Il mio puzzle, i miei pezzi.Di ieri e l'altro ieri.

venerdì 30 marzo 2012

Gubbio-Livorno: il crocevia decisivo per crederci ancora...



Ciofani esulta dopo il pari al 93' siglato
nel match di andata (foto Settonce)
Primo, riemergere. Secondo, restare a galla. Livorno non è Grosseto, non siamo all’isola del Giglio e quello che parla non è il comandante Schettino.

Gubbio-Livorno però ha le sembianze della sfida da crocevia definitivo. Perché sei gol tutti in un colpo solo, presi in 11 contro 11, con un crollo verticale nel secondo tempo, sono una macchia che resterà. Senza alibi – come invece ce n’erano a Marassi – il tracollo dell’Olimpico è una tappa di non ritorno. O ci si sveglia oppure… puntini puntini.

L’onta granata in realtà può essere spazzata via dimostrando di esserci ancora. Dimostrandolo di fronte al proprio pubblico, di fronte ad una squadra potenzialmente ancora diretta concorrente (anche se i toscani possono vantare 8 punti in più, e di questi tempi non sono pochi).
Surraco insacca il momentaneo 3-0 del Torino,
siamo solo a metà goleada (foto Settonce)
Dimostrandolo al termine di una settimana che non poteva essere normale, nata con le contestazioni notturne di sabato e la rabbia di una tifoseria sentitasi tradita, proseguita con qualche mugugno settimanale e con l’inaspettato assist dei tifosi livornesi che con il tam tam offensivo su internet hanno finito per ricompattare tutto. E indirettamente restituire qualche chance morale in più a tutto l’ambiente eugubino.

I conti ormai non servono a nulla. E in fondo passa in secondo piano anche l’aspetto tattico: si parla di un Gubbio che si potrebbe schierare con l’ennesima novità, un possibile 4-4-1-1 con il solo Mastronunzio, araba fenice offensiva, alla ricerca del bomber che fu, supportato dal rispolverabile Buchel, giocatore corteggiato e poi esautorato da tutti gli allenatori che si sono susseguiti quest’anno sulla panchina rossoblù.

Sandreani nel match dell'"Ardenza"
(foto Settonce)
Potrebbe tornare l’ora di Lofquist, fisicamente recuperato, potrebbe rientrare in corsa anche Graffiedi – che però lamenta una condizione lontana da quella vista fino a gennaio. Di sicuro torneranno a disposizione Sandreani e Mario Rui, mentre in difesa potrebbe addirittura scoccare il ritorno di Farina, personaggio copertina da qualche mese, costretto ad un ruolo discreto sia davanti ai microfoni che in campo.
Quel che conta sarà il modo con cui la squadra scenderà in campo, la voglia e la determinazione che dovranno condire questo e i prossimi confronti.

Non solo perché non si può dare ancora tutto per perduto – e il deferimento in settimana del Crotone conferma che val la pena lottare fino alla fine anche contro la matematica stessa, sempre in attesa dei verdetti sulla bagarre scommesse.

Ma soprattutto perché ci sono tanti modi di perdere e ammainare bandiera: ma la nave – come recitava uno striscione dei tifosi rossoblù ad Ascoli nel gennaio scorso - non va mai abbandonata. Questo sì, più che un gol al 93’, sarebbe l’errore imperdonabile…


Copertina de "Il Rosso e il Blu" - venerdì 30.3.12
musica di sottofondo: "Prisencolinensianciusol" - A.Celentano (1972)

mercoledì 28 marzo 2012

La Gubbio che fu, la Gubbio che non c'è più... Una riflessione senza peli sulla lingua...


Sicurezza. Magari se ne è parlato molto la scorsa settimana a Gubbio - anche sulla scorta di nuovi episodi di microcriminalità, anche in pieno giorno. In queste ultime ore il tema continua a tenere banco. Mentre si attende di sapere cosa farà l'Amministrazione comunale, mi piace sottoporre ai lettori del blog questa riflessione inviatami dal dott. Massimo Capacciola - autore tra l'altro del libro "L'Ottava Tavola" (edito da TMM), di cui mi occuperò prossimamente sia sul blog che in tv - che analizza come la vecchia Gubbio sia cambiata (e non poco) anche alla luce di questa escalation di cronaca. Un contributo di idee e analisi che ritengo prezioso, soprattutto perchè arriva da chi ha raccontato la storia millenaria di questa città (appunto, attraverso "L'Ottava Tavola") ricamandone un affresco di straordinario fascino e appassionante curiosità... Con passaggi forti, anche di autocritica pesante per la nostra comunità: pesante ma inconfutabile. "Il male è dentro di noi", scrive Capacciola, dentro l'apatìa di una comunità che si aggrappa ad un precario presente dimenticando il florido passato. Ma il presente - tra inchieste, rapine, spaccio e violenze, ma anche una classe politica inadeguata alle necessità e alle gravi carenze della società attuale - appare anni luce lontano dal fulgido passato...
GMA


Massimo Capacciola, autore de "L'Ottava Tavola"
Il tappo sembra saltato, sembra che la vecchia Gubbio che conoscevamo sia finita: sono ormai alcuni mesi che la malvivenza sembra essersi data appuntamento a Gubbio, con singolare puntualità e puntiglioso accanimento. Non esiste la micro-criminalità se non in sociologia: anche il più semplice misfatto innesca una sequela di reazioni emozionali difficilmente prevedibili e controllabili dall'Autorità. Non più solo spaccio di stupefacenti, quindi e bravate notturne, anche contro le scuole, nonnismo incluso; adesso si assiste increduli a scippi e furti in pieno giorno, molesti sessuali a donne e bambini ai giardinetti, fallimenti fraudolenti di solide industrie locali, efferati omicidi in località a noi limitrofe e da ultimo la incredibile campagna giudiziaria nei confronti dell'Amministrazione comunale trascorsa.
Tutto questo sembra indicare un deterioramento complessivo ed irreversibile della qualità della vita, del benessere percepito dalla nostra comunità. Vi sono indicatori ben noti che possono spiegare tale esito drammatico di una piccola società che tuttavia ha trascorso quasi indenne gli ultimi decenni. La forzata immigrazione dall'Est Europa che il trattato di Schengen ha favorito, i mai interrotti flussi migratori dal Nord Africa, hanno reso le nostre terre, popolate da clandestini e regolari, appetibili da tutti coloro che non disdegnano di prestare opera in settori agricoli o industriali, snobbati dagli italiani. Se il posto di lavoro poi non si trova, la malvivenza organizzata recluta tutti: regolari e non. Esiste quindi il dato allarmante di una demotivante condizione dei nostri giovani al lavoro manuale, scarsamente remunerativo, faticoso e in definitiva poco nobile, quasi dequalificante.
La sopraggiunta crisi economica non sembra, poi aver stimolato all'agire, anche solo per necessità, anzi aumenta l'inedia, la sfiducia, la passività: si invoca tutt'ora il sussidio statale, un aiutino dalle Amministrazioni locali che alimentano solo illusioni ed assistenzialismo e debito pubblico. La via dello spaccio di droga sembra costituire una scorciatoia, seppur rischiosa, per illudersi di guadagnare, mentre la disgregazione dei nuclei familiari non garantisce ai figli di apprendere da subito la disciplina degli istinti tramite l'insostituibile educazione dei genitori.  Nel frattempo il crimine avanza e disorienta, spaventa, immobilizza.

Sul piano della repressione e della prevenzione la nostra Amministrazione deve fare di più a cominciare dall'ipotesi d'implementare al più presto un nuovo Commissariato di Polizia che irrobustisca le scarse, pur se encomiabili, forze dell'ordine storiche dei Carabinieri, Guardia di Finanza, Vigili del Fuoco e Guardia forestale. Occorre potenziare il controllo del territorio facendo ricorso alla tecnologia con il contributo anche di volontari per la sicurezza. Anche qualora si potenziassero le forze dell'ordine, però, il nocciolo del problema rimarrebbe sempre inevaso. Il male è più nascosto, celato da ciò che resta di un modello di vita superato, a motivo di una stagione folle vissuta al di sopra delle proprie possibilità.
Il male è dentro di noi, nel mezzo dei rapporti umani con cui ci costituiamo in società; il nostro male di vivere ha cancellato l'iniziativa e l'operosità, il senso del dovere ed una severa capacità d'autocritica. Il male è una categoria inalienabile dalla natura umana, tuttavia il comportamento umano generoso e responsabile è in grado di ricomporre quella unità di intenti che ha costituito, nel passato, la nostra identità di popolo operoso, povero certo, ma anche onesto e giusto. A forza di far valere solo indicatori economici quali il PIL o lo SPREAD, la crescita o la decrescita di questi indici è in grado di decidere il destino di interi popoli: un popolo non si può giudicare dalla capacità di innalzare il prodotto interno lordo ma dal coefficiente di reattività morale e spirituale, dall'impegno etico-solidaristico che sana contrasti e frena le divisioni.
Le liti cittadine placate dal Vescovo Ubaldo
Gubbio è malata perché divisa ed è divisa perché ha dimenticato la sua storia, fatta di discordie e faziosità, è vero, ma che tuttavia si ricomponevano, quando il nemico fosse stato alle porte. Oggi, che il nemico è dentro di noi o forse siamo noi, dobbiamo appellarci alla coscienza individuale di ciascuno, nessuno escluso, al di là del colore dei partiti o degli interessi economici di parte, del credo religioso per uscire insieme.
Ci sono fattori umani che non possono essere conteggiati e quindi non possono essere comprati che, se presenti nello spirito di un popolo, possono decidere del nostro destino: l'intelligenza, l'amore, la fraternità, la creatività, la carità, la lealtà, l'inventiva, la fiducia, la laboriosità, la speranza, il senso religioso.
Questo è il nostro programma per uscire dalla crisi: riscoprire il fare insieme dopo aver fatto la conta di chi ci sta.
La politica eugubina, da sempre ma sopratutto in questo ultimo periodo, ha dato un miserevole spettacolo di opportunismo e di cinismo, assestandosi su posizioni eccessivamente conflittuali e di basso profilo: la stanca deriva dei colpevolisti e degli innocentisti dimostra l'ottusità di chi non ha capito ancora che questa storia riguarda tutti. I reati, se di reati se ne troverà traccia, saranno puniti secondo la legge umana; ma più ancora dei reati sarà importante comprendere quanto, questa pagina di storia, ci avrà cambiato.
L'esperienza è un'insegnante severa che prima ti interroga e poi ti spiega la lezione: è come se avessimo, da giovani, imparato la lezione, un mestiere per poi da adulti praticarne un altro. Non vorrei che imparassimo le lezioni della vita quando queste non ci serviranno più.
Massimo Capacciola

martedì 27 marzo 2012

Buone notizie per i nostri figli: uno su tre diventerà centenario... Domanda: fino a che età dovrà lavorare?

Il traguardo del secolo di vita potrebbe essere la realtà per i bimbi nati nel 2012. Almeno secondo le previsioni dell'Office for National Statistics (Ons) inglese. Il report pubblicato dall'organismo governativo afferma che un bimbo inglese su tre venuti alla luce quest'anno potrebbe arrivare a vivere 100 anni. I ricercatori suggeriscono che saranno le donne ad avere più possibilità di festeggiare il centesimo compleanno rispetto ai maschi: quasi il 40% delle bambine rispetto a poco meno di un terzo dei maschi raggiungeranno l'ambito traguardo.

Secondo i dati Ons, riportati dal 'Telegraph', il numero di centenari (o ultracentenari) è aumentato negli ultimi 40 anni: si è passati dai 600 del 1961 a quasi 13.000 del 2010. Ma, per gli esperti di statistica, entro il 2060 ci saranno 456.000 persone con una carta d'identità davvero speciale.

Il rapporto dell'Ons inoltre avverte che "più di 95.000 persone che compiranno quest'anno 65 anni, celebreranno il centesimo anno di vita nel 2047. Secondo gli ultimi dati ci sono 826.000 mila bambini con un'età inferiore a un anno in Gran Bretagna, 423.000 maschi e 403.000 femmine. Di questi - evidenzia la ricerca - 135.000 uomini e 156.000 donne, nati nel 2012, dovrebbero essere ancora essere in vita all'età di 100 anni".
Ad allarmare gli esperti, però, sono gli effetti del crescente invecchiamento della popolazione, che "avrà probabilmente un impatto significativo sulla stabilità economica del welfare e dell'assistenza sanitaria per questi anziani".

Ed ecco che alla positività di una notizia del genere (i nostri figli potranno godere di una vita più longeva della nostra) si affianca un quesito alquanto attuale - specie nel sistema del welfare di casa nostra: fino a che età dovranno lavorare se le aspettative medie di vita si amplieranno in maniera così sensibile?
E a quante riforme delle pensioni dovranno assistere prima di capire quando potranno smettere di lavorare?

Domande fin troppo peregrine e quasi oziose per noi papà che avremo certamente un'ipotesi di vita inferiore (la media dei 90 anni è già un successo) e che soprattutto - pur essendo già da tempo in età lavorativa - siamo combattuti per un quesito da porre a monte (o forse, è il caso di dire, a Monti): fino a quando dovremo lavorare noi, tagliati fuori dalla riforma Dini e ancora sconosciuti alle prospettive del nuovo welfare del governo tecnico?
E più che altro, riusciremo noi, attuali 40enni, protagonisti dell'era del precariato, ad avere una pensione?
In questo momento una risposta, convincente su questo interrogativo, sarebbe più auspicabile che non l'aspettativa di diventare centenario...
Se non altro, per sapere come arrivarci...

lunedì 26 marzo 2012

Torino: la debacle e il timore... che il giocattolo si rompa del tutto...

Pochi ma pazienti... all'"Olimpico" di Torino (foto Settonce)
Problemi digestivi? Provate a chiedere ai tifosi del Gubbio. Qualcosa avranno sicuramente escogitato, in questo weekend. Perché non basta un alca-selzer di quelli in vendita dal pizzicagnolo di fiducia per mandar giù una sconfitta come questa.

Ci sta di perdere all’Olimpico di Torino, e nessuno si illudeva che quello che non era mai successo in tutta la stagione potesse accadere niente meno che in casa della capolista. Ma ci sono tanti modi di perdere.
E’ stato invece proprio il Gubbio a trasformarsi nella medicina miracolosa che ha rigenerato l’undici di Ventura – dato in crisi da qualche settimana.

La grinta di Bianchi
(foto Settonce)
Sei gol, tutti in un colpo solo, con le doppiette di Bianchi (la prima stagionale) e Antenucci, e l’esordio con rete dopo 120 secondi di Cristian Pasquato. Un 6-0 che non ha attenuanti per il Gubbio, lontano parente dello stesso verdetto numerico del 4 settembre scorso, a Marassi. 12 gol incassati nei due stadi tempio del calcio, per la serie cadetta. Ma stavolta non c’è Calvarese di Teramo a giustificare la debacle.

C’è una squadra che regge 40’ l’impeto, neanche insostenibile, della formazione di casa, tiene anche bene la diga per quasi un tempo. Poi al primo scricchiolìo, il crollo totale: l’1-0 regalato con situazione difensiva quasi imbarazzante – attaccante spalle alla porta che viene lasciato entrare praticamente col pallone in rete – e nella ripresa partita che dura lo spazio di 46 secondi, quanti ne bastano a Guberti a fiondarsi sulla fascia indisturbato a servire Antenucci che tutto solo segna un gol così facile da credere che sia solo un allenamento.

E così, come un cameriere che tiene a malapena una pila di piatti, il Gubbio si ritrova d’un colpo steso sopra i cocci di un sabato pomeriggio da incubo. Appesantito e non poco, anche dalle concomitanti vittorie di Ascoli e Nocerina: che avranno pure goduto di chiare sviste arbitrali (due gol in fuorigioco donati ai bianconeri, due rigori invertiti per i campani) ma loro continuano a lottare e a crederci.

Dopo la debacle, l'accoglienza non può
che essere questa ...  (foto Giornale dell'Umbria)
Squadra irriconoscibile, tensione agonistica prossima allo zero, situazione di sostanziale incapacità a rendersi pericolosi in attacco: è questa la radiografia del Gubbio visto in definitiva all’Olimpico. La sensazione peggiore che viene in mente dopo una gara del genere è il senso di inadeguatezza rispetto alla categoria: dimostrato in campo e confermato anche dopo con il silenzio di tutti al 91’.
I tifosi non ci stanno, qualcuno ha ironizzato – intonando il miserere a fine gara fuori dallo stadio - parecchi hanno scelto la contestazione fin da sabato notte. Difficile biasimarli, anche se ogni protesta deve restare sempre nei binari della civiltà. La delusione è tanta. Tangibile.

Gigi e Marco, delusi e "abbacchiati":
proprio come i tifosi rossoblù (foto Settonce)
Da inguaribili sognatori, continuiamo a pensare che 10 partite da giocare lascino ancora delle chance.
Ma non ad una squadra come quella vista all’Olimpico, non con giocatori che mostrano in campo con la stessa tensione agonistica che si sente a luglio nell’infilare un paio di infradito.
Eppure qualcosa di buono deve esserci, se finora sono stati messi insieme 27 punti. Ora non conta più chi c’è e chi manca (ad esempio, Bazzoffia, mai rimpianto come oggi). Conta raccogliere le energie rimaste, la rabbia, le motivazioni che un’umiliazione come quella di Torino deve pure smuovere. E sicuramente l’orgoglio dei giocatori che questa serie B si sono guadagnati sul campo (come dimostra la prova di Boisfer, che a Torino è stato forse l’unico a poter uscire a testa alta).
Conta lottare, finchè c’è possibilità di farlo: perché perdere e retrocedere ci può anche stare ma non rovinando tutto, non finendo anche per rompere definitivamente un bellissimo giocattolo…


Copertina di "Fuorigioco" - lunedì 26.3.2012
musica di sottofondo: "Zombie" - Cranberries (1995)

venerdì 23 marzo 2012

Scocca l'ora dell'"Olimpico" di Torino: serve il Gubbio umile e determinato delle grandi imprese...




Stadio Olimpico di Torino. Siete collegati in diretta per la radiocronaca di Torino-Gubbio, valida per la 32ma giornata di serie B”.

Diciamoci la verità, solo due anni fa una frase del genere sarebbe stata negli angoli reconditi delle velleità oniriche del più caldo dei tifosi rossoblù. Immaginare di essere a Torino contro la squadra granata, per una gara di campionato, era un po’ come vedersi alle Bahamas dopo un 6 al Superenalotto.
In questi due anni è successo di tutto, compreso il 6 al Superenalotto, compreso il Gubbio in serie B. Ed è successo anche che i rossoblù l’abbiano pure battuto il Torino, addirittura due volte – la prima per gioco, nel triangolare Mancini dell’agosto 2010, la seconda sul serio, con la stoccata di Daniel Ciofani il 24 ottobre scorso.

La prima in panchina per Simoni...
e il Torino andò giù 1-0 (foto Settonce)
Era il debutto in panchina per Gigi Simoni, era un Gubbio ancora a 7 punti e alle prese con la capolista imbattuta del campionato.
Successe quel che successe e di acqua sotto i ponti, da quel lunedì sera, ne è scorsa copiosa. Simoni ha avuto i suoi alti e bassi, in fatto di risultati, dopo l’avvio incoraggiante (7 punti in 3 gare, compreso il pari in zona Cesarini firmato ancora da Ciofani sul Livorno di Novellino). Che la ruota poi abbia girato in senso opposto si è capito proprio da quel che accadeva negli ultimi minuti: dopo il pari all’Ardenza e la vittoria sul Cittadella sono arrivate pian piano anche le beffe, soprattutto nel 2012 con le sconfitte di Ascoli e Nocera e il pari del Crotone, tutti maturati al 90’ o giù di lì.

Donnarumma: all'"Olimpico" una delle prove
più difficili della stagione (foto Settonce)
Ora si riparte dal Torino e si riparte da Marco Alessandrini, che ha avuto appena una settimana di Car, per ambientarsi in una piazza che conosce a menadito, e assumere in toto le redini della squadra.
Il passo indietro di Simoni – volontario o meno – gli fa onore, perché al di là delle decisioni prese in campo (che poi siamo abituati a giudicare solo in base al risultato) è certamente uno che la faccia ce l’ha messa sempre, da direttore tecnico e poi da mister. Ora torna dietro la scrivania da dove comunque un contributo sostanziale può continuare a garantirlo, come era avvenuto nel biennio di Torrente e come lo stesso trainer di Cetara gli ha riconosciuto qualche settimana fa nel ricevere la panchina d’oro 2011.

Per Marco Alessandrini, domani, all'"Olimpico"
di Torino il ritorno a pieno titolo sulla panchina rossoblù
Di che colore sia invece la panchina di Alessandrini, domani all’Olimpico, lo capiremo dall’evolversi della partita, dall’atteggiamento, mentale prima che tattico, della squadra rossoblù.
Più che i numeri – si profila un 4-1-4-1 – conta infatti la testa con cui si scende in campo. Timore reverenziale sì ma deve durare lo spazio della corsetta a metà campo. Poi dal fischio d’inizio non conterà più dove sei e contro chi giochi. Conta pensare che serve assolutamente un risultato positivo, che farebbe mai come stavolta morale oltre che classifica.
Per una squadra cui in trasferta più che l’esperto di numeri – appena 4 punti su 45 disponibili – forse ci vuole lo psicanalista.
E chissà che Alessandrini, arrivato nelle strane vesti di motivatore, non si scopra un po’ anche questo…

 
Copertina de "Il Rosso e il Blu" - venerdì 23.3.2012
musica di sottofondo: "Wisemen" - James Blunt (2005)
 

giovedì 22 marzo 2012

Inchieste, furti, molestie... e purtroppo non è una fiction con Terence Hill. E' Gubbio...

E' stata una giornata interminabile. Come di rado se ne vedono alle nostre latitudini. E così questo 22 marzo va agli archivi con una striscia di notizie di cronaca che anche temporalmente hanno abbracciato l'intero arco della giornata. Ma che lasciano dietro di sè una scia di preoccupante inquietudine...
Il riferimento non è tanto alla prima delle novità - in ordine cronologico - il rientro a casa dell'ex sindaco Goracci (carcere convertito in domiciliari, su richiesta dei suoi difensori, accolta dal Gip), capitolo comunque importante di una vicenda che dal 14 febbraio catalizza l'attenzione dell'opinione pubblica cittadina.
Sono altri i fatti che di questo 22 marzo pesano, eccome. Su tutte la notizia di una presunta molestia sessuale di un 60enne ai danni di una bambina di 7 anni (agghiacciante...). E l'ennesimo furto, stavolta in pieno centro, in pieno giorno, e con e dinamiche che somigliani molto più ad una Scampìa che non ad una cittadina umbra di periferia.

L'abitudine alle azioni criminose e alle volanti dei Carabinieri c'era, ma solo nelle settimane in cui la fiction di "Don Matteo" girava le sue scene. Ormai dal 1998 la presenza di Terence Hill e Nino Frassica è familiare: ogni tanto ci scappa il morto, ma per fortuna gli spari sono a salve e il sangue è quello artificiale dei costumisti. Ricordo che un giorno - eravamo ancora nella vecchia sede di Trg in Corso Garibaldi - ci arrivò una chiamata urgente per una rapina nella vicina sede delle Poste, una voce trafelata ci disse di correre. Andammo al volo, ma l'angoscia fu subito placata dal vedere che si trattava della troupe di "Don Matteo" che stava girando una scena (evidentemente molto realistica) che aveva indotto in errore l'anonimo telespettatore che ci aveva contattati.
Negli ultimi mesi invece della troupe di Lux Vide non si è vista più l'ombra (anche se si parla a breve di una nona serie), mentre i (nostri) tg e le pagine di quotidiani si sono riempiti di "spaccate", furti notturni in abitazioni (anche con aggressioni come qualche sera fa a Padule), ed ora perfino un colpo in pieno giorno a volto scoperto. Un'escalation molto preoccupante, perchè non ci sono solo i numeri, i dati, le refurtive. C'è soprattutto il senso di "insicurezza" diffusa che aleggia nella popolazione.

"Non siamo più sicuri neanche dentro casa" ripetevano gli abitanti di Ramazzano intervistati da Elisa Neri per lo speciale "Link" sulla morte del povero Luca Rosi (nella foto, la compagna Mery, per difendere la quale il giovane bancario di Ramazzano è stato ucciso). Ma se la vicenda del bancario ucciso davanti agli occhi del nipote e dei familiari è la punta estrema di un curriculum di fatti di nera, la realtà è che questa pellicola si infittisce di episodi come mai in passato.
Lasciando spazio alla paura e in qualche caso anche a reazioni scomposte (soprattutto verso gli extracomunitari) sebbene in parte comprensibili.
Cosa fare? Quali misure adottare, a parte maggiori precauzioni per le proprie abitazioni e per la propria famiglia (il tempo di lasciare chiavi sulla porta o auto a quattro freccie lampeggianti con chiave inserita, fanno parte del modello vintage di educazione civica).

Qualcosa, a livello di dibattito, in città si muove. Ma per ora siamo ancora nella sfera del "parlato", del "promesso", del "provvederemo". Tutte buone intenzioni, di cui sappiamo quali strade siano lastricate. Nel frattempo le intenzioni (tutt'altro che solidali) dei malviventi continuano a dimostrarsi molto più concrete.

Il dibattito civico trova un nuovo soggetto protagonista, che se non altro sul piano della sollecitazione e del pungolo, rappresenta una novità e una risorsa. Parlo del Comitato Sicurezza e Legalità - un gruppo di giovani che da tempo lavoro su questo fronte con proposte e suggerimenti interessanti.
Nell'ultimo dei suoi comunicato l'invito è perentorio: "ormai la parola d'ordine è: muoversi!".
Tra i progetti “a lunga scadenza” in materia di sicurezza c'è quello che prevede l'utilizzo di volontari civici come deterrente per prevenire atti vandalici, spacci di sostanze illecite, salvaguardia del territorio comunale e, non ultima, della criminalità notturna. "Non vogliamo si parli di “ronde”, dato che queste impiegano storicamente funzionari armati d'intervento e riteniamo che questa funzione debba essere prerogativa delle forze dell'ordine; tuttavia l'impiego di volontari che fungano da segnalatori di illeciti nella nostra città potrebbe essere un elemento in più per difendere Gubbio e nostri concittadini. Sappiamo, però, che questo progetto non è possibile realizzarlo in breve tempo, in quanto ha bisogno di un buon numero di volontari e soprattutto di una programmazione dettagliata e solida, che comprenda anche le dovute precauzioni per preservare l'incolumità stessa dei volontari".

Valutazione saggia, quella di evitare il termine "ronde". Perchè in Italia basta usare una sola parola sbagliata (o politically scorrect, ci verrebbe da dire, in termine maccheronico) che subito si viene etichettati politicamente o eticamente. La parola "ronde" richiama una delle campagne della Lega nord, su cui si è ironizzato molto più di quanto non si sia riflettuto in termini costruttivi. E da queste parti - dove l'ideologia ha ancora un ruolo nevralgico - non avrebbe nè futuro nè speranza di attecchire.
Qui però non si tratta più di litigare per qualche neoleogismo, perchè i furti aumentano, ogni giorno, e il senso di precarietà (non solo lavorativa) è incipiente. Il rischio è che poi il cittadino provveda a difendersi da solo, con conseguenze che è facile immaginare.

Il Comitato Sicurezza e Legalità annuncia che nelle prossime settimane presenterà un programma di interventi in materia di sensibilizzazione ed educazione della cittadinanza alla Sicurezza, in maniera tale da porre in essere le basi per una prevenzione che parte dal cittadino stesso. Prevista una serie di incontri con la cittadinanza, sia al centro che nelle frazioni, per far sì che la sensibilizzazione raggiunga il maggior numero di persone. Destinatario del piano sarà anche l'assessore comunale alla Sicurezza, Fabio Menichetti,che da tempo sta parlando e progettando interventi concreti (anche con utilizzo di telecamere). Speriamo che alla buona volontà faccia seguito anche la collaborazione degli altri assessorati (al Bilancio, soprattutto).

La sicurezza non può essere considerata un bene elitario, nè essere delegata alla sola buona volontà dei cittadini - che già danno segnali di grande responsabilità, come dimostrano le iniziative del Comitato.
Sono le istituzioni, in sinergia con le forze dell'ordine, a dover garantire una presenza e un'impronta efficace. Anche solo per dissuadere i malintenzionati, per dare l'immagine di una comunità che ha in sè gli anti-virus della microcriminalità. Talvolta, per questo, bastano anche piccoli segnali: ma decisi e perentori.
Speriamo di averne presto notizia...

martedì 20 marzo 2012

La festa del papà... Ricordi e una riflessione (con tanto di test...)

"Auguri papà!".
E pensare che la "festa del papà" non mi ha mai fatto nè caldo nè freddo. Mio padre non si è mai appassionato a queste che considera "ricorrenze da discount", figlie più del marketing commerciale che non di sincere vocazioni familiari.
Gli auguri sì, per compleanno e onomastico (ci ha sempre tenuto, silenziosamente)... ma poco altro. E anch'io sono cresciuto pensandola un po' così. Poco spazio ai fronzoli, alle liturgie barocche di un calendario parallelo e artificioso rispetto a quello (quotidiano) dei sentimenti veri. Fatti magari spesso anche di silenzi... ma mai senza senso.
Ho sempre pensato che in fondo, il 19 marzo, fosse come il 14 febbraio o l'8 marzo. Date buone per ricordarsi di qualcosa che in realtà dovremmo alimentare tutti i giorni. Come un bella pianta in casa... se la innaffiassimo solo il giorno della "festa delle cocce" non credo avrebbe lunga vita.


Eppure, quando ti trovi a vestire i panni del papà, quello vero, tanti dettagli cambiano. Non pensi più che il 19 marzo sia una data istituita dalla Nestlè, non fai più caso al fatto che la vera tradizione - quella che ricordi perchè l'hai vissuta anche da bambino - siano in realtà "i focaroni" di San Giuseppe (che quest'anno qualche valente burocrate ha visto bene di proibire, con tanto di spiegamento di forze di Polizia e Vigili del Fuoco - mentre qualche ladro svaligiava indisturbato una profumeria della periferia eugubina...).
In realtà basta una piccola poesia, scritta all'asilo, o una composizione con un disegno, realizzati su un banco di scuola - e soprattutto lo sguardo sorridente di tuo figlio che la recita o te la mostra - che subito tutto si scioglie in un abbraccio. E giungi alla conclusione che in fondo, questo 19 marzo, faccia bene; sia come una carezza. Che può sembrare banale, a vederla da fuori: ma dentro si sente, forte e intensa.

In realtà il 19 marzo di quest'anno mi ha riportato indietro di 7 anni, ad un altro 19: stavolta è quello di novembre, la data di nascita del mio Giovi.

C'ho ripensato leggendo un'indagine diffusa da Diessecom - agenzia di informazione specializzata - secondo cui ci sarebbe una stretta relazione - secondo i dati Istat - tra la presenza dei padri in sala parto e i fallimenti matrimoniali. Francamente non riesco a capire quale. E' solo un confronto statistico, e in fondo la statistica è quella scienza per cui - come disse Trilussa - se un tipo opulento si "pappa" due polli e un disgraziato resta a digiuno, in media hanno mangiato un pollo a testa.
Comunque, tornando a questa indagine (che mi appare un po' cervellotica) chi assiste alla nascita del figlio ha maggiori probabilità di finire davanti all'avvocato qualche anno dopo. Personalmente mi consolo dal momento che in materia ho uno spread del 50%: ho assistito alla nascita di un figlio su due (la seconda, Vittoria, aveva già fatto capire di essere un tipino che non sente ragioni, podalica dal quinto mese non si è spostata di un centimetro e ha imposto, con l'energia e la risolutezza che poi averi constatato, il parto cesareo). Uno su due, dunque me la gioco come il rosso e il nero alla roulette.

Chissà a quali elucubrazioni giungerebbe il benpensante studioso di numeri che ha elaborato questa teoria, se sapesse in quali dinamiche, condizioni e stato d'animo sono entrato, quella mattina di novembre, intorno alle 8.30, in sala parto, mentre un ginecologo che fino a quel momento avevo frequentato per motivi professionali (era l'allora capogruppo Ds in Consiglio) mi infilava una cuffia e una parananza verde addosso.

Ero reduce da un'ennesima rassegna stampa mattutina, come da copione, che non avevo potuto "appaltare" a nessuno dal momento che le doglie erano sopraggiunte solo alle 3 del mattino e che mia cugina (ostetrica) aveva pronosticato dopo visita extramoenia (anzi, intra camera da letto) il lieto evento non prima dell'ora di pranzo. Evidentemente Giovanni non era dello stesso avviso, perchè in meno di un'ora si è aperto il varco, io trafelato avevo appena fatto in tempo a imbucarmi in sala parto "ai tempui supplementari" e alle 9 piangeva tra le mie braccia, mentre ero alle prese con una sorta di paresi facciale - un'emozione che non ricordo di aver mai vissuto nè prima nè dopo, in tutta la mia vita - che mi impediva pure di aprire bocca e parlare (una delle poche cose che in genere mi riesce).
Ricordo che al telefono mia suocera (ancora ignara di quello che era accaduto) non mi aveva riconosciuto e forse pensava che fossi un tizio che voleva appiopparle una nuova tariffa telefonica.
Il mio 19 novembre 2004 meriterebbe un capitolo a parte (e forse un giorno glielo dedicherò, su questo blog). Per ora mi è tornato in mente, per la frenesia e l'escalation che ne ha segnato i momenti cruciali, lo tsunami emozionale da cui sono stato felicemente travolto, lo sguardo di mia moglie, diventata madre, e quel peso gracile, flebile ma assolutamente eccezionale che mi sentivo addosso, nel momento in cui l'ostetrica - credo proprio mia cugina Lucia - mi porse Giovanni in braccio.

Alla fine mi vien da pensare che l'indagine sulle presunte correlazioni tra assistenza al parto e crack familiari possa essere una panzana, buona comunque per una oziosa conversazione al bar o dalla parrucchiera (per chi avesse interesse - comunque - riporto in basso un test elaborato per capire a priori se siete in grado di poter entrare in sala parto)... quanto alla "festa del papà" invece è una giornata fantastica: soprattutto se riesci a festeggiarla tutti i giorni. Non solo per il disegno e la poesia, non solo per l'abbraccio e il bacio dei tuoi figli, ma per lo scrigno di ricordi che aiuta a spolverare...
Il ricordo è la pietra più preziosa che si possa custodire, per rivivere le emozioni più forti. Per respirare ancora del tempo che si è vissuto. Per restare (o tornare) se stessi...



Indagine diffusa da Diesscom
IL PAPA' DEVE ASSISTERE AL PARTO? UN TEST CHIARISCE COSA FARE
Papà in sala parto, si o no? Bisogna fare attenzione: la presenza del padre durante il parto potrebbe essere un rischio, per la salute del neonato e per la stabilità del nucleo familiare. «A volte il marito può portare in sala parto ansie e problematiche che dovrebbero essere estranee ad un momento così delicato, in cui c’è in gioco una vita fragilissima - sottolinea Riccardo Ingallina, direttore del reparto di Ostetricia e Ginecologia della Casa di Cura Villa Pia di Roma - E le conseguenze più gravi possono ricadere sul neonato, ma anche sulla mamma, in termini fisici e psichici. E’ fondamentale la massima attenzione durante le ultime ore della gravidanza. Nella nostra struttura ogni anno ci occupiamo di far nascere 600-700 bambini, seguendo le future mamme per lungo tempo, prima, durante e dopo il parto. Sarebbe meglio optare per un parto personalizzato, in quanto quello abituale e comune è impersonale e poco umanizzato».

Dalle ultime indagini, sembrerebbe che gli uomini stiano riscoprendo il piacere di essere padri. I dati ISTAT sono chiari: nel corso del travaglio in circa il 60% dei casi il marito si colloca al primo posto tra le persone vicine alla donna in sala parto. Ma la tendenza che sorprende è un’altra: si verifica un più elevato numero di fallimenti matrimoniali nelle regioni in cui i papà partecipano di più al parto. Nelle Regioni del Nord Ovest d’Italia, otto mariti su dieci assistono al parto, e si separa una coppia su 2,5. Al Centro, i papà presenti sono il 63%, mentre le separazioni sono una su 4,5. Nelle Isole Maggiori, solo la metà dei mariti o compagni è presente: qui le separazioni sono una su 7. Nel Sud il marito entra meno in sala parto, solo 30 su 100, e le separazioni diventano soltanto una su otto.
Il monito viene anche dall’estero. Secondo il ginecologo francese Michel Odent, pioniere del parto naturale, durante il parto la figura maschile dovrebbe essere assente. Non si parla solo di papà ma anche di infermieri ed esperti. In alcuni casi tale presenza provocherebbe anche il cesareo. A Roma presso la Casa di Cura Villa Pia è stata messa a punto un semplice test psico-comportamentale volto ad aiutare e a capire se il papà in questione abbia o meno la propensione alla genitorialità. Se alle seguenti domande si ha un punteggio maggiore o uguale a 10, il padre può essere presente.

Domande per la (futura) mamma:

1- Lui si accorge se Lei ha qualche problema?

a. Sempre (2 pt )
b. talvolta (1 pt)
c. quasi mai (0 pt)

2- Lui ricorda il suo ultimo flusso mestruale ?

a. Esattamente (2 pt)
b. a volte (1 pt)
c. mai (0 pt)

3- Vedete insieme la TV?

a. Sempre (2 pt)
b. talvolta (1 pt)
c. mai (0 pt)

4- Lui l’accompagna dal dottore ?

a. Sempre (2 pt)
b. talvolta (1 pt)
c. mai (0 pt)

5- Lui l’accompagna a scegliere i vestiti?

a. Sempre (2 pt)
b. talvolta (1 pt)
c. mai (0 pt)

Domande per il (futuro) papà:

1- Si ritiene emotivo?

a. Molto (0 pt)
b. poco (1 pt)
c. per nulla (2 pt)

2- Si medica da solo piccole ferite?

a. Sempre (2 pt)
b. talvolta (1 pt)
c. mai (0 pt)

3- Fate insieme vacanze avventurose?

a. Sempre (2 pt)
b. talvolta (1 pt)
c. mai (0 pt)

4- Quante volte ha preso un bimbo in braccio?

a. Più di 5 (2 pt)
b. Meno di (5 1 pt)
c. mai (0 pt)

5- Ha frequentato le lezioni del Corso pre parto?

a. Con interesse (2 pt)
b. per dovere (1 pt)
c. mai (0 pt)

Il Professore Riccardo Ingallina, nuovo Responsabile della U.O. di Ostetricia e Ginecologia della casa di cura Villa Pia, propone un decalogo per gli uomini, 10 regole a cui bisogna necessariamente adeguarsi durante le ore che interessano travaglio e parto. A volte il venir meno anche a solo una delle seguenti indicazioni potrebbe risultare fatale.
«Le cose che il padre deve fare durante il parto sono: aiutare la partoriente a seguire le indicazioni del personale di assistenza, simulare con la partoriente durante le doglie la respirazione imparata al corso pre-parto, accarezzare la fronte e idratare le labbra della partoriente, sorvegliare la flebo ed il monitoraggio CTG insieme all’ostetrica, allontanarsi prontamente se viene invitato a farlo fino a quando non viene riammesso. Non deve, invece: fare troppe ed inopportune domande alla partoriente ed al personale di assistenza, trasmettere ansia contagiosa, spostarsi continuamente dal posto assegnatogli, deconcentrarsi dal compito di occuparsi solo ed unicamente con tanto affetto della partoriente, abbandonare la neomamma dopo aver visto il/la neonato/a come se il suo compito fosse finito lì".

lunedì 19 marzo 2012

Il pari pirotecnico, il carosello di rimorsi e la lezione di... masochismo. In 90' il Gubbio di quest'anno...

La delusione di Boisfer, tra i migliori in campo
al fischio finale (foto Settonce)
Come complicarsi la vita da soli, anche nelle situazioni più inaspettate. Il Gubbio di quest’anno sembra volersi candidare all’Oscar del masochismo, con un valore aggiunto in più: non basta farsi del male, è ancora più sadico riuscirci negli ultimi minuti di ogni gara.


E così come all’andata a Crotone – a firma Djiuric era il 90’ – come ad Ascoli - per l’incornata di Falconieri all’89’- e come a Nocera Inferiore – per il tiro della disperazione tentato da Merino al 92’ – i rossoblù incassano l’ennesima rimonta in uno scontro diretto, stavolta addirittura dopo aver segnato in "zona Cesarini" – grazie al primo gol scaturito da corner e arrivato di testa con Marcello Cottafava. Rocambolesca l’azione del penalty finale, molto contestato ma purtroppo legittimo. Ed è inutile chiedersi se la stessa decisione l’arbitro l’avrebbe presa a parti e campi invertiti.

Donnarumma su Vinetot, è il 91'
(foto Settonce)
A Gubbio il pavido Giacomelli di Trieste – un arbitro che ha usato i cartellini a senso unico e che di certo non ha garantito una direzione equanime – ha indicato il dischetto quando Donnarumma ha travolto Vinetot, che dalla sua ha avuto la fortuna che la palla non uscisse dal campo, ma rimbalzando sulla traversa tornasse sul terreno di gioco (rendendo la carica del portiere “attiva” e dunque passibile di massima punizione).
Prendersela con il direttore di gara significa però cercare l’ennesimo alibi di una stagione che di alibi è costellata come le buone intenzioni sulla via dei Campi Elisi.

La realtà è che il Gubbio non è riuscito a battere il Crotone, restando a 4 punti dai calabresi e salendo a quota 27, con la quint’ultima che resta a 29 (il Vicenza) ma con terz’ultima e penultima che premono da vicino, Ascoli e Albinoleffe, l’unica squadra quest’ultima che sembra più in disarmo di tutti.



Ciofani esulta a due mani: a quota 10
manca un solo gol... (foto Settonce)
 La gara con i rossoblù di Calabria è paradossale, ma forse anche emblematica del caos che sta caratterizzando questa stagione: primo tempo non eccezionale del Gubbio ma sufficiente a imbrigliare gli avversari e a colpirli al momento giusto. Aggressività giusta, caparbietà e intraprendenza, se non era il miglior Gubbio della stagione, certamente una squadra concreta e risoluta, con il solito Ciofani che più prende critiche più si dimostra l’unico attaccante che vede la porta dei sette a disposizione della causa rossoblù.


La panchina "lunga" del Gubbio... e quattro modi diversi
di vivere la partita (foto Settonce)
Nella ripresa le mosse di Drago hanno cambiato l’inerzia della gara ma i correttivi posti dal duo Simoni-Alessandrini hanno finito per rivelarsi un boomerang: togliere una punta per un difensore a mezz’ora dalla fine è un messaggio poco rassicurante che si dà alla squadra (e anche agli spalti) con l’aggravante che un minuto dopo il Crotone ha pareggiato.
La gara poi è scorsa via sugli episodi – da parte eugubina – e su una più costante azione offensiva da parte crotonese, con Donnarumma protagonista di alcuni interventi prodigiosi. Il finale sembra essere scritto da Hitchckock con il primo gol stagionale di testa su calcio da fermo del Gubbio e sul ribaltamento di fronte inopinato, concesso ai calabresi.

Calil spiazza Donnarumma, è il 3-3 finale (foto Settonce)
A parti inverse forse l’arbitro non avrebbe fischiato il rigore, ma sicuramente il Gubbio non sarebbe riuscito a penetrare in area di rigore avversaria con appena 2’ di recupero a disposizione. A questo punto l’unica speranza – dettata più dal cuore che dalla logica – è che nelle 10 partite che restano (a cominciare dalla proibitiva trasferta dell’Olimpico di Torino) si veda in campo la cattiveria che è propria di una squadra che vuole salvarsi.
Quella stessa carica agonistica che si deve riconoscere al Crotone, capace di rimontare per tre volte una gara che al 90’ avrebbe spezzato le reni a chiunque.

La curva rossoblù non si rassegna
(foto Settonce)
I 4 punti persi in una settimana tra Nocerina e Crotone sicuramente peseranno.
Sta al Gubbio – sta a Simoni e Alessandrini e ai rispettivi ruoli che decideranno di assumere anche nelle prossime ore – capire come uscire dal tunnel e ritrovare la continuità. Di carattere, di determinazione e quindi anche di risultati.
L’alternativa è la rassegnazione: che questa piazza e questi tifosi certamente non meritano…


Copertina di "Fuorigioco" del 19.3.2012
musica di sottofondo: "Messico e nuvole" - G.Palma & the Bluebeaters (2007)

venerdì 16 marzo 2012

Gubbio-Crotone: e l'attesa per l'effetto Alessandrini...



I rossoblù esultano al gol di Lofquist: sarà
un pareggio effimero (foto Settonce)
Ci sono partite che decidono un’intera stagione. Non perché non diano poi qualche altra speranza, ma perché da quelle partite capisci se una squadra c’è, con la testa e con il cuore.
Gubbio-Crotone è una di queste partite.

Ne sono successe di novità in questa settimana, a Gubbio ancor più che alla classifica di B capace di trovare una capolista lunedì e un’altra il giovedì successivo: sembra passato un mese da Nocerina-Gubbio, da quando dicevamo che i rossoblù si giocavano un match ball per escludere quasi definitivamente una diretta avversaria dalla corsa salvezza. Il match ball è stato fallito miseramente e, quel che è peggio, il Gubbio si è trovato ancora più invischiato nella bagarre salvezza. Dove l’ammucchiata parte da quota 28 con l’Empoli, ma ora finisce appena a quota 22, con i redivivi campani di Auteri e con ben due squadre ad una sola lunghezza dai rossoblù, l’Ascoli che continua imperterrito a pareggiare e l’altalenante Albinoleffe – sul quale, al pari del Bari, pende come una ghigliottina l’inchiesta scommesse.

Ma il Gubbio, a tutto questo, non deve pensare.
Per la serie, non guardiamo la classifica. Non lo fa Simoni e non lo fa, se non altro per non pentirsi del suo terzo sì, Marco Alessandrini, per il quale la serie B arriva nel modo più inatteso e imprevedibile. Ma è una chance che potrebbe cambiare anche il suo futuro professionale.
Come questo Gubbio-Crotone potrebbe incidere sensibilmente sulla testa e sugli stimoli della squadra eugubina.

Ci si aspetta la “scossa”: non proprio come quella dei quiz di Amadeus, ma stavolta la svolta deve essere chiara nell’atteggiamento, nella voglia,
nell’aggressività della squadra. Già dai primi minuti. Agonismo non scriteriato, non spregiudicato al punto tale da essere infilati alla prima occasione.

Donnarumma spiazzato sul tiro cross di Negro,
è il vantaggio per la Nocerina (foto Settonce)
Ma certo una carica ben diversa da quella vista nell’ultimo match, dove ci sarà stato pure il vento, ma l’unica aria che tirava nell’undici rossoblù era quella di depressione.
Ci si aspetta l’effetto Alessandrini, la risposta sul campo alle sollecitazioni di un tecnico che fa del rapporto diretto con i giocatori, della capacità di creare entusiasmo ma anche di bacchettare quando c’è bisogno, una delle prerogative. Oltre al gioco, che certo non è mancato – soprattutto nella sua prima esperienza tra il 2001 e il 2003 – quando solo la coincidenza di avversari inavvicinabili come Fiorentina e Rimini impedirono una meritata promozione.

Certo non c’è da aspettarsi miracoli a tempo di record, perché la bacchetta magica e la ricetta prodigiosa non ce l’ha neanche il governo dei tecnici, che per raddrizzare la baracca, si è affidato alle solite accise e all’aumento dell’Iva.
Misure drastiche, che sono quelle che toccano al Gubbio di questi tempi: la sfida con il Crotone è vitale per capire se c’è ancora ossigeno, se c’è terreno fertile, se c’è lo spirito giusto per inseguire il traguardo.
I tifosi si sono fatti sentire: perché si può anche perdere, ma non la dignità e la voglia di giocarsela fino in fondo. Questo Alessandrini lo sa, come anche il buon Gigi Simoni.
Ma tocca agli undici che andranno in campo – per i quali gli alibi sono finiti - dimostrare di averlo capito davvero…

 
Copertina de "Il Rosso e il Blu" - venerdì 16.3.2012
musica di sottofondo: "Groove is in the hearth" - Dee lite (1991)

giovedì 15 marzo 2012

"Forma e decoro": la poesia di un restauro, nell'originale percorso fotografico di Sanio Panfili

Mi sono già occupato, lo scorso anno diffusamente, in tv e su questo blog, del poderoso intervento di restauro dei Ceri, realizzato in appena 5 mesi, su tre veri e propri "monumenti lignei", oggetto di interesse (artistico, risalendo al secolo XIX) e soprattutto oggetto di culto folclorico da parte della comunità eugubina.
Cinque mesi, documentati come nessun altro avrebbe potuto fare, dalle foto e dai flash, discreti e certosini, realizzati da Sanio Panfili, ingegnere ed ex sindaco di Gubbio, appassionato di arte fotografica - per lo più in bianco e nero - cimentatosi in questa inedita impresa.
Oggi il suo percorso di immagini è raccontato nel volume "Forma e decoro", presentato alla Biblioteca Sperelliana (l'incontro sarà trasmesso stasera su TRG). Una presentazione che ho curato da semplice conduttore ma che soprattutto mi ha dato l'opportunità di conoscere da vicino l'arte che ispira Sanio Panfili, la fotografia. Ne ho già apprezzato sfumature ed interpretazioni diverse, avendo la fortuna di conoscere straordinari protagonisti di questo mondo (da Maurizio Biancarelli all'amico Paolo Tosti)... tanto da farmi pensare che nella prossima vita, forse, a ragion veduta, finirò per imbracciare anch'io una Canon...
C'è un aspetto in particolare che mi incuriosisce e affascina delle foto di Sanio Panfili. La sua, infatti, non è una documentazione scientifica del restauro svolto, non è il semplice racconto didascalico di un'opera ciclopica - non solo per le dimensioni ma per la caratura delle attese e delle attenzioni che la comunità eugubina avrebbe riversato su questa operazione.

Il risultato - del restauro - è stato scintillante (a parte l'inconveniente delle "scolature" dovute a pioggia e umidità il 15 maggio, presto risolte nei giorni successivi). Il resoconto fotografico di Panfili è a dir poco sorprendente. E mi piace raccontarlo con le sue stesse parole, tratte dalla testimonianza diretta di quello che è stato: un incarico inatteso e destinato ad una semplice documentazione, si è infatti, passo a passo rivelato come uno scoprire qualcosa di nascosto e sconosciuto. I Ceri come non l'avevamo mai visti: nelle loro "viscere", le loro interno, ma anche nella loro irriducibile potenza spaziale. Che Panfili ha egregiamente raffigurato scegliendo di "astrarre" il soggetto dal contesto del cantiere, su uno sfondo nero che amplifica (anzichè ridimensionare) il giganteggiare di questi "monumenti".
Che per taluni sono "sculture" (così li ha definiti la dott.ssa Tiziana Biganti, della Soprintendenza), sono parte dell'"architettura cittadina" (come dichiarato dall'avv. Ubaldo Minelli), "sono come altro non potevano essere", come descritto dall'avv. Marco Marchetti. Di certo non sono più le asfittiche "macchine di legno" (termine orribile e quasi offensivo) descritte nei depliant turistici realizzati con il copia-incolla e distribuiti maldestramente in città o altrove. Dove è impossibile saper descrivere la festa e men che meno lo spirito che la anima e contraddistingue.
Le foto di Sanio Panfili, invece, ci riescono. E felicemente, parlano da sole.

"Cinque mesi trascorsi per lo più all’ interno della cosiddetta “Casa di Sant’Ubaldo”, è durato il “restauro dei Ceri”; sintetica denominazione che, in realtà, comprende il restauro delle architetture lignee, la realizzazione delle nuove statue dei Santi ed il restauro di quelle vecchie, la costruzione delle nuove stanghe delle barelle. In tutto questo tempo abili restauratori del settore ligneo e di quello pittorico, uno scultore, sarte, falegnami e un’orafa hanno, con abilità, passione eugubina e ceraiola, messo la loro esperienza e professionalità al servizio di una significativa operazione che ormai da decenni non veniva eseguita...


Si è proceduto allo smontaggio completo di ogni parte dei Ceri, mettendo a nudo le strutture portanti, analizzando ed interpretando problemi e cause del deterioramento del materiale e delle parti che assicurano stabilità e sicurezza. Da qui la sistemazione delle parti deteriorate, il rafforzamento di alcune strutture, l’inserimento di accorgimenti costruttivi, tesi a ridurre il “dondolo“ del Cero, rendendolo più connesso e solidale con la barella. Tutte operazioni che hanno richiesto quella grande capacità, che soltanto grazie a decenni di esperienza nel settore del recupero e restauro ligneo, hanno acquistato gli artigiani coinvolti, i quali hanno saputo proporre ingegnose soluzioni rivelatesi di grande validità .

All’ abilità degli operatori chiamati ad intervenire sulle strutture portanti e sulle altre componenti lignee dei Ceri, si è aggiunta la grande professionalità di restauratrici del settore pittorico, che con sapiente sensibilità personale e culturale, hanno ripulito le tele dalle decennali incrostazioni provocate dall’ uso di sostate oleose, che hanno impegnato e indurito, mescolandosi con la polvere, le tele stesse,rendendole nei punti più critici (piegature, soluzione di continuità) fragili e screpolate. Quelle stesse incrostazioni che hanno, nel tempo, soffocato la cromia delle decorazioni, annullando le colorazioni più chiare e rendendo di un colore pressoché uniforme ed uguale le superfici. l’operazione di ripulitura, con certosina pazienza, grande attenzione, impegno fisico e psicologico elevati, è stata tutta eseguita meccanicamente, utilizzando bisturi capaci di consentire il distacco del materiale dai singoli fili ed interstizi costituenti l’orditura della tela. Sono così riapparsi i colori originali di fondo e quelli sovrapposti delle decorazioni, facendo risaltare la freschezza primaverile dei colori stessi e la grafia dei disegni. I mascheroni, i fregi, gli sistemi, i fiori, hanno ripreso vigore, rafforzando la testimonianza del valore d’arte dei Ceri. I colori ed i disegni ripuliti e reintegrati, denunciandone l’operazione, hanno ridato ai Ceri un’ immagine gioiosa di oggetti d’arte e d’uso, in sintonia con il carattere della festa.

Parallelamente al lavoro di restauratore delle architetture lignee si è proceduto anche alla realizzazione delle nuove statue dei Santi. Oltre alla propria bravura e capacità interpretativa lo scultore, Luigi Passeri, consapevole del significato che le statue rivestono tra i cittadini e nel contesto della festa, si è avvalso della ricerca di elementi iconografici e costruttivi. A tal fine egli ha attinto ad immagini sacre e studi anatomici, umani ed equini, alla ricerca di proporzioni che potessero rendere ben visibili l’immagine dei Santi, non tanto nella teca di conservazione, quanto piuttosto alla sommità dei Ceri. È con abili e sicuri colpi di sgorbia che hanno preso forma il volto, il corpo, i panneggi, gli arti, i dettagli di ciascuno di essi. Particolare attenzione lo scultore ha utilizzato nel realizzare il cavallo di San Giorgio, rendendolo rispondente alla tipologia della razza di appartenenza, nella forma, nella muscolatura e nel colore, utilizzando ed integrando materiali diversi per renderlo, nel contempo, resistente e piacevole. Alcune parti prese a se stanti sono delle vere e proprie sculture nella scultura, sia per forma che per dettagli.

Ad integrare l’ opera dello scultore sono intervenute abili mani di ricamatrici e sarte che hanno, con preziose, stoffe, realizzato gli abiti che avrebbero reso le tre statue rispettivamente vescovo, cavaliere, abate; infine si è aggiunto quel tocco di arricchimento ornamentale, grazie ad oggetti di pregevole realizzazione orafa, che hanno restituito l’immagine finale delle nuove.

Tutte queste operazioni sono state da me minuziosamente documentate attraverso migliaia di fotografie, scattate vivendo ogni giorno accanto agli operatori, seguendo le vari fasi, dialogando con loro. Lo stretto rapporto instaurato con gli operatori ha favorito e consentito di procedere nella raccolta del materiale fotografico con più facilità, ma soprattutto nel trovarsi lì nel momento in cui avvenivano particolari lavorazioni. Fotografare ciò che avveniva negli spazi ristretti e riadatti a mò di cantiere allestito con banconi,macchinari,legnami,attrezzature varie, illuminato con luci artificiali, di natura e intensità diverse, non è stato facile; ogni scatto doveva essere pensato e ricondotto all’esigenza fotografica, quale testimonianza documentale delle attività di restauro, evitando il più possibile l’interferenza di elementi estranei ed utilizzando al meglio una illuminazione flash che si rapportasse ai forti contrasti di luci ed ombre all’ interno del cantiere. Proprio la ricerca di equilibrate soluzioni per ottenere il meglio delle immagini e l’attenzione continua ha forse inconsciamente fatto maturare in me l’immagine dei Ceri estraniati dal contesto del cantiere.

Una mattina mi sono trovato assorto a immaginare i Ceri, aperti e per buona parte smontati, in un ambiente estraneo al cantiere ed ho visto materializzarsi nella mia mente le forme, le strutture,le singole parti costruttive, isolate da tutto quello che le circondava e che costituiva disturbo, distrazione, inquinamento, rispetto alla loro essenzialità. Ho visto i Ceri in una dimensione “astratta” immersi nel buio, dotatati di luce che ne delineava, la forma, la struttura e che evidenziava la bellezza delle decorazioni. Da questa intuizione, con la collaborazione della restauratrice Tiziana Monacelli, è nata l’idea di allestire una sorta di sala di posa, che avesse, con fondali neri, reso i Ceri isolati dal contesto circostante. Ciò ha consentito di documentare le parti finali del lavoro di restauro pittorico. I Ceri,spostati in una stanza appositamente attrezza, una sorta di sala di posa, venivano fotografati dopo le principali operazioni:metà pulitura, pulitura totale, stuccatura, restauro completato. Buona parte delle fotografie del restauro pittorico, raccolte in questa pubblicazione, sono state così riprese e riprodotte.

La stessa metodologia è stata utilizzata nel documento il lavoro per la realizzazione delle nuove statue dei Santi. Periodicamente a seconda dell’ avanzamento delle operazioni di scultura, le statue venivano fotografate di fronte a fondali appesi con geniali soluzioni che Luigi Passeri improvvisava. In questo modo l’immagine e la forma dei Santi, venivano isolate dal contesto del laboratorio e potevano essere viste nella loro essenzialità, cosi come sono qui riprodotte.
Se questo è stato possibile per le fasi di restauro pittorico e di costruzione delle nuove statue dei Santi, non lo è stato per le fasi di restauro ligneo e della costruzione delle nuove barelle in quanto il lavoro quotidiano richiedeva l’ausilio di macchinari, la contemporanea presenza di più operatori, il montaggio e smontaggio di singole parti, la verifica continua della validità delle soluzione adottate in sostanza l’utilizzo dell’intero cantiere.

Quando mi è stato proposto di realizzare un libro che ripercorresse, con un numero contenuto di fotografie, il lavoro di restauro dei Ceri e mi è stata data, nello stesso tempo, la libertà di idearlo e progettarlo, mi è subito tornata alla mente quella visione “non ambientata” dei Ceri che avevo immaginato fin dall’ inizio. È in questo senso che ho lavorato per realizzarlo. Ho pensato allora all’ ausilio di tecniche grafiche che oggi la fotografia digitale e la post-produzione consentito, per isolare dal contesto del cantiere dei Ceri e le barelle anche durante le fasi di restauro ligneo.
Questo lavoro, infatti, è stato il primo che io ho eseguito usando la fotografia digitale e non quella analogica. Gli amici fotografi, e non solo, sanno cosa penso e ho scritto della fotografia digitale.
Essa non è un’ evoluzione o semplice sostituzione del materiale sensibile della pellicola con la scheda di memoria, come taluno pensa o vuol far credere. Evoluzione e sostituzione non sono avvenute in quanto finalizzate alla ricerca di una sempre migliore qualità fotografica, quanto piuttosto ad espandere ed invadere il mercato di nuovi e più sofisticati apparecchi. L’industria fotografica non ha fatto altro che applicare l’evoluzione dell’ immagine elettronica, già utilizzata nelle riprese televisive e cinematografiche; parallelamente si è aperto ed è poi progredito il mercato della produzione di sempre più sofisticati programmi di elaborazione grafica per computer.

Nell’ era della globalizzazione dell’ immagine le fotografie scattate (in un anno vengono scattate tante fotografie quanto quelle scattate in tutti gli anni ‘80) dimostrano la grandezza di un mercato che l’industria fotografica non può che coltivare. Il “foto- cellulare” prima l’iPad ora stanno prendendo sempre più spazio e soppianteranno le stesse fotocamere digitali; i tablet avranno display più grandi, saranno sempre più sottili e soprattutto sempre più dotati di applicazione in grado di imitare i movimenti di decentramento, bascuiaggio, sfocatura, dei “vecchi” banchi ottici. Insomma per me più che un’ evoluzione della fotografia è stato l’asservimento di questa alle necessità del mercato di applicare nuove tecnologie e archiviare vecchi prodotti (macchine fotografiche, obbiettivi, ingranditori), per indurre nuove esigenze al fine di rinnovare ed espandere il mercato stesso. Oggi il file delle riprese, già elaborato dalla fotocamera, può essere facilmente e continuamente modificato con un computer da chiunque, anche non fotografo, trasformando l’elemento documentaristico della ripresa fotografica in una immagina, in parte o tutta, diversa da quella ripresa ed acquistare quel valore di elaborato grafico che rende l’immagine finale più piacevole o più brutta, ma certo diversa da quella reale.
Ovviamente anche nella fotografia analogica, in sede di camera oscura, possono essere apportate correzioni o modifiche alla fotografia stampata, ma queste dopo sono, tuttavia, limitare e richiedono un’elevata professionalità che pochi possiedono. A differenza del file il negativo resta intonso, documenta il soggetto ripreso e testimonia l’operazione di elaborazione eseguita in camera oscura. Non possono che guardare la realtà per quello che è e prendere atto, anche se a malincuore, che ad essa, violenti o nolenti,tutti,anche noi irriducibili, dovremo adeguarci. Resto però convinto che la fotografia analogica sia quella più rispondente alle esigenze di riproduzione e della realtà cosi come l’individuo la vede e la interpreta registrandola sulla pellicola e, perciò, continuo, pur nelle difficoltà di reperimento dei materiali e degli alti costi, spesso ad utilizzare la fotografia analogica ed in particolare quella in bianco e nero.

Se questa è la realtà che mi costringe ad impugnare la macchina fotografica digitale, abbandonare la camera oscura per il computer, ad aderire alla globalizzazione dell’ immagine, a rendere l’immagine fotografica meno “foto” e più “grafica”, mi sono chiesto perché non risolvere il problema delle interferenze del cantiere con processi di post-produzione ? E realizzare cosi l’idea originaria di vedere i Ceri liberi da ogni contesto, non ambientati e leggerne la “forma” ed il “decoro” per quello che sono?
È questa l’operazione condotta. I file delle fotografie che documentano il lavoro eseguito sopratutto per il restauro ligneo sono stati elaborati in “camera bianca” (il computer), prendendo la parte essenziale del Cero e rendendo nero ciò che lo circonda. In questo modo tutte le fasi di lavorazione, sia quelle riprese con fondali neri che quelle rielaborate, sono state omogeneizzate e hanno tutte la stessa essenzialità di lettura.


Per queste motivazioni ritengo che questo non sia solo un tradizionale libro fotografico ma, piuttosto, un libro “foto-grafico” che colloca la parte documentaristica del soggetto fuori dall’ originale contesto del cantiere.
Questa pubblicazione non ha, e non vuole avere, valore scientifico nel descrivere le tecniche e le metodologie utilizzate,i materiali impiegati o il perché di una scelta piuttosto che un'altra: ad altre pubblicazioni è demandato tale compito. Essa non è la testimonianza del lavoro di cantiere, essa è stata pensata e vuole essere la rappresentazione, per immagini essenziali, della forma dei Ceri, della loro struttura,degli elementi costruttivi, della visibilità di alcuni interventi eseguiti, della lettura della decorazioni, dei disegni,dei simboli,degli stemmi opposti sulle superfici, riscoperti,reintegrati e resi piacevolmente apprezzabili.
Sanio Panfili

E, aggiungo io, è una lettura - termine congruo, sebbene di foto si tratti - originale e innovativa del patrimonio culturale di cui la comunità eugubina è custode. Troppo spesso inconsapevolmente.