Mi sono già occupato, lo scorso anno diffusamente, in tv e su questo blog, del poderoso intervento di restauro dei Ceri, realizzato in appena 5 mesi, su tre veri e propri "monumenti lignei", oggetto di interesse (artistico, risalendo al secolo XIX) e soprattutto oggetto di culto folclorico da parte della comunità eugubina.
Cinque mesi, documentati come nessun altro avrebbe potuto fare, dalle foto e dai flash, discreti e certosini, realizzati da Sanio Panfili, ingegnere ed ex sindaco di Gubbio, appassionato di arte fotografica - per lo più in bianco e nero - cimentatosi in questa inedita impresa.
Oggi il suo percorso di immagini è raccontato nel volume "Forma e decoro", presentato alla Biblioteca Sperelliana (l'incontro sarà trasmesso stasera su TRG). Una presentazione che ho curato da semplice conduttore ma che soprattutto mi ha dato l'opportunità di conoscere da vicino l'arte che ispira Sanio Panfili, la fotografia. Ne ho già apprezzato sfumature ed interpretazioni diverse, avendo la fortuna di conoscere straordinari protagonisti di questo mondo (da Maurizio Biancarelli all'amico Paolo Tosti)... tanto da farmi pensare che nella prossima vita, forse, a ragion veduta, finirò per imbracciare anch'io una Canon...
C'è un aspetto in particolare che mi incuriosisce e affascina delle foto di Sanio Panfili. La sua, infatti, non è una documentazione scientifica del restauro svolto, non è il semplice racconto didascalico di un'opera ciclopica - non solo per le dimensioni ma per la caratura delle attese e delle attenzioni che la comunità eugubina avrebbe riversato su questa operazione.
Il risultato - del restauro - è stato scintillante (a parte l'inconveniente delle "scolature" dovute a pioggia e umidità il 15 maggio, presto risolte nei giorni successivi). Il resoconto fotografico di Panfili è a dir poco sorprendente. E mi piace raccontarlo con le sue stesse parole, tratte dalla testimonianza diretta di quello che è stato: un incarico inatteso e destinato ad una semplice documentazione, si è infatti, passo a passo rivelato come uno scoprire qualcosa di nascosto e sconosciuto. I Ceri come non l'avevamo mai visti: nelle loro "viscere", le loro interno, ma anche nella loro irriducibile potenza spaziale. Che Panfili ha egregiamente raffigurato scegliendo di "astrarre" il soggetto dal contesto del cantiere, su uno sfondo nero che amplifica (anzichè ridimensionare) il giganteggiare di questi "monumenti".
Che per taluni sono "sculture" (così li ha definiti la dott.ssa Tiziana Biganti, della Soprintendenza), sono parte dell'"architettura cittadina" (come dichiarato dall'avv. Ubaldo Minelli), "sono come altro non potevano essere", come descritto dall'avv. Marco Marchetti. Di certo non sono più le asfittiche "macchine di legno" (termine orribile e quasi offensivo) descritte nei depliant turistici realizzati con il copia-incolla e distribuiti maldestramente in città o altrove. Dove è impossibile saper descrivere la festa e men che meno lo spirito che la anima e contraddistingue.
Le foto di Sanio Panfili, invece, ci riescono. E felicemente, parlano da sole.
"Cinque mesi trascorsi per lo più all’ interno della cosiddetta “Casa di Sant’Ubaldo”, è durato il “restauro dei Ceri”; sintetica denominazione che, in realtà, comprende il restauro delle architetture lignee, la realizzazione delle nuove statue dei Santi ed il restauro di quelle vecchie, la costruzione delle nuove stanghe delle barelle. In tutto questo tempo abili restauratori del settore ligneo e di quello pittorico, uno scultore, sarte, falegnami e un’orafa hanno, con abilità, passione eugubina e ceraiola, messo la loro esperienza e professionalità al servizio di una significativa operazione che ormai da decenni non veniva eseguita...
Si è proceduto allo smontaggio completo di ogni parte dei Ceri, mettendo a nudo le strutture portanti, analizzando ed interpretando problemi e cause del deterioramento del materiale e delle parti che assicurano stabilità e sicurezza. Da qui la sistemazione delle parti deteriorate, il rafforzamento di alcune strutture, l’inserimento di accorgimenti costruttivi, tesi a ridurre il “dondolo“ del Cero, rendendolo più connesso e solidale con la barella. Tutte operazioni che hanno richiesto quella grande capacità, che soltanto grazie a decenni di esperienza nel settore del recupero e restauro ligneo, hanno acquistato gli artigiani coinvolti, i quali hanno saputo proporre ingegnose soluzioni rivelatesi di grande validità .
All’ abilità degli operatori chiamati ad intervenire sulle strutture portanti e sulle altre componenti lignee dei Ceri, si è aggiunta la grande professionalità di restauratrici del settore pittorico, che con sapiente sensibilità personale e culturale, hanno ripulito le tele dalle decennali incrostazioni provocate dall’ uso di sostate oleose, che hanno impegnato e indurito, mescolandosi con la polvere, le tele stesse,rendendole nei punti più critici (piegature, soluzione di continuità) fragili e screpolate. Quelle stesse incrostazioni che hanno, nel tempo, soffocato la cromia delle decorazioni, annullando le colorazioni più chiare e rendendo di un colore pressoché uniforme ed uguale le superfici. l’operazione di ripulitura, con certosina pazienza, grande attenzione, impegno fisico e psicologico elevati, è stata tutta eseguita meccanicamente, utilizzando bisturi capaci di consentire il distacco del materiale dai singoli fili ed interstizi costituenti l’orditura della tela. Sono così riapparsi i colori originali di fondo e quelli sovrapposti delle decorazioni, facendo risaltare la freschezza primaverile dei colori stessi e la grafia dei disegni. I mascheroni, i fregi, gli sistemi, i fiori, hanno ripreso vigore, rafforzando la testimonianza del valore d’arte dei Ceri. I colori ed i disegni ripuliti e reintegrati, denunciandone l’operazione, hanno ridato ai Ceri un’ immagine gioiosa di oggetti d’arte e d’uso, in sintonia con il carattere della festa.
Parallelamente al lavoro di restauratore delle architetture lignee si è proceduto anche alla realizzazione delle nuove statue dei Santi. Oltre alla propria bravura e capacità interpretativa lo scultore, Luigi Passeri, consapevole del significato che le statue rivestono tra i cittadini e nel contesto della festa, si è avvalso della ricerca di elementi iconografici e costruttivi. A tal fine egli ha attinto ad immagini sacre e studi anatomici, umani ed equini, alla ricerca di proporzioni che potessero rendere ben visibili l’immagine dei Santi, non tanto nella teca di conservazione, quanto piuttosto alla sommità dei Ceri. È con abili e sicuri colpi di sgorbia che hanno preso forma il volto, il corpo, i panneggi, gli arti, i dettagli di ciascuno di essi. Particolare attenzione lo scultore ha utilizzato nel realizzare il cavallo di San Giorgio, rendendolo rispondente alla tipologia della razza di appartenenza, nella forma, nella muscolatura e nel colore, utilizzando ed integrando materiali diversi per renderlo, nel contempo, resistente e piacevole. Alcune parti prese a se stanti sono delle vere e proprie sculture nella scultura, sia per forma che per dettagli.
Ad integrare l’ opera dello scultore sono intervenute abili mani di ricamatrici e sarte che hanno, con preziose, stoffe, realizzato gli abiti che avrebbero reso le tre statue rispettivamente vescovo, cavaliere, abate; infine si è aggiunto quel tocco di arricchimento ornamentale, grazie ad oggetti di pregevole realizzazione orafa, che hanno restituito l’immagine finale delle nuove.
Tutte queste operazioni sono state da me minuziosamente documentate attraverso migliaia di fotografie, scattate vivendo ogni giorno accanto agli operatori, seguendo le vari fasi, dialogando con loro. Lo stretto rapporto instaurato con gli operatori ha favorito e consentito di procedere nella raccolta del materiale fotografico con più facilità, ma soprattutto nel trovarsi lì nel momento in cui avvenivano particolari lavorazioni. Fotografare ciò che avveniva negli spazi ristretti e riadatti a mò di cantiere allestito con banconi,macchinari,legnami,attrezzature varie, illuminato con luci artificiali, di natura e intensità diverse, non è stato facile; ogni scatto doveva essere pensato e ricondotto all’esigenza fotografica, quale testimonianza documentale delle attività di restauro, evitando il più possibile l’interferenza di elementi estranei ed utilizzando al meglio una illuminazione flash che si rapportasse ai forti contrasti di luci ed ombre all’ interno del cantiere. Proprio la ricerca di equilibrate soluzioni per ottenere il meglio delle immagini e l’attenzione continua ha forse inconsciamente fatto maturare in me l’immagine dei Ceri estraniati dal contesto del cantiere.
Una mattina mi sono trovato assorto a immaginare i Ceri, aperti e per buona parte smontati, in un ambiente estraneo al cantiere ed ho visto materializzarsi nella mia mente le forme, le strutture,le singole parti costruttive, isolate da tutto quello che le circondava e che costituiva disturbo, distrazione, inquinamento, rispetto alla loro essenzialità. Ho visto i Ceri in una dimensione “astratta” immersi nel buio, dotatati di luce che ne delineava, la forma, la struttura e che evidenziava la bellezza delle decorazioni. Da questa intuizione, con la collaborazione della restauratrice Tiziana Monacelli, è nata l’idea di allestire una sorta di sala di posa, che avesse, con fondali neri, reso i Ceri isolati dal contesto circostante. Ciò ha consentito di documentare le parti finali del lavoro di restauro pittorico. I Ceri,spostati in una stanza appositamente attrezza, una sorta di sala di posa, venivano fotografati dopo le principali operazioni:metà pulitura, pulitura totale, stuccatura, restauro completato. Buona parte delle fotografie del restauro pittorico, raccolte in questa pubblicazione, sono state così riprese e riprodotte.
La stessa metodologia è stata utilizzata nel documento il lavoro per la realizzazione delle nuove statue dei Santi. Periodicamente a seconda dell’ avanzamento delle operazioni di scultura, le statue venivano fotografate di fronte a fondali appesi con geniali soluzioni che Luigi Passeri improvvisava. In questo modo l’immagine e la forma dei Santi, venivano isolate dal contesto del laboratorio e potevano essere viste nella loro essenzialità, cosi come sono qui riprodotte.
Se questo è stato possibile per le fasi di restauro pittorico e di costruzione delle nuove statue dei Santi, non lo è stato per le fasi di restauro ligneo e della costruzione delle nuove barelle in quanto il lavoro quotidiano richiedeva l’ausilio di macchinari, la contemporanea presenza di più operatori, il montaggio e smontaggio di singole parti, la verifica continua della validità delle soluzione adottate in sostanza l’utilizzo dell’intero cantiere.
Quando mi è stato proposto di realizzare un libro che ripercorresse, con un numero contenuto di fotografie, il lavoro di restauro dei Ceri e mi è stata data, nello stesso tempo, la libertà di idearlo e progettarlo, mi è subito tornata alla mente quella visione “non ambientata” dei Ceri che avevo immaginato fin dall’ inizio. È in questo senso che ho lavorato per realizzarlo. Ho pensato allora all’ ausilio di tecniche grafiche che oggi la fotografia digitale e la post-produzione consentito, per isolare dal contesto del cantiere dei Ceri e le barelle anche durante le fasi di restauro ligneo.
Questo lavoro, infatti, è stato il primo che io ho eseguito usando la fotografia digitale e non quella analogica. Gli amici fotografi, e non solo, sanno cosa penso e ho scritto della fotografia digitale.
Essa non è un’ evoluzione o semplice sostituzione del materiale sensibile della pellicola con la scheda di memoria, come taluno pensa o vuol far credere. Evoluzione e sostituzione non sono avvenute in quanto finalizzate alla ricerca di una sempre migliore qualità fotografica, quanto piuttosto ad espandere ed invadere il mercato di nuovi e più sofisticati apparecchi. L’industria fotografica non ha fatto altro che applicare l’evoluzione dell’ immagine elettronica, già utilizzata nelle riprese televisive e cinematografiche; parallelamente si è aperto ed è poi progredito il mercato della produzione di sempre più sofisticati programmi di elaborazione grafica per computer.
Nell’ era della globalizzazione dell’ immagine le fotografie scattate (in un anno vengono scattate tante fotografie quanto quelle scattate in tutti gli anni ‘80) dimostrano la grandezza di un mercato che l’industria fotografica non può che coltivare. Il “foto- cellulare” prima l’iPad ora stanno prendendo sempre più spazio e soppianteranno le stesse fotocamere digitali; i tablet avranno display più grandi, saranno sempre più sottili e soprattutto sempre più dotati di applicazione in grado di imitare i movimenti di decentramento, bascuiaggio, sfocatura, dei “vecchi” banchi ottici. Insomma per me più che un’ evoluzione della fotografia è stato l’asservimento di questa alle necessità del mercato di applicare nuove tecnologie e archiviare vecchi prodotti (macchine fotografiche, obbiettivi, ingranditori), per indurre nuove esigenze al fine di rinnovare ed espandere il mercato stesso. Oggi il file delle riprese, già elaborato dalla fotocamera, può essere facilmente e continuamente modificato con un computer da chiunque, anche non fotografo, trasformando l’elemento documentaristico della ripresa fotografica in una immagina, in parte o tutta, diversa da quella ripresa ed acquistare quel valore di elaborato grafico che rende l’immagine finale più piacevole o più brutta, ma certo diversa da quella reale.
Ovviamente anche nella fotografia analogica, in sede di camera oscura, possono essere apportate correzioni o modifiche alla fotografia stampata, ma queste dopo sono, tuttavia, limitare e richiedono un’elevata professionalità che pochi possiedono. A differenza del file il negativo resta intonso, documenta il soggetto ripreso e testimonia l’operazione di elaborazione eseguita in camera oscura. Non possono che guardare la realtà per quello che è e prendere atto, anche se a malincuore, che ad essa, violenti o nolenti,tutti,anche noi irriducibili, dovremo adeguarci. Resto però convinto che la fotografia analogica sia quella più rispondente alle esigenze di riproduzione e della realtà cosi come l’individuo la vede e la interpreta registrandola sulla pellicola e, perciò, continuo, pur nelle difficoltà di reperimento dei materiali e degli alti costi, spesso ad utilizzare la fotografia analogica ed in particolare quella in bianco e nero.
Se questa è la realtà che mi costringe ad impugnare la macchina fotografica digitale, abbandonare la camera oscura per il computer, ad aderire alla globalizzazione dell’ immagine, a rendere l’immagine fotografica meno “foto” e più “grafica”, mi sono chiesto perché non risolvere il problema delle interferenze del cantiere con processi di post-produzione ? E realizzare cosi l’idea originaria di vedere i Ceri liberi da ogni contesto, non ambientati e leggerne la “forma” ed il “decoro” per quello che sono?
È questa l’operazione condotta. I file delle fotografie che documentano il lavoro eseguito sopratutto per il restauro ligneo sono stati elaborati in “camera bianca” (il computer), prendendo la parte essenziale del Cero e rendendo nero ciò che lo circonda. In questo modo tutte le fasi di lavorazione, sia quelle riprese con fondali neri che quelle rielaborate, sono state omogeneizzate e hanno tutte la stessa essenzialità di lettura.
Per queste motivazioni ritengo che questo non sia solo un tradizionale libro fotografico ma, piuttosto, un libro “foto-grafico” che colloca la parte documentaristica del soggetto fuori dall’ originale contesto del cantiere.
Questa pubblicazione non ha, e non vuole avere, valore scientifico nel descrivere le tecniche e le metodologie utilizzate,i materiali impiegati o il perché di una scelta piuttosto che un'altra: ad altre pubblicazioni è demandato tale compito. Essa non è la testimonianza del lavoro di cantiere, essa è stata pensata e vuole essere la rappresentazione, per immagini essenziali, della forma dei Ceri, della loro struttura,degli elementi costruttivi, della visibilità di alcuni interventi eseguiti, della lettura della decorazioni, dei disegni,dei simboli,degli stemmi opposti sulle superfici, riscoperti,reintegrati e resi piacevolmente apprezzabili.
Sanio Panfili
E, aggiungo io, è una lettura - termine congruo, sebbene di foto si tratti - originale e innovativa del patrimonio culturale di cui la comunità eugubina è custode. Troppo spesso inconsapevolmente.
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