Il mio puzzle, i miei pezzi.Di ieri e l'altro ieri.

martedì 27 dicembre 2011

A proposito di digitale terrestre... tra ricordi e nostalgie del vecchio tubo catodico...

Per una volta scherziamoci su. Fine anno si avvicina e prima di ricapitolare, con una carrellata fotografica, quello - ed è tanto - che ci lascia il 2011, un'ultima puntatina la dedichiamo al digitale terrestre, una delle grandi novità di questo ultimo scorcio d'inverno. Novità non senza problemi, ricettivi per molti telespettatori di TRG (ancora al buio, speriamo ormai per poco, ad Umbertide e Perugino), organizzativi per la nostra emittente, che deve pianificare il da farsi per i prossimi mesi.
Intanto un pizzico d'ironia e una spruzzata di nostalgia, con sarcasmo e ilarità, ispira l'articolo dell'amico Simone Zaccagni, tratto da "Gubbio oggi", dedicato proprio al famoso switch off. E al destino, un po' mesto, toccato a migliaia di televisori di vecchia generazione. Una rottamazione poco dignitosa e ancor meno redditizia (per i telespettatori). Ma per il requiem, c'è sempre tempo...


"Non capivano perché li stavano ammassando in quel modo barbaro. Fatto sta che erano decine, forse centinaia, tutti lì insieme scaraventati, uno sopra l’altro, senza la minima premura. Venivano caricati su dei camion che settimanalmente partivano per chissà dove.
“È un nuovo olocausto” disse uno di loro. “Hai ragione, sembra proprio un campo di concentramento, di quelli che ho trasmesso sui documentari di Rai3” gli fece eco un altro. I camion partivano carichi e nuovi prigionieri arrivavano trasportati da automobili, furgoni e perfino motocarri, anche due, tre per volta. Ce n’erano di tutti i tipi, bianchi, neri, grandi, piccoli, cinesi, tedeschi, italiani, americani o giapponesi. Anche dei coreani. “Ma che sta succedendo?” domandò uno. “Non lo so, non ci si capisce niente”. Rispose un tipo abbastanza vecchio. “Però mi ricorda, proseguì, uno sceneggiato della BBC, parlava di un certo Josef K. che veniva arrestato, senza conoscere nemmeno il reato che aveva commesso e condannato a morte. Alla fine aveva accettato per sfinimento il giudizio, aveva perfino annullato la curiosità di conoscere il motivo per cui veniva giustiziato.” “Sì, me lo ricordo anche io lo sceneggiato, aggiunse un altro, si intitolava «Il Processo»”. “Invece noi dobbiamo capire il motivo di ciò che sta succedendo, altrimenti facciamo una brutta fine, sentenziò un vecchio. Innanzitutto una cosa è lampante: non c’è nessuno magro, ma siamo tutti panciuti. Cosa vuol dire? Che il mondo sta passando in mano a quelli affusolati, che vogliono farci fuori?”. Si scatenò dapprima un brusio di consenso e paura, di supposizioni assurde (la rivincita degli anoressici) e di sentenze terrificanti (non c’è più speranza, ci taglieranno il filo); poi il vociare divenne sempre più forte, fino a diventare un clamore, condito anche da qualche urlaccio. Finché, un anziano tedesco, ergendosi sopra tutti, disse una frase che in molti ricordò bei tempi: “Potevamo stupirvi con effetti speciali e colori ultravivaci…” “ma noi siamo scienza, non fantascienza” continuarono in coro altri, quasi restituiti alla normalità, alla razionalità da quello che sembrava un mantra.
E sì. Il vecchio 14 pollici Telefunken aveva riportato la calma in mezzo ad un ammasso sconfinato di televisori in via di rottamazione nella discarica di via Venata. “Allora, crucco dei miei stivali, chiese arrogantemente un Seleco, con la tua scienza, mi spieghi cosa sta succedendo?” “Semplice, se invece di stare in stand by, ogni tanto aveste ascoltato quello che stavate trasmettendo, ora non vi stupireste di essere qui” “Allora, Kaiser Franz, ce lo spieghi o no?” “Semplice, colleghi, le trasmissioni stanno passando dal digitale all’analogico, quindi quanti di noi non hanno il decoder integrato, da una certa data in poi sarebbero diventati inutili, dei semplici soprammobili, incapaci di trasmettere qualsiasi canale. In pratica, noi con il tubo catodico, ormai siamo tecnologia passata. Carne da macello”. Il silenzio li avvolse come miele, interrotto solo da qualche singhiozzo e dallo strepitio di transistor . Finché un Toshiba con le manopole disse: “Ed è per questo, allora, che in discarica non ci sono i modelli al plasma o LCD, quelli poco ingombranti, perché quei modelli sono già predisposti per la ricezione” “Sempre molto perspicaci, voi giapponesi, eh?” ironizzò un 22 pollici Philips. “Statti zitto, drogato d’un olandese, non provare ad offenderci!” un imponente Sony Bravia si era alzato in piedi e minacciava di gettarsi e schiacciare il televisore della fabbrica di Eindhoven, che aveva iniziato sfornando lampadine. I giapponesi si sa, fra di loro litigano, ma se c’è da difendere la patria e l’onore, risorge il sollevante e tutti sono fratelli, tutti pronti ad immolarsi, rispunta il kamikaze che è in ognuno di loro. “Non ti muovere, o uccido il piccolino qui”.
Un altro Philips stava minacciando con l’antenna un 14 pollici Samsung. “Fa pure, un coreano di meno nel mondo, sai che tristezza!” gli rise il Sony. “Ma perché, non sei giapponese, tu? Urlò il Philips rivolgendosi al Samsung, ‘sti musi gialli sembrano tutti uguali”. Quando tutto stava per terminare in una tragedia, spuntò da dietro la voce cavernosa di un Irradio con le valvole, sicuramente in bianco e nero, primi anni ’60: “Fermi, è inutile litigare. Proviamo a vivere insieme questi ultimi momenti di analogico”. “E come possiamo fare?” domandarono in molti, mentre il Philips richiamò l’antenna e il Sony si dissuase dal tentato omicidio-suicidio. Almeno la rissa era evitata. “Io ce l’avrei un’idea” disse uno Zenith con lettore VHS integrato (l’avvento del digitale e del dvd avevano soppiantato entrambi). “Bravo l’americano, ironizzò un Grundig, voi sì che siete bravi ad esportare la democrazia. Forza, Kissinger, dicci come fare”. “Non possiamo trasmettere, iniziò lo Yankee senza fare polemica, non abbiamo elettricità né il cavo dell’antenna, ma possiamo ricordare.” Nemmeno un’ora dopo, in questa specie di limbo catodico, in una discarica nell’immediata periferia di Gubbio, i vecchi televisori avevano cominciato a parlare di loro stessi, delle emozioni che avevano provato e fatto provare, del grido “Campioni del Mondo” di una calda domenica del luglio di qualche anno fa che ancora risuonava negli altoparlanti di un Mivar (non sembra, ma è una ditta di Abbiategrasso).
Si ritrovarono in molti che erano stati assemblati insieme, avevano viaggiato nello stesso container dalla Cina all’Italia. Alcuni che avevano passato lunghi periodi nei magazzini di un negozio di lavatrici, altri che erano stati in vetrina insieme sotto le feste di Natale e che per questo motivo erano stati venduti con il 15% di sconto. Non c’erano più frontiere né distinzioni di matricola, telaio, schermo piatto o curvo. Quelli con le valvole che parlavano con i tv con i transistor, il piccolo e giovane LG che chiedeva ad un anziano Radio Marelli se, quando le tv trasmettevano in bianco e nero, era perché il mondo fosse realmente limitato ad una scala di grigi e i colori non erano ancora stati inventati. “Io c’ero, gli rispose il veterano, quel 3 gennaio del 1954 quando Fulvia Colombo inaugurò il Programma Nazionale, l'attuale Rai 1 e sempre lo stesso giorno partì anche il Telegiornale. Alla sera prese il via La Domenica Sportiva, il programma più longevo della televisione italiana ancora oggi in onda. Mi ricordo Carosello, Lascia o raddoppia. Ho trasmesso i piedi scalzi di Bikila e lo scarpone di Armstrong, l’impronta che ha lasciato sulla Luna e sulle nostre menti.” Dall’orgoglio di un cacciatore che mostra i propri trofei la voce gli si fece cupa e proseguì: “E c’ero anche nel ’77, quando iniziarono le trasmissioni a colori. Fu proprio allora che mi spensero per sempre, ma mi tennero in soffitta, potevo sempre tornare utile. Invece non fu così. E adesso il consumismo mi ha gettato qui, sono vecchio, non rientro nemmeno nel vintage”. Un gruppetto di italiani capeggiato da un Irradio ricordava una per una le varie annunciatrici della rai: Marisa Borroni, Aba Cercato, Nicoletta Orsomando, Rosanna Vaudetti, Emma Danieli. Poi un Sinudyne iniziò a citare i vari presentatori, Mike, Pippo, Corrado, personaggi ormai entrati in famiglia, tanto che basta ricordarli con il nome, mentre un pigro Brionvega decretò: “Fino agli anni ottanta la Rai non trasmetteva 24 ore su 24. C'era una pausa di notte e un'altra dalle 14 circa alle 17. Durante queste pause veniva trasmesso il monoscopio. Ve lo ricordate? Che bello! Ipnotico, riposante.” Un Seleco vantava i suoi successi sportivi: “Io sono stato sulle maglie della Lazio di Laudrup e Manfredonia, proprio l’anno in cui venne in ritiro qui a Gubbio” disse il primo. “E te ne vanti? Quell’anno sono anche retrocessi. IO, allora, disse un Phonola, ho fatto lo sponsor alla Samp di Mancini e Cerezo ed ho perfino vinto uno storico scudetto di basket a Caserta!”. Un Grundig faceva una lezione ai più nuovi modelli (ma evidentemente non tanto da meritarsi un decoder) e spiegò che una volta non esisteva il telecomando. I giovani apparecchi chiesero come si facesse a cambiare canale. Il Grundig rispose lapalissiano: “Alzandosi dal divano e pigiando i pulsanti sul televisore”. Stupore dei giovani che aumentò quando il “maestro” disse loro che una volta sarebbe servito a poco, visto che fino al 1979 c’erano solo due canali.
Un Panasonic fece outing e confessò che a dispetto del nome era giapponese. Un Funai 15 pollici ricordava l’esplosione delle tv private e locali, e soprattutto si soffermò su TRG. “Che programmi, nei primi, eroici tempi: Tutto G, Schedinateci, Conci & Sconci, Videogol, L’Attesa, L’occhio indiscreto, Cantiere, La città domanda, Show di casa nostra, perfino Effemeridi mi piaceva…”. E fu così che, in questo campo di concentramento televisivo, i nostri compagni di tanti pomeriggi, di tanti 90° minuto aspettati rigorosamente la domenica alle 18.10 con la smania di un assetato, con quella musichetta che rallegrava tanto e lo stadio che al velocizzatore si andava riempiendo, di tanti cartoni animati imparati a memoria, di tante trasmissioni storiche, sceme, intelligenti, audaci, di protesta, talk show, reality show, Maurizio Costanzo show, passarono le loro ultime ore. Forse perché avevano trasmesso i più divertenti programmi comici, come Drive in, Mai dire gol, il TG4, Mr. Bean, i Simpson, i televisori, ancorché pressati, riuscirono ad affrontare questa agonia con il sorriso. Finché, uno dopo l’altro, si spensero. Per l’ultima volta. Switch off".

Simone Zaccagni - da "Gubbio oggi" - dicembre 2011

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