banca a chiedere i soldi. Poi, con quei soldi, non manda a studiare i figli, non investe su una casa, non consolida un’azienda. Ma ci va al mare.
Berlusconi è stato un interprete efficace, di questa Italia. Col sorriso stampato anche sul ponte del Titanic. Ma in fondo era quello che volevano fosse i suoi elettori. E la maggior parte degli italiani.

Quanto c’è di questa Italia in quello che facciamo?
Anche nei piccoli gesti quotidiani: nello scontrino che non ti fanno e che con sorriso accetti rimanga inevaso; nello sconto dell’artigiano perché, anziché 120 con fattura, 100 senza, conviene; nella spintarella che si continua a cercare dal politico di turno per piazzare parente o affine in qualche ufficio pubblico; nella borsa griffata o negli occhiali di moda che dal "vu cumprà" trovi a prezzo stracciato.
Ecco l'Italia delle furbizie è quella di cui l'Europa non si fida. E per fortuna non è l'unica Italia che esiste. Ma i primi a dovercene convincere siamo proprio noi.
Gli unici a dover smentire il luogo comune. Di un Paese condannato al “catenaccio” che alla fine spera sempre nel gol al 90’, per strappare un misero pareggio. Nel calcio come nell’economia. Come nella vita di tutti i giorni...

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